~ ~ Ritorno a Dulwich, Privata

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view post Posted on 28/4/2014, 19:16
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Horus R. Sekhmeth

~
UWLGDWm
« Stupeficium. »
Soltanto una parola, schietta, rapida, controllata, ma, al tempo stesso, inflessibile, aveva seguito il movimento che Horus, con il cuore in gola e gli occhi sbarrati, aveva appena compiuto: il braccio sinistro, con la bacchetta ben salda nella mano, era scattato come una molla, quando un secondo boato aveva preceduto quello causato dal suo incantesimo, seguito a sua volta da un terzo, più piccolo e secco, di plastica che si rompeva ed acqua che scrosciava. Una reazione inconscia, dettata dall'istinto, puntando il petto dell'uomo che, per salvarsi dalla caduta del pioppo, si era gettato oltre le siepi. Una luce aveva squarciato la semi-oscurità e, senza pensarci neanche due volte, il braccio di Horus si era piegato, portandolo verso il proprio corpo, per poi ri-scattare nuovamente dopo il caricamento, puntando la bacchetta, ancora una volta, al petto dell'uomo. Era a quel punto che Horus aveva pronunciato, a bassa voce, ma senza dubbio udibile alla sua Magia, la formula, come se non avesse aspettato altro, come se fosse ciò a cui aveva aspirato fin da quando aveva messo piede a Dulwich; semplicemente, come se fosse l'unica, disperata cosa da fare. E, senza dubbio, di cose disperate, dettate più dalla forza della disperazione che da coraggio o incoscienza, ne aveva fatte da quando era arrivato in quel maledetto luogo. L'effetto del Bombarda era andato indubbiamente a segno e il cadavere dell'albero giaceva mutilato in mezzo alla strada, innocente vittima di quello scontro. Sotto di esso, v'era il secondo dei loschi figuri, investito senza possibilità di salvezza, una salvezza che avevano invece trovato gli altri due: il primo, fuggito chissà dove, il secondo tuffandosi a capofitto nella piscinetta, disperdendo la paperella, e distruggendola col suo peso.
In tutto ciò, il gran fracasso aveva destato l'attenzione dei Babbani, e ben presto le luci non mancarono di accendersi dentro le case insonnolite, tra cui —come volevasi dimostrare— quelle della villetta il cui giardino ospitava una sorta di campo di battaglia improvvisato, con tanto di caduti di coccio. Ma se non fosse stato per quella luce, probabilmente, dato il gran fracasso e il buio, Horus non avrebbe potuto agire con la dovuta —e sperata— tempestività, notando forse troppo tardi la presenza dello sconosciuto.
Non appena aveva castato l'incanto, infatti, quel fragore di cocci infranti —addio, Brontolo!— aveva fatto sussultare Horus, che si era piegato su un fianco pronto ad attaccare, stringendo forte la bacchetta e tenendo le orecchie aveva ascoltato. Ma non ci fu, l'eco di un altro incantesimo, ci fu soltanto il roboante tonfo dell'albero e quell'urlo, penetrante, spaventato, che gli era entrato nel sangue, rifocillandolo come un sorso d'acqua fresca dopo una lunga corsa.
*Fuori uno.* Aveva pensato, lucidamente, sentendosi pervadere dalla stessa gioia selvaggia che più e più volte era emersa in lui, spaventandolo.
Poi, semplicemente, era accaduto: il tonfo del secondo uomo nell'acqua, la luce e l'azione repentina, quasi calcolata seppur al tempo stesso istintiva, mentre un curioso pizzicore aveva colto Horus alla base della nuca mentre il comando di eseguire l'incanto partiva dalle sinapsi del cervello. Soltanto in seguito, forse, egli avrebbe compreso di cosa si trattasse: l'immensa, irrefrenabile voglia di sentire ancora quell'urlo, di togliere di mezzo l'idiota davanti ai suoi occhi piantandogli il Pugnale Normanno dritto in fronte, il sangue che sgorgava copioso.
Per quanto la tentazione continuasse a dilaniarlo, Horus, dopo aver pronunciato la formula, dovette, nuovamente, rinunciare ad osservare l'esito del suo incanto, rotolando per la seconda volta su un fianco, ma, questa volta, in direzione delle siepi, con l'intento di nascondersi alla bell'e meglio e togliersi dal tiro dell'uomo nel qual caso il suo Schiantesimo non fosse andato a buon fine.
Il cuore, ormai, pompava a pieno ritmo e fu una fortuna che Horus non fosse cardiopatico. Per un folle istante si ritrovò a sperare che neanche Camille lo fosse: con tutto quel marasma, un infarto era il minimo.
E quel pensiero sconquassò la mente del ragazzo, dolorante: Se anche fosse riuscito a mettere KO il secondo figuro, un terzo era ancora in giro, potenzialmente pericoloso per sé che per i Babbani, quegli stessi ottusi idioti che probabilmente erano ad un passo dallo scoprire l'origine di quella baraonda. E se Horus poteva inventare la banale scusa che lui e il suo amico erano stati attaccati da due balordi ubriachi, come diamine giustificare la caduta dell'albero? Come spiegare l'uomo che vi giaceva al di sotto?
E al Ministero? Cosa avrebbe potuto dire? Come l'avrebbe presa il Ministro e i suoi funzionari? Ed Hogwarts? Sarebbe stato espulso? Ed infine come diamine scappare da quel dannato luogo, portandosi appresso Sirius?
L'ennesimo dubbio insorse: ma Sirius, era ancora vivo?
Una testa non può non scoppiare quando viene folgorata, come nube in tempesta, da pensieri come quelli che, senza un attimo di tregua, continuavano ad affollarsi nella mente del Tassino mentre tutto succedeva, relegati in un angolo della sua coscienza, mentre ansia ed eccitazione, paura e dubbio la facevano da padroni.
Se mai fosse sopravvissuto, Horus ci avrebbe pensato due volte, prima di impicciarsi degli affari altrui, altroché.


«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. »



Ho provato ad usare un tipo di narrazione diversa, per cercare di rendere la tempestività. Ma temo sia confuso. Se ci son dubbi sul testo arabo che ho scritto, fammi sapere. y_y
 
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view post Posted on 15/5/2014, 12:31
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Il Fato

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Quante volte Horus aveva varcato la soglia del Club dei Duellanti?
Quante volte si era trovato sulla pedana a fronteggiare un deciso avversario?
Quante volte aveva vinto?
La situazione presente, apparentemente, non si distingueva da un qualsivoglia duello di allenamento, cambiavano la location e la potenza dell'avversario. Erano le sensazioni a rendere il tutto così "diverso". Perchè lì non si trattava di raggranellare punti per la Coppa delle Case, nossignore. Si trattava di vivere o morire, un quesito un tantino più complesso.
Le azioni sono inesorabilmente influenzate dai sentimenti: paura, odio, disperazione, speranza, terrore. In situazioni devastanti o si diventa astutamente lucidi o si rimane completamente stupidi. E l'istinto? Anche l'istinto è dettato dai sentimenti, agiscono in maniera inconscia ma agiscono.
In quella involontaria riproduzione il pratino poteva rappresentare la pedana, il mangiamorte l'avversario da battere per dare lustro a Tassorosso. Non vi erano ostacoli da frapporre o dietro cui ripararsi, Horus vedeva bene il suo nemico ed il suo nemico vedeva bene Horus. Dove colpire? Quando? Come? Puntare al fianco o al petto? Scegliere qualcosa di specifico e letale o dagli effetti progressivi e duraturi? Spetta un po' ... ma di che colore erano gli occhi del mangiamorte? Aveva la barba o era fresco di rasatura? Ecco, il Tassorosso prese un sacco di juta, lo aprì, ci infilò tutte quelle domande, alla rinfusa e senza logica, lo chiuse con una corda spessa e lo lanciò lontano effettuando una prestazione da guinness. Poi si lasciò trasportare dall'impulso del momento, come se il cervello avesse attivato la sirena di allarme sollecitando un'azione repentina: colpisci prima di venire colpito. Un fiotto rubinio sferzò l'aria diretto al petto del mangiamorte, quello agitò il polso con sorprendente velocità riuscendo a modificare la direzione dello schiantesimo un attimo prima dell'impatto, non aveva mollato un attimo la presa visiva facendosi trovare pronto, almeno quella volta. Gli indumenti umidi lo rallentavano ma lo spirito di sopravvivenza non era una prerogativa del Tassorosso. E nella testa dell'uomo mascherato si agitavano anche inquietanti presagi, qualcuno non sarebbe stato affatto contento di come si stavano mettendo le cose.
La porta della villetta si aprì, una voce impastata raggiunse le orecchie di Horus:


"Marinita, stai dentro che ora sistemo questi balordi. Nascondi l'oro"

Un vecchietto avvolto in una vestaglia a strisce varcò deciso la soglia, impugnava una sorta di archibugio. Il raggio dello stupeficium si schiantò sopra la sua testa costringendolo ad una indecorosa ritirata.

"Ma c'è una festa rionale e noi non lo sappiamo? Qui vola roba pirotecnica"

E da dentro

"Amilcare, prendi il gatto!"

Il mangiamorte, incurante della presenza di babbani, completamente devastato dall'ira per aver nuovamente fallito, puntò la siepe dove si era nascosto Horus, i rami degli arbusti si muovevano ancora.

*Incendio!*

Non lo vedeva ma lo avrebbe colpito.
Nel contempo il mangiamorte scomparso nel giardino Savernake tornò sui suoi passi, ignorò il corpo di Sirius e si diresse verso l'albero sdradicato. Non c'era ancora nessun altro nella strada ma per quanto tempo ancora?


Horus:
PS: 186
PC: 156
PM: 162


Primo mangiamorte
PS:???
PC:???
PM:???

La situazione è chiara (almeno nella mia mente :fru: ). Sei nascosto dalla siepe e devi fronteggiare un Incendio. Il mangiamorte non si è mosso, la porta della villetta è aperta ma il vecchietto non si vede. Non sa ancora quello che sta accadendo nel suo pratino. Il secondo mangiamorte è in strada, nei pressi dell'albero sradicato. Se hai bisogno di altri chiarimento fammi un fischio.

 
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view post Posted on 21/6/2014, 21:44
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Horus R. Sekhmeth

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Vivere o morire.
Morire o vivere.
Dualità tanto banali quanto fondamentali e che, prima o poi, anche colui che vive nella più sicura delle case, si ritroverà ad affrontare, volente o nolente.
La risposta... era retorica. Almeno, per la gran maggior parte dei casi.
Così Horus voleva vivere, e lo desiderava ardentemente, così come desiderava porre fine a quel dannato scontro e ritrovare le risposte alle mille domande che si affollavano nella sua testa. Era ancora così assurdo, quasi fosse stato ordito da qualcuno come un grande scherzo. Un attimo prima progetti una bevuta in compagnia, l'attimo dopo sei impegnato a portare a casa le chiappe, possibilmente, integre.
Il cuore riprese a battere forte nel petto, quasi volesse farsi udire da chiunque, come per dire "col cavolo che mi fermo", ostinato a non voler cedere, mentre le fiamme magiche si impossessavano del cespuglio vicino al quale Horus si nascondeva. L'odore di bruciato gli riempì le narici, pizzicandole, mentre il calore cominciava a giungere, imperioso. In quel frangente, il ragazzo spalancò gli occhi davanti a sé, afferrando con la mano libera il pugnale Normanno dietro la cintura. La voce dei Babbani giunse attutita, quasi roboante e al rallentatore, mentre la figura dello sconosciuto, che con prontezza aveva evitato il suo Schiantesimo, appariva chiara di fronte a sé, illuminata dal fuoco.

Vivere.
Il braccio venne caricato all'indietro, rapido, mentre il rumore dell'acciaio che veniva sfilato dal cuoio gli riempiva, paradossalmente, le orecchie: un suono piccolo, insignificante, ma famigliare e rassicurante. La bacchetta stretta nella mano sinistra, pronta.
Morire.
Tutto sfumò, persino il lato del corpo che veniva sfiorato dall'alito delle fiamme, sembrò divenire insensibile in quei millesimi di secondo. Le fredde iridi si concentrarono sull'obiettivo, sulla figura nera illuminata, agganciandolo senza perderlo di vista.
*Vivere.*
Dopo aver preso lesto la mira, Horus rilasciò il braccio, contando sulla velocità dei riflessi, lanciando il pugnale in direzione del torace del nemico, puntando l'attacco del collo al corpo: ovunque avesse colpito, in quella zona centrale del torace. avrebbe avuto a disposizione un'area abbastanza grande che gli avrebbe garantito, bene o male, un margine di successo. Scagliò l'arma con forza e decisione, non distogliendo lo sguardo dal bersaglio, concentrato. Niente rimorsi, non quando la tua vita rischia di dipendere da un fottuto bastardo capitato lì per caso.
In quel momento, nella testa di Horus non v'era posto per nient'altro al di fuori del puro istinto di sopravvivenza. Avrebbe ucciso? Poco importava, l'aveva già fatto. "Ben venga!" sembrò mormorare qualcosa, nel suo profondo e d'improvviso si rese conto che non importava:
Mors tua, Vita mea, dicevano gli Antichi. Lui non aveva applicato questo concetto, fin dall'inizio? In ogni caso, se non l'avesse ammazzato, l'importante sarebbe stato anche ferirlo, indebolirlo o quantomeno tenerlo occupato mentre spegneva l'Incendio. Un'azione diversiva al fine di potersi evitare l'arrostimento.
Una volta lanciato il pugnale, infatti, Horus non rimase a guardare la sua traiettoria, ma si concentrò sul fuoco, puntando contro il cespuglio colpito la bacchetta che venne mossa dall'alto verso il basso finché, inquadrato il fuoco, il Tassorosso mormorò, con voce sicura e focalizzandosi sull'immagine mentale dell'incendio domato:
« Extinguo. »
Quanto si sarebbe potuto dilatare il Tempo?
Non poteva saperlo, eppure, agendo al massimo delle sue possibilità, non volle neanche abbandonarvisi: aveva ormai imparato che persino uno scarto di pochi secondi sarebbe bastato, per poter vivere.


«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. »



Oh io c'ho provato... :look:
 
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view post Posted on 26/6/2014, 12:12
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Se prima la siepe nella quale Horus si era nascosto rappresentava un rifugio rabbecciato ma pur sempre un rifugio, adesso anche quella sicurezza stava vacillando. Come molte quel giorno. Con un incanto non verbale il mangiamorte aveva appiccato un incendio ed ora gli arbusti e le foglie che lambivano il volto ed il busto del Tassorosso ardevano come fossero stati di carta.
Riassumendo rapidamente l'elenco delle sue sfighe 1) stava in mezzo alle fiamme 2) stava in mezzo alle fiamme e alla mercè di un mangiamorte incacchiato nero 3) stava in mezzo alle fiamme, alla mercè di un mangiamorte incacchiato nero e preso di mira dall'archibugio di Amilcare. Senza contare gli innumerevoli reati che aveva compiuto nel giro di due ore: violazione di domicilio, uso improprio della magia, violazione del Codice Internazionale di Segretezza Magica, Omicidio, tentato omicidio di un gatto, danneggiamento di cose altrui.
Sfuggire alla morte per poi finire ad Azkaban non era proprio il massimo della gioia. Ma quello sarebbe stato il problema n. 2, che non avrebbe trovato vita se non fosse stato risolto positivamente il problema n. 1.
Incurante delle fiamme Horus sfilò il pugnale normanno dalla cintola e caricò il braccio mantenendo lo sguardo fisso sul suo bersaglio. Forse la lama brillò nel riverbero del fuoco palesando le sue intenzioni, fatto sta che il mangiamorte si agitò tentando di mettersi in piedi. Ma le vesti erano molli e pese, il pugnale venne scagliato e penetrò facilmente squarciando la carne della coscia. L'uomo urlo per il dolore dimenandosi come un serpente mentre zampilli di sangue fuoriuscivano dalla ferita macchiando l'erba (-25 ps; -10 pc). Il secondo mangiamorte fece la sua comparsa affiancando il primo. Non disse nulla ma lo guardò con evidente agitazione.
Horus rimediò un'ustione superficiale al braccio (- 8 ps) ma riuscì ad estinguere l'incendio prima che le fiamme lo avvolgessero completamente. Per un attimo si abbandonò al dolore, il mangiamorte ricomparso compì un balzo e gli fu addosso. Se la magia non funzionava con quel ragazzo, lo avrebbe ucciso a mani nude. Il Tassorosso ricadde con la schiena sull'erba, la bacchetta ancora ben salda nella sua mano ma impossibilitato nei movimenti a causa del peso del suo avversario, che gli stava sopra cercando di agguantare il suo collo, lì dove la runa Hagalaz aveva trovato degno giaciglio.



Horus:
PS: 178/186
PC: 156
PM: 162


Primo mangiamorte
PS:??? (-25)
PC:??? (-10)
PM:???


Il primo mangiamorte è ferito, non si è mosso dalla posizione in cui era.
Il secondo mangiamorte ti è piombato addosso e vuole soffocarti. Le sua mani non hanno ancora raggiunto il tuo collo. Sei disteso di schiena e sei armato ma hai difficoltà a muoverti.
 
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Le notizie che aveva appreso da Dulwich Village non erano affatto positive.
Una casa devastata, un cadavere, due uomini schiantati e nessuna traccia di Trhesy e Sirius. Riepilogò mentalmente la lista nera camminando avanti ed indietro per l'Ufficio, come diavolo poteva risolverla quella faccenda? Non era la questione dei babbani a preoccuparla quanto la totale mancanza di informazioni sui due giovani e sul pacchetto che avrebbero dovuto consegnare ai folletti della Gringott. Era stata quasi sul punto di convocare l'Ordine a Grimmauld poi si era imposta di riflettere. Aveva trascorso la serata in preda a sentimenti contrastanti: speranza che Trhesy e Sirius avessero portato a termine l'incarico, del resto i due uomini schiantati costituivano un muto segnale; timore che fossero stati catturati e torturati, non poteva sapere in quanti li avessero attaccati; terrore per le conseguenze di quella visione; sicurezza nei mezzi e nell'intraprendenza dei suoi ragazzi. Passò l'ora di cena ed era sempre lì, immersa nelle congetture, con l'umore che stava via via condensandosi in una macchia scura. Si guardò intorno e vide un Ufficio lindo ed ordinato, ogni libro si trovava al proprio posto, il pavimento intorno al cestino non era più cosparso di fogli appallottolati, il tappeto non aveva neanche una piega. E a lei facevano male le gambe. I suoi momenti di profonda riflessione passavano così, incapace di stare ferma aveva sistemato e rassestato senza rendersi minimamente conto di quello che stava facendo ed ora aveva un Ufficio che non riconosceva più ed un macigno sul cuore.
In piedi al centro della stanza si portò le mani sul volto ed imprecò in silenzio.
Non le piaceva per niente perdere il controllo della situazione e detestava sentirsi impotente. Se Trhesy e Sirius fossero riusciti a scampare all'agguato comparendo lì in quel preciso momento li avrebbe uccisi lei.


"Oh, al diavolo"

Questa volta la voce le uscì forte e chiara. Senza perdere altro tempo agguantò il mantello ed uscì quasi correndo, senza preoccuparsi di chiudere la porta alle proprie spalle.

*********************

Pochi minuti dopo si materializzò davanti ad una villetta dai muri candidi. La siepe che costeggiava il muretto di cinta, anch'esso immacolato era costituita da rigogliose piante sempreverdi che impedivano la visuale sulle finestre poste al piano terreno. Ma, allo stesso modo, quel tripudio di grovigli non consentiva agli abitanti della casa di vedere chi passeggiava per la strada. Si calò il cappuccio sulla testa e prese a camminare lungo lo stretto marciapiede che si snodava fra i muretti delle case e gli alberi del viale. Il cervello continuava a partorire visioni apocalittiche sulla sorte dei due ES ma il senso di impotenza era scomparso. La strada compiva una curva a sinistra, seguì la parabola mentre lo spiazzo incolto di Villa Savernake compariva all'orizzonte. Piano piano voci concitate le giunsero alle orecchie, la strada era deserta ma molte finestre brillavano al chiarore delle luci, la cittadina sembrava sveglia e presente nonostante l'ora. Il che aumentò il suo senso di disagio fino a renderlo incontrollabile quando una sagoma accartocciata entrò nel suo campo visivo, era abbandonata quasi in mezzo alla strada, inerte. Si fermò terrorizzata, le gambe gelatinose minacciarono di piegarsi facendola rovinare a terra, il cuore palpitava amplificando i battiti e le ci volle qualche minuto buono per imporre al suo corpo di muoversi. Aveva paura, una paura del diavolo. Bastarono pochi metri e tutti i suoi più grandi timori divennero realtà, riconobbe subito il Caposcuola Grifondoro, con un balzo fu al suo capezzale, si inginocchiò temendo il peggio ma il cuore batteva e non vi erano segni visibili di ferite, con ogni probabilità era stato schiantato. Lievemente rincuorata si alzò e lo agguantò per le braccia, non pensò a spostarlo con la magia, agiva d'impulso, spinta dalla impellente necessità di portarlo al riparo prima possibile. Con la coda dell'occhio vide qualcosa passare a qualche metro da lei, un'ombra scura che attraversava la strada, c'era un albero divelto che occupava buona parte della carreggiata. Rapidamente trascinò Sirius sul marciapiede, cercò di tirarlo su per appoggiargli la schiena alla siepe, con non poco sforzo, la sua mente era rivolta a Trhesy, dove diavolo era? Stava bene?
Tutto faceva presagire che vi fosse stata una colluttazione di bacchette ed anche piuttosto rumorosa. Rapidamente puntò la bacchetta davanti a sè e tracciò un ampio cerchio in senso orario
*Repello Babbanum*
Lentamente riprese il cammino ripetendo mentalmente l'incanto prima a destra e poi a sinistra, fino a voltarsi, seguendo un perimetro immaginario, quel posto pullulava di babbani, non sapeva cosa avrebbe trovato ma almeno avrebbe cercato di limitare i danni. Udì un grido e notò parte della siepe che stava costeggiando ardere avvolta dalle fiamme. Un attimo dopo il fuoco svanì lasciandola quasi completamente al buio. Avrebbe voluto urlare il nome della giovane Tassorosso ma non sarebbe stato opportuno. Avvicinò il volto agli arbusti ed inquadrò una figura ammantata seduta per terra, pareva dolorante. Poco più in là rumori soffocati lasciavano presagire che vi fosse un corpo a corpo, voltò il capo notando un groviglio di vesti.
Trhesy!

 
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view post Posted on 2/7/2014, 20:10
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Horus R. Sekhmeth

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L'urlo di dolore dell'uomo penetrò nelle orecchie di Horus e per un attimo fu una panacea per l'ustione che le fiamme gli avevano provocato al braccio, prima di estinguersi del tutto. In quel frangente, mentre la voce disperata risuonava dentro la sua testa, la parte più oscura e marcia dentro di sé rimpianse di non aver potuto afferrare con lo sguardo l'attimo in cui la lama aveva squarciato la carne dell'uomo. Dove l'aveva colpito? Quanto male doveva aver fatto? L'odore del sangue, come doveva essere? Ma ben presto la visione dei corpi squarciati di Bramcote Hills Park squarciò la sua mente, annientando quel pensiero, ed Horus, squassato dai brividi e dalla nausea, si abbandonò al dolore al braccio, socchiudendo gli occhi e respirando piano. Non poteva perder tempo, si disse, doveva trovare il modo di andarsene. Ma nel giro di una frazione di secondo, il suo campo visivo fu occupato da una figura nera che, come un avvoltoio, gli fu addosso. Il peso dell'uomo lo costrinse a terra, mentre le mani estranee correvano verso il suo collo, stringendolo. I brividi che percorsero Horus, uno dopo l'altro, furono come scariche elettriche, che cancellarono ancora, per l'ennesima volta, ciò che lo circondava, al di fuori di sé e del nemico. L'aria a poco a poco si fece sempre più rarefatta, mentre il ragazzo, istintivamente, scalciava, cercando con la mano libera di afferrare il polso del figuro che l'aveva assalito, allentandone la presa.
*Merda...*
Poteva quasi sentirne il fiato sulla pelle, vedere gli occhi folli, nascosti dal cappuccio nero, rilucere appena alla luce lontana dell'abitazione. Sarebbe morto così, in quella maniera così vile, come un topo in trappola?
*MERDA.*
Horus strinse forte la bacchetta, scoprendo quanto fosse difficile anche solo piegare il braccio, mentre la testa, annebbiata dalla mancanza d'aria, cercava una soluzione, una via d'uscita, gli occhi che saettavano a destra e a sinistra.
Era finita.
Era solo, i Babbani probabilmente erano troppo idioti per capire che lì ci fosse qualcuno, Sirius si era ormai maritato con l'asfalto, mentre non c'era più traccia né di una paperella di gomma, né del gatto.
Sarebbe morto, stupidamente, ma sarebbe morto; non era quello che, in fondo, aveva voluto solo poco tempo prima? Annullarsi, completamente.
Andava bene così, pensò con sguardo vacuo..


« È finita, figlio mio? Non è ancora iniziata. Fight.* »*

E in quel momento, Horus sentì il cuore battere forte, potente; il sangue, roboante, scorrergli nelle vene, come se fosse un fiume in piena, il cui corso sembrava quasi impossibile da fermare. Sentiva il legno a contatto con le dita della mano sinistra, le cui unghie vi si erano conficcate, i chiari segnali del suo corpo che stava continuando a lottare, per restare in vita. E diamine, sì! Sì, era la Vita quella a cui ambiva, era la Vita quella che ancora cercava di far penetrare nei suoi polmoni, annaspando. D'improvviso, a quel pensiero, il ragazzo si rese conto che tutto ciò era una banale illusione, dovuta ad una gioventù richiuso in un castello di cristallo e che in realtà non erano passati che pochi secondi dall'aggressione dell'uomo; le azioni non erano state così lente, l'aria era ancora nei suoi polmoni.
Horus strinse i denti, ringhiando di rabbia, sentendo le dita dell'uomo affondare nel suo collo, sfiorando l'Ankh e la Runa. E poi la sentì, battere in risonanza col suo cuore, Hagalaz.

*Aiutami.* Pensò intensamente, chiudendo gli occhi e focalizzando quel cuore di ghiaccio che giaceva nel suo petto, accanto a quello reale. Fu facile abbandonarsi, rischiare, pur avendo in gioco tutto. Sentì l'aria uscire dai polmoni, il dolore al braccio svanire, come se non fosse mai esistito, così come la pressione al collo. Non aveva più corpo; la sua figura sembrò separarsi per congiungersi con Hagalaz, il ghiaccio che permeava ogni singola cellula del suo corpo, il peso dell'aria che sublimava. Attimi di infinito, che nella Realtà, altro non erano che brevissimi secondi che si susseguivano.
In un vortice di vento, Horus si sentì sferzato dall'aria, divenendo parte della stessa, plasmandola al proprio volere. E così, divenne proiettile: acuminato, piccolo, letale, rapido, con l'unico scopo di penetrare la carne del nemico, così esposto proprio sopra di lui, un bersaglio perfetto. Uno per gli occhi, uno per la giugulare, uno per il cuore, uno per il fegato; una pioggia di tanti proiettili contro quell'inutile corpo, coadiuvati in un unico scopo: togliere di mezzo il nemico. E dovevano agire, agire
*ORA.*
RAqpQnN

« Cosa diciamo noi alla Morte? »
« Non... oggi... »

« ...can you stand the pain?
How long will you hide your face?
How long will you be afraid?
Are you afraid?
How long will you play this game?
Will you fight or will you walk away?»

« So reach down and pull me up, pull me up before I am buried beneath. »



*: In inglese, il linguaggio arcaico della famiglia dei Sekhmeth.

Uso la Runa Hagalaz:
CITAZIONE
Runa Hagalaz della Separazione.

PC: +3
PM: +7

Effetto: Utilizzabile in Quest, una volta ogni cinque turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest.]
 
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view post Posted on 15/7/2014, 13:24
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Il Fato

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Esiste un momento, breve, sottilissimo, in cui la mente - seppur in preda all'oblio dei sensi - lancia il suo ultimatum: alza il culo e combatti, oppure abbandonati e saluta il mondo dei vivi. Ci vuole un gran coraggio per fare entrambe le cose: reagire archiviando il dolore, la fatica, la disperazione; gettare la spugna pur sapendo di lasciare le persone più care in balia di una vita inconsolabile.
Quale affascinante meccanismo scattò nel cervello di Horus? Lui, che non aveva interesse ad instaurare rapporti veri e duraturi, lui che era bello, giovane, intelligente ma proteso verso il nichilismo, circondato da una barriera invalicabile, timoroso di provare sentimenti diversi da quella voglia di isolamento che lo faceva sentire quasi un incompreso. Eppure voleva vivere. Improvvisamente il suo corpo si scaldò di nuovo, i sensi atrofizzati ripresero vigore, l'aria pungente della sera risvegliò lo spirito ed un richiamo muto lacerò la coltre di abbandono. Hagalaz, aiutalo. La voglia che contornava l'occhio sinistro come una fine ragnatela divenne rovente mentre un senso di leggerezza lo pervase. Accadde tutto in fretta, il mangiamorte che lo costringeva al suolo non capì nulla, un attimo e il suo corpo esplose in un dolore quasi insopportabile, fitte al collo, allo zigomo, al braccio, all'inguine. Urlò quasi d'istinto e le mani si aprirono lasciando la presa, i muscoli si tesero, la schiena si inarcò, gli occhi sgranati fissarono il buio del giardino. Il grido si spense in un rantolo e l'uomo si affosciò.



Horus:
PS: 174/186
PC: 156
PM: 158/162
 
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view post Posted on 15/7/2014, 23:25
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Movimenti concitati, respiri affannosi, urla. Non capiva nulla di ciò che stava accadendo in quella zona del giardino, vedeva solo ombre. Si guardò intorno, Sirius era ancora dove l'aveva lasciato, in quella posizione pareva un bambolotto di pezza. Aveva indugiato di fronte a lui, si era chiesta se convenisse risvegliarlo o meno decidendo, alla fine, di non farlo. Aveva bisogno che rimanesse buono buono e al sicuro. Le luci delle villette rimasero accese ma nessun babbano si arrischiò ad uscire fuori, segno che il suo incanto aveva sortito effetto positivo. Non che la cosa le importasse, avrebbe pensato dopo alle conseguenze di quello scontro, adesso la priorità era recuperare Thresy e riportare lei e Sirius sani e salvi ad Hogwarts. Poi, nel tepore delle mura domestiche, li avrebbe trucidati. Serrò le labbra osservando davanti a sè, sulla destra gli arbusti che rinfoltivano la siepe erano spezzati, si aggrappò ai ributti protesi verso l'esterno per issarsi sopra al muretto, il peso del mantello la tirò verso il basso, lo slacciò con la mano destra, lasciandolo cadere e con un salto riuscì a rotolare dall'altra parte. Cadde di fianco, una fitta lancinante le mozzò il respiro, con sforzo si tirò in ginocchio, l'uomo seduto, bagnato e dolorante si voltò verso di lei, i loro sguardi si incontrarono, notò il guizzo di sorpresa ma non aveva tempo per dire nulla, rapidamente gattonò verso i due corpi distesi, Thresy si vedeva appena, schiacciata dal peso del mangiamorte. Agguantò il mantello dell'uomo e si alzò faticando per equilibrare il peso. Tirò verso di sè con tutta la forza che aveva.

*Ti prego, fa che stia bene. Fa che stia bene*

Ripeteva mentalmente quella cantilena per non lasciarsi sopraffare dal terrore, c'era sangue dappertutto. Con uno strattone il corpo inerte rotolò da una parte finendo supino. Si lasciò cadere nuovamente in ginocchio, aveva entrambe la mani macchiate, l'odore ferruginoso le offuscava la vista. Ma qualcosa non andava, sbattè le palpebre fissando il volto di quella che aveva creduto essere Trhesy. Era sporco di sangue, lo pulì alla meno peggio strofinando delicatamente l'avambraccio contro fronte e zigomi, la manica della camicetta assunse un colorito vermiglio. Cercò di mettere a fuoco, conosceva quel viso e conosceva quella capigliatura, tuttavia la rivelazione la lasciò basita.

"Horus?"

Sussurrò titubante il suo nome, la voce le tremava. Era in preda alla confusione, non aveva ancora capito di chi fosse tutto quel sangue ma il petto del giovane Tassorosso si alzava e si abbassava con rapidità.

"Stai bene? Sei ferito?"

Lo esaminò rapidamente ma era impossibile comprendere, anche le vesti erano zuppe di sangue. Le iridi ametista lo fissarono con apprensione, in una muta implorazione, voleva sentirsi dire che andava tutto bene e che non era ferito.

 
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view post Posted on 23/7/2014, 21:18
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Horus R. Sekhmeth

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« This will never end
'Cause I want more
More, give me more
Give me more
If I had a heart I could love you
If I had a voice I would sing
After the night when I wake up
I'll see what tomorrow brings.»

Se tutto accadde in fretta, Horus non poté mai saperlo. Davanti ai suoi occhi vacui, man a mano che riprendeva lucidità uscendo dalla trance che lo legava ad Hagalaz, il ragazzo osservava la scena come se egli altro non fosse che un tranquillo spettatore, se non per un'unica nota stonata: l'ossigeno continuava a mancare. Non era più per le dita dell'uomo, che avevano ormai abbandonato il suo collo e si contraevano in spasmi, mentre il corpo del nemico veniva trafitto dai piccoli proiettili e il sangue schizzava sul volto del giovane come tiepida pioggia scarlatta; era per ciò che sentiva dentro di sé, mentre la follia di una gioia selvaggia danzava con l'euforia dell'esser sfuggiti alla Morte, due sentimenti così vicini da sembrare quasi la medesima cosa. Horus chiuse gli occhi, immune all'odore ferroso del sangue che gli penetrava nelle radici, il petto che si alzava e abbassava freneticamente. Era vivo, continuava a ripetersi, e questo pensiero era tanto potente da mitigare l'idea di aver ucciso un'altra persona. Cosa importava, del resto, si disse, abbandonando le braccia lungo i fianchi, beandosi dell'umidità dell'erba fresca sulla carne accaldata. I nemici andavano eliminati; il fine giustifica i mezzi. Tanto meglio se non hai scrupoli, per preservare te stesso.

L'hai fatto soltanto per te stesso.

Mormorava una voce suadente nella sua testa. Se Horus avesse stretto ancor di più gli occhi, avrebbe potuto quasi vedere la sagoma di colui che parlava, dietro la coltre scura delle sue palpebre. Sorrideva, ma il suo viso era nero, sfocato. Una fiamma, attorno al suo occhio destro.
Il ragazzo mormorò qualcosa, confuso. Sentiva la voglia sull'occhio bruciare come se fosse fatta di lava. Horus avanzò di un passo, sentendo le gambe deboli, avvicinandosi verso la figura sorridente, "L'hai fatto soltanto per te stesso. Non è nulla di sbagliato, eliminare la feccia. ... uccidere." continuava a dire. Ma, per quanto si sforzasse, il ragazzo non riusciva a mettere a fuoco lo sconosciuto, al di fuori di quella strana fiamma sul viso. Chi era? Perché le sue parole suonavano così distorte, errate, disgustose, eppure, anziché fuggire, Horus continuava ad avanzare, senza trovare la voce per negare? Era una mano tesa, quella che gli porgeva?

*Chi...?*
« Horus? »
Un gesto concitato, un profumo diverso che si sovrapponeva all'odore del sangue, la stoffa sul viso, e due grandi iridi viola *Mya?*, costrinsero il ragazzo a sussultare e a spalancare gli occhi, annaspando e tossendo, mentre l'aria tornava prepotentemente nei suoi polmoni, costringendolo a voltarsi appena verso il prato. Horus poté così vedere il corpo martoriato del figuro che aveva ucciso; la misteriosa voce era scomparsa, così come la sua sagoma, quando provò a chiudere gli occhi per un istante. Con incredibile lentezza, sentendo le membra pesanti, Horus tornò a guardare la donna affianco a sé. Per un secondo non ci fu altro che gli occhi di lei, brillanti come ametiste liquide e per un folle istante, Horus sperò con tutto se stesso di ritrovare anche una folta chioma castana e un'espressione perennemente imbronciata. Poi, a poco a poco, visualizzò lunghi capelli neri, un viso diverso, da quello sperato, ma non per questo non apprezzato. Sporca di sangue, affannata e visibilmente turbata, c'era Camille. Il ragazzo provò a parlare, ma dovette richiudere le labbra in fretta, mentre la nausea gli chiudeva la gola. Respirò a fondo, chiedendosi se l'aria fosse mai stata così buona nonostante il sangue la impregnasse, se il profumo di Camille fosse davvero così intenso; alzando gli occhi al cielo, Horus si domandò ancora se mai le stelle erano state così luminose, se mai la Vita avesse scorso in quel modo, dentro di lui, come fiume in piena, acuendo ogni sensazione come se la vivesse davvero per la prima volta in quegli istanti. Soltanto il cadavere dell'uomo, il sangue sul viso e sugli abiti, Camille al suo fianco, erano validi segnali che quello non era stato un sogno.
« Sto... bene. » Disse, a fatica e con voce rauca, cercando di mettersi a sedere, ignorando la martellante emicrania che sembrava volergli spaccare in due la testa e la voglia che, rossa come quel sangue, bruciava imperterrita. Ma era davvero finita? I suoi occhi saettarono rapidi dal corpo dell'uomo, al secondo figuro più in fondo, poi tornarono a posarsi sul viso di Camille. Il cuore batteva calmo, nonostante tutto. Era perché lei era lì con lui? Perché non era più solo?
« Io... io non... » Esordì, per poi tacere, improvvisamente, corrugando le sopracciglia e guardando in basso. Le domande cominciarono ad affollarsi una dopo l'altra, facendolo urlare internamente di dolore per le tempie pulsanti e la nausea che non accennava a diminuire. Cautamente, si portò una mano al viso, appoggiando il palmo per tenersi la testa dolorante, deglutendo a fatica. Chiuse gli occhi, respirando piano, per poi parlare, nuovamente, con calma e con voce controllata, alzano il viso verso Camille:
« So che non dovrei essere io a dirlo, ma... cosa ci fate Voi qui? Loro... ci hanno attaccati. Sirius è... » Una nuova fitta gli strinse la testa in una morsa, ma, stringendo i denti, Horus non abbandonò neanche per un istante gli occhi della donna, dovendo tuttavia interrompersi, colto da un dolore talmente forte da accentuare la nausea. Nonostante ciò, i sensi tornavano all'erta e le dita della mano sinistra si stringevano attorno alla bacchetta.
La voce tornò a ricordargli che no, non era finita.

Era l'inizio.

« Dangling feet from window frame
Will I ever ever reach the floor?
More, give me more, give me more
Crushed and filled with all I found
Underneath and inside
Just to come around
More, give me more, give me more.

This will never end
'Cause I want more

More, give me more
Give me more. »


« SO REACH DOWN AND PULL ME UP, PULL ME UP BEFORE I AM BURIED BENEATH. »



Edited by Horus Sekhmeth - 31/7/2014, 00:17
 
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Stava davvero bene?
La voce impastata, il folle tentativo di tirarsi su, quello strano simbolo che sembrava avere vita propria. Un'altra volta lo aveva notato così bene, la situazione era nettamente diversa ma anche in quel frangente Horus si era trovato sotto pressione. Non in senso fisico, lei si era contrariata per un incanto che lui aveva utilizzato in mezzo ad una nutrita folla di babbani.
Evidentemente quel ragazzo era recidivo.
Tentò di parlare, ancora, ma le labbra si richiusero trincerandosi dietro ad un mutismo dettato dalla confusione. Notò il suo sguardo sconcertato, era conscio di aver ucciso un uomo? Si sentiva terribilmente in colpa o maledettamente vibrante di soddisfazione per ciò che quel cadavere rappresentava? Se la presenza di Sirius a Dulwich poteva apparire logica - o quantomeno fattibile - quella del Tassorosso era del tutto inaspettata, esisteva un legame fra i due? Era stato Horus a colpire Sirius? E Trhesy ... dove era finita Trhesy?
I loro sguardi si abbassarono all'unisono, rivolse i palmi delle mani verso l'alto, il sangue si stava lentamente rapprendendo, le girò appoggiandoli sull'erba e prese a sfregarli con frenesia crescente lasciando striature color porpora sul manto umido. Si sentiva completamente spiazzata, l'adrenalina le aveva prosciugato ogni energia, la mente traboccava di domande, il pensiero di quello che era accaduto e, soprattutto, di quello che sarebbe potuto accadere la terrorizzava, ricordi che credeva sbiaditi riaffioravano, le certezze si tramutavano in incertezze. Fiducia, responsabilità, maturità ... cosa doveva aspettarsi da due Caposcuola che avevano lasciato Hogwarts per recarsi in un quartiere babbano, abitato da gente babbana per dilettarsi nell'arte del duello con due fra i più pericolosi esseri in circolazione? Non era bastato tutto il casino del pomeriggio?
Si pulì le mani ai pantaloni tornando ad alzare lo sguardo quando udì la voce di Horus, questa volta più controllata. Nonostante la finta parvenza era alquanto contrariata. Lei.
Dopo la gioia per lo scampato pericolo subentra sempre la rabbia per l'inutile rischio che si è corso.
E c'era davvero da ridere, in quel momento era lui ad aver riacquistato equilibrio, sospirò cercando di imporre a quel dannato muscolo di placare l'ansia, lo sentiva rimbombare come i gong dell'oriente imperiale, si morse il labbro inferiore obbligando la mente a prestare attenzione alle parole del Tassorosso. Fu forse la sua domanda, assurda ma al medesimo tempo dannatamente logica a farle riagguantare lucidità. Istintivamente girò la testa e guardò appena oltre la spalla, come se quel "Voi" comprendesse chissà chi oltre lei, forse si aspettava di vedere qualcun altro. Invece i suoi occhi non inquadrarono che un'ombra dolorante agitarsi ed imprecare, seduta sopra un telo di plastica. La verità era che lei non sapeva come mai il cervello l'avesse portata lì e se anche lo sospettava non avrebbe saputo spiegarlo. Non ad Horus.
Lo sguardo seguì la linea ormai diseguale della siepe e tornò ad incrociare gli occhi chiari del Tassorosso.
E lui come mai si trovava a Dulwich? Quanto sapeva?


"Non lo so, sesto senso immagino"

La vaghezza della sua stessa risposta la irritò, non era lei a dover fornire spiegazioni e non era dell'umore adatto per scegliere le parole con oculatezza. A fatica represse l'impulso di schiaffeggiarlo, così, per dare sfogo al suo senso di involontaria ignoranza. E, immediatamente dopo, quello di abbracciarlo, per averlo trovato vivo, seppur ammaccato.

"Ho visto Sirius a terra. Schiantato. E anche tu ... avresti potuto lasciarci le penne"

Lo sguardo eloquente e severo si posò sul corpo esanime del mangiamorte. Fortunatamente, in quel caso, le cose erano andate diversamente. Socchiuse leggermente gli occhi, infastidita, la luce sopra la porta della villetta emanava un alone luccicante. Avrebbe volentieri ceduto al miscuglio di sentimenti contrastanti che l'avevano quasi svuotata distendendosi sull'erba e chiudendo gli occhi. Almeno per poco. Almeno per un minuto. Ma tornò a guardarlo, con finta calma.

"Un attacco era preventivabile, la zona poteva essere controllata".

Visti i precedenti. Se Sirius e Trhesy non avevano mai lasciato Dulwich per recarsi alla Gringott, come era stato ordinato, quale significato poteva mai avere la presenza di Horus? Lui non era a conoscenza di nulla.

"Tu, piuttosto. Perchè ti trovi qui e non nel tuo dormitorio? E dov'è Trhesy?"

 
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view post Posted on 14/8/2014, 23:34
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Fin dall'inizio di quella serata era chiaro, come se fosse stato in precedenza stabilito da chissà quali Forze sadiche, che le cose non sarebbero mai quadrate. Nè ad Horus, né a Sirius, né ai tre loschi figuri ed ora neanche a Camille. Le domande erano tante, forse troppe rispetto a risposte che non sarebbero mai bastate, ma tra i quesiti uno era forse il più impellente: che diamine ci fa il Ministro della Magia in persona, a notte fonda in una strada londinese come tante, trovando, casualmente, il luogo dello scontro avvenuto fra uno studente e tre sconosciuti e accorrendo in soccorso del giovane? Il sesto senso, era fuor d'ogni dubbio, non poteva essere una risposta valida o accettabile per Horus, che ne aveva decisamente abbastanza di quei miracolosi istinti. Se solo l'emicrania glielo avesse permesso, il Tassorosso avrebbe sbuffato, in barba al rispetto verso i superiori, chiedendo alla donna se lo stesse prendendo in giro. Invece, preferì tacere alla risposta di lei, continuando ad aggrapparsi alla sua figura quasi con disperazione, l'unica àncora in quell'oceano mosso da sentimenti ed eventi inaspettati, evitando più inconsciamente che consciamente di posare lo sguardo sull'uomo straziato poco più avanti. Horus piegò leggermente la testa di lato, stringendo un pugno per mantenere il controllo sul dolore, studiando i piccoli movimenti di Camille. Era ormai palese che ci fosse qualcosa sotto che lei conosceva e lui, invece, ignorava completamente. Un'ipotesi, quella, che venne confermata alle successive parole della donna. Horus corrugò le sopracciglia, guardandola accigliato; non solo, ormai, sapeva per certo che Camille avesse un'idea su cosa fosse successo lì, ma dava, inoltre, per scontato che anche lui, Horus, ne fosse a conoscenza. D'improvviso, il ragazzo sentì montare un moto di nervosismo: Sirius, Dulwich e Camille erano indubbiamente collegati tra loro, così come cominciava a esser lampante il fatto che quella meta non fosse stata scelta a caso dal Grifondoro, come invece aveva millantato richiamando in causa il maledettissimo "istinto" Fu inevitabile impedire ad una nuova orda di domande di affollarsi nella già piena e dolorante testa di Horus; che diamine accadeva? Che voleva dire che un attacco era preventivabile? Quell'idiota di White sapeva che quei tre li avrebbero aggrediti?
*Ammazzalo, ammazzalo ora che se la dorme.*
« Tu, piuttosto. Perché ti trovi qui e non nel tuo dormitorio? E dov'è Trhesy? » *EH?!*
Horus spalancò gli occhi, schiudendo appena le labbra per la sorpresa, mentre il tumulto aumentava dentro di lui. Una miriade di reazioni contrastanti lo costrinsero a chiudere i pugni così forte da far penetrare le unghie nella carne dei palmi, facendolo rimanere impalato con quell'espressione stupida dipinta sul volto sconvolto. Ma se così non avesse fatto, le reazioni che avrebbero preso il sopravvento sarebbero state più che sconvenienti, oltre che ancor più imbecilli della sua espressione. Tra le tante cose, avrebbe voluto prendere Camille per le spalle, scuoterla e inveirle contro, urlandole che non aveva la più pallida idea di quel che stesse blaterando, di smetterla di credere che tutto fosse scontato per lui; avrebbe voluto gridarle che non capiva cosa diamine c'entrasse Trhesy e che non gliene fregava un cazzo né di lei né di dove ella fosse; ma ancor di più, voleva dirle di cancellarsi dalla faccia quella stupida calma e quell'espressione controllata di chi sa tutto, che contribuivano ad irritarlo ancora di più. Avrebbe voluto alzarsi in piedi e prendere a calci chiunque o qualsiasi cosa gli fosse capitata a tiro, urlando finché la voce non fosse scomparsa. Avrebbe voluto nascondersi e rannicchiarsi, avrebbe voluto buttarsi sotto la doccia, raschiarsi via quel maledetto sangue che continuava a vedersi incrostato addosso, cancellando l'odore ferroso che gli penetrava nelle narici, alimentando la nausea. Avrebbe voluto gridare ancora e ancora, cercando di sovrastare la voce interiore che continuava a ricordargli che quelle uccisioni, ancora una volta, erano state necessarie, ma allo stesso tempo avrebbe voluto che quegli sciocchi sensi di colpa sparissero, accettando la più semplice delle verità. Invece, stupendo persino se stesso, si ricompose, battendo le palpebre un paio di volte e ritrovando, seppur blandamente, il controllo su se stesso e sul proprio respiro.
« Non ho la più pallida idea di quel che state dicendo. » Esordì, piattamente, senza nessuna inflessione particolare. Gli occhi continuavano ad esser puntati sul viso del Ministro, mentre Horus si sforzava di concentrarsi soltanto su di lei, pena la perdita completa del proprio autocontrollo. « Prima di ritrovarmi qui, stavo pattugliando i giardini del Castello. Ho notato una figura nera uscir fuori dai cancelli e l'ho raggiunta, afferrandola nel tentativo di riportarla indietro. La sfortuna ha voluto che la figura, poi rivelatasi White, si fosse Smaterializzata e io con lui, ritrovandoci qui. Non ho la più pallida idea di dove mi trovo se non il nome, Dulwich. White ha liquidato le mie domande dicendomi che aveva voglia di distrarsi un po' dagli incarichi e che era qui per.. istinto. Ha detto di conoscere la zona e infine mi ha convinto ad andare a bere qualcosa, prima di rientrare. » Horus rimase in silenzio qualche attimo, socchiudendo leggermente gli occhi nel tentativo di dominare la nausea e il mal di testa. Si sentiva svuotato, esausto, come se avesse parlato per ore ed ore senza riprender fiato neanche per un attimo. La voglia, come se da quel dolore traesse energia, bruciò ancor più intensamente, spiccando rossa come non mai sulla pelle bianca del giovane. « Non so cosa sia accaduto, dopo... » Riprese, a fatica, abbassando involontariamente lo sguardo verso il terreno nel tentativo di ricordare e riordinare i fatti, facendosi strada tra la miriade di avvenimenti accaduti nel giro di poco tempo. « Sirius è stato colpito alle spalle, poco prima che una voce rispondesse ad una domanda che gli avevo rivolto, blaterando qualcosa a proposito di un assassino. Ho fatto in tempo a vedere solo tre figure incappucciate. Prima... prima che iniziasse tutto... » Infine, la nausea vinse ed Horus fu costretto ad interrompersi, portandosi una mano alla bocca e chiudendo gli occhi. Le tempie pulsavano così forte che sembravano volergli lacerare il cranio in due ed il giovane fu costretto ad accasciarsi in avanti. Il respiro accelerò, mentre, subdolo, il senso di colpa, ingigantito dall'orrore dell'accettazione dell'omicidio, si insinuava in lui, lacerando la sua coscienza a metà. Continui flashback dei cadaveri della foresta di quel giorno, del mostro della Torre che aveva assunto le sembianze di suo padre e del sinistro scricchiolio dell'albero sopra lo sconosciuto, assieme all'odore del sangue e dell'urlo dell'uomo di quella sera, trafissero come acuminate lame la parte più nuda di lui, quella più debole ed esposta, stretta dalla paura. Cos'era giusto, cos'era sbagliato? Era errato accettarlo, giustificarlo? Ancora una volta Horus perse il contatto con la realtà, trascinato nell'abisso. Involontariamente tirò su le gambe, piegandosi in avanti e nascondendo il viso tra le ginocchia, le mani che correvano a stringer la testa, come se volessero tentare di contenerla, nel caso esplodesse.
Era inevitabile, inevitabile, continuava a ripetere la voce; ti avrebbero ammazzato come un topo in trappola, schiacciato come un insetto.
La voglia sull'occhio gli lanciò un'altra, acuta stilettata di dolore. Da qualche parte, dentro di sé, Horus urlò.
« Io... li... ho uccisi... » Mormorò con voce soffocata. « Non potevo... non potevo fare altrimenti... ho dovuto... li ho dovuti uccidere... o sarei morto... » Alzò il viso terreo, guardando, ma non vedendo realmente, la donna davanti a sé. Poi, semplicemente, abbassò lo sguardo sulle mani di cui teneva i palmi rivolti verso l'alto. Il sangue rappreso tirava la pelle in maniera grottesca. * Non avevo scelta, non avevo scelta, non avevo scelta, non avevo scelta...* « Sarei morto. » Ripeté, con straordinaria fermezza, fissando l'unico punto, miracolosamente pulito sul palmo lordo di sangue.

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Per un attimo, un breve ma interminabile attimo ebbe paura.
Lo sguardo di Horus, dalle iridi così chiare le stava inequivocabilmente comunicando che l'avrebbe volentieri strozzata senza rammaricarsene. Non solo, ma le stava dicendo che la sua domanda non aveva alcun senso. Come non aveva senso il nome da lei pronunciato. Trhesy? Trhesy chi?
Rimase incollata a quell'espressione stupita priva della benchè minima capacità di reazione, macerandosi nella necessità di risposte che non avrebbe avuto con la necessaria celerità.
Così, sospesa fra il timore di apparire come il capro espiatorio di una nottata da dimenticare e il desiderio di penetrare la mente recalcitrante del Tassorosso per estrapolare con la forza ciò di cui aveva urgente bisogno, non mosse un muscolo. Solo il respiro era lì a ricordarle che esisteva una fondamentale differenza fra lei e il corpo martoriato del mangiamorte, poco distante.
Poi, l'attimo passò. Horus parve riuscire a controllare gli impulsi, quali essi fossero, sbattè le palpebre più volte e parlò con una calma che la fece rabbrividire.
Ma ... oh, SPIEGAZIONI! Melodiose parole, nettare per le orecchie.
Fino a quel momento doveva ammettere a se stessa di aver dubitato. La scena che si era materializzata ai suoi occhi, completamente diversa da quella immaginata, stava seriamente minando alcune sue certezze. Per tutta una serie di circostanze.
All'inizio, in occasione di uno dei loro primi incontri, si era chiesta se il Tassorosso avesse potuto incarnare l'anima di un membro ES e la risposta era stata positiva. In quel frangente aveva captato qualcosa in lui di tremendamente carismatico, la capacità di uscire dalle situazioni più drastiche con qualche colpo di genio inaspettato. La refrattarietà alle regole, non sempre da seguire come oro colato, era un altro aspetto che poteva renderlo il tipo ideale. Eppure ...
Lo osservò, il volto pallido macchiato da sporadiche chiazze scarlatte e gli occhi come due diamanti del colore del ghiaccio. La voglia, di un rosso incandescente, ne racchiudeva uno, come fosse il più prezioso dei gioielli. Non lo aveva mai visto così, indubbiamente Horus si trovava sul punto di scoppiare, bisognava vedere quale parte di lui avrebbe preso il sopravvento. Perchè, e di questo ne era convinta, il giovane Caposcuola conteneva moltitudini. Buone, perverse, affettuose, impulsive, stravaganti, pericolose sfaccettature.
Il problema non è incamerare, il problema è racchiudere tutto in qualcosa di troppo piccolo e stretto. Come il Vaso di Pandora.


*Ricapitolando Camille ...*

Si. Dunque. Distolse lo sguardo dal Tassorosso, preso a combattere i propri demoni interiori e si trovò ad osservare la siepe davanti a lei, la fronte appena corrugata e la mente in fervida attività.
Secondo la versione appena udita Sirius aveva fatto ritorno ad Hogwarts, segno che, forse, avrebbe potuto cancellare Trhesy dalla lista dei dispersi per supporre che si trovasse a dormire beatamente nel suo letto. Ma Sirius, ben lungi dall'essere provato dalle fatiche della giornata - e il bollettino di guerra planato sulla sua scrivania parlava chiaro - aveva deciso di farsi una passeggiata al chiar di luna niente popò di meno che a Dulwich, Signori e Signore. Trascinandosi dietro l'uomo sbagliato che si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato in una mirabolante smaterializzazione congiunta. E li, mente i due passeggiavano placidamente con l'intenzione di ubriacarsi in qualche bar, erano stati attaccati da tre mangiamorte. Era stato uno di loro a schiantare Sirius.
Horus era un Caposcuola, pattugliare il giardino rappresentava un suo compito. Al buio una sagoma incappucciata è una sagoma incappucciata, giusto quindi che il Tassorosso l'avesse seguita per sincerarsi che non vi fossero pericoli.


Io ... li... ho uccisi ...

Un soffio, flebile, gelato. Una rivelazione. Come una bolla di sapone che scoppia tutte le elucubrazioni costruite ed edificate a fatica si dissolsero in un nulla nel momento stesso in cui tornò con lo sguardo su Horus, sulla sua folta capigliatura, sulle sue mani. Il Tassorosso aveva nascosto il volto fra le ginocchia, nell'intento di attutire una verità che non aveva tardato ad arrivare. Impetuosa come una cascata, abbagliante come il sole, pungente come la spina di una rosa.
Realizzare di aver ucciso qualcuno è qualcosa di devastante, a prescindere dalle ragioni giustificative di un gesto così estremo, ti svuota l'anima anche se sai che quello che hai fatto è stato necessario per la tua stessa sopravvivenza.
Camille si rese improvvisamente conto di trovarsi di fronte ad un giovane uomo profondamente combattuto, dilaniato dai sensi di colpa e dalla necessità di assimilare e metabolizzare i fatti.
E si rese anche conto che molte cose che lei tendeva a dare per scontate non lo erano affatto.
L'espressione fino ad allora rigida, preoccupata, contrariata anche, si ammorbidì. Cercò di mettere da parte il lato critico del suo freddo carattere, quello che aspirava all'analisi nuda e cruda, quello che vedeva sotterfugi e macchinazioni ovunque e si sforzò di trovare qualcosa in lei che potesse avvicinarsi, anche di poco, a ciò di cui lui aveva bisogno.


"Horus ..."

Poggiò la mano sul suo braccio stringendolo appena. Era intento a contemplare i propri palmi, macchiati dal sangue rappreso.
Sperò fortemente che il vaso idealmente immaginato prima si fosse incrinato abbastanza da consentirle di vedere, di indagare nel miasma di sensazioni contrastanti ed opprimenti ma, forse, Horus necessitava solo di conferme.
Seguendo l'impulso del momento lasciò il braccio e gli prese il volto fra le mani, costringendolo a prestarle attenzione. Se anche l'avesse guardata senza vederla, trapassandola come aria, quel gesto gli avrebbe fatto capire che lei c'era, si trovava lì, proprio davanti a lui e gli stava comunicando qualcosa di basilare.


"Horus ... guarda me. Non devi giustificarti e non devi rammaricarti di niente, hai fatto ciò che chiunque altro avrebbe fatto al tuo posto. Se tu non ti fossi difeso ti avrebbero ucciso, senza alcuna pietà. Loro non ne hanno. Non danno neanche valore alla loro vita, eseguono gli ordini e basta. Sono carne da macello. La tua vita invece è importante"

Cercò di dare a quel momento comunicativo la massima intensità, voleva che capisse, che comprendesse la differenza fra lui e loro.

"Non c'è soddisfazione nell'uccidere qualcuno ma c'è soddisfazione nel constatare di essere ancora vivi. E c'è sollievo nell'apprendere che i corpi inerti che giacciono sull'erba del giardino non appartengono a gente che conosciamo. Hai fatto di tutto per sopravvivere, Horus, e sei sopravvissuto"

*Anche se non so come cavolo hai fatto*

"Questo basta. A te stesso, a chi ti vuole bene. E a me"


Annui con convinzione interrompendo il contatto fisico. Le mani abbandonarono il volto del Tassorosso per tornare ad adagiarsi sull'erba fresca.
Avrebbe dovuto dirgli perchè si trovava lì, quale era il motivo che aveva spinto Sirius a trascinarcelo, seppur involontariamente e le cause dell'attacco. Una magra consolazione che, forse, gli avrebbe consentito di accettare con meno dannazione il risultato di quegli eventi.
Ma lasciò che il lato professionale, momentaneamente accantonato, si rimpossessasse di lei. Ora sapeva che il corpo riverso sul terreno, muto testimone di un futuro che loro stavano vivendo e di cui, lui, non avrebbe più goduto, non era unico, c'era un altro cadavere da qualche parte.
E sapeva anche che quella leggera incrinazione, se davvero si era verificata, presto sarebbe stata rinsaldata con maggior vigore.
Tese la mano verso quel giovane uomo prostrato. Ma dannatamente coraggioso.


"Ce la fai ad alzarti?"

Le cose da dire erano tante ma voleva essere sicura che fossero assimilate e capite. Voleva essere sicura che Horus avesse riacquistato la propria capacità di discernimento.
Aveva un dannato bisogno di essere sicura di LUI.

 
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È facile dire di esser caduti in un abisso oscuro, quando il mare con le sue acque nere ti avvolge. Chiunque, prima o poi, per quanto limpida possa essere la sua vita, potrebbe dire di esserci capitato.
Diverso è, invece, quando l'acqua che ci avvolge diventa densa, nera, come petrolio che inzuppa gli abiti e la pelle, stringendo la gola in una morsa e divenendo catene assai più terribili di alte onde.
Come un gabbiano, per sempre intrappolato, le cui ali, una volta candide, intrise di oro nero, diventano così pesanti da divenire
morte. Così Horus era sprofondato in quell'oceano, annaspando, emergendo di tanto in tanto, ma inevitabilmente impuro. E quell'impurità, quella sporcizia, impastava la bocca, le dita e le gambe, trascinandolo a fondo. Non v'era speranza, per quanto anelasse al Cielo, alla Luce. Per quanto, disperatamente, cercasse di agitarsi nel suo profondo: era tardi; le sue ali, in procinto di nascere, erano ormai troppo pesanti, per muoversi.
Horus sbatté le palpebre un paio di volte, continuando a fissare immobile il proprio palmo. Nella testa, v'era soltanto spazio per quel mantra. Non aveva scelta. Tutto ciò che v'era intorno, persino la stessa Camille, avevano perso consistenza, quasi fossero figurine bidimensionali appiccicate alla bell'e meglio in una scenografia di bassa categoria. Il ragazzo non seppe per quanto tempo rimase così, rannicchiato e in stato di trance, continuando a ripetersi che non aveva altra scelta.
Neanche il gabbiano, ne aveva, del resto, quando si era tuffato nelle acque del mare inquinato: doveva cibarsi, o sarebbe morto.
Il tocco di Camille sul braccio non venne neanche percepito dal ragazzo, così come la sua voce. Era soltanto un eco e così si perdeva tra le urla della sua mente e della sua coscienza. Se non altro, anche l'odore del sangue e le grida dell'uomo —così come la soddisfazione provata in quel momento— erano anch'esse scomparse.

Ma fu quando la donna gli prese il viso tra le mani, costringendo il Tassorosso ad alzare lo sguardo verso di lei, che qualcosa in Horus si mosse. Ancora una volta i profondi occhi ametista si specchiarono nei suoi, ma fu più difficile afferrare ciò che ella gli diceva. Fu più complicato, semplicemente, aggrapparsi a lei, quando le mani scivolavano. Sarebbe sprofondato, troppo stanco per continuare a muoversi.

« Horus ... guarda me. » E la guardò. Ci provò sul serio. Le iridi si mossero vacue, cercando di mettere a fuoco quelle della donna, invano. Se avesse avuto la forza, avrebbe cercato di voltare il viso, di scappare da quelle mani fresche, da quello sguardo profondo: non voleva vedere, non voleva ascoltare. Invece, quasi fosse stato un desiderio primordiale a spingerlo a dispetto di tutte le paure, Horus rimase, rimase a guardarla, finché qualcosa non accadde. In principio le parole di Camille avevano iniziato ad esser percepite come il sottile tintinnio dell'acqua che comincia a scendere dal cielo. Una goccia dopo l'altra cadeva sulla superficie dell'acqua. Ma poi, quelle gocce avevano cominciato a scender giù con forza, dando vita ad un acquazzone. Non una pioggia violenta che ti costringe a rinchiuderti a casa, ma una pioggia che con la sua forza ti purifica, che ti spinge ad alzare il viso verso l'alto per goderne ogni piccola stilla. La stessa pioggia che dalle piume del gabbiano intrappolato e sul punto di soffocare, lava via il petrolio, disperdendolo lontano e permettendo al candore di riemergere nuovamente, alla vita di riprendere ciò che gli era appartenuto. Horus ascoltò le parole della donna, tornando a poco a poco alla realtà e spalancando gli occhi —e il cuore— ad una nuova verità.
« [...] Sono carne da macello. La tua vita invece è importante. Non c'è soddisfazione nell'uccidere qualcuno ma c'è soddisfazione nel constatare di essere ancora vivi. E c'è sollievo nell'apprendere che i corpi inerti che giacciono sull'erba del giardino non appartengono a gente che conosciamo. Hai fatto di tutto per sopravvivere, Horus, e sei sopravvissuto. Questo basta. A te stesso, a chi ti vuole bene. E a me. »
Fino a quel momento, non si era accorto neanche di aver avuto freddo, ma era impossibile, per il ragazzo, non accorgersi dell'improvviso calore che gli aveva appena irrorato il petto. Potevano sembrare parole banali, qualcosa che bisognava sapere già, eppure, ebbero un impatto enorme su di lui. Horus abbassò appena lo sguardo, sentendo nuovamente nelle orecchie i suoni e i rumori dell'ambiente, mentre dentro la sua testa non riecheggiavano più le urla della coscienza né quelle dell'uomo. Soltanto la voce di Camille con essa, una nuova consapevolezza semplice ma al contempo fino a quel momento difficile da afferrare.
Era vivo, dopotutto. Era salvo. E cosa c'era di male ad esserlo? Cosa c'era da biasimare se si voleva vivere a tutti costi, se si desiderava la vita, a discapito di chi cerca con ogni mezzo di togliertela? Era l'istinto di sopravvivenza, in fin dei conti, ad averlo spinto ad uccidere, non di certo la malvagità. E se aveva provato soddisfazione nell'udire l'uomo gridare allora Horus poteva finalmente giustificarsi, dire che quella che aveva provato non era altro che la soddisfazione di aver vinto contro la Morte personificata.

« Ce la fai ad alzarti? »
Il Tassino alzò gli occhi, guardando ancora una volta la donna che, in piedi, lo attendeva, offrendogli una mano. In realtà Camille lo aveva già aiutato a rialzarsi, solo che, probabilmente, non lo sapeva.
« ... Sì. » Mormorò con voce roca il ragazzo. Nonostante il tono fosse tutt'altro che alto, quella piccola sillaba risuonò come un boato nella sua mente. A fatica, poggiando i palmi a terra, Horus cercò di rialzarsi, concentrandosi ostinatamente per riuscire, questa volta, a farcela da solo. Era un uomo e, sebbene la Morte lo avesse sfiorato più volte, non doveva lasciarsi sopraffare né da se stesso, né dalla paura, né dai propri sentimenti. Non era solo, si disse e se ne sentì rincuorato.
A poco a poco, tremante, Horus si alzò; la testa girava e le gambe rischiarono di cedere più di una volta, ma il giovane riuscì a rimanere in equilibrio. Una volta in piedi, si mise diritto, respirando a pieni polmoni l'aria. Si trovavano ancora a Londra, in un quartiere non meglio definito e di certo l'ossigeno non era il massimo; eppure, penetrando nei polmoni del ragazzo, quell'aria sembrò straordinariamente buona, come se prima di allora Horus non avesse mai respirato. Una nuova vita, semplicemente.
Con cautela, il ragazzo prese la mano di Camille. che in precedenza lei gli aveva porto, e la strinse. Non disse nulla, non la guardò neanche, puntando le pallide iridi verso il cielo stellato e respirando piano; soltanto le sue dita, si mossero,serrando per qualche istante quelle di lei, appena inumidite dall'erba della sera.
Un ringraziamento, forse il più sincero che Horus avrebbe mai potuto fare in tutta la sua vita. Un "grazie" che, molto probabilmente, la voce e le parole non sarebbero riuscite mai ad esprimere come lui desiderava e che sperava che la donna cogliesse.
Horus, poi, lasciò andare, con delicatezza, la mano della donna, costringendosi a guardare lo scenario di fronte a sé: sull'erba del giardino giaceva il cadavere martoriato dell'uomo che per poco non lo aveva fatto fuori, mentre il secondo se ne stava rannicchiato in un angolo. Sulla strada, l'albero era ancora riverso a terra e, con molta probabilità, anche il corpo del terzo individuo giaceva sotto di esso. Sirius, probabilmente, era ancora nel mondo dei sogni. Pace all'anima sua.

« Chi... » La voce che fuoriuscì dalle labbra di Horus risuonò troppo debole e flebile nel silenzio notturno. Il ragazzo si schiarì la gola, per poi parlare nuovamente, voltandosi verso Camille. La testa pulsava in maniera atroce e la nausea per quel dolore era tornata ad attanagliarli lo stomaco, ma si costrinse a stringere i pugni e a resistere. Non solo la curiosità, ma il bisogno di capire cominciava a martellarlo più di qualsiasi fastidio fisico.
« Chi erano quelle persone, cosa volevano e perché ci hanno attaccati... tu lo sai, vero?» Horus non si avvide del cambio di persona che aveva appena usato per rivolgersi alla donna; concentrato a non cedere a quel dolore, nonostante il buio guardò intensamente il viso di Camille, illuminato dai vaghi riflessi dei lampioni. Ora che tutto era tornato così straordinariamente reale, ora che il cuore batteva nuovamente, forte, nel suo petto e la paura era scivolata in un piccolo anfratto della sua coscienza, —presente certo, ma ben nascosta—, voleva sapere la Verità. Voleva capire, nuovamente e riprendere in mano ciò che gli era sfuggito.
Il gabbiano poteva ancora volare, in fin dei conti; il petrolio era stato lavato via dalle sue ali, sebbene qualche piccola macchia scura sarebbe rimasta. per sempre nascosta fra il candore delle sue piume.

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«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. »

 
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view post Posted on 1/12/2014, 23:09
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Provò una sensazione strana quando lo sguardo di Horus riuscì finalmente ad inquadrarla.
Un attimo prima avrebbe dato qualsiasi cosa per riuscire a carpire almeno uno dei suoi pensieri e un attimo dopo la consapevolezza di sapere con esattezza quello che frullava nella sua testa dissolse il miasma nebuloso generato dall'incertezza. E il guizzo nei suoi occhi - prima vacui e temibili - annunciò il ritorno alla vita di un giovane uomo rimasto pericolosamente sull'orlo dell'abisso.
Horus aveva combattuto la battaglia di Hogwarts ed aveva combattuto anche dopo, con lei. La morte non era più qualcosa di effimero per lui, l'aveva vista, l'aveva sfiorata e l'aveva vinta. Ma scagliare incanti mortali contro Golem era ben diverso che colpire una persona in carne e ossa con l'evidente intento di ucciderla, anche per conseguire uno scopo nobile come la propria salvezza.
Solo lui poteva risolvere il conflitto interiore che gli impediva di comunicare con il mondo esterno ma lei avrebbe detto e fatto di tutto per agguantarlo e costringerlo a riemergere dalle acque scure dell'indifferenza. Un'indifferenza che lo avrebbe definitivamente annichilito.
Invece, Horus la guardò veramente. La guardò come si guarda qualcuno che esprime un pensiero sensato e la percezione di quello che si andava sviluppando dietro quello sguardo le rinvigorì lo spirito. Non dare tregua a quel virgulto divenne una priorità, allungò una mano invitandolo ad alzarsi dall'erba macchiata, lasciare la posizione che aveva scatenato il conflitto interiore per rinascere con una nuova consapevolezza.
L'esperienza, anche la prima, l'inaspettata, tempra, ci si scopre più forti, consci che dopo "quello" niente potrà più massacrarci.
Se anche le fosse rimasto un dubbio, la breve stretta che lui le donò appena prima di lasciarle la mano, sortì l'effetto di una lieve refola di vento che, con il suo dolce spirare, rischiara il cielo e rinfresca l'aria. Un semplice gesto di cui lei percepì il prezioso significato.
In quel preciso momento si rese conto di non essere più la sola anima limpida in mezzo a quel giardino crivellato di colpi.
Respirò a pieni polmoni, si era liberata del mantello per superare la siepe di alloro e il freddo della notte cominciò a farsi sentire. Portò le braccia al petto nel tentativo di scaldarsi ma si rese conto che era un modo come un altro per posticipare la chiarificazione che Horus avrebbe, di certo, preteso.
E il giovane Caposcuola non tardò a porla di fronte ad una scelta, sotto il suo sguardo intenso si sentì dannatamente a disagio, poichè sapeva che non sarebbe stata in grado di offrire una spiegazione degna di tale nome, la verità rimaneva imbrigliata in obblighi di custodia e doveri di protezione verso i suoi ragazzi che non poteva e non voleva disattendere.
Non riuscì a sostenerlo quello sguardo indagatore e quando annuì si rivolse alla parete candida della villetta.


"Si"

Rispose semplicemente.
Tuttavia un trillo di allarme risuonò e lei, quasi intimorita che anche lui potesse averne udito l'eco, si portò le mani al volto strusciando i palmi contro la fronte corrugata, gli occhi chiusi in segno di profonda stanchezza.


"Anche se non è facile da spiegare"

Non era facile spiegarlo a lui. Perchè le aveva chiesto chi fossero quelle persone? Era impossibile che Horus non sapesse, che non avesse collegato. Anche se non si fosse mai trovato di fronte a un mangiamorte, la "fama" di Voldemort avrebbe sempre avuto il vantaggio di insinuarsi in ogni anfratto, di superare i muri, le pareti, anche le menti più rigide, di proliferare attraverso un tam tam che si sviluppava a macchia d'olio, covando il tarlo della paura fino ad innalzarlo a terrore o esaltazione. Era la sua forza.
Lentamente riaprì gli occhi, non sapeva bene come appagare il bisogno di verità di Horus ma di certo non poteva parlare con quell'idiota seduto sull'erba.
Si protese lentamente verso il Caposcuola poggiando la mano sul suo braccio, le dita si strinsero appena e con una delicata pressione lo tirò, invitandolo a seguirla mentre arretrava per raggiungere un angolo del prato abbastanza lontano da poter spiegare senza essere udita e abbastanza buio da nascondere, qualora necessario, la verità del suo sguardo.


"Ieri ho chiesto a Sirius e Trhesy se potevano svolgere una commissione per mio conto"

Parlò piano, un sussurro che si perse subito nella brezza notturna.

"Un incarico che sapevo non essere semplice ma che speravo lo fosse. Si trattava di recuperare qualcosa dal proprietario di una di queste villette. Qualcosa che Voldemort non voleva finisse nelle mie mani, evidentemente"

Fino a lì niente di complicato. Scandì bene e con disprezzo quel nome così temuto, anche i muri sapevano su quale sponda si era seduto il Ministro.

"I tuoi compagni sono stati attaccati e a quel punto non si trattava più di portarmi quanto avevo chiesto ma anche e soprattutto di salvare le penne. Il proprietario della villetta è morto, è dovuta intervenire la squadra di obliviatori per evitare che un avvincente duello magico in un quartiere babbano facesse il giro del mondo, tuttavia non ho avuto notizie di Sirius e di Trhesy e tutt'ora non so che fine abbia fatto la Torre, per questo sono corsa qui. Spero stia dormendo beatamente nel suo letto. Di certo sarà più comodo del marciapiede dove ho appena rimboccato le coperte a White"

Sospirò rassegnata, neanche il sarcasmo riusciva a sortire effetti, il senso di colpa la stava rodendo come un tarlo.

*Prima delle fine qualcuno non tornerà a casa Camille. Cosa farai allora? Il bene che tu reputi superiore vale davvero il sacrificio dei tuoi studenti? Sono solo ragazzi ...*

Già. Ragazzi coraggiosi ma inconsapevoli, li stava usando per compiere la sua personale vendetta, era un mostro.

"E' colpa mia, me ne rendo conto e mi dispiace, mi dispiace davvero Horus. Se ti fosse accaduto qualcosa non sarei mai riuscita a perdonarmelo ..."

NO. Non era il momento di cedere all'autocommiserazione, lo avrebbe fatto dopo, in solitudine. Si sarebbe guardata allo specchio sputandoci contro. Era il Ministro, una docente, un adulto, non poteva mostrare la sua fragilità di fronte ad uno studente che aveva appena avuto un incontro ravvicinato con la morte e che appariva ancora più fragile e bisognoso di rassicurazioni.
Abbassò lo sguardo ma lo rialzò subito, gli occhi ametista brillarono di determinazione e la lieve incrinazione della voce - che pregò non fosse stata colta - non si ripropose quando parlò di nuovo


" ... ma non possiedo arti divinatorie, non posso prevedere tutto. Non posso prevedere che Sirius White decida di contravvenire alle regole che lui stesso si impegna a far rispettare per tornare qui, dopo tutto quello che è successo oggi, portandosi dietro l'ignaro Caposcuola Sekhmeth per farsi un bicchierino di whisky. Senza contare che qui servono un whisky di pessima annata"

Tacque, quasi senza fiato. Sentiva le guance bruciare. Ma non avrebbe perso di nuovo l'equilibrio, la strada intrapresa - quella del "dividiamoci tutti la colpa, stringiamoci forte e vogliamoci tanto bene" - era una scusa fenomenale per alleggerire la coscienza. E in quel preciso momento aveva bisogno di restare lucida.
Chi erano? Aveva risposto
Cosa volevano? Aveva risposto
Perchè ci hanno attaccati? Anche qui aveva risposto.
Rimase immobile, a fissarlo, chiedendosi quanto oltre avrebbe dovuto spingersi. Per la prima volta si sentiva profondamente combattuta e temeva per lui. Voldemort aveva perso tre dei suoi in un sol colpo e per mano di un ragazzo che non sapeva neanche l'importanza - o il peso - di quello che aveva fatto.
Si, temeva seriamente per lui ed era consapevole di avere, davanti, una strada sola da percorrere, una sola decisione da prendere per proteggerlo. Il problema era che non dipendeva solo da lei.

 
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view post Posted on 20/12/2014, 17:33
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Horus R. Sekhmeth

~
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Inquadrare Camille Pompadour, Ministro della Magia, era assai arduo. Dietro l'aspetto di giovane donna, oltre i profondi occhi ametista, c'era la persona più influente di tutto il Mondo Magico Inglese e non solo. Cosa si provava a dover tenere le redini di un Paese e di un'intera comunità che ogni giorno rischiava di mostrarsi ai Babbani? Cosa rendeva una donna, una creatura tendenzialmente considerata "debole" dall'immaginario popolare nonché comune, più forte in realtà di tanti e tanti altri uomini?
Horus se lo chiese, mentre lei parlava, spiegava (forse più di quanto lui stesso si fosse aspettato) ed infine, per un attimo, quella maschera di donna forte, di Ministro incorruttibile, di professoressa severa e capace, veniva spezzata, lasciando intravedere, attraverso quella piccola frase, quella voce stonata, una fragilità che avvolgeva il corpo di lei come un impalpabile mantello. Il ragazzo provò il forte istinto di tranquillizzarla, di dire banalità: "Non ci succederà niente di tutto questo", poteva confortarla. Ma a che scopo? Non lo pensava minimamente, men che meno con tutto quello che era accaduto loro negli ultimi anni, e lei non ci sarebbe mai cascata. Horus tacque, mordendosi l'interno della guancia, mentre Camille riprendeva al volo la maschera in procinto di cadere, tornando quella donna forte che
doveva essere. In tutto ciò, il mal di testa che aveva stretto il cranio del giovane in una morsa, andò ad intensificarsi, via via sempre più forte, la nausea che premeva sulla gola, il cuore martellante.
Stranamente, benché la vicenda fosse stata ormai raccontata, fu mentre Camille parlava di Sirius, che accadde.

La testa di Horus sembrò spaccarsi in due, il cervello sembrava schiacciato da ogni lato e la nausea si fece così forte che il giovane dovette premersi la mano sulle labbra, chiudendo gli occhi e respirando dal naso. Poteva quasi udire l'organo premere contro le ossa, cercando di fuggire, trovare riparo e pace. E mentre il raziocinio pregava per un po' di pace, la Voce rimbombò.


"Perdonami... perdonami bambino mio, è per il tuo bene, non puoi andartene anche tu, non puoi..."

Il viso di Ainsel, rigato dalle lacrime, mentre, inginocchiata sul tappeto del salotto stringeva Horus a sé, fece la sua comparsa oltre il buio delle palpebre. In mano, la bacchetta di Noce Nero; una formula sussurrata e la nebbia prendeva il sopravvento.

La fitta, questa volta, fu così forte che Horus fu costretto a dare le spalle a Camille per non mostrarle la smorfia di sofferenza che si era inevitabilmente dipinta sul suo viso. La voce di sua madre continuava a riecheggiare, mentre il Caposcuola cercava con tutte le sue forze di domare il dolore. Tuttavia, non riuscì a parlare; anche solo il pensiero di aprire la bocca per articolare una frase gli stringeva le viscere.

« Mh. » Riuscì a mugugnare, sperando che Camille lo cogliesse come un cenno d'assenso e di riflessione.
C'era qualcosa che sfuggiva in quel dolore: non era la prima volta che quella misteriosa emicrania si presentava violenta come in quel momento e ogni volta veniva scaturita da qualcosa, come una miccia che viene accesa ogni qualvolta ci sia una scintilla. Ma cosa? Horus strinse gli occhi ancora chiusi, cercando di afferrare le voci che aveva udito, ripercorrendo il Passato che, con forza, sfondava le difese e le barriere che la sua mente aveva eretto.


"Non puoi andare!" Urlava sua madre. Suo padre era in piedi, oltre l'uscio dietro il quale il piccolo Horus era nascosto. Non riusciva a vederlo in faccia, poiché l'uomo era di spalle, ma il viso di sua madre... quello sì che poteva vederlo. Non l'aveva mai vista così spaventata: le ombre che la luce delle candele lanciavano sul suo pallido volto le conferivano un'aria spettrale, come una banshee persa tra le acque delle sue stesse paludi. Stringeva la manica della camicia di Osiris, guardandolo supplichevole; grosse lacrime erano incastrate fra le lunghe ciglia rosse, trattenute, facendo brillare i suoi occhi blu come zaffiro liquido.
"Devo. Devo farlo per noi, capisci? Voldemort sa." Aveva detto suo padre, con voce accorata, ma decisa.
"Non pronunciare quel nome! Non puoi lasciarci, Osiris! Horus è piccolo, ha bisogno di te! Io ho bisogno di te..." Il tono di Ainsel si era ridotto ad un sussurro, un singhiozzo l'aveva costretta a terminare la frase.
"Ainsel, i Mangiamorte possono già essere sulle mie tracce! Devo andare lì e scoprire tutto ciò che devo, prima di Tu-Sai-Chi." Infine, suo padre si era voltato. Il bambino che fu Horus l'aveva guardato, le guance rosse per la corsa sulle scale che aveva fatto non appena aveva sentito che suo padre era tornato, salvo poi nascondersi quando aveva udito gli strani toni di voce che i suoi genitori avevano assunto, convinti di esser soli. E quando il suo sguardo avevano incrociato quello di Osiris, vide la Paura. Gli occhi solitamente limpidi di suo padre, ora erano velati da un qualcosa che un fanciullo poteva identificare solo come paura. Ma... per quel discorso o per la scoperta del figlio nascosto oltre l'arco di legno che separava l'atrio dal salone? Horus, troppo piccolo, troppo ingenuo, non avrebbe mai potuto dirlo.
"No, no! Non puoi, no---HORUS CHE COSA CI FAI QUI!"

La voce di sua madre squarciò in due la testa del ragazzo che questa volta altro non poté fare che cercare un appoggio in un alberello del giardino. Con tutto il suo peso, Horus si accasciò contro il tronco, cercando di rimanere in piedi, di nuovo dimentico della presenza di Camille e del *Mangiamorte...*
Come i tasselli di un enorme, gigantesco puzzle, i cui pezzi erano stati sparsi da un forte vento, tutto infine tornò al suo posto. Con incredibile facilità Horus aveva ricordato la conversazione di quella sera di tanti anni fa, poco prima della scomparsa di suo padre. Ricordò come sua madre, ogni tanto, non gli permettesse di leggere la Gazzetta del Profeta, nascondendola alla sua vista e alle sue richieste; ricordò il dolore alle tempie quando leggeva i libri di Storia Magica Contemporanea; ricordò ancora le fitte alla testa e l'annebbiamento della vista, quando udiva qualcuno bisbigliare sommessamente qualcosa a qualcun altro a proposito delle morti e delle stragi dei seguaci di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, le teorie sul Signore Oscuro che veleggiavano, quando ancora il Dio Fasullo non si era palesato. E ricordò quel giorno del suo ritorno ad Hogwarts, dopo la Battaglia d'Ottobre, quando Patrick l'aveva trascinato in uno stanzino dei sotterranei, blaterando di ideali e di difese, di una sorta di "entità" che si occupava di contrastare Voldemort e i suoi seguaci. Era tutto così chiaro, se solo fosse riuscito ad afferrarlo prima, se solo quel blocco non gliel'avesse impedito, cancellando ogni ricordo in proposito.
*Madre...*
A poco a poco, il dolore si affievolì, liberando dalla nebbia di sofferenza i sensi di Horus. Con mano tremante, il giovane si passò le dita fredde sugli occhi bollenti, sulla voglia rossa come il fuoco che bruciava come irrorata da capillari di magma.
« Credo... » Esordì, a fatica, ma lucido. « Che mia madre abbia posto su di me... un... sigillo, un incantesimo. »
Horus riaprì gli occhi verso Camille. La luce fioca dei lampioni era debole e illuminava tutt'intorno in modo flebile, eppure feriva le iridi chiare del ragazzo come piccoli pugnali appuntiti. Sebbene quel dolore non fosse durato più di cinque minuti, quando la sua voce spezzò il silenzio, ad Horus sembrò passata un'eternità. Quanto diamine sarebbe durata, ancora, quella notte?
« Mio padre scomparve undici anni fa, in Egitto durante una sua spedizione. Nessuno seppe perché e ben presto sia voi del Ministero Inglese, sia quello Egiziano, interruppero le ricerche. Ora so per certo che i Mangiamorte e... Voldemort... » Pronunciare il nome che gli fu proibito per undici lunghi anni, gli procurò una strana sensazione: Libertà, forse, di cominciare ad intraprendere il volo sul sentiero di una Verità a lungo nascosta e celata; Speranza, nonostante quell'uomo non portasse che morte, nel fiutare la traccia che per la prima volta gli permetteva di comprendere dove Osiris fosse finito. Timore, nel sapere che questa volta il nemico era più reale ed incombente che mai e che nonostante ci fossero altri a contrastarlo, in un certo senso quella battaglia in particolare era soltanto sua. « ... c'entrino qualcosa con la sua scomparsa, per via di una sua scoperta. Ho un buco di undici anni, Camille. Un buco in cui le gesta di questi sporchi criminali avranno sicuramente dominato nel Mondo Magico, mentre io me ne stavo nella bambagia che mia madre ha voluto crearmi attorno, affinché io non cercassi mio padre, non combattessi contro di loro, nella speranza che io non mi ci imbattessi mai. Una protezione che per poco non mi ha fatto fuori, questa sera, con la stessa imprudenza. » Horus tacque, improvvisamente. Si rese conto di una terribile stanchezza che gli stava ammorbando le membra e la mente, ma la scacciò, battendo più volte le palpebre e serrando la mascella, deciso. C'era tempo, per sentirsi stanchi, si rimbrottò; c'era tempo anche per sprofondare nel letto, ringraziando di averne ancora uno, e pregare per un sonno senza sogni. Ma non era quello il momento.
« Ora » Continuò a guardare la donna, quasi con ostinazione, come se abbandonare i suoi occhi avrebbe significato perdersi di nuovo nel marasma di quella notte. « Non voglio dimenticare, non di nuovo. Non ora che le cose cominciano ad essere chiare. Non voglio farlo, non voglio dimenticare ancora contro chi devo combattere. Perché è questo che devo... no, che voglio fare. » *Per mio padre, per mia madre... ma anche per me stesso. Per ciò che mi è stato tolto.*
Horus sospirò, alzando gli occhi al cielo.
« La lotta fra oscurità e luce è un classico. Quello che voglio fare, non è niente di nuovo. »
Un cielo cupo, senza stelle.

«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. »

 
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