Posts written by Giuky93

Nel suo giardino, uno tra i più variopinti e stimabili di tutto il quartiere, un'anziana signora era seduta su un piccolo sgabello, con ancora delle piccole cesoie fra i guanti da giardinaggio spessi e pesanti. Si asciugò la fronte dai forti raggi che preannunciavano l'arrivo imminente dell'estate, e decisa, afferrò il suo cappellino di jeans e lo tirò verso di lei per coprirsi di più dal sole. Con l'indice si tirò su gli occhiali tondi che le coprivano metà viso, e concluse la sua preparazione affondando un guanto dentro il concime.
« Come stavo dicendo, dopo aver tagliato le parti secche e danneggiate dagli insetti, dal colore più scuuuuro, basta riconcimare il terreno usandone uno più, a-da-tto. »
Specificò pressando con le nocche verso terra. Si era notevolmente abbassata fra tutti quei fiori, così si rialzò sempre da seduta per vedere meglio la sua spettatrice. Una tappetta dai capelli neri a caschetto che era seduta ad indiano esattamente accanto a lei, con i gomiti sopra le cosce e le mani che reggevano il suo visetto. E i suoi occhi, che con quella luce così forte brillavano di un azzurro fortissimo che a malapena di distingueva l'iride dal bulbo oculare, non la mollavano un secondo, nemmeno un istante. Fino a quel momento avevano seguito le sue mani gracili e rugose, ormai amiche di tutto quel verde da molti anni. Le sue azioni erano così ovvie e spensierate, che trovava difficile doverle spiegare a qualcun altro, soprattutto se quel qualcun altro era una bambina. Dopo che la piccoletta annuì velocissimamente con la testa, proseguì la sua lezione cercando una parte vuota del terreno dove poter scavare un po' in fondo e lasciarci qualche seme, ma qualcosa la distrasse.
"Meeowff", faceva più o meno così. Con passo ancheggiante e sinuoso, un gattone con un occhio chiuso da una cicatrice ancora scura e piuttosto profonda che finiva vicino alla bocca, dal pelo gonfio e fulvo. La coda pareva così soffice e ricurva, aveva le fauci impegnate a trasportare qualcosa, e nel suo arrivo, il suo unico occhio di un giallo intenso e da più sfumature la stava cercando.
« Ooh Dexter, dopo tutti questi anni ancora a fare il cacciatore? Non dovresti andare in pensione come me?? » - Poggiò il topo dilaniato per terra, e tutto impettito si lasciò grattare la testolina dalla padrona. La bambina rise di gusto piegandosi in avanti e poi indietro. - « Ottimo lavoro caporale! Anche oggi la sua missione speciale è stata apprezzata dal comandante. Troverà il suo trofeo nella ciotola in cucina! »
Gli disse con l'indice puntato verso la casa, e da bravo soldatino quell'insieme di ciccia e pelo raggiunse l'entrata senza sminuire la sua camminata elegante. La donna iniziò a togliersi i guanti, colta poi da un pensiero improvviso, controllò l'orologio, per poi rivolgersi alla bambina.
« Cara, potresti controllare il forno? Credo che i nostri brownies al cioccolato siano pronti! » mostrandole uno dei sorrisi più raggianti che potesse fare, a uno dei suoi tesori più preziosi. "Così piccola e delicata, eppure così vivace e sprintosa", pensò ammirandola nei suoi più piccoli dettagli, come la canottiera viola dai bordi di pizzo bianchi, e i pantaloncini da maschiaccia neri, la sua pelle cinerea, con piccole macchie di abbronzatura dal viaggio in Messico. La non curanza dei movimenti, ma l'attenzione per ogni piccola forma della natura.
« Corro subito, nonna! »
Un razzo umano si fiondò sul percorso fatto di ciottoli che collegava il cancellato ricoperto di foglie e l'entrata principale con la zanzariera messa lì temporaneamente. La piccina chiuse la porta, e appena fu fuori portata, la signora estrasse di nascosto la bacchetta dai pantaloni, di un legno chiaro, con tantissimi segni sopra, e lo puntò verso il cadavere del povero topo. « E-va-nesco » Muovendo il polso con un movimento circolatorio, in senso orario. I resti sparirono nel nulla, così come la sua bacchetta ritornò nei pantaloni sotto il grembiule. Prima di andare volse lo sguardo alla sua piccola famiglia verde, e all'improvviso si portò la mano davanti la bocca e gli occhi gli diventarono lucidi.
La fila di girasoli che toccava il recinto, era completamente girata dalla parte opposta di dove scaldava il sole, tutti rivolti verso l'entrata di casa, proprio dove era passata la nipotina...
« E' così...speciale. »

*************

I primi movimenti delle mani, le palpebre che si stringono, il ritorno verso la realtà. No, non voleva ancora scendere, voleva tornare fuori a cercare nonna Marge e dirgli che erano pronti i dolci, e di correre prima che si bruciassero, e invece cadde verso la terra, lontana da quel passato, e proprio dalla terra si svegliò.
Nel suo respiro profondo, vi erano una quantità indefinita di odori, dal terreno quasi umido e morbido, ai fiori più vicino a lei. Stringeva le mani cercando nuovamente la sensibilità delle dita intorpidite, piegò anche le gambe per lo stesso motivo, e le sentì incredibilmente umidicce. Mugugnando qualcosa, aprì gli occhi, e si rese conto del perché di tutta quella umidità. Era distesa per terra, nel giardino della scuola, con lo sguardo rivolto verso la fitta vegetazione e le braccia tese verso l'esterno.
** Mhm.....che....-cosa stavo facendo? **
Ancora confusa cercò qualche indizio, senza la forza di rialzarsi, muovendo solo il capo a destra e a sinistra. Alla sua destra aveva un quadernino con una piuma ancora molto vicina alla mano, lo prese e se lo portò vicino al viso, e lesse ciò che vi era scritto.

-Alberi: no
-Felce: no
-Rododendro: no
-Margherita: no
-Salice di fronte: no
-Rosa Rossa rovinata dietro: n

Concentrò il suo sguardo sulla "n" scarabocchiata, probabilmente si era addormentata a quel punto. Ma in tutto ciò ancora non aveva compreso il motivo per cui era lì. Cercò qualcos'altro intorno, e aveva solo la bacchetta nella tasca della gonna. Per cui si lasciò andare e rimase a osservare i raggi di sole che filtravano tra i rami degli alberi verso il basso.
«** MI STAI ASCOLTAAANDOOO???? **»
Una voce stridula le rimbombò nella mente, tanto da farle chiudere gli occhi dal fastidio. A quanto pare nella sua testa non era da sola.
** Forse...credo di aver capito. **
Ancora intontita si girò su se stessa, con l'addome rivolto verso il terreno umido, poteva sentire la camicetta raffreddarsi rispetto al calore del sole di prima. Scosse un pochino i capelli dai rimasugli di foglie e piccoli legnetti, con la frangetta un po' spostata che le copriva gli occhi chiari. In estremo silenzio, osservò tutto ciò che c'era di fronte a lei facendosi forza dalle braccia conserte.
«** Che coooosa credi di aver capito? Di quanto sono brava a raccontare le mie storie? **»
La voce era più che acuta, era vicinissima. La corvina continuava a guardare verso l'alto ma un qualcosa le solleticò il braccio più esposto fra i due. Un fiore di viola che si era totalmente curvato verso di lei, quasi rischiando di spezzarsi. Aveva 5-6 fiori, con il centro di un viola intenso, mentre più si andava verso le estremità, più i petali schiarivano, con colori tenui dal viola molto chiaro, lilla, fino a raggiungere quasi il bianco, puntinati da piccoli pallini bianchi e gialli. Lo stelo la rendeva incredibilmente alta rispetto alla sua normale fioritura, non doveva essere più di una margherita o un fiore che cresceva in gruppo, lei era stranamente sola, unica e più alta del normale.
** Ehm...si esatto! Era proprio quello. **
Rispose la tassina di getto. Adesso aveva compreso appieno il motivo per cui era lì. Voleva sviluppare quella sua insolita...qualità? Caratteristica? ...Potere?? Non sapeva ancora dargli un nome, poteva solo giustificare a sé stessa che quello, era stato il motivo scatenante della rottura tra realtà babbana e realtà magica. Dopo quegli eventi assurdi, non poté più nasconderlo a sé stessa, era una maga e capire le sue "stranezze" sarebbe stato il suo compito come studentessa e come persona. Poteva farlo, i professori l'avrebbero aiutata forse, eppure non ce la faceva a rivelarglielo. Quelle voci, così insistenti, così...tante, alcune felici, spensierate, altre disperate, straziate, sofferenti. Un mondo che non gli appartiene, un mondo di cui lei si sentiva solo ospite, se non distruttrice in quanto essere umano con le sue esigenze e i suoi spazi, troppi ed esagerati. Non gli è stata data una scelta, è andata così e basta, e non riusciva a spiegarselo in alcun modo, perché proprio a lei? Giorni interi sui libri della biblioteca, e quante volte a nascondere le proprie ricerche camuffandole in "ripassi di Erbologia". Avrebbe voluto raccontare tutti i segreti del mondo floreale alla sua compagna Eloise, ne era certa che una come lei ci avrebbe riso o scritto un best-seller, eppure ne aveva così timore...non ne trovava il coraggio. Si trovava sempre sul punto di rivelarglielo, perché più il tempo scorreva, più sentiva che poteva fidarsi di lei, dopo tutti quei segreti mantenuti sottochiave nelle loro memorie e mai fuoriusciti. Di tutti quei momenti goliardici e spensierati, voleva condividergli questa sua "stranezza", eppure non era facile. Partiva determinata con i pugni serrati ma appena incontrava i suoi occhi verdi perdeva la forza, e sdrammatizzava con una battuta che non centrava nulla. Molto da lei, sì, tuttavia, quando si dividevano, per qualsiasi motivo, sentiva un rimorso dentro di sé, aveva perso un'occasione buona, una chance per sentirsi più libera, più "legittimata" ad essere così, e forse anche compresa, accettata. I momenti in cui riusciva ad avere un dibattito con qualcuno del mondo ""floreale"" stavano curiosamente aumentando, e riusciva a capire più informazioni, per lo più insulse, ma ben comprensibili rispetto all'inizio. Non voleva mollare così il suo studio.
** E quindi? Cosa mi racconti di bello? **
Sentì la violetta far finta di schiarirsi la non gola, ed inevitabilmente sorrise.
«** Pochi giorni fa, ero con il mio gruppo, sai, altri come me, taaanti altri. E di fronte a noi avevamo un gruppo di rose, fascinosissime rose. La sera stessa ci colpì una forte burrasca d'acqua, e mentre noi resistemmo, metà di quelle rose erano state spazzate via dal vento e dalla forza dell'acqua. Una in particolare rimase lì, era così rossa da far invidiare tutti i papaveri e le gerbere. Maestosa e regale - **» - con la forza del pensiero, Ophelia si immaginò una donna slanciata e formosa, vestita lasciando delle ampie scollature sul seno e lo spacco su una gamba, dai capelli rosso porpora, sciolti e fluenti fino a fianchi come tante onde di fuoco, le labbra carnose tinte di scarlatto e sguardo penetrante con una pelliccia per valorizzarla. - «** Si vantava sempre con tutti della sua bellezza. Tanto che un giorno si allargò così tanto da creare un vortice di petali e brillava del suo colore più splendente. **»
Rimase divertita dal tono in cui descriveva questa figura che non era altro che una rosa rossa, era così...enfatica.
** E poi? **
«** E poi un bel giorno, mentre cantava a tutto spiano, arrivano due umani come te, e si sono promessi amore eterno. Lui ha staccato quella rosa proprio perché era la più bella e l'ha regalata alla sua lei, e poi sono scappati via mano per mano. Uuuuh come urlava di dolore, sperava fino all'ultimo che l'umana si pungesse con le sue spine affilate, e invece no, soffriva e basta, QUANTO ABBIAMO RISO **»
La tassina rimase a fissarla sconcertata, non sapeva se ridere o rimanere basita dal racconto grottesco. Nonostante tutto la viola era scoppiata a ridere in una risata isterica e forte, si muoveva anche in avanti e all'indietro, come quando un umano cerca di trattenersi mettendo le braccia sulla pancia a forza di ridere.
** E tu perché sei qui sola soletta? **
Interruppe così la sua risatina ed ottenne un tono tutt'altro che gioioso, era diventata nostalgica, cupa.
«** Perché di certo non l'ho scelto io, un'umana ci ha raccolte stamattina, un po' tutte insieme, ma quando mi ha vista ha detto " Questa qua non va bene per i miei test, è troppo lunga", così mi ha lasciata qui. **»
Test? Deve essere stata sicuramente la professoressa di Erbologia che prendeva i fiori prima delle sue lezioni, eppure era così strano...così..tante.
«** Non che mi dispiaccia così tanto èèeh....mi prendevano sempre in giro perché ero più alta di loro e mi sapevo muovere di più. Prima mi sentivo così...sola. Adesso non mi ci sento più, lo sono e basta. **»
In quel momento la ragazza cambiò posizione, tirandosi su con le braccia e ruotando tutto il corpo verso quel fiore. Incrociò le braccia, e le gambe, lo sguardo verso il basso. Non resistette a non immaginarsi anche lei, dunque chiuse gli occhi. Occhi affusolati, azzurri, quasi come i suoi. Il viso dai tratti duri e mascolini, guance leggermente scavate, il naso aquilino, le labbra fine e cineree come la sua pelle, pochissime sopracciglia. I capelli, ondulati che le cadevano sulle spalle, dalla testa di un viola forte e sgargiante, e a calare quel viola si disperdeva in lunghe scie più chiare, di un viola chiaro, poi lilla, lilla tenue fino alle punte un po' bruciacchiate e spigliate. Sbadata, goffa, non molto alta, timida, introversa ma anche esaltata, curiosa, la vedeva correre tra i prati alti con dei jeans stretti e una felpa due volte più grande di lei grigia. Alla ricerca di libertà e di energia. Quelle immagini erano così vivide che poteva afferrarle, e tenerle con sé. Nonostante tutto non lo fece. Le lasciò scivolare via.
Dischiuse gli occhi, l'immagine che si era stampata dentro di lei, riuscì a sovrapporla perfettamente a quella del fiore. Adesso vedeva una ragazza seduta nella sia stessa posizione, ma con il viso rivoltò da un'altra parte, bocca corrucciata e sguardo perso nel vuoto. Adesso trovava davvero difficile, immaginare di parlare mentalmente con un fiore, non era un fiore, era una persona intrappolata nel ""corpo"" di un fiore, comunque era solo una viola, o così era quello che si voleva sentir dire dalla ragione. Ma la mente e i sentimenti umani non glielo permisero.
** Ti piacerebbe andartene da qui? Con me? **
«** Oh, a chi non farebbe piacere? Ma come vedi sono, abba-stan-za bloccata **»
Gli rispose facendo finta di sradicarsi da sola. La Lovelace si avvicinò di più alla viola e cercò di spiegarle usando solo il pensiero il suo piano gesticolando, proprio come si fa con un umano.
** Ecco...vorrei....coglierti...-MA NEL SENSO-cioè non voglio ucciderti ecco....voglio solo...spostarti. Ecco, devi sapere che ci sono delle cose, con dentro tutto questo terreno, proprio uguale al tuo, che si chiama "vaso" da noi. Si tratta proprio di istanti, dovrai solo, uhm, trattenere il respiro? Non so come si dice nel vostro caso. Potrai stare in quel pezzettino di concime e ogni giorno ti darò l'acqua che vuoi e ti metterò sempre in direzione del sole. E quando non ci sarà...beh, te lo creerò io ** Finì la frase con i zigomi completamente gonfi e vicini agli occhi.
«** Oh....umana sarebbe splendido, non so cosa darei per far avverare una cosa simile..anche se, ahimè, non ho proprio nulla se non del nettare. **»
** Ehm...puoi...chiamarmi Ophelia. Allora, andrò proprio laggiù ** - l'avvertì indicando la serra di Erbologia, distava di una 30ina di passi - ** e prenderò uno di questi "vasi". Ci metterò pochissimo, e tu dovrai essere coraggiosa ma ne varrà la pena...Vivienne. **
«** Oh certo cara, ehm, scusa ma - che cos'è Vivienne? ** »
** E' il tuo nome. Sai tra umani, si usano dei nomi, un po' per dire che tu sei una viola e quella laggiù è una gerbera. Ma ci sono tanti fiori di quel tipo, mentre un nome...ti rende unica. Solo tu adesso avrai quel nome. **
«** Ohw, Ophelia che cosa meravigliosa io non - non ce la FACCIO ODDDIIIIIOOOO . **»
Vivienne scoppiò in un pianto rotto e si muoveva a cerchio senza fermarsi, strattonandosi per ogni finta tirata di naso (che ovviamente lei non aveva, probabilmente aveva imparato ad imitarlo a forza di stare a contatto fra gli umani). Non sapeva se ridere o consolarla, alla fine si alzò e corse a perdifiato verso le serre, lasciando tutto ciò che era per terra lì vicino la viola, e appena afferrato il vaso, uno dei tantissimi modelli che erano nella serra abbastanza desolata dall'ora pomeridiana (le lezioni erano solite la mattina) corse di nuovo alla carica verso Vivienne, e fortunatamente trovò tutto come aveva lasciato. Sistemò per bene il vaso con il giusto concime, appiattendolo con le nocche delle mani, proprio come gli avevano insegnato da piccola. Affondare le mani in quella terra così fresca la fece sentire così bene che se ne fregò totalmente del fatto che erano completamente sporche e rovinate. Un bel respiro profondo. Era pronta ad accogliere Vivienne non solo nella camera del Dormitorio della Sala Comune, ma anche nella sua vita, alquanto insolita. E Vivi lo era? Sembrava proprio di sì, da come si agitava ondeggiando nel suo nuovo vasetto.