La scopa rispose ai suoi comandi. Le mani restavano saldamente strette attorno al manico legnoso, mentre tutto il corpo, e la mente, si concentravano nell'atto di controllare e rendere familiare lo sconosciuto carattere della scopa.
Ed ora restava sollevata, la scopa si era lasciata cavalcare e la giovane Serpeverde era riuscita a mantenerla in sottomissione, ma era proprio questo il momento in cui la troppa sicurezza avrebbe rischiato di sopraffarla: non avrebbe dovuto perdere la concentrazione, né la decisione con la quale era riuscita a governare quella benedetta Gelbsturm.
Era, invece, la fase in cui avrebbe dovuto mettere alla prova la sua abilità nell'effettuare dei movimenti, per poi pensare a regolare la velocità e, di conseguenza, l'andamento del volo.
Senza notare alcun'azione da parte del giovane garzone, concentrata com'era nel controllare la scopa, la studentessa inclinò allora leggermente il manico verso l'alto, effettuando dei movimenti precisi e delicati, in modo da sollevarsi ulteriormente, ma con delicatezza. La determinazione restava invariata, per non lasciare spazio alla volontà della scopa, almeno all'inizio, fin quando non avesse ottenuto una maggior fiducia da parte sua.
Incredibile pensare come si potessero attribuire dei sentimenti ad un oggetto qual era un manico di scopa, eppure nel mondo magico era proprio così che andava: la magia sembrava pervadere qualunque cosa. Persone, animali, oggetti sembravano tutti schiavi di quella forza sovrannaturale e sconosciuta, una forza misteriosa, alla quale, da sempre, gli uomini avevano tentato di avvicinarsi, scoprendone soltanto una minima parte.
E così quella scopa, un semplice pezzo di legno, era dotato di un'anima, un'entità pensante che sembrava donargli la vita, rendendola in grado di decidere, di affezionarsi, di ribellarsi o di fare i capricci. Era con queste consapevolezze che Talìa aveva imboccato la via per poter pilotare la Gelbsturm, con queste consapevolezze che ora cavalcava quella scopa cercando di infonderle le sue sicurezze e di fare in modo che potesse fidarsi di lei e capire che non era una sciocca studentella qualsiasi, ma una figlia di Salazar, erede dei segreti della casata di Serpeverde, custode del sapere magico più perfido atto a raggiungere la gloria.
Sentì allora la scopa sollevarsi, rispondendo alla sua volontà. Con accortezza, ma determinazione, si chinò lentamente sulla scopa, misurando lo spostamento di ciascun muscolo dalla schiena fino ai piedi, con particolare attenzione per le braccia e le gambe, che dovevano sia calibrare gli spostamenti che svolgere una primaria funzione di sostentamento nel malaugurato caso in cui la scopa avesse deciso di fare di "testa" sua. Era da mettere in conto, comunque.
Si spostò in avanti, alzò ancora un po' il manico, ridiscese, continuò ad avanzare in linea retta; arrivata alla fine di quella misera palestra, spostò il manico sulla destra e cambiò direzione. L'impressione era quella di essere tornata alla prima lezione di volo, quando ogni singolo movimento sembrava un'impresa e il cuore si trovava su di giri per l'emozione. Ovviamente il suo volto non lasciava trapassare nulla, la sua espressione sempre seria e controllata fungeva da barriera per qualunque sentimento interiore. Per lei, interno ed esterno erano due universi distinti.
Stava iniziando a prendere più confidenza con la compagna, quando una voce giunse ai suoi timpani, distogliendo per un istante quella sorta di complicità che si era creata e sembrava eterna ed immutabile. Fortunatamente l'esperienza giocò a suo favore: le minime distrazioni non esistevano nel ruolo di Cercatrice, così non fu difficile per lei recuperare la concentrazione e non lasciare che la scopa perdesse il sopravvento sulla sua volontà.
Così, accompagnato dalla voce del giovane, il momento che aveva atteso giunse: il garzone le stava proponendo una sfida. Ovviamente era parte dell'addestramento, su questo non c'era dubbio, ma dal tono che utilizzò il ragazzo una piccola lampadina si accese nel suo istinto, dicendole che, in parte, quella sfida aveva del personale. Che avesse stuzzicato fin troppo la sensibilità del garzone? Il pensiero le provocò un sorriso, decisamente divertito, e il modo in cui diede la risposta fu inaspettato anche per lei stessa, che mai si lasciava andare fino a quel punto:
- Ma certo! -
Disse con un vero sorriso sulle labbra, guardandosi attorno come un falco che cerca la sua prossima preda. La ragione era, in verità, estremamente semplice: la ragazza amava le provocazioni e ovviamente il modo in cui aveva agito fino a quel momento era certamente teso a far arrossire il giovane. Non lo faceva di proposito, semplicemente era nella sua natura. Era così che si divertiva.
Senza mai, comunque, abbandonare la presa salda sulla scopa, indirizzò lo sguardo in direzione dell'ultimo sprazzo dorato che aveva avvistato al momento del lancio, ma ovviamente il movimento fu troppo lento e, per quando si girò, esso era scomparso. Eppure non poteva essere lontano. I suoi occhi, ormai familiari a quel genere di ricerca, notarono non troppo lontano un secondo bagliore, attorno a uno degli anelli situati alla sua sinistra. Fu verso quella direzione che si lanciò letteralmente alla presa del Boccino, il suo nemico-amico di sempre. Per farlo, si chinò col busto sul manico, prendendo rapidamente velocità, contemporaneamente all'avvistamento. La perdita di tempo era un lusso che nessuno poteva permettersi, se si aveva a che fare con un nemico di quel genere. Era sempre un grosso impatto adrenalinico quando l'aria smossa dal movimento le andava a spettinare i capelli, era il momento in cui più si sentiva libera e onnipotente, rapida e letale come un dardo avvelenato. Il percorso della palla dorata le si faceva più chiaro man mano che si avvicinava agli anelli: era quello di un serpente intento a giocherellare con il percorso ad ostacoli creato dalle circonferenze degli anelli.
Attenta sia al movimento del Boccino, che all'andatura della scopa, la ragazza effettuò una discesa in picchiata tentando di intercettare il punto in cui il Boccino avrebbe incontrato la sua traiettoria. Senza esitazione, ma tenendo la presa salda con la mano destra, l'intero arto sinistro andò ad allungarsi in avanti in direzione del punto dove la palla, in teoria, avrebbe dovuto trovarsi. Tuttavia, prevedendo un possibile cambio di direzione improvviso, la mano tentò di anticiparne l'arrivo, incurvando il braccio esattamente in direzione contraria rispetto alla direzione del dispettoso oggetto. Le gambe restavano ancorate al legno, mentre il corpo si staccava leggermente dal manico per poter favorire l'allungamento della mano sinistra. Ora, come al solito, non restava che sperare, questa volta in due fattori: la sua precisione e la stabilità della scopa.
La concentrazione e la determinazione come al solito erano componenti fondamentali, decisamente centrali.
Strinse gli occhi, sperò.