Il tempo è in attesa, si raccoglie lungo la coda dell'occhio. Diventa un cunicolo, un sentiero aperto, un confine — invade il passo. Mi rende frenetico, forse più di quanto non sia stato fino ad oggi; mi offre un sospiro che ha il prezzo della fobia, una viscerale, che coinvolge il petto in un battito incessante e che spezza il respiro. Non è una sensazione ignota, affatto. Altre volte ho vissuto la beffa dell'Oltre, e le palpebre — consunte dall'odio e dall'incanto che quest'eredità trattiene — sono già state aggravate dai giorni. Eppure. Eppure, oggi è diverso. Sento che vi sia un cambiamento, in vicinanza. Cammino per le via maestra di Diagon Alley quasi sovrappensiero, la mente annebbiata dalle possibilità future. Catturo l'onda del mare, il soffio del vento straniero; le gote pizzicano all'impronta, tuttora intangibile, della salsedine; e tutto,
io pure, vortica in visione. Vorrei scorgerne un punto fisso, un ricamo primo e ultimo. La verità, per me, è in agguato. Non sono mai stato tanto impaziente. Questa è un'altra persona, mi ripeto. Sguscio oltre la fila, io che difatti ho sempre ceduto il posto al prossimo; i più mi inseguono con occhiate, un po' infastidite, un po' caotiche. C'è qualcuno, però, che mi grida dietro qualcosa, forse una minaccia. Ho superato tutti, l'uno dopo l'altro. Non m'importa, non ho tempo. Il paradosso, per me, è un ghigno che si spegne sulla bocca. Quanti mesi sono trascorsi dall'ultima volta che abbia messo piede in farmacia? Indosso gli stessi vestiti, le stesse scarpe. Ma è differente.
«Buongiorno, un'ampolla di Algabranchia.» Diretto, molto rapido. Niente convenevoli, benché la voce resti cortese. Quasi ho la tentazione di volgermi indietro, a credere che la scena possa ripetersi com'è già accaduto. Il Professor Cravenmoore è assente, tuttavia. Forse per sempre. Forse anch'io lo sono. Pago il dovuto, torno indietro. Arrivederci, grazie, per favore. Via da qui. Via dal presente.
Tutto è ambientato alla scorsa Primavera.