~ ~ Ritorno a Dulwich, Privata

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view post Posted on 2/1/2015, 16:47
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Anche se l'oscurità della notte si trovava ovunque, intorno a loro, anche se aveva volutamente abbandonato la porzione del giardino rischiarata dalla luce esterna della villetta per raggiungere lidi meno "scoperti", non potè ignorare l'espressione di Horus mentre lo ragguagliava, vagamente, sull'antefatto.
Il ragazzo parve sul punto di perdere nuovamente coscienza di sè e del contorno, chiuse gli occhi, si irrigidì, arrivò anche a voltarsi, come spinto da una forza mentale troppo forte, impossibile da contrastare.
Qualcosa di inaspettato l'aveva colto, generato da una frase o una parola da lei pronunciata, forse un nome. Ripercorse mentalmente i fatti ma la frenesia, mista al timore di vederlo nuovamente crollare da un momento all'altro, sortirono l'effetto opposto. Poteva fare due cose: aspettare pazientemente o penetrare a forza nella sua mente, valicando ciò che aveva di più intimo e rischiando di buttare alle ortiche quel poco di fiducia che era riuscita a guadagnarsi.
Era evidente che Horus, da quel giorno in avanti, andasse tutelato.
Era evidente che tutto quel casino non sarebbe stato accettato.
Tuttavia l'impressione di qualcosa di incompiuto la coglieva ogni qual volta lo incontrava al di fuori dell'aula di Pozioni.
Horus non era amichevole, non era socievole, non diceva mai niente di più di quello che andava detto, manteneva le distanze, tratteneva e non rilasciava.
Sarebbe stato un enorme problema.
O magari aveva solo bisogno di tempo.


*Nessuno può rimanere solo per sempre*

Che assurdità, certo che poteva. Il bisogno è diverso dal desiderio, avere bisogno di qualcuno non significa desiderarne anche la presenza. E' utile ma non dilettevole. Si può essere soli pur circondati da mille persone se non si concede niente di noi.
Scattò in avanti, meccanicamente, vedendo il Tassorosso accasciarsi contro il fusto di un alberello, il peso lo piegò come una canna di bambù frustata da folate di vento, la similitudine non le parve così calzante come in quel momento, la debolezza nulla poteva contro la forza prorompente della consapevolezza. Eppure non lo toccò, non lo aiutò, non si intromise. Rimase ad osservarlo senza intervenire, conscia del suo ruolo di "corpo estraneo", di figura marginale che nulla c'entrava e nulla poteva fare per porre fine a quello sfinente duello interiore.
Congiunse le mani stringendole l'una all'altra per generare un minimo di calore, si sentiva intorpidita ma sapeva che la notte sarebbe stata lunga e difficile, avrebbe dovuto lasciare Sirius al San Mungo per precauzione, trascinare l'idiota al Quartier Generale e ripulire tutto prima che il proprietario della villetta, l'indomani, si trovasse ad inciampare su un cadavere appena messo il naso fuori della porta.
Mentre elaborava mentalmente la sua scala di priorità Horus le si rivolse pronunciando una frase inafferrabile.
Lo guardò confusa, se le avesse detto di saltare la siepe a cavallo di un doxy le sarebbe parsa una richiesta meno strana, decise cautamente di non parlare ma si limitò a fissarlo.
E si rese conto che il giovane Caposcuola, durante il duro scontro, non aveva avuto il minimo sentore della motivazione dei suoi avversari, impersonando il ruolo di inconsapevole vittima dell'amore viscerale di una madre ossessionata dall'abbandono. Quanti dannati anni aveva? Diciassette? Diciotto?
Per qualche secondo rimase a tormentarsi le mani, l'assurdità di quella giustificazione, dello sguardo bisognoso di conferme, dei sospiri rassegnati e di tutto lo stramaledetto contesto rischiarono seriamente di farle perdere la calma. Si sentiva sospesa in un limbo, volteggiava fra mille punti interrogativi, il desiderio di tendere la mano si sovrapponeva a quello, altrettanto forte, di ritrarla definitivamente. Eppure, per quanto si sforzasse, non riusciva a biasimare quella donna perchè, fondamentalmente, poteva comprendere che cosa volesse dire vivere nella disperazione, nell'inquietudine, nella paura di perdere l'ultimo pezzo della propria anima.
Dischiuse le labbra rendendosi conto che non sarebbe riuscita a violare il suo essere.


"Fantastico! Dopo aver pesticciato il corpo di Sirius, dopo averti trovato vivo per miracolo, dopo aver constatato di essere circondata da cadaveri di ogni tipo e forma e tenendo conto dei milioni di babbani alle finestre ... "

Prese a contare con le dita.

".... la storia della mamma apprensiva mi mancava. Direi che non ci siamo fatti mancare niente"

Tacque respingendo l'istinto impetuoso di porre domande inadeguate, era evidente che Horus si fosse ricordato improvvisamente di un episodio del suo passato, forse per via degli eventi di quella sera o forse per colpa sua, per qualcosa che aveva detto lei. Aveva bisogno di tempo per capire, per diradare alcuni aspetti ancora fumosi, per dare un senso a quella scoperta e qualsiasi cosa lei avesse detto di getto, non sarebbe stata onesta.
Si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. Non avrebbe dovuto togliere freni alla lingua, la situazione era così paradossale che represse a stento una risata. Già un'altra volta gli aveva riso in faccia, in quell'occasione si trattava di circhi e camicioline della salute ma, cosa certa, prima della fine Horus Sekhmeth l'avrebbe fatta impazzire.
Doveva batterlo sul tempo.
Sospirò, scuotendo la testa.


"Vedi Horus ... "

Si affrettò ad aggiungere tornando ad inquadrarlo. Questa volta scelse le parole con molta cura.

" ... a volte ci arroghiamo il diritto di decidere anche per gli altri, nella convinzione che sia per il loro bene e non per il nostro. In realtà è l'egoismo che ci guida, la paura di soffrire. Cosa credi che sarebbe successo se tua madre non ti avesse consapevolmente protetto?"

Odiava i se e i ma, li avrebbe rinnegati anche in punto di morte perchè erano forieri di rimpianti e rimorsi, frutti passiti di scelte sbagliate.

"Te lo dico io. Avresti realizzato molto prima, saresti andato a cercarlo, probabilmente ti avrebbero ucciso e oggi non saremmo qui a godere di questa bella e affollata seratina dulwichiana"

Lo disse con tranquilla convinzione. La verità era che non sapeva chi diavolo avesse davanti. Dove era finito l'Horus refrattario? Perchè l'aveva inclusa in una scoperta di cui ancora non ne conosceva la portata? Perchè non glissare, facendo finta di essersi estraniato e piegato alla vista di un rarissimo quadrifoglio fra l'erba del giardino? Non ne aveva la più pallida idea ma ignorare quella inaspettata apertura sarebbe stato da stupidi.

"Non è la rabbia, non è la vendetta, non sono questi i sentimenti che dovranno sopraffarti da ora in avanti. Al contrario, servono determinazione, consapevolezza, coordinazione, capacità, raziocinio e tanto coraggio. Hai appena detto che le cose cominciano ad essere chiare ed è un bene"

Annuì, sorprendendosi per la facilità disarmante con la quale le parole le uscivano con un certo senso logico, si trattava di una conseguenza di quanto lui le aveva rivelato, niente di più.

"Ma non basta. E io dovrei dirti di lasciare perdere, dovrei dirti che sei confuso, che devi riflettere bene, che devi metabolizzare ciò che hai appreso stasera, che è dannatamente pericoloso e bla bla bla, tutte frasi clamorosamente banali ma doverosamente necessarie. Dopotutto il mio compito è quello di preservarti e consentirti di vivere il tuo futuro in base alle tue aspettative. Ma, visto che il problema è proprio quello di garantire la possibilità di un futuro libero, non lo farò. Per come siamo messi ora, è un miracolo che tu abbia potuto crogiolarti nella bambagia senza avere contatti con questa gentaglia, il Ministero e la stessa Hogwarts sono luoghi perfetti, posti dove i tirapiedi di Voldemort proliferano come tante formiche operaie: governo e recupero della plebe. Ti aiuterò se vorrai. Ti aiuterò a colmare le lacune e a fare chiarezza nel tuo passato. Ti aiuterò a comprendere ciò che ti sei perso in questi anni e non sarà piacevole ma devi fidarti di me. La lotta fra la luce e l'oscurità è un classico, è vero. Un classico che si ripropina e si ripete ma percorrere la strada per la prima volta consapevoli di voler mettere un piede avanti all'altro è un'assoluta novità"

Dopo tutto era davvero più di quanto avesse potuto sperare. Inconsapevolmente Horus le aveva fornito le risposte che cercava infondendole una fiducia che prima non aveva. Per la prima volta, guardandolo dritto negli occhi, non vedeva ombre. Si era lasciato andare, forse per necessità, forse per bisogno, forse per istinto. O forse non c'era una spiegazione e neanche era importante che ci fosse, sentiva di doverlo fare e basta.

"Non ti consentirò mai più di dimenticare se questo è il tuo desiderio. Ma voglio che tu sia consapevole che, da questa giornata, la tua vita ne uscirà profondamente cambiata. In meglio perchè hai appreso una nuova consapevolezza. In peggio perchè nella mente di Voldemort tutto questo casino dovrà avere un colpevole e non si darà pace fino a che non l'avrà trovato"

Si avvicinò a lui in modo da consentirgli di leggere con estrema chiarezza ciò che il suo sguardo voleva comunicargli. Preoccupazione innanzitutto. Ma anche condivisione e sicurezza.

"Devi permettermi di proteggerti"

 
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view post Posted on 19/1/2015, 01:35
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Horus R. Sekhmeth

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Horus si voltò lentamente, in direzione della donna, non appena le sue parole spezzarono il silenzio che, leggero, si era insinuato tra di loro scandendo i momenti di quella strana serata. Erano parole incredule, esasperate, stanche, ironiche e una miriade di altri aggettivi che Horus non poté (e non volle) carpire e analizzare fino in fondo, come avrebbe invece fatto in altre occasioni. "La storia della mamma apprensiva", così Camille aveva definito —con forse troppa enfasi e il tatto di un ippopotamo danzerino— il preambolo del racconto del ragazzo. Avrebbe dovuto offendersi? Sì, avrebbe dovuto. Invece, con tranquillità, Horus sorrise: un angolo della sua bocca si incurvò nella sua tipica espressione divertita. Camille aveva ragione, del resto. Fra tutte le cose che gli erano successe, non solo quella sera, ma da un po' di mesi a quella parte, il raggiungimento di quella verità e la consapevolezza dell'atteggiamento di sua madre erano un po' come la classica goccia che faceva traboccare il vaso. Eppure, nonostante tutto, nonostante anche lui si sentisse enormemente stanco ed esasperato, Horus si sentiva assai più leggero rispetto a quando quell'avventura era cominciata. La testa doleva, così come il corpo, ora che l'adrenalina era sparita, bruciava per i colpi presi, ma la mente no, quella correva, esplorava avida ogni singola frase di Camille, ogni probabile risvolto e piega che le cose avrebbero potuto prendere da quel momento. E lì, in quel giardino Babbano, sotto le vaghe stelle del quartiere di Dulwich, Horus si rese finalmente conto di quanto fosse vicino a prendere realmente le redini della propria vita nelle sue mani. Istintivamente, strinse entrambi i pugni, come se potesse sentirla lì, fra le dita, palpabile, reale in un'ordinata matassa fino a quel momento impicciata di nodi. Suo padre, i suoi timori, la sua stessa oscura forza cominciavano a trovare posto in un quadro, complicato certo, ma ora dai contorni più definiti. E quella nuova immagine di sé, più consapevole, cozzava, invece, con quella che Camille aveva ipotizzato per lui. Mentre lei parlava, citando rancore e vendetta, Horus si rese conto che non erano quelli i sentimenti che lo animavano, e se ne stupì. Provò a pensare a gli uomini di quella sera, all'inquietante Signore Oscuro che, come un grottesco burattinaio, buttava nel fango della Paura la popolazione magica; no, capì Horus, non provava quei sentimenti. Provava ribrezzo e disgusto per coloro che imbrattavano così le vite altrui e per averlo messo in mezzo, volenti o nolenti, nei loro cazzo di comodi. Tuttavia, il Tassorosso rimase in silenzio, non osando interrompere il discorso della donna che, dal canto suo, era animata dallo sguardo più intenso e convinto che le avesse mai visto. I suoi occhi, al di là dei fiochi lampioni, brillavano come animati di luce propria e il calore che emanavano gli infondevano davvero quel coraggio di cui lei parlava. Quando quella coltre di silenzio tornò a calare su di loro, quando Camille si avvicinò per osservarlo e per confermargli, tramite semplici gesti, ciò che gli aveva appena detto, Horus sorrise; un sorriso, questa volta, nascosto, celato dalle ombre che si dipingevano sul suo viso e generate dal gioco delle luci e del buio. Chinò appena il capo, sostenendosi con la mano destra al fragile fusto di quell'alberello: lo guardò per un istante, sfuggendo allo sguardo indagatore della donna, e si rese conto di sentirsi così. Non era la grossa quercia che avrebbe voluto essere, né era il fragile stelo di una pianta effimera a cui, invece, si era sempre immaginato di assomigliare. Era come un giunco che, morbido e flessuoso, si piegava alle tempeste senza mai spezzarsi, tornando sempre e comunque in piedi. *È pur sempre un inizio...*
« Beh... » Esordì; la sua voce risuonava eccessivamente roca, la gola era secca, ed il ragazzo se la schiarì leggermente. I suoi occhi tornarono a posarsi sul viso di Camille, senza spostarsi di un millimetro dalle sue iridi dannatamente familiari.
« In realtà no. Dubito seriamente che se avessi saputo tutto ciò fin dall'inizio, sarei andato a farmi ammazzare come un agnello al macello a casa di... Voldemort e compagnia bella. » Nuovamente, la sua bocca si incurvò in un sorriso sghembo; non era il tipo, si disse, semplicemente. « Non sono animato da sentimenti distruttivi quali rancore e vendetta, semplicemente perché non so se davvero mio padre sia o meno stato implicato nei loro sporchi affari. Non nascondo di essere amareggiato... per tutto questo » Allargò appena le braccia, in un segno eloquente« e anche solo per l'idea che mio padre possa essercisi imbattuto, quello sì e non voglio nasconderlo. Ma probabilmente, se avessi saputo prima di questa faccenda, avrei fatto esattamente ciò che il mio istinto mi ha comunque spinto a fare ogni volta che sentivo il nome del Signore Oscuro e dei suoi seguaci mormorati nei corridoi e... nei giardini. » Il ricordo della bionda Serpeverde amica di Sivra gli piombò nella testa, come se fosse sempre stato lì, naturale, pronto a uscire allo scoperto. « Avrei indagato, avrei cercato informazioni per comprendere realmente da che punto partire e come arrivare. L'unico problema è che ho sempre dimenticato tutto, nel giro di qualche... ora credo. » Horus si strinse nelle spalle, lasciando che un piccolo sospiro si animasse sulle sue labbra e si perdesse nell'aria. Parlarne gli faceva uno strano effetto: aveva sempre saputo certe cose, per quanto il sigillo di sua madre gliel'avesse tenute celate, e la naturalezza con cui uscivano ora dalla sua mente e passavano per la sua bocca lo inquietava. Sembrava tutto dannatamente... normale? Come se nulla fosse accaduto, come se nessun incanto lo avesse tenuto prigioniero di un distruttivo amore materno. « Ma effettivamente, sebbene ora io sia come... libero, so che non posso arrivare a certe informazioni da solo. È per questo, Camille, che ti ho confidato questa parte del mio passato. » Tacque, guardandola con ostinazione, resistendo alla tentazione di muovere ancora un passo a colmare la distanza che li separava. « Non voglio che tu compatisca mia madre e io stesso posso immaginare il motivo per cui abbia voluto proteggermi nella sua... sciocca follia di donna. Ma ho davvero bisogno del tuo aiuto per fare chiarezza. » *E mi scoccia, chiedere aiuto a qualcuno, anche se sei tu.* Ma questo, Horus, non lo disse. Si limitò a rimarcare ciò che la donna aveva già capito e che aveva già assicurato: non avrebbe dimenticato, avrebbe potuto far luce sulla scomparsa di suo padre, avrebbe persino avuto protezione... già. Ma chi l'avrebbe protetto? Camille in persona? Figuriamoci. Auror? Guardie? Altri stupidi idioti che l'avrebbero protetto come un infante? E soprattutto...
« A che prezzo? » Parole ruvide, quasi ostili se lui stesso non avesse deciso di ammorbidirle, muovendo un passo verso la donna, gli occhi limpidi e un tono forse troppo sincero. « Non so fino a a che punto quello che ho combinato stasera possa essere pericoloso per me, ma visto che mi hanno quasi ammazzato pur non sapendo nulla, posso solo immaginarlo e prenderne atto. Ma il tuo aiuto, così come tutto, deve avere un prezzo. Allora... » Le sue parole si persero nel leggero vento notturno che fece stormire le foglie degli alberi e dei cespugli. Da qualche parte, in lontananza, un cane abbaiava e delle macchine passavano sulla strada, vite straordinariamente distanti e per un attimo, ambite.
« ... Permettimi di essere la tua arma. » *Come suona... strano, stupido, idiota, cretino.* « Voglio dire. Non sono un Mago potente, mi limito ad essere uno studentello qualunque. Ma... dalla Battaglia di Ottobre mi è rimasto qualcosa, una specie di lascito della Runa di Aster e che per poco non mi ha divorato. E solo ora, grazie a te, ho capito come usarlo. » Si sarebbe pentito di quella confessione? Probabile. Ma era inutile mentire: probabilmente, anche Camille possedeva un residuo della Runa che l'aveva posseduta e con con altrettanta probabilità, vedendo il corpo dell'uomo martoriato, avrebbe compreso che un incantesimo non sarebbe riuscito a fare ciò che Hagalaz —ed Horus— avevano fatto. « Permettimi di essere al tuo fianco, di impiegarlo per uno scopo. » *Il mio* « Non voglio essere nascosto ancora nella bambagia, protetto dagli altri. Voglio imparare a proteggermi da solo, perché quello che è accaduto stanotte lo devo al mio Istinto, e ho avuto... fortuna. L'Istinto, senza la Ragione non è niente. È solo... divenire bestie. »

«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. »

 
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view post Posted on 29/1/2015, 23:31
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Era difficile.
Era sempre difficile lasciarsi convincere a donare fiducia a persone che non si credevano degne di meritare quella intima debolezza mentale.
Lo era ancora di più per lei, che si trovava sospesa fra inclusione e estromissione, dibattendosi per una decisione dettata dall'istinto che la riguardava solo in parte.
L'istinto senza la ragione la faceva assomigliare ad una bestia, come lui aveva detto?
No, dannazione. Il cervello, per quanto provato, si rifiutava di accettare una scelta così precipitosa, se avesse ragionato, se avesse riflettuto, se avesse valutato con maggiore ponderatezza, se avesse ceduto a una ventina d'ore di arzigogolate pippe mentali, probabilmente non avrebbe parlato a Horus in quei termini. Si sarebbe limitata ad accompagnarlo al Castello, dandogli qualche pacca sulla spalla, piantandosi una bella espressione grave e addolorata e mentendogli su tutta la linea.
Invece, più passavano i minuti e più si convinceva di aver fatto bene a seguire l'istinto. Anche a costo di ammettere - almeno a se stessa - di aver commesso un errore di valutazione. O magari non si era verificato alcun errore, semplicemente gli eventi della serata avevano portato entrambi a maturare nuove consapevolezze e a capire qualcosa di loro che non era stato ancora afferrato dall'altro.
Aveva usato parole dure, volute. Il suo intento non era stato quello di misurare la reazione di Horus quanto, piuttosto, il desiderio di non tralasciare gli aspetti più crudi di una realtà che era prepotentemente venuta alla ribalta, disintegrando un mondo ovattato e illusorio. Aveva senso mitigare il torbo dicendo a Horus che Voldemort era un tipetto pallido e po' vivace anzichè uno spietato assassino? E che quei mangiamorte buontemponi non volevano affatto cancellarlo dal mondo ma solo spaventarlo?
Tuttavia la risposta calma e l'espressione tranquilla - e stranamente divertita - del Tassorosso la spiazzarono. Non che si aspettasse fuoco e fiamme, già in altre occasioni, quella sera stessa, Horus aveva mostrato un sangue freddo non indifferente di fronte ai suoi scatti farciti di eccessivo cinismo. Era quella la briciola di dubbio che imperversava, la non reazione provocava il suo buon senso come una tenia.
Scrollò le spalle lasciando ai lunghi capelli un virgulto di ribellione.


"Non è la mia guerra. E' la tua guerra Horus. E la guerra di tanti ragazzi come te che rifiutano un mondo fatto di costrizioni, di oppressione e di scelte imposte. C'è un prezzo da pagare, hai ragione, ed è il rischio. Chi vive ai margini, chi si tappa le orecchie e chiude gli occhi, chi mente a se stesso e finge che tutto sia molto bello non corre alcun pericolo. Il rischio è l'esposizione. Il rischio è non temere di dire le cose come stanno, di scontrarsi con la realtà dei fatti, di stare davanti a tutti per difendere se stessi e le persone che si amano"

Non potè fare a meno di chiedersi se davvero doveva metterla sul piano degli ideali. Horus le aveva appena rivelato il motivo per cui si era lasciato andare ad inaspettate confessioni. Arrivare a certe informazioni.
E lei aveva la sua personale utilità nel renderlo partecipe dell'esistenza dell'ES e dell'Ordine.
Quid pro quo.
Forse lui poteva ancora maturare una coscienza pura, la sua giovane vita si trovava al punto di svolta. Lo osservò al chiaro di luna, rimuginò sulle sue parole accorate e le iridi ametista scrutarono con ancora maggiore attenzione i tratti del volto pallido, alla ricerca di qualcosa che potesse confermare la presenza della runa. Sapeva che molti reduci fra i suoi studenti portavano il segno indelebile di quei giorni, un marchio segreto e nascosto che, con il tempo, avevano imparato ad accettare. Un potere selvaggio che erano riusciti a domare e al quale si erano assuefatti a convivere. Li aveva visti uno per uno, accompagnati da un'aurea che li seguiva come un'ombra.


"Dove .... "

Dove era? L'aveva resa invisibile, come aveva fatto lei o aveva avuto la possibilità di celarla con minor sforzo? Un braccio? Una spalla? La tentazione di sapere fu difficile da controllare.

" ... non importa"

Abbassò lo sguardo sul prato.

"Quello è stato un altro prezzo da pagare. Se ne è valsa la pena non lo so dire, di certo ne siamo usciti cambiati. E forse anche più potenti. Come adesso"

Qualcosa fra i fili d'erba attirò la sua attenzione ma il bisogno di lasciarsi accarezzare dallo sguardo limpido del Tassorosso fu più impellente.
Sorrise. Lievemente. Sinceramente.


"Sei più forte Horus. Nonostante tutto hai mantenuto calma e sangue freddo, non so quanti, al posto tuo, si sarebbero comportati allo stesso modo. E' vero, mancano ancora svariati tasselli e mi adopererò per fornirteli. In un certo senso mi impegnerò affinchè tu possa arrivare ad essere l'arma di te stesso. La bacchetta non basta come non basta la potenza. Conoscere un avversario, sapere quali sono i suoi punti deboli e prepararsi strategicamente per colpirlo lì dove non ha protezioni. Questo rappresenta l'unico modo per sopraffarlo"

Tacque, consapevole di avere tantissime cose da dirgli. Con calma tutto sarebbe arrivato alla massima comprensione.

"Vorrei portarti in un posto. E vorrei che incontrassi delle persone. Magari domani o nei prossimi giorni. Ti renderai conto che siamo tanti. Siete tanti. In effetti mi sono accorta di possedere un fianco piuttosto ampio. Immagino che poi vorrai confrontarti con tua madre. O magari no, sapere le recherà solo inutili preoccupazioni"

La macchina inesauribile della praticità tornò a bussare, forando la coltre di spossatezza. Ma Horus non avrebbe certo avuto la forza di prendere appunti.

"Per il momento credo ... credo che sia tutto. Sei stanco, anche io lo sono e il Castello è lontano. L'unico che domattina si sveglierà bello riposato sta là, a pelle d'orso sul marciapiede"

Voltò la testa in direzione di Sirius, la sua sagoma era coperta dalla siepe.

"Lo lasceremo al San Mungo, per precauzione, legheremo quell'idiota laggiù e poi ti porterò a Hogwarts e tornerò a ripulire tutto con qualcuno del Ministero"

Sospirò, respingendo il miraggio del suo letto soffice e tornò a contemplare l'erba. Si chinò quasi a fatica e raccolse il piccolo oggetto di gomma individuato poc'anzi.

"Ho promesso che non ti avrei permesso di dimenticare"

Si rigirò la paperella fra le mani prima di porgerla ironicamente a Horus.

"Tieni. In ricordo di questa serata"

 
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view post Posted on 2/3/2015, 22:13
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Horus R. Sekhmeth

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La luna brillava alta nel cielo, appena offuscata da un velo di umidità. I lampioni del quartiere di Duwlich illuminavano fiocamente la strada, impedendo alle stelle di esser scorte con vividezza, facendo sembrare a prima vista il cielo buio, ad esclusione della grande luna. Nonostante tutte quelle luci fittizie e quella lunare, era chiaro a tutti che le stelle erano lì. Bastava spegnere qualche lampadina, coprire la luna e sarebbero apparse una dopo l'altra: milioni di astri sospesi nel tempo, talune morte da migliaia di anni, ma per secoli brillanti nella volta celeste della Terra. E sebbene a lungo andare , se ci si pensasse troppo a lungo, il pensiero sarebbe potuto sembrare malinconico in maniera quasi straziante, in un certo senso era confortante, saperle lì. Mentre Camille parlava, Horus aveva distolto, per un altro attimo, lo sguardo, volgendolo al cielo notturno; socchiuse appena le palpebre per ricercare quelle stelle che tanto amava, nascoste lì da qualche parte, offuscate dalla luce artificiale. Forse lo stava facendo perché era solo stanco di quegli eventi, stanco delle ferite del corpo, nonostante l'appagamento di una verità che piano piano veniva a galla dopo tanto, troppo tempo. Il Tassorosso abbassò nuovamente il viso, riportando la sua attenzione verso la donna, scuotendo leggermente il capo e trattenendo una smorfia di dolore a quel gesto, che gli procurò la sgradevole sensazione che il cervello volesse fiondarsi a volo d'angelo dalle orecchie.
« No, Camille. La Guerra è una. Ma sono le nostre battaglie che contribuiscono a formarla. La mia, quella di altri ragazzi, e anche la tua. Tutte le nostre battaglie non sono altro che facenti parte di un'enorme Guerra che si protrae da migliaia di anni nell'umanità, un'enorme oscurità. Nel nostro piccolo, ci sembrano battaglie gigantesche, immensamente difficili, ma non è niente in confronto a quanto grande è l'insieme. Tuttavia, l'importante è impegnarci per le nostre lotte, perché è vincendo battaglie che si mette in ginocchio una Guerra. » Si strinse nelle spalle, un po' per il freddo, un po' per quel pensiero che, forse con un po' troppo cinismo, era scivolato fuori dalle sue labbra. L'aveva affermato poco prima: non era altro che un'eterna Lotta fra Bene e Male, né più né meno. Ingigantirle, perdere di vista i propri obiettivi per un concetto più grande e astruso non era la scelta giusta, non la più saggia: era, anzi, la più sciocca. Rimase in silenzio, mentre Camille sembrava studiarlo, sentendo su di sé il suo sguardo. C'era stato un tempo in cui si sarebbe sentito imbarazzato da quelle iridi fisse sulla propria persona, ma in quel momento, quella sensazione sembrava lontana anni luce.
« Dove... non importa. »
Quella prima parola, pronunciata senza troppi freni venne poi brutalmente mozzata da un chiaro ripensamento, gli occhi che fuggivano i suoi, rifugiandosi a terra. Horus piegò la testa di lato, osservando la donna, senza capire cosa ella volesse intendere. Dove cosa?
Poi capì, quando lei alluse chiaramente alla Battaglia d'Ottobre. Istintivamente, Horus si portò la mano al petto, lì dove il cuore batteva, lì dove il Glifo di Hagalaz era stato come marcato a fuoco da quella maledizione. Ma non disse nulla. Quel gesto sarebbe potuto essere frainteso con facilità e il sorriso che lei gli aveva rivolto cancellò tutto il resto, rendendo inutile qualsiasi altra parola. Era lieve, appena accennato, ma comunicava una sincerità che scaldò Horus che, a sua volta, sembrò esserne contagiato, increspando le labbra in un sorriso di rimando, forse quel pizzico più imbarazzato per le accorate parole che lei gli aveva rivolto. E ancora una volta, la voce e le parole di Camille furono un balsamo per calmare lo spirito agitato del ragazzo, infondendo in lui quella linfa vitale di forza e coraggio di cui tanto si era sentito sprovvisto e povero. Avrebbe voluto ringraziarla a gran voce, farle capire quanto era stata fondamentale quella sera. Ed era buffo pensare che fosse stata proprio lei, con cui aveva a malapena disquisito, tempo addietro, di allegre camiciole, di strambi castori e circhi ruba-Armadi, a prendersi quel ruolo.

« Quando vuoi. » Fu infine la risposta del giovane, all'invito di lei di volerlo portare in un misterioso posto; nonostante la curiosità, con la stanchezza sempre più impellente, fu grato alla donna per aver deciso di rimandare la faccenda ad un altro giorno e tacque tutte le domande che stavano nascendo. Per un attimo, i ricordi nuovamente fluirono nella mente di Horus riportandolo a quel giorno, poco dopo il suo ritorno a scuola dalla Battaglia, dove aveva incontrato Swan che gli aveva accennato di un certo... gruppo che combatteva l'Oscuro Signore. Rimuginando sulle parole di Camille, Horus si chiese se non fosse finalmente arrivato il momento di scoprire a cosa si riferisse il Corvonero.
« Per il momento credo ... credo che sia tutto. Sei stanco, anche io lo sono e il Castello è lontano. L'unico che domattina si sveglierà bello riposato sta là, a pelle d'orso sul marciapiede. »
Horus sbuffò divertito, lasciando che il suo sguardo si posasse sulla figura di Sirius ancora spalmato a quattro di bastoni sulla pavimentazione. Che dire, la sua utilità era stata... *Davvero sconvolgente* « E lo invidio pure per starsene così beato sul marciapiede. » Aggiunse, infilandosi le mani nella tasca. A quel gesto, la bruciatura sul braccio sinistro gli lanciò una stilettata di dolore ed il ragazzo non poté frenare la smorfia che gli si dipinse sul volto. Immediatamente, come se fino a quel momento fosse stata frenata solo dal discorso fra i due, la stanchezza che provava gli caracollò addosso con tutta la sua pesantezza, facendolo sentire immensamente debole e assonnato. Il collo e la schiena ululavano di dolore ed il giovane alzò il capo in cerca di sollievo.
Sì, si disse, socchiudendo ancora le palpebre: poteva vederle le stelle.

« Ho promesso che non ti avrei permesso di dimenticare. » *Huh?*
Richiamato nuovamente dalla voce di Camille, Horus tornò a guardarla notando che la donna teneva fra le mani la paperella di gomma che aveva intravisto pochi istanti prima sulla piscinetta gonfiabile di quel giardino, momenti, ora, lontani come secoli.
« Tieni. In ricordo di questa serata. » E fu porgendogli quella piccola paperella all'apparenza insignificante, che Camille spazzò completamente via le ombre in Horus. Un gesto ironico, ma straordinariamente e paradossalmente reale. Il ragazzo ridacchiò, sentendo in quel riso sciogliersi tutta la tensione, sentendo il cuore battere fiero nel petto. Prendendo quella paperella fra le mani, rigirandola fra le dita, Horus capì che quella battaglia, almeno per quella sera, era finita con una sua vittoria.
*... And never forget the Duck of Dulwich*
Alzò un'ultima volta gli occhi al cielo, inquadrando la costellazione di Orione brillare limpida, nonostante la luce artificiale, nonostante le tenebre che la circondassero; e il suo sorriso si allargò.
« In principio, c'erano solo le tenebre... Sai? » Continuò rivolgendosi a Camille, ma con gli occhi fissi sulle stelle, mettendo al sicuro la paperella nella tasca. « Mi sembra che in un certo senso la luce stia cominciando la sua rivalsa. » Abbassò il viso, voltandosi per un attimo verso il Mangiamorte ferito che di lì a poco avrebbero legato, preso a calci nel deretano e trasferito ad Azkaban.
« Diamoci da fare, la notte non è lunga come sembra. »

Rqloyl9



«I'm not scared of dreams, when it's hard to survive the night. »

 
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view post Posted on 10/3/2015, 13:17
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Il Fato

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.... E dopo un arruolamento/quest durato più della Guerra dei cento anni, posso scrivere la parola FINE.
Hai affrontato lo scontro con i DE utilizzando incanti sensati, considerato il numero di avversari, hai fatto uso di espedienti arguti e degli elementi paesaggistici e è stato dato ampio risalto alle sensazioni e ai sentimenti di Horus. Inoltre, hai fatto buon utilizzo della runa in un momento, oggettivamente, senza apparente via di scampo (si lo so, sono sadico).
Guadagni 4 punti salute, 4 punti corpo, 5 punti mana e 3 punti exp. Oltre alla pellaccia ti porti a casa anche la paperella.
 
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