Evviva lo Zufolo » Londra
Jane Read
Girava tra le mani un foglietto di carta, appena un rettangolo, che aveva piegato una e più volte tanto da stropicciarlo in modo disastroso. Di tanto in tanto cercava di riporlo al sicuro nel taschino della felpa nera che indossava quel giorno, concentrandosi così verso un cliente dopo l'altro presso lo store musicale di Tottenham Court Road; nei momenti di pausa, tra un passaggio e il successivo, tornava alla pergamena, recuperandola di scatto come ad assicurarsi che il contenuto non fosse affatto cambiato. Allo sguardo dei più, tutto sommato, la missiva non avrebbe rappresentato nulla di eccezionale: semplici auguri da parte della sua famiglia, in calce la firma di zio Albert. Era lì, in effetti, che si poneva l'attenzione maggiore; era lì il senso di una promessa, forse di una speranza, che a lungo aveva trattenuto soltanto per sé. Non c'era alcun invito a tornare in Irlanda per le vacanze, non più, di certo non come una volta – da parte sua avrebbe trascorso il periodo natalizio al Castello di Hogwarts, oramai l'aveva deciso per bene. Però... però c'era
qualcosa, c'era l'impronta di affetti che aveva perduto, senza mai dimenticare.
Am I a stranger if I don't recognize myself / Tryin' to fix up something real?«Ben detto, .shey» Commentò così, cogliendo la voce di sottofondo di uno dei suoi cantautori preferiti in assoluto. Sovrappensiero com'era, Oliver continuò a ticchettare a tempo dei brani di
lingua di Fata, interrogandosi circa dubbi, pensieri, supposizioni che portavano l'animo in situazioni pericolose. Gli mancavano, non poteva negarlo: i suoi genitori, i suoi zii, i suoi cugini, tutti loro mancavano tanto da mozzare il fiato. Nei battiti più forti del cuore, infatti, si accorse d'essere d'improvviso infinitamente grato alla strega che aveva appena attirato l'attenzione.
«Dottoressa Read, che piacere.» Salutò con gentilezza, una nota d'entusiasmo tanto nel tono quanto nell'espressione. Memorie recenti, di una cerimonia che aveva lasciato il segno, turbinarono più dolcemente lì dove il cuore aveva tentennato fino ad un attimo prima. Si sentì meglio, sinceramente contento di trovare l'altra presso Evviva Lo Zufolo. Con la serie di album tra le mani della strega, si mostrò subito pronto ad aiutarla, girando così oltre il bancone e sporgendosi fino a sistemare i dischi in colonne ordinate. Lo sguardo saettò dalle copertine vistose di Emily Vannet e Il Mago di Oz a quelle più delicate, in tinte pastello, di Celestina Warbeck, le Sorelle Stravagarie e .shey. E tanti, tanti altri.
Non poté fare a meno di palesarsi sorpreso, in modo genuino.
«Alla grande, grazie mille. Spero lo stesso per lei... per te.» Si corresse subito, ricordando l'ultimo incontro e la gentilezza accordatagli per essere meno formale. A differenza della prima volta, si accorse di aver risposto finalmente alla domanda.
«Proprio così, lavoro qui part-time, è una passione che coltivo da una vita e questo store è un teatro delle meraviglie. Suggerirei un giro ai piani superiori, ci sono strumenti davvero belli, ma...» Indicò tutti i dischi, radio e vari acquisti.
«C'è forse un'altra cerimonia in programma al San Mungo?» Nonostante la domanda fosse scherzosa, una parte di lui cominciava a credere vi fosse qualche tipo di post-festa soltanto per Medimaghi. O più semplicemente, Jane Read aveva desiderato aumentargli la paghetta nel periodo migliore – non indagò oltre, sistemando gli album per artista in box di legno decorate con arabeschi dorati, ramati e rubino, a formare chiavi di violino lungo la superficie. Una dopo l'altra poi in una busta ben più grande, un colpetto di bacchetta a renderla più leggera.
«Oh grazie, grazie davvero.» Accolse di buon grado il dono degli omini di marzapane, non aveva toccato cibo fin dalle prime ore del turno lavorativo; ancora una volta scovò conferma di un'empatia unica nell'altra strega.
«Ho una Puffola Pigmea anch'io che va matta per... dove sono...» Cercò rapidamente, finché un sacchetto color carta non gli sgusciò tra le mani. Lo aprì, offrendolo verso la creaturina: sperò che in un guizzo di lunga lingua, in effetti, raccogliesse quelle che somigliavano a tante...
«Immaginiamo siano biscottini.» Era convinto che la Dottoressa avesse afferrato.
«Sono cinquanta galeoni, questi da parte mia per ringraziarti.» *Non solo della spesa*, lasciò sottintendere, mentre passava due sacchetti di DiscoPops direttamente in busta. Salutò così cordialmente, augurando ottime festività.
«Spero di incontrarti presto di nuovo, chissà, forse ad un concerto.»Con tutti quegli album con sé, Jane Read sarebbe stata preparatissima.
Tutto esatto, l'aiuto con i conti è sempre bene accetto *ops
Totale 50 Galeoni 10 Falci
e tanti tanti cuori per Jane!
♥***
Evviva lo Zufolo » Londra
Marjorie Hastur
Nel periodo natalizio gli affari proseguivano a gonfie vele, per la gioia tanto propria quanto di Mr Vinaccia. Soltanto quel mattino, in effetti, aveva portato a termine una spedizione di ben cinquanta radio, tutte color azzurro – non aveva idea del perché, sapeva soltanto di fare in fretta, perché il carico non avrebbe atteso più di quanto non avesse già fatto. L'acquirente sembrava un giovanissimo stregone con un patrimonio che avrebbe fatto la gioia di ogni Folletto della Gringott's, si vociferava in giro potesse essere una delle nuove promesse del campionato sportivo della stagione imminente; da parte propria, ad ogni modo, Oliver si era scoperto a fantasticare più del solito, immaginando nuove identità – una più bizzarra dell'altra – verso il mago e le sue numerose radio. In sottofondo, da un punto all'altro dello store, la voce di Celestina Warbeck deliziava i clienti in modi unici, con quella delicatezza ed energia che parimenti mescolavano il talento della stella internazionale. Gli mancava partecipare ad un concerto, non ne aveva avuto concreta occasione da più mesi – con l'imminente annuncio della rosea di candidati del Fwooper d'Oro, però, aveva appuntato mentalmente di ottenere biglietti per le prove d'esordio. Non poteva mancare, non di nuovo.
«Benvenuta da Evviva Lo Zufolo.» Salutò subito cortesemente la strega che era appena arrivata al bancone. Quelli erano i momenti che più preferiva in assoluto: la possibilità di scambiare qualche commento circa gli acquisti dei clienti, eventualmente di offrire consigli circa artisti, album, strumenti e tanto, tanto altro ancora. Non poté fare a meno di sorridere, infatti, alle parole della donna.
«Sono ottime scelte, andrà sul sicuro.» La coppia di CD brillava nei riflessi di violini e violoncelli sopra di loro, tutti sospesi a mezz'aria tra scaffali di legno e custodie di pelle – la conferma di sbrigarsi per sistemarli come avrebbe già dovuto.
«Quello di The Hobgoblins è un genere più rock, molto più ritmato. Se le piacerà, consiglio tanto il primo disco della band, si intitola On the Highway of Reborn, è un capolavoro. Quello di Malala Wisk è un esperimento musicale che è riuscito nel mondo magico, è infinitamente più dolce e malinconico, una musica che oserei dire superi la fine.» Forse avrebbe dovuto spiegare maggiormente il senso del suo ultimo commento;
Armocromia era un album uscito postumo, quando oramai la Veela Cantante era già morta. E forse per quello, pensò, rappresentava molto più intimamente il talento di una stella prematuramente spenta com'era Malala Wisk. Consegnò tutto in una busta di carta, decorata da chiavi di violino.
«Sono sei galeoni, grazie.» Sorrise.
«Buon Natale, torni presto a trovarci anche con sua figlia, l'aiuterò volentieri con altri consigli.»The Hobogoblins #2, Motorbike's Spells (3 Galeoni +1PS)
Malala Wisk #3, Armocromia (3 Galeoni +1PS)
Totale 6 Galeoni***
Evviva lo Zufolo » Londra
Emma Green
Quanto accaduto ad Harrods aveva fatto il giro del mondo magico, e non solo – un assalto di soldatini schiaccianoci di tutto rispetto, con aculei di pungitopo a mo' di cerbottane, sciabole di aghi di pino e tutta una serie di colpetti ben ritmati da parte di... statuine, tutto sommato. Nonostante fosse una notizia in prima pagina sulla Gazzetta del Profeta, per Oliver continuava ad essere una di quelle storie fiabesche che avrebbe immaginato di sentire di fronte un caminetto sempiterno. Era però vero, tutto vero. Al punto da aver spinto Mr Vinaccia, proprietario dello store musicale londinese, a rimuovere ogni soldatino in decorazione: le pareti già più spoglie lungo i piani di Evviva Lo Zufolo, ad ogni modo, avevano presto trovato nuove scintillanti stelle, le cui punte brillavano al ritmo della musica di sottofondo. Nulla di paragonabile alle statuette, s'intendeva, ma tant'era... Aveva finito da poco di incantare una serie di alberelli in miniatura, così da sospenderli a mezz'aria tutto intorno. L'atmosfera natalizia sfavillava maestosamente, realizzando giochi di colore e di sinfonie che avrebbero deliziato moltissimi visitatori, lui per primo. Si spostò allora da un punto all'altro, stringendo tra le mani un album che mancava alla raccolta dello store e che rimpiangeva di non aver adocchiato prima – lo conosceva, era ovvio, tuttavia era stato convinto per lungo andare che fosse semplicemente nel reparto, lì dove invece svettavano altre copertine. Girando verso una serie di Flauti Crea-Immagine, tutti lucidati per bene per attirare uno e più passanti, ticchettò sulla superficie del disco –
Nothing Like a Holiday Spell era un classico della musica natalizia, non a caso firmato da Celestina Warbeck. Ed era bellissimo..
And what could be rich, is if we bewitch / Some snow and start a snowball fight – catturò di sfuggita la strofa d'esordio di uno dei brani più di spicco, uno di quelli che sua madre cantava sempre nei giorni natalizi; in effetti portò con sé ricordi e sensazioni d'altri tempi: il profumo delle frittelle di miele, degli omini di marzapane per tutta la casa e di fresche ghirlande di fiori d'inverno sulle porte; il suono di bocche divertite, di racconti e fiabe della buonanotte, di ricette borbottate in cantilena; di canzoni, tante canzoni, tutte sfumate le une verso le altre da radioline e grammofoni in giro per le stanze. Gli mancava, gli mancava maledettamente.
We'll glide right along, singing a song Notò d'aver cominciato a canticchiare, il tremito di una memoria malinconica, un tuffo fin nel profondo. Alla fine, però, una voce familiare gli giunse dalle spalle, si volse indietro rapidamente.
«Emma» Chiamò il suo nome, ripetendolo tacitamente una, due, infinite volte. Desiderò avvicinarsi, stringerla a sé e non lasciarla più andare via – si era sentito responsabile del distacco degli ultimi tempi, convinto d'aver peccato di ogni forma gentile nei riguardi dell'altra. Quello che aveva rivelato in Sala Comune, quello che avevano condiviso nel corso dei mesi, tutto aveva lasciato un segno tangibile in lui, in mente e in cuore. Non l'aveva dimenticata, non avrebbe potuto. Né l'aveva ignorata, mai l'avrebbe fatto davvero – eppure aveva lasciato all'assenza l'ingrato compito di offrire ristoro, forse egoisticamente più per lui. Aveva voluto dirle una e più rivelazioni – di Leah, di Mary, di come le sue relazioni fossero in uno stato compromesso, di come gli fosse mancato coraggio, di come fosse caoticamente condizionato. Avrebbe voluto dirle di non aver mai causato intenzionalmente dispiacere, neanche un po'... non per lei, che era parte di lui fin dal primo giorno. Avrebbe voluto che sentisse i battiti più frenetici lì nel petto, in quel momento, in ogni altro. Invece, taceva. Mentre le parole di Emma gli arrivavano dritto al cuore, lui non riuscì a trovare nulla di altrettanto prezioso da comunicarle, e si sentì terribilmente in difetto – più di quanto non avesse immaginato già di essere.
«Sono io a dover scusarmi.» Perché sono incasinato, Emma. Perché sono così profondamente incasinato, avrebbe voluto aggiungere. Si chiese se la concasata fosse a conoscenza della fine della sua relazione con la Tassorosso, di come le voci circa la loro rottura fossero girate al Castello di Hogwarts, di come il nome di Mary avesse impreziosito il suo subito dopo. Di come, si disse, lui non fosse stato coraggioso. Avrebbe voluto fermarsi con lei, interrompre ogni tempo: parlarle della sua famiglia e dei problemi che aveva con loro, del suo passato che tornava spesso a tormentarlo, dell'insonnia che talvolta lo devastava sulla scia di visioni incomplete e tanto, tanto altro. Osservò invece il volto dell'altra, ascoltò tutto quello che desiderò svelargli, e quando gli offrì il dono, lo strinse a sé come tesoro inestimabile. Lo portò vicino al petto, trattenendo un sospiro. Celestina, in sottofondo, cantava dolcemente. E allora sorrise, in modo sincero.
«Taking in enchanted sights / As night leads to day, see the stunning display» Cominciò così, quasi in sussurro. Indietreggiò appena di un passo, e di un altro, e di un ultimo ancora; si portò al centro della sala, sotto gli occhi di tutti i clienti nei dintorni. Allargò le braccia, nel movimento il cappuccio della felpa nera gli scivolò dolcemente di lato, sulla spalla destra; e sembrò uno di quei cantanti di strada, la cui voce traboccava di semplice armonia. Ed era bravo, lo era – un tono dapprima molto basso, le note malinconiche di un brano d'affetto; poi in crescendo, sempre di più, come ad un tratto ignaro di chiunque fosse nei dintorni, di chiunque stesse volgendo l'attenzione curiosa su di lui. Un microfono eco tra le mani, recuperato dalle vetrinette più vicine, e via di un passo, di un altro, di una giravolta su di sé, di una danza che coinvolgeva l'incanto più elegante.
Cantò per lei, soltanto per lei. Cantò una
carola natalizia in pubblico (#7), alla presenza di tutti gli altri, e già c'era chi sorrideva, chi s'univa, chi s'apprestava a ballargli accanto. Le luci natalizie, la voce di Celestina ad inseguire quella di Oliver, la carola così vivida nei toni caldi, profondi e romantici cui si stava dedicando.
«Of glowing fairy Christmas lights / I'm under your spell, and it's clear to tell / That baby, you're under mine too» Cantava del Natale, del sortilegio d'amore ad unire l'uno e l'altra; indicava lei, Emma Cornelia Green, con la mano destra sospesa a chiedere quella dell'altra. Avanti, Emma. Avanti, le diceva sottinteso. La musica sembrò già più alta, una melodia dolce e vivace insieme, un ritmo che ricordava l'intreccio di violini, arpe e giri di corde: tutto intorno sfolgorarono meravigliose illusioni, l'effetto magico dei Flauti Crea-Immagine. Spettri di memorie mai dimentiche, richiami tanto personali per lui – una figura che ricordò il Grinch, una coppia seduta al tavolino di un locale, una polaroid trascinata con il flash ripetuto, una sfera di neve lanciata lontana, una poltrona e un camino scoppiettante, un plaid che copriva dolcemente qualcuno sul divano, un'avventura dopo l'altra. C'erano loro, sempre loro. Concluse il canto, un po' imbarazzato, le fossette sulle guance e il respiro affrettato.
«I'm yours heart and soul, as I take a stroll / In a witch and wizard's wintry wondrous land with you» Qualcuno applaudiva, qualcuno rideva estasiato; lui si avvicinò alla concasata, soltanto a lei. Non si preoccupò di peggiorare la situazione, non pensò al rischio di una simile scena; nel suo cuore c'era lei, la loro amicizia, il loro affetto. La strinse a sé, velocemente. Nell'abbraccio vivo, al tepore e al profumo così familiari dell'uno e dell'altra; e desiderò per molto, molto tempo, non perderla più. Soltanto dopo, con un sorrisetto malandrino e le fossette, le sue fossette così gioviali sul volto, concluse la carola natalizia a voce.
«Wherever we roam, we're sure to head home / When our Christmas hearts are full» Sorrideva.
«Tu sarai sempre nella mia vita. Perché ti voglio bene, Emma.» E il resto, tutto il resto, già non contava.
La lasciò andare via con i suoi acquisti, con un abbraccio, con un sorriso ancora commosso. La lasciò andare via, oltre lo store, con la musica di Celestina ad accompagnarne il passo. La lasciò andare via, solo una volta, solo un'ultima volta. Con la promessa di inseguirla, e di non perderla più.
Ci tenevo molto. ♥
Violino del Guaritore (24 galeoni +2PC +1PS)
Cuffie anti-rumore (3 galeoni)
Mago di Oz, Siamo figli di Salazar (2 galeoni)
Totale 29 Galeoni