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| In un gioco fatto di sguardi, nei silenzi spezzati dai sospiri, le parole della ragazza avrebbero presto assunto forma. Dal momento in cui Draven aveva varcato le soglie di quell’appartamento insalubre, nulla aveva avuto molto senso; a partire dalla propria presenza e poi a sciorinare tutto il resto che gli stava di traverso. Lei, con quell’aria arrogante, che bramava una vendetta a lui incomprensibile e l’altra, che continuava a fissarlo come se da un momento all’altro si aspettasse qualcosa da lui. Anche il mobilio dell’appartamento era fastidioso, ma forse era quanto di meno anacronistico e distorto c’era in tutta la situazione. Non aveva più appigli su cui focalizzarsi per estraniarsi dal contesto, non ne aveva più da quando era stato palesato il nome di Cecilia. Sua madre. E, nonostante gli sarebbe stata chiara ogni cosa di lì a poco, ancora avvolto nell’ignoranza assoluta non aveva fatto altro, suo malgrado, che chiedersi quanto di quella situazione avrebbe dovuto riferirle. Quanto, di quella situazione, avrebbe intaccato il loro rapporto già di per sé precario? Se l’era chiesto costantemente negli ultimi minuti, nonostante l’abitudine all’insofferenza gli fosse andata incontro, assistendolo durante i minuti precedenti, sedando la curiosità abbastanza da restarne disinteressato, ma tenendola viva a sufficienza da non farlo andare via. Un equilibrio instabile, tanto quanto il corpo seduto storto su quella sedia sgangherata. Con il peso del busto riversato sul gomito sinistro, appuntato nella coscia, e il viso sorretto dal pugno chiuso. La rappresentazione della noia. Che con quelle due avesse un qualche tipo di legame, si disse, non gliene fregava niente. Lo stomaco iniziò a gorgogliare silenziosamente, focalizzando la sua attenzione altrove; ma fu un breve istante. Il tempo di chiedersi di cos’avesse voglia di mangiare, per poi sentirsi pressare da un senso di nausea talmente invadente da occludere qualsiasi pensiero razionale. Se l’era detto e ripetuto che non gli importava nulla di quella faccenda, eppure, quando finalmente arrivò la chiarezza, sopraggiunsero anche involontarie reazioni a catena. Dapprima l’esigenza di sputare addosso a quella donna che il fatto che Lilien Shaw fosse una stronza manipolatrice non fosse all’oscuro di nessuno che avesse avuto il dispiacere di starle a contatto per più di poche ore. Poi l’angoscia per sua madre e le verità che le erano state tenute nascoste per quasi trent’anni, sopperita poco dopo da un peculiare senso di soddisfazione nel constatare che la sua freddezza, la sua totale mancanza di istinto materno, nonché l’aggressività, non fossero altro che il marcescente frutto caduto non lontano dall’albero. Il Serpeverde sapeva che era stata espulsa da Hogwarts, ma nessuno mai aveva voluto, o potuto, spiegargli il perché. Cecilia era stata bandita dal mondo magico… per… aver ucciso qualcuno. E… Quanti anni dopo fece lo stesso con il padre di suo figlio? Un incidente. Un altro. Due omicidi accidentali non potevano essere coincidenze e sopraggiunse l'afflizione. La consapevolezza immediata che con un tale albero genealogico la sua vita era segnata sul nascere. Un’altalena di emozioni, che non lasciò in alcun modo trapelare dall’espressione annoiata che s’era marchiato in viso. Ma, in tutto ciò, nemmeno per un istante provò alcuna compassione per l’interlocutrice. Sciolse la posa ineducata e si protese verso di lei per afferrare la sua lettera. L’ultima conferma la trovò lì, nelle parole di Lilien che accennavano a una nipote. Il collegamento mentale alle parole dette dalla ragazza dagli occhi bicromo fece il resto. Un rapido sguardo e le passò la lettera. La vide gradualmente riversare in uno stato quasi catatonico. Forse scoprire di avere delle zie, un cugino, dei parenti fu peggio per lei di quanto non fosse per Draven. O forse stava male per via di tutta la merda di contorno.
Interessante, certamente. Condividiamo un passato nefasto. Accidenti. - esordì, battendosi le mani sulle cosce con un’enfasi disturbante, dato l’alone di persistente angoscia che aleggiava in quell’appartamento. Si alzò in piedi e, come se nulla fosse, come se non avesse appena letto e ricapitolato ogni singola parola pronunciata dalla donna facendo il punto della pessima condizione in cui riversava la sua famiglia a dir poco disfunzionale, distese le labbra in un mesto sorriso. Non aveva mai sperimentato prima un tale senso di stupore e quella fu la reazione spontanea al momento: ignorare l'evidenza con sardonica ironia.
Ma, se non c’è altro, io andrei… Ti auguro una buona vendetta. Fammi sapere quando schiatta la vecchia, tanto sai dove contattarmi. - aggiunse subito dopo. Un cenno con il capo a mo di saluto, le labbra arricciate in quella smorfia derisoria e inappropriata. Un’occhiata di sbieco a controllare che l’appena ritrovata cugina non fosse morta di stasi, poi si indirizzò verso la porta. Se nulla, o nessuno, glielo avesse impedito si sarebbe lasciato tutta quella faccenda alle spalle, varcando le soglie d'uscita.
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