| Niente ad Hogwarts - o più in generale nel mondo magico - era ciò che sembrava: scale libere di scegliere la propria posizione, soggetti nei ritratti capaci di parlare e spostarsi da una cornice all’altra, stanze in grado di comparire e scomparire (almeno secondo alcuni) a proprio piacimento. Che cos’avrebbe reso quell’armadio diverso dal resto del mobilio presente nella Scuola? L’intuizione di Clarissa, del resto, poteva essere corretta: a Difesa Contro le Arti Oscure aveva imparato che cosa fosse un Molliccio, di quanto quelle creature misteriose adorassero il buio e gli spazi chiusi; un armadio, quindi, sarebbe stato il luogo perfetto per celarsi alla vista e sarebbe stato lecito da parte del Guardiano metterlo sotto chiave per la propria sicurezza. Che cos’avrebbe visto Gazza se un Molliccio gli si fosse presentato innanzi all’improvviso? Qual era la paura peggiore del Guardiano? E quella di Clarissa? La paura muoveva nonostante tutto le sue dita, in procinto di stringere la maniglia verticale e sottile; il metallo scrostato dal tempo e dall’usura attendeva solamente di essere afferrato e, quando Clarissa riuscì a toccarlo, un brivido le avrebbe percorso il corpo. Se l’era immaginato o era stato qualcosa di reale? Simile ad una lieve scarica elettrica, quella sensazione si era dipanata dalle dita serrate fino alla spalla e al petto della giovane Corvonero, lasciandola senza fiato - per un istante soltanto - finché la forza e il coraggio non ebbero avuto il sopravvento. L’anta destra cigolò e lo spostamento d’aria fece aprire di pochi centimetri l’altra anta. L’odore di spazio chiuso e stantio, un mix di polvere e muffa mescolate insieme, le invase le narici. Lo sguardo abbracciò lo spazio angusto, ma colmo degli oggetti più disparati. Diviso in due sezioni ben separate, l’armadio si componeva di una parte - quella a sinistra - per riporre soprabiti e lunghe vesti, mentre a destra trovavano posto una serie di cassettini, quattro o cinque, e una cappelliera sulla sommità. Fin qui nulla di anomalo. Aprendo i cassetti, Clarissa avrebbe trovato cianfrusaglie di ogni tipo, tra cui un paio di guanti spaiati, un orologio da taschino arrugginito, col vetro percorso da un intreccio di crepe sottili e l’orario fermo alle due e trentasei; negli altri cassetti, un coltellino - o forse un tagliacarte - e foglietti di pergamena illeggibili a causa di larghe chiazze d’umidità che avevano intaccato l’inchiostro perlopiù sbiadito. L’oggetto più interessante, tuttavia, si trovava alla sua sinistra, là dove cappotti e mantelli avrebbero dovuto trovar giusta collocazione: un manico di scopa con i ramoscelli della coda mal allineati e le lettere dorate ad indicarne il modello. Benché la “O” fosse scrostata in parte, il nome “Comet” risaltava sul legno del manico e gli appoggi per i piedi mancavano, forse rotti durante un qualche allenamento o perché inutili a colui - o colei - che ne aveva fatto uso. Uno studente del Primo Anno non poteva possedere una scopa e benché Clarissa potesse desiderare di tenere per sé quel cimelio, di certo non avrebbe potuto lasciare l’Ufficio del Guardiano senza essere vista, rischiando persino di portare nel proprio dormitorio un manico di scopa del tutto inutile. La delusione avrebbe fatto capolino di nuovo nel cuore della giovane studentessa se, d’un tratto, un riflesso innaturale non avesse attirato la sua attenzione sullo specchio presente sull’anta di destra. Come molti armadi antichi, anche questo possedeva una coppia di specchi e il riflesso della Corvonero si rifletteva nell’uno e nell’altro, moltiplicando la sua immagine all’infinito. Al lato di uno di questi, un telo grigio era appeso solo per un lembo all'angolo in alto, come se fosse scivolato dalla superficie riflettente che avrebbe dovuto coprire. Guardandosi allo specchio, Clarissa avrebbe scorto l’immagine di se stessa, pura e semplice: capelli rossi, la divisa della sua Casa e lo sguardo spento dal disinteresse. In quell’Ufficio, in fondo, non c’era nulla per cui sprecare il proprio tempo. Fu allora che un secondo bagliore, come un lampo di luce bianca, si originò improvvisamente. Seguito da un terzo e poi da un quarto, il bagliore s’intensificò fino ad accecarla. La bambina sarebbe stata colta da una sensazione di smarrimento, la stessa di quando - giocando a correre in circolo - ci si disorienti in assenza di equilibrio. Le ginocchia avrebbero ceduto senza che Clarissa potesse opporvi resistenza, prima ancora che potesse rendersi conto di essere svenuta.
Il risveglio non fu dei più piacevoli: cadendo doveva aver urtato qualcosa col ginocchio sinistro, nel punto in cui la calza smagliata lasciava intravedere un arrossamento lieve (-2PC). La testa le doleva in più punti, forse a causa del disorientamento e della caduta stessa. Prima ancora di aprire gli occhi, Clarissa percepì la sensazione del freddo sulla pelle, lasciandosi avvolgere da spire di vento gelido. Subito dopo, la bambina si rese conto di non essere sola, poiché qualcuno - una figura dalle forme indistinte - le volgeva il capo a destra e a sinistra, schiaffeggiandole delicatamente le guance per svegliarla da quel torpore. Sotto il suo corpicino intirizzito dal freddo, la neve. Quando Clarissa aprì gli occhi del tutto, il bagliore del sole nascente la colpì in pieno volto, e non fu capace di riconoscere la voce di colei che le stava parlando. «Oh, grazie al cielo! Sei viva!» Voce di donna, molto probabilmente di un’adulta. Quando riuscì a metterla a fuoco, Clarissa avrebbe visto una giovane - forse sulla ventina - con lunghi e morbidi capelli biondi, sciolti sotto un cappuccio e un mantello di pelle. Il suo viso era più ordinario di quanto ci si potesse aspettare, nessun segno particolare in bella vista o dettagli che potessero suggerire a Clarissa di riconoscerla. Poteva dedurre che le sue intenzioni non fossero cattive, poiché la sua espressione le ricordava quella di una madre rimasta in pensiero a lungo per un figlio scomparso da lungo tempo. Era pieno inverno e la sua uniforme non l’avrebbe salvata dalle basse temperature. La donna trasse immediatamente un secondo indumento della stessa misura dal sacco abbandonato accanto alla bambina e con quello le cinse il corpo, sfregandole le mani sulle spalle con fare energico per riscaldarla. «Sei comparsa dal nulla! Si può sapere da dove salti fuori?» Era la domanda più logica e sicuramente Clarissa non aveva una risposta pronta. Intorno a loro, un bosco di abeti coperto da neve brillante, un sentiero - quello sul quale si trovavano entrambe - appena visibile tra i filari di alberi cresciuti irregolarmente in quell’ampio spazio. Dov’era finita? Clarissa non ne aveva proprio idea.
Clarissa Scott:
PS: 100 PC: 48/50 PM: 50
Come si evince dalla descrizione, lo scenario è cambiato. Ti chiedo di postare l’inventario - coerente con la situazione di partenza - e di aggiornare le statistiche. Evidentemente l’armadio nascondeva un’insidia e ora Clarissa è costretta a farvi i conti. Non puoi avere la certezza che la donna che la soccorre sia una strega o una babbana: a te cercare di scoprire qualcosa sul suo conto e, magari, capire dove le due si trovano.
Per qualsiasi dubbio o necessità non esitare a contattarmi.
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