Icy Moon, Paul e Arya

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Neor;
view post Posted on 4/4/2014, 19:34 by: Neor;
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Con una rapidità incalcolabile la visuale del ragazzo venne come barricata da un muro pulsante di muscoli e pelliccia, che lo privò per un breve attimo del candore lunare. Allo stesso, brusco modo non gli fu concesso il tempo di un sospiro, di lasciarsi andare a quella esitante sensazione di terrore che continuava a scalciare dentro il petto e in fondo alla gola, ché un fulmineo e doloroso colpo fisico lo travolse totalmente, sottraendogli per pochi istanti ogni contatto con la realtà.
Navigò nell’inconsistenza con il cuore in gola e la mente completamente vacante, per poi riatterrare malamente su quella scomoda terra e non sentirne affatto sollievo. Il dolore fisico che la botta gli aveva inflitto passò quasi in secondo luogo, pervaso e reso incorporeo dall’adrenalina prorotta durante il volo. Ma lo stesso non poteva dirsi della violenta ondata di dubbi, domande e constatazioni che si infranse prontamente sulle pareti già deboli della sua mente. Cosa significava tutto ciò? Perché quella situazione, che ostentava tutte le caratteristiche teatrali dei sogni, continuava ad evolvere prendendo pieghe imprevedibili e oscenamente realistiche?
La sua ragione, troppo disabituata ad affrontare circostanze spiacevoli che non si svelassero all’interno della sua testa, faticava ad ammettere quanto accadeva, più di quanto la sua immaginazione non ne fosse ormai avvezza. Ed era forse proprio quella la radice madre del suo più grande problema. Per tutto quel tempo, la realtà, il pensiero cosciente, era stata soffocata dai suoi conflitti interiori, vista di sfuggita dai profondi tunnel onirici nei quali veniva costantemente assorbito.
Eppure ciò non poteva giustificare quel che stava lasciando accadere, non lo avrebbe accettato quale segno di arrendevolezza. Persino nei sogni non aveva mai smesso di combattere, per difendersi, per prevalere. Doveva soltanto permettere alla fiamma del suo istinto, che bruciava di passione quand’era necessario preservare se stesso, di riaccendersi all’istante.
Si scrollò di dosso i postumi del trauma, issandosi sulle ginocchia e recuperando mentalmente il filo logico della situazione. Con le dita strette febbrilmente attorno alla bacchetta, tirando sospiri affannati ma silenziosi, ritornò con gli occhi al punto da cui era stato bruscamente allontanato… E si scoprì sorpreso a constatare che quell’atmosfera di frenetica immobilità, che pensava di aver ormai dissolto, persisteva ancora. La creatura si era ricomposta nella posa in cui gli era inizialmente apparsa, lo stesso crudo ringhio rivolto all’unica pedina rimasta in piedi. Aggrottò la fronte, prima di scorgere la bacchetta che la ragazzina stringeva saldamente in mano, escludendo automaticamente l’ipotesi che non fosse stata aggredita perché non vista come una potenziale minaccia.
Una punta di sollievo, per quanto inopportuna, gli illuminò gli occhi, donata da quell’imprevisto indizio sull’identità della sua compagna. Ebbene ora sentiva di essere in grado di liberarsi di quel filtro fantastico che falsava i suoi pensieri, e di inquadrare la situazione con la giusta dose di logica e ragionevolezza. Tenendo a freno l’irruenza, consapevole di poter in qualsiasi momento sconfinare oltre l’orlo della disperazione, collocò il loro nemico al posto che gli spettava. Un licantropo, era quella la definizione che aleggiava con insistenza lungo ogni angolo della sua mente, insieme a tutte le informazioni che le sue conoscenze – meramente teoriche – gli permettevano di attribuirle.
Più di ognuna di esse, a riempirlo di una sorta di timore era l’anomala curiosità che accompagnava quella consapevolezza. Era come se la minaccia fosse avvolta da un’aura di malizioso mistero, che esercitava sul ragazzo meno preoccupazione di quanto voleva la logica. Serrò le palpebre per allontanare in via definitiva – sperava – quella sensazione, e le riaprì sul suo bersaglio, incorniciato ora da contorni ben definiti. Se attaccarlo direttamente era una mossa destinata a fallire, avrebbe tentato di penetrare di nascosto le sue barriere e afferrarlo dall’interno. Levò il braccio in direzione della creatura, e puntò la bacchetta sulla zolla d’erba su cui si ergevano le sue zampe. Inspirò e si lasciò inebriare dall’odore aspro della terra, cercando un contatto con colei che stava per chiamare in soccorso. Il polso si mosse in circolo, compiendo un cerchio orario che racchiuse idealmente lo spiazzo verde sotto la mole del lupo, e senza interrompere la fluidità del movimento, protrasse il disegno verso l’alto. *Repsi Genìtum.*
Una linea verticale non più alta di un metro e mezzo, compiuta con la ferrea volontà necessaria ad estirpare il frutto del suo incantesimo dal ventre ruvido della terra, e ad accompagnarne la crescita. La bacchetta deviò decisa verso le zampe dell’animale, sferzando l’aria con una serie di intrichi che riprodussero il disegno vividamente definito nella sua mente. Una rete di robuste radici che avvolgessero gli arti della creatura, abbastanza resistenti da prevalere sulla sua forza sovrumana.
Completò il disegno infondendo fino all’ultima stilla della sua volontà, per quella mossa che, sperava, gli avrebbe restituito le redini della situazione.
 
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