Natale.
Malgrado tutto, Hogwarts si metteva sempre d'impegno per fartelo amare. Lo sguardo di Random andò a posarsi sui festoni appesi al soffitto, sui fini copritavola con motivi nevosi, sulle piante decorate con varie palline magiche, sulla "neve tiepida" che ogni anno gli elfi non dimenticavano di spargere un po' ovunque. Persino un tipo come lui, estraneo a qualsiasi tipo di festività, riusciva a credersi un po' più gentile. Ma si, tutti a Natale erano più gentili, ideali come l'altruismo e la solidarietà fioccavano come funghi sotto gli abeti, tutti erano più allegri, amichevoli e idioti. Gran bella cosa, il Natale.
Scansò una coppia di primine che ridacchiavano, un ragazzo con una gran pila di regali, il cactus ballerino, che negli ultimi tempi si stava esibendo in un crescendo di scordinazione e colpi bene assestati agli studenti, tanto da sembrare ubriaco, e riuscì finalmente a posare la mano sulla maniglia del dormitorio maschile. I suoi occhi stanchi e il suo cervello ronzante, risultato delle ultime nottate prive di sonno, non sarebbero stati in grado di sopportare per altro tempo il chiacchericcio dei festanti, o l'abominevole calore emanato dal camino, tale da far bruciare la pelle. Se non che il suo occhio distratto, ripercorrendo un'ultima volta la Sala Comune senza uno scopo preciso, aveva colto un particolare interessante; un particolare abbastanza interessante da indurlo, dopo un attimo di esitazione, a lasciare la presa sul pomello, a far scivolare la cartellina con i libri accanto al muro, e a dirigersi dal lato opposto della sala, nel punto in cui il muro curvava con più decisione, e dove un po' in disparte rispetto alle prime affollate file di tavoli una chioma di inconfondibili capelli castani si parava dinanzi ad eventuali intrusi, un simbolico muro nocciola tra la ragazza e il resto del mondo. Un muro che aveva imparato a rispettare; un muro che aveva imparato ad abbattere, quando necessario. Spostò una delle sedie dal tavolo vicino e si sedette accanto a Mya, puntando lo sguardo verso la carta da parati dove da chissà quanto tempo erano fissi gli occhi viola della ragazza, seguendo per qualche istante la trama delle ellissi semifloreali, che si incrociavano fino al soffitto. Non erano affatto interessanti. Si girò verso di lei.
"Come va?"Come aveva immaginato, un grugnito indistinto fu l'unica risposta che ricevette. La gente non si siede a guardare i muri per nulla, evidentemente. La sua domanda rimase a penzolare nell'aria calda e confusionaria della Sala Comune per qualche secondo, ridicola come i mazzetti di agrifoglio appesi al soffitto, per poi sparire lentamente, come la falsa condensa sulle false finestre della sala.. Non ci voleva una laurea in sociopatia per decifrare una risposta del genere, era ovvio. Si trattenne dal sospirare, guardò per un attimo altrove, riportò lo sguardo sul viso spento della ragazza.
Vi riconobbe il Vuoto.
Conosceva quel viso. Lo aveva indossato per un lungo periodo, non troppo tempo prima, proprio a causa della ragazza che gli stava davanti. Niente di gravoso, tutto superato, così si diceva, ma sapeva bene quanto il Nulla potesse essere pesante.
"Immagino tu non voglia parlarne." Era così. La ragazza stette in silenzio, senza nemmeno girarsi a guardarlo, lo sguardo vacuo, la mente spersa. Come poteva portare avanti una discussione del genere? Si guardò intorno in cerca di un appiglio, qualcosa che lo potesse aiutare in quel frangente. Lui dal Vuoto era uscito da solo, certo, ma solo dopo mesi, e dopo lunghi momenti di apatia. E Mya non sembrava il tipo da cadere in uno stato di simildepressione così facilmente: il suo cuore era molto più forte, e le barriere che si era creata attorno le fornivano un'ulteriore protezione, per quanto avesse lui stesso dimostrato come queste potessero essere abbattute, o quantomeno aggirate. Qualcuno aveva voluto farle del male?
Lo sguardo del ragazzo fermò il suo peregrinare nei pressi del camino. La memoria si era messa in moto, scene vecchie di anni riaffioravano, mai dimenticate.
"Ricordi quando passammo la sera davanti a quel camino?" Domanda retorica: ovvio che doveva ricordarlo. O almeno così sperava. Il tremendo dubbio che potesse averlo dimenticato gli attraversò la testa, rapidamente fugato dal lieve ma pur sempre percettibile spostamento della testa della ragazza. Ricordava, ovvio. Sorrise lievemente, lo sguardo sempre puntato al crepitio di fiamme dorate.
"Finimmo per litigare, non ricordo più neanche per cosa..."E invece si, ricordava eccome. Un certo nastro rosso, che era sicuro di aver visto sull'occhio di un certo Mangiamorte, tempo prima, e che aveva poi ritrovato al polso della ragazza. Un nastro rosso che in quell'esatto istante era nella sua tasca. Ammetterlo sarebbe stato imbarazzante.
"...poi io mi sentii male e svenni. Quando mi svegliai..." Già. Il Rettile si faceva sentire già allora, era per quello che aveva avuto quel mancamento. Nuove memorie si aggiungevano al quadro già creato, particolari che non aveva mai ricollegato, e che adesso si incastravano tra loro con disarmante semplicità.
"Quando mi svegliai, qualcuno mi aveva messo la testa sopra un cuscino. Tu, immagino. E tu, tu dormivi." Già, lei dormiva. Sembrava così serena, allora, in quel sacco di patate che si ostinava a chiamare pigiama. Ricordava come l'aveva portata lui stesso al suo dormitorio, usando la Magia per paura di svegliarla. Ma questo sarebbe stato bene non dirlo, decise. Si voltò verso di lei. Il suo sguardo non era vacuo come prima, e si era voltata di una ventina di gradi verso di lui. Lo aveva ascoltato, dunque, gli aveva rivolto la sua attenzione, e già questo era un piccolo traguardo. Ma v'era un ombra dietro i suoi occhi. Per quanto potesse distrarsi, era turbata, era evidente. Da qualcosa che non lo riguardava. Per la seconda volta, si trattenne dal sospirare. Avrebbe voluto dirle che sapeva come si sentiva, che la capiva, che la soluzione esisteva, per quanto remota. Ma come poteva pretendere, poi, che lei non lo disprezzasse per la sua presunzione? Lui l'avrebbe fatto; non con lei, ma l'avrebbe fatto. Eppure non poteva che rischiare. Per lei, doveva quantomeno provarci.
"Senti," esordì, e già le parole si intrecciavano nella bocca e nel cervello. Cosa avrebbe potuto dirle? Una proposta intelligente, una frase sagace, anche falsa, ma che la aiutasse a tirarsi su.
"non pensarci. Non so cosa sia successo. Non lo voglio sapere. Ma affondare nell'apatia non ti aiuterà, proprio per niente." No, sbagliato, proprio sbagliato. O forse no. Troppo aggressivo, troppo diretto? "Non pensarci". Come aveva potuto dire una cosa del genere? Non avrebbe funzionato. O peggio, Mya avrebbe potuto offendersi. Ripensandoci, era stata una pessima idea. Avrebbe potuto semplicemente rigar dritto fino a camera sua, e... -no! No, manco a pensarci. Come avrebbe potuto? Eppure, non era una novità, non era bravo ad aiutare gli altri. Di solito, semplicemente, aspettava che la bufera passasse; non era proprio un comportamento da amico, certo, ma nessuno glielo aveva mai rimproverato. Ma ora... ora no, era diverso. Un'idea gli attraversò la testa. Provò a fermarla. Tardi.
"Ti va di venire al Ballo di fine anno?" No. No, no, no no no no no no no no no no no...
"Come amici, ovvio. Non so ballare, però." ...no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no. Era un idiota. Come aveva potuto pensarlo? In un momento del genere! Si maledisse, mentre la gola arida cercava inutilmente di articolare una mezza scusa per giustificare la proposta del tutto inappropriata. Lo sguardo incerto che gli rifilò Mya fu una stilettata, sentì il petto ghiacciarsi. Non ne aveva voglia, era evidente, stava pensando a tutt'altro, chiedeva solo di essere lasciata in pace e-
"Ci saranno i muffins. Le ciambelle. E ho sentito Amanda Nox giurare che gli elfi stanno preparando una torta colossale a forma di Barramundi." - ed era un idiota. Semplicemente. Come poteva essere così terribilmente egoista? Le stava dando fastidio, era evidente. Eppure... eppure lei rideva. Una risata sbuffata, trattenuta, ma pur sempre una risata, che nemmeno la voragine di Vuoto aveva potuto trattenere. La ragazza tentò di sorridere.
"Ci penserò." Per un attimo, anche in lui ci fu il nulla. Un nulla sorpreso, nemmeno paragonabile al Vuoto assoluto di Mya, ma il suo cervello si era arrestato, la bocca semiaperta, gli occhi spalancati.
*L'ha detto solo per non dirti subito di no. Troverà qualche impegno, qualche contrattempo...* suggerì impietosa una voce dentro la sua testa
*... un altro cavaliere...* Sbuffò a sua volta, abbassò il capo, scosse la testa, rivolto più a sè stesso che alla ragazza. Alla fine, era stata lei a cercare di tirar su lui. Patetico... Le poggiò una mano sulla spalla, un tocco leggero, a quattro dita, di chi ancora ha paura di osare. Perché, anche attraverso la divisa scolastica, doveva avere quel calore? Si trattenne dal fare altre mosse azzardate. Aveva già fatto abbastanza figure di merda, per quel giorno.
"Coraggio." disse solo, incerto su chi fosse il reale destinatario di quella parola, lentamente si alzò, e si diresse nuovamente verso la porta che conduceva ai dormitori maschili.
Giunto in camera, si accorse di aver dimenticato la cartellina in sala.
Evitò di andare a riprenderla, si stese sul letto, e si addormentò.
Few days later.
"Uh, siamo in ritardo."Nemmeno di poco. Nell'aria già risuonavano le parole della professoressa Bennett, Vice-Preside di Hogwarts e per quell'anno annunciatrice dei vincitori della Coppa delle Case, in sostituzione alla fortemente malata Preside Dalton. Nessuno si era fatto troppe illusioni su chi avrebbe avuto il prezioso trofeo in ufficio per l'anno successivo: circa due mesi prima, difatti, si era sparsa la voce che uno dei cilindri contapunti si era totalmente riempito, evento mai successo prima dall'inizio della storia delle casate. Ai professori era toccato ricalibrare i contatori magici, il cui limite massimo era prima di diecimila punti, in modo che potessero arrivare alla soglia di quindicimila punti. Ai Corvonero, magnifici autori di quel primato senza precedenti, era mancato poco per sfondare anche quel secondo limite: altri venti centimetri, e il lungo tubo di vetro sarebbe stato di nuovo pieno. Le altre casate erano arrivate, dicevano, a poco più della metà dei punti totalizzati dai blu-argento, tale che se anche le ultime due classificate, Grifondoro e Serpeverde, si fossero coalizzate riunendo i punti, i Corvi sarebbero rimasti comunque vincitori. Applause debolmente varcando la soglia dell'aula già colma di studenti, con una smorfia sul volto dinanzi all'enorme clamore scoppiato tra i vincitori. Swan veniva accompagnato, quasi gettato a ritirare il lauto premio; parimenti, nessuno tra gli sconfitti pareva eccessivamente deluso: il distacco tra le altre casate era minimo, il primo posto irraggiungibile, e complessivamente era stato un buon anno per tutti. E allora, che si festeggiasse. Random si girò verso la sua accompagnatrice e fece spallucce, infilandosi poi le mani nelle tasche dei pantaloni. Indossava una camicia nera, di un tessuto troppo fine per il clima rigido dell'inverno, (ma gli sarebbe pesato portarsi uno dei suoi enormi felponi dietro) a maniche decisamente troppo corte, e un paio di pantaloni di jeans, stesso colore, non troppo stretti. Per le sue abitudini sciatte, era abbastanza elegante, o almeno così aveva voluto apparire vestendosi, un'ora prima. Guardò l'abbigliamento della sua "accompagnatrice", poi spostò di nuovo lo sguardo sul proprio. Ovviamente, lei era molto più elegante.
"Stai bene." disse sorridendo debolmente. Evitò di pensare a come dovesse sembrare idiota accanto a lei, e le tese lentamente la mano. La verità era che non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Voleva solo che lei fosse felice.