Uno spirito libero vede il mondo da una prospettiva particolare, senza alcun confine, come un disegno dai molteplici colori senza alcun tratto realmente definito.
Mya era uno spirito libero e la sua mente somigliava ad un pittore, colto da continui attimi d'ispirazione; rielaborava continuamente il mondo, dalle imperfezioni alle banalità, sapeva cogliere l'essenza di ogni situazione e trasformarla secondo ciò che sentiva. Così, l'intento del giovane grifondoro di stupirla, appariva più come una sfida verso se stesso che verso la ragazza.
Dal momento in cui Mya aveva accettato quel gioco, sfiorando con le dita il palmo di lui, allo stesso modo la testa cercò di sfiorare la sua mente, per osservarla, per percepire il modo di pensare di lui, per carpire l'idea prima ancora che si potesse realizzare davanti agli occhi. E il pittore, sempre maestro creativo, andava a creare per lei scenari inimmaginabili, luoghi eterei e confini irraggiungibili, nebbie che dissolvendosi lasciavano una vista in grado di toglierle il respiro.
Ma c'era qualcosa che non aveva messo in conto, forse troppo presa dalla magnificenza dei viaggi mentali. Nathan non aveva alcuna scopa al seguito, non c'erano camini e polveri nei dintorni e il modo per arrivare fin là in modo tanto silenzioso era solamente uno. La mente non fece in tempo a realizzarlo, che il respiro le si mozzò davvero.
Avvertì una morsa afferrarle dolorosamente le viscere, come a volergliele strappare via dal ventre con crudeltà, e a stento trattenne un conato. La testa perse ogni orientamento, sopra e sotto si mescolarono annullando ogni appiglio alla realtà. Un fischio doloroso le attraversò il cervello da un timpano all'altro, portandola a digrignare i denti per sopportare i fastidio. L'unico appiglio certo sembrava essere la mano di Nathan, stretta attorno alle sue dita esili e infreddolite.
Smaterializzazione congiunta. Una vera follia in quelle condizioni. Le uniche volte che l'aveva sperimentata erano state con suo padre, e lui ogni volta le aveva espressamente raccomandato di tenere tutto il corpo all'interno della sua figura, stretta al suo torace. Perchè un simile avvertimento? Era una forma di sicurezza per assicurare il trasporto sicuro di entrambe le figure senza rischiare un eventuale...spaccamento, meglio conosciuto come "lascia indietro un braccio tanto a cosa ti serve?"
Fu a quella valutazione, nella frazione di quei pochissimi secondi, che Mya si sforzò di percepire il suo corpo, come non faceva dai tempi della sua prima mutazione. Ascoltò ogni fibra del corpo, cercandone ogni estremità: una mano era stretta in quella di Nathan e i piedi sfioravano quelli di lui, forse nel movimento di avvicinarsi, erano ancora assieme. Ma la mano sinistra aveva qualcosa che non andava. I polpastrelli avvertivano ancora l'essenza fredda e liscia del basamento, com'era possibile? *Non è possibile. Non ci credo. Non una stronzata simile.*
Più tardi avrebbe chiesto scusa a tutti i grandi maghi, i cui nomi, nell'impeto di preoccupazione, stava imprecando.
Decisa a tenere assieme il corpo la ragazza trascinò con una volontà assurda il braccio verso il corpo, prima che questo partisse per mete ignote, lasciando un pezzo sul basamento, a far compagnia a Nelson per il resto dell'estate. Mya avvertì la classica sensazione dello schiacciamento innaturale della struttura ossea, i polmoni stretti, il cuore quasi fermo, la testa ormai più simile ad una poltiglia di pensieri confusi. Poi uno schiocco e la realtà tornò a circondarla.
La tassorosso prese un profondo respiro, strozzandosi con l'aria stessa che con prepotenza tornava nei polmoni.
- Folle - disse, tra un colpo di tosse e l'altro.
Sentiva la testa ruotare all'impazzata e la nausea prenderla allo stomaco. Tutt'intorno era un vortice di ombre e luci che la confondevano ancor di più.
Si staccò dal ragazzo e cercò di alzarsi, barcollando e cascando all'indietro come una pera, atterrando su un pavimento di breccia e attutendo l'impatto con i palmi aperti.
*Ahio. Fa male* Quasi istintivamente sollevò entrambe le braccia osservandosi le mani ancora sfocate dalla vista vacua, ma meravigliosamente impiantate sui nobili polsi, senza alcuna ferita. *Meno male. Siete ancora qui*
Sollevò gli occhi visualizzando nel campo visivo un'ombra più vicina delle altre, doveva essere lo sciagurato pilota. Voleva imprecare, insultarlo per la poca attenzione che aveva dimostrato in quella scelta di spostamento, rischiando di far seriamente male ad entrambi, trasportandoli fin.....fin dove erano giunti a dire il vero?
Mya provò a guardarsi attorno ma era tutto ancora parecchio confuso, come un ambiente nel buio e ricolmo di ombre, se non fosse stato per una forte luce che proveniva dalla sua sinistra in alto. Come fosse un sole che irradiava luce sopra di loro. Eppure a Londra la notte stava calando, lo ricordava perfettamente.
Che avessero cambiato continente? Fuso orario? Da come si sentiva Mya poteva pensare di essere finita addirittura su un altro pianeta.
Pian piano la figura davanti a lei iniziò a riprendere i giusti contorni, tutto intero e con aria tranquilla in volto, come chi è abituato a viaggiare, apprezzando quel modo di spostarsi tanto sgraziato e violento.
- Mya non so che intenzioni hai, ma stasera questa città è nostra -
*Città?* Almeno non erano finiti in qualche deserto sperduto, o landa ai confini del mondo, spaccati orribilmente e senza un ospedale cui rivolgersi.
Mya si alzò in piedi ancora poco stabile, mentre il mondo iniziava a riprender forma. Il sole che aveva percepito poco prima sfumò d'intensità, prendendo via via la forma di una piramide allungata verso il cielo, i cui contorni brillavano di minuscoli punti luce. L'anima vera e propria della piramide era in ferro e non aveva alcuna copertura; quattro immense zampe di metallo l'arpionavano saldamente al terreno e minuscole figure si muovevano al suo centro.
Non le ci volle molto per collegare quella figura ad un luogo, il nome di una città in cui era già stata per motivi di lavoro, ma la cui torre aveva osservato da lontano, da un abbaino di periferia.
- Parigi....sul serio Scott? - non riuscì a trattenere il tono sarcastico con cui aveva pronunciato quelle poche parole. Non per fargliene una colpa (oppure sì) ma a Mya quella città non era mai piaciuta, a iniziare dalla forma che aveva, perfettamente simmetrica e sistematicamente ordinata. Ogni cosa in quella città lasciava trasparire decoro, precisione, eleganza, perfezione.
E Mya odiava la perfezione, ma non poteva certo farne una colpa a quella bella città, né al ragazzo. Semplicemente non era luogo per lei.
*Come se esistesse davvero un luogo per te Jill. Sembri più una giramondo di una strega adulta*
Forse era quello il motivo del suo scontento? Il non riuscire a trovare il modo di convivere con quella realtà, cercando sempre una motivazione per allontanarsi dalle verità scomode. Non era da quello che ora provava a sfuggire?
- Scusa. - provò a dire per giustificare la schiettezza di poco prima - questa città mi mette un po'... a disagio, ma magari l'ho solamente giudicata troppo in fretta -
Fece spallucce e si voltò a destra e poi sinistra, per inquadrare ciò che c'era nei dintorni. Si trovavano all'interno di un parco che si estendeva dalla torre fin alle porte di una costruzione, che vagamente si scorgeva in lontananza. Un parco che, visto dall'alto, sarebbe sicuramente apparso perfettamente simmetrico in ogni suo centimetro. Mya poteva sentire i brividi sulla schiena.
Erano "atterrati" in un viottolo secondario, salvandosi dal via vai delle coppiette e dei fotografi, e da un sicuro processo al Wizengamot. Per essere folle, quel ragazzo lo era davvero.
Un cartello sul lato del viottolo riportava la dicitura "Champ-de-Mars".