Plic. Plic. Stava piovendo fitto sul soffitto di vetro della stazione di King’s Cross, a Londra. Visto dal basso, quell’immenso arco composto da tanti pannelli trasparenti sembrava una rete nera posta in contrasto contro un cielo grigio ma luminoso. Il suono della pioggia era appena percettibile, con un po’ di concentrazione. Se solo avesse potuto sentirlo in tutta la sua naturale forza…
« Jacqueline! » una voce familiare la scosse da quel suo eccessivo riflettere, spingendola a voltarsi verso sinistra: era sua madre. Schiuse le labbra, ma non riuscì a dire nulla. Un abbraccio l’aveva raggiunta prima che potesse farlo. Riconobbe subito il profumo di sua madre e facendo appena capolino dietro le sue ciocche ramate poté vedere anche l’altra persona che si trovava a pochi passi da loro: suo padre. Il sorriso di lui nascondeva tanta fierezza quanta malinconia su quel viso stanco. « M-mamma! » sussurrò appena la ragazzina dai corti capelli castani, lasciando intendere di aver ritenuto sufficiente il tempo di quell’abbraccio. Scusandosi, sua madre si alzò e per un secondo la guardò con uno sguardo che questa volta Jacqueline non poté capire. Quindi iniziò a guardare il suo carrello pieno degli acquisti fatti a Diagon Alley, soffermandosi subito, più che su bauli e valige, sul gufo. Si lasciò sfuggire una risata sorpresa, ma sinceramente divertita. « L’ho chiamato Leeuwenhoek. » confessò Jacqueline con un’insolita dolcezza impressa in quelle parole. La stessa impressa in una mano grande che successivamente si ritrovò sulla spalla. Mentre sua madre controllava che le valige fossero in ordine, suo padre le diede un paio di buoni consigli per la scuola. C’era un certo imbarazzo nella sua voce e sui suoi occhi evasivi, d’altronde l’uomo non poteva comprendere molto di quel mondo a lui proibito. Tuttavia, come disse anche lui, una scuola era pur sempre una scuola – anche se gli insegnamenti potevano e sarebbero stati certamente diversi. Jacqueline non sarebbe dovuta essere la migliore della classe o della scuola, nessuno dei suoi l’aveva mai preteso: doveva essere solo appassionata, inevitabilmente e inarrestabilmente appassionata. Jacqueline annuì a ciascuno dei consigli del padre, a volte consapevolmente, a volte più per riflesso. Attorno a loro c’erano comunicazioni, passanti veloci e un gran chiacchiericcio: non riusciva a godersi a pieno l’intensità di quel momento, schiacciata com’era da un’adrenalina che cresceva ogni parola che suo padre diceva, consapevole di essere sempre più vicina ad un momento importante.
Lo realizzò tardi, quando un fischio, seguito da una rapida ricerca di un orologio aveva fatto intendere ai genitori l’ora: non doveva mancare molto. Il treno in partenza non era chiaramente quello per Hogwarts, ma uno del mondo babbano usato come riferimento dalla coppia. Il professor McLain, d’altra parte, da pendolare conosceva molto bene gli orari dei treni. Jacqueline venne richiamata dalla madre, che la prese per mano e la fece venire con sé, sempre più lontana dalla figura paterna. Non avrebbe mai dimenticato quello sguardo. E mentre sentiva un certo prurito affliggerle gli occhi, sua madre le chiese un atto di fede: oltrepassare un muro. Un qualcosa che la ragazza non capì fino a quando non vide altri due ragazzi farlo, accompagnati dai relativi genitori. Prese un bel respiro e si sforzò di non arrendersi a ciò che il cervello le diceva. Affrettò il passo e una voce dentro di sé la ritenne una stupida che fa cose altrettanto stupide, perché quella cosa poteva avere razionalmente un solo finale. Non ci credeva e non lo fece neanche una frazione di secondo prima che il suo carrello toccasse il muro, sbagliando. Era dall’altra parte.
Ancora confusa ma non meno agitata, venne accompagnata dalla madre in prossimità del treno, già pronto per la partenza. Le due si avvicinarono al primo ingresso utile, quindi si salutarono, con un nuovo abbracciò che neanche questa volta Jacqueline poté evitare, ma non avrebbe neanche voluto farlo. E quello che avvenne poi, avvenne tutto troppo in fretta. Prender posto, guardare fuori dal finestrino, vedere le labbra muoversi senza udire una parola – avvenne tutto troppo in fretta. E quando il treno partì, solo allora realizzò la mancanza della presenza rassicurante dei suoi genitori in quel trambusto, perché così diverso era il medesimo brusio tra i vagoni di un vecchio treno ora che era sola in mezzo a tanta gente sconosciuta.
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