Ars Arcana
E
sasperato, Dorian si portò una mano alla fronte liscia e volse lo sguardo alle pagine consunte del quaderno che, piene zeppe d’inchiostro, risultavano ormai illeggibili. Aveva scritto
sulle righe,
tra le righe,
sopra le righe; il taccuino ospitava almeno il quadruplo delle parole rispetto ad una normale agenda. Pensieri, annotazioni,
memorandum, giudizi...
Midnight fissò a lungo la pozza d’inchiostro sulla superfice increspata della carta: le lettere davano vita a macchie senza senso, dai margini irregolari e frastagliati, opache quanto le diottrie che stava perdendo in entrambi gli occhi. L'agenda era letteralmente sul punto di implodere.
Si alzò – gli studenti erano tutti disperatamente alle prese con le domande dell’ennesimo, impossibile, compito in classe – e con fare cospiratore si avvicinò ad uno di loro, seduto in maniera piuttosto composta.
«Psss… Sekhmeth!» posò su di lui i suoi occhi frangiati di ciglia feline, sorridendo ammiccante.
Una ragazza si girò incuriosita e Dorian urlò, facendo tremare la terra.
«AL PROSSIMO CHE SI VOLTA, PARLA O RESPIRA METTO Z! ZETA DI ZUCCONE! CAPITOOOOH?», ma in un baleno le sue labbra tornarono ad essere sorridenti, il suo sussurro dolce come zucchero filato.
«Mi domandavo... ecco, mi chiedevo... Non è che mi potresti mandare uno di quei bei diarietti in pelle che sono esposti in vetrina, laggiù in bottega?»Scosse la testa come a voler constatare l’ovvio e un sospiro imbarazzato gli sfuggì dalle labbra.
«Oh! Non temere, parla pure, non ti metterò una zeta, non adesso almeno ()».
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