Ali Oscure, Oscure Parole., Quest Privata.

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view post Posted on 27/10/2014, 19:10
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Il Fato

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Le guance di Cristopher si tinsero di un'accesa sfumatura sanguigna mentre la vergogna e la colpa si alternavano sul suo viso scavalcandosi in un instabile e ingeneroso conflitto. - Io non ci credo di certo! - Si affrettò a chiarire la sua posizione, quasi temesse di deludere ulteriormente le aspettative della donna. L'entusiasmo scivolava via dalla sua voce man mano che si rendeva conto che nonostante il suo impegno doveva aver fatto un'impressione ben misera su di lei, lei che aveva così chiaramente detto di averlo reputato un uomo nel momento stesso in cui lui aveva ormai deluso la sua stima ammettendo una paura puerile. L'ansia di recuperare era così evidente nell'affanno del suo respiro da stringere il cuore. O forse si trattava soltanto della fatica di mantenere il passo: non era passato molto tempo dall'ultimo fortuito incontro quando Cristopher prese improvvisamente la decisione di abbandonare il sentiero per inoltrarsi in un'anonima macchia d'alberi a destra dello stesso, rinunciando alla sicurezza che fino a quel momento quella striscia gialla aveva offerto loro. Lasciare dietro di sé la terra battuta era un po' come abbandonare qualcosa di familiare, qualcosa di caro: regalava un senso di non ritorno. - Io... io non credo a queste storie, lo giuro... ve lo giuro signorina. Ma... ecco... da quando la povera Isobel è tornata al villaggio in quello stato... Insomma, era soltanto andata a raccogliere delle erbe, lo faceva sempre, nessuno conosceva la foresta meglio di lei... - L'imbarazzo affiorava sulla sua pelle immacolata in minuscoli tremiti nervosi. Forse sapeva che non avrebbe dovuto parlarne, erano affari del villaggio. Ma Jonathan aveva lasciato una così cattiva impressione, doveva rimediare... oppure no? Cosa avrebbe voluto il nonno? - Ricordo che mi raccontava come talvolta si spingesse fino alle terre dei Gordon - Questo forse poteva essere un terreno neutro. La signorina non era forse diretta là? Era l'argomento di conversazione adatto alla situazione, sua madre non gli aveva giust'appunto insegnato come intrattenere gli ospiti? "Non dimenticare mai il motivo che li ha condotti da te" avrebbe detto..."viziali con qualche chiacchiera", avrebbe detto. Ma le dicerie più scomode non riguardavano forse proprio i Gordon? Come si sarebbero comportati la mamma e il nonno di fronte al dilemma? - Isobel diceva che lì crescevano piante come mai ne aveva viste nel resto del bosco, penso fosse invidiosa di come riuscissero a coltivarle ma ha sempre avuto un'indole troppo buona per esternare simili sentimenti, se mai li ha avuti. Forse non era neppure invidia, ma ammirazione... É sempre stata strana, Isobel, ma a me piaceva per questo. Gli altri dicevano che avrebbe fatto bene a smettere di vagare per i boschi, specie in certa compagnia, e che sarebbe stato tempo che si sistemasse. Ma io vedevo come i suoi occhi brillavano ogni volta che tornava dopo aver scoperto qualche nuova meraviglia, e aveva sempre delle more per me... - Il suono del passato sulle labbra di Cristopher pareva incredibilmente sbagliato. Il fiume delle parole scorreva come se non si trattasse più di compiacere un visitatore ma vi fosse un bisogno più profondo, più intimo. - Quel giorno, quando è tornata... non era più lei. Hanno provato a capire cosa fosse successo, il nonno non ha dormito per giorni, ma lei non faceva altro che parlare di quanto la foresta fosse pericolosa, di come dovessimo prendere le sue parole a monito per il futuro, di come nessuno avrebbe più dovuto allontanarsi tanto dalle case. Pregava che la lasciassero tornare alle sue occupazioni, giurava che fosse tutto a posto... ma la sua occupazione era sempre stata la raccolta di erbe, proprio nel bosco. Come poteva esserci una contraddizione così evidente tra quel che diceva e quel che voleva fare? Nessuno se lo spiegava, e lei sembrava così decisa a farsi ascoltare che il vecchio Raziel ci ha rimesso una falange dell'indice. Era... non so... confusa, ecco. E il suo sguardo era così vuoto da fare paura: ho pensato... mi sono chiesto dove fosse la sua anima. Nulla la smuoveva, nulla la interessava, tranne la foresta, che era la sua ossessione. Ci guardava come estranei invadenti e un po' tonti. E lei... era come una figlia per il nonno. Una volta... non dovevo esserci, ma origliai: il dottore la interrogava, il nonno aveva la testa tra le mani. Farneticava di ombre scure, minacciose. Ma non ci sono animali grossi o pericolosi in questa foresta. Credo sia stato allora che ho capito che avrei dovuto procurarmi le more da solo, di lì in poi... per me e magari anche per lei. - La sua voce si spezzò in modo appena percepibile, un cedimento che lasciava solo intuire la frana che appesantiva il suo cuore. Il percorso accidentato gli permetteva di mascherare il disagio dietro la concentrazione e la fatica. - Ho sentito il dolore del nonno fortissimo, e il peso della responsabilità, perché lui è il capo villaggio. Fu allora che cominciammo a sentir parlare dell'Uomo Nero. Non dovevamo allontanarci nella foresta, dicevano, specie da soli. Io sapevo la storia meglio degli altri per via del nonno, ma credo non ci abbiano detto tutto. Jonathan poi ha preso ad organizzare quelle che chiama le sue "battute di caccia": diceva che Isobel non poteva essere impazzita da sola di punto in bianco, e allora l'Uomo Nero doveva essere vero. Io pensavo solo che l'avessero tirato fuori per non farci allontanare. Ma poi Jonathan ha detto di aver visto qualcosa nei boschi, durante una delle sue ricognizioni, qualcuno... Poteva essere il vecchio Eli... Anche i Gordon hanno una pazza... Il nonno a casa dice spesso alla mamma che potrebbe essere tutta colpa loro, hanno portato il morbo di quella donna tra noi. -
 
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~Hope™
view post Posted on 18/11/2014, 18:59





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Avevano ripreso a camminare lungo il sentiero, dopo quella breve ed inattesa parentesi. Ancora non riusciva a credere che i due ragazzini avessero deciso di tornare indietro sui loro passi senza insistere ulteriormente. Conosceva bene i bambini o per lo meno ricordava perfettamente tutte le volte che era stata costretta a subire piccole punizioni per non aver ubbidito. La ragionevolezza non apparteneva a nessun bambino. Girò appena lo sguardo, osservando il punto da dove erano svaniti i due fratelli, prima di tornare a concentrarsi sul sentiero che stavano ormai percorrendo da un po’. Vi era qualcosa di magico in quel luogo, o forse era semplicemente l’Autunno a tingere abilmente le foglie degli alberi, come l’abile mano di un pittore. Afferrò una foglia che spinta dal vento aveva interrotto la sua corsa sul suo petto e la strinse tra le dita. Christopher aveva ripreso a dialogare, spinto sicuramente dall’audacia delle parole pronunciate poco prima da lei. L’intensità del suo tono di voce la costrinse ad adagiare le iridi smeraldine sul volto di lui e non poté evitare di scorgere il virginale rossore che ora gli tingeva le gote paffute. Vi era ansia nelle sue parole, desiderio di recuperare la stima che riteneva perduta. Avvertì una lieve stretta al cuore, mentre il desiderio di accarezzargli di viso nel tentativo di rassicurarlo si faceva largo. Non aveva intenzione di denigrare il ragazzino o farlo sentire più piccolo di quel che era realmente. Era piuttosto la curiosità di conoscere che l’aveva spinta a stimolarlo, costringendolo così ad alleviare i dubbi che il dialogo avuto poco prima aveva suscita in lei. A un tratto il bambino girò a destra, abbandonando il sentiero sicuro per inoltrandosi attraverso quello che a prima vista appariva come un boschetto. Non vi erano sentieri o strade battute, solo foglie adagiate placidamente sulla terra. Avvertiva i tacchi profondare di qualche centimetro nel terreno reso umido probabilmente dalle piogge dei giorni precedenti. Eppure in quel momento non le interessava, occupata com’era ad ascoltare il racconto di Christopher. “..io non credo a queste storie, lo giuro... ve lo giuro signorina. Ma... ecco... da quando la povera Isobel è tornata al villaggio in quello stato..” trattenne il respiro per diversi istanti, secondi o forse minuti. Era così ingorda di informazioni, sentiva il bisogno di sapere, di conoscere la storia della sua famiglia o quella che poteva definirsi tale. “Ricordo che mi raccontava come talvolta si spingesse fino alle terre dei Gordon”. Possibile che i Gordon fossero stati così incauti da utilizzare la magia su un babbano? Cos’era accaduto a quella ragazza di cui stavano discorrendo? Aveva forse visto qualcosa che non doveva vedere? E sua madre che ruolo poteva avere in quella storia assurda? Una miriade di emozioni le attraversarono la mente costringendo a distogliere lo sguardo ma non l’attenzione dal ragazzino. Lo sguardo era proiettato in avanti, attraversava gli alberi, nel tentativo di scorgere la dimora il prima possibile. Era arrabbiata, delusa, amareggiata. Non riusciva a capacitarsi di quel che stava udendo ne tantomeno riusciva a credere che potesse trattarsi della sua famiglia. “Una volta... non dovevo esserci, ma origliai: il dottore la interrogava, il nonno aveva la testa tra le mani. Farneticava di ombre scure, minacciose…. Anche i Gordon hanno una pazza..”. Avvertiva chiaramente la rabbia crescere dentro di se, sebbene non fosse in grado di comprendere a fondo la motivazione. Non le era mai importato nulla di sua madre ne tantomeno della famiglia di lei. Aveva scelto di vivere la sua vita allontanandosi da tutto e da tutti, ed ora quelle parole pronunciante con la purezza propria di una bambino, stavano mettendo in discussione ogni cosa. -Sai Christoper, non tutti hanno la fortuna di vivere una vita serena. Molte persone sono costrette ad attraversare periodi bui, tristi. A volte tanto tanto tristi. E questo può compromettere il loro essere. Prendi ad esempio la “pazza” di cui parli, colei che appartiene alla famiglia Gordon.- Deglutì rumorosamente rimarcando quell’aggettivo ed inspirò profondamente prima di continuare a parlare. -Magari lei non era così prima. Magari è solo una donna che ha sofferto e che ogni singolo dolore l’ha portata a diventare così. Non la definirei pazza, ma semplicemente io credo che sia una donna che ha bisogno di aiuto.- Non riusciva a comprendere chiaramente neanche lei il senso di quel discorso. La stava forse giustificando? No! Sbarrò gli occhi incredula ed allarmata. Non poteva farlo, non poteva neanche provare a giustificare il suo comportamento, eppure sentiva il bisogno di farlo con il ragazzino più che con se stessa. -Io non credo all’uomo nero ma credo nella paura, nel dolore, nelle preoccupazioni, sentimenti che possono mutare il nostro animo. Siamo noi stessi a creare i nostri demoni. Sono sicura che Isobel sia stata spaventata da qualcosa o da qualcuno, o che sia stata avvinta dalle preoccupazioni, questo non lo so, non la conosco.- Girò appena lo sguardo in direzione del ragazzino e schiuse le labbra sorridendo appena. -Ciò non toglie che fareste bene, voi altri piccoli ometti a restare sempre nelle vicinanze del villaggio.- Benché il suo tono potesse apparire calmo il suo animo era in tumulto. Probabilmente mancava poco, a breve avrebbe raggiunto la casa dei Gordon. I dubbi riaffiorarono nuovamente nella sua mente, il cuore prese a pompare con vigore il sangue in circolo, poteva chiaramente avvertirne il battito rapido e continuo. Cosa avrebbe detto? Come si sarebbe comportata? Quali emozioni le avrebbe suscitato la vista della donna che anni prima l’aveva messa al mondo?







 
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view post Posted on 16/12/2014, 02:12
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Le parole della donna caddero in un silenzio ambiguo, teso. Solo i bisbigli e i crepitii del bosco riempivano un vuoto altrimenti imprevisto, e penoso. Cristopher taceva, e nella grande personale commozione della donna, un solo istante di quella incertezza d'opinione che quel tacere suggeriva significava mille anni di tormento nel cuore.
Ma questo, questo, come poteva saperlo un fanciullo? Le flebili giustificazioni di una figlia abbandonata erano materia oscura asservita ad aberrazioni delle leggi dell'Universo: e mentre tutto dentro moriva, qualcosa di innocente ancora osava esistere nel mondo parallelo e inaccessibile che le camminava al fianco sotto le spoglie di un ragazzo. La commiserava? Aveva compreso il profondo bisogno dietro le vaghe parole? Ed era stata così brava a mascherare la sua fragilità? Voleva, poi, nasconderla? Ci teneva davvero a preservare l'inconsapevole innocenza di quella giovane vita? O non era piuttosto l'ennesima scusa raccontata a sé stessa?
- La conoscete? - Cristopher guardava avanti, il viso serio e concentrato, i passi che si susseguivano con uniformità conferendo grazia e fluidità alla sua snella figura. Curiosità? Verità? Forse solo percepiva? Mosaici di luce si annientavano e riformavano ciclicamente sulla sua impenetrabile espressione, annidandosi tra le sue vesti, nelle sue mani. Il mattino avanzava, freddo ma misericordiosamente neutro, e nulla presagiva il male. - Quella donna, quella dei Gordon. La conoscete? -
Parole incaute quelle che avevano portato l'Auror a cercare note sicure tra i tremuli dissonanti accordi di qualcosa che non avrebbe mai dovuto conoscere. I suoni bassi e sussurrati parevano scuotere la foresta come un tuono sacro, dalle fondamenta, sì che ogni segreto pensiero pareva svergognarsi al mondo intero. E passi, passi, passi ovunque. Passi sempre. La meta stessa, forse, era solo il miraggio di uno stolto: poteva avere un significato la storia di Isobel? O era invece una nuova gratuita amarezza?
- Oh... Ci siamo. - Cristopher si fermò emergendo dalla foresta in un ampio spiazzo libero da vegetazione. Un vecchio recinto di legno delimitava la zona senza troppa convinzione, circondato da aiuole ben tenute da cui spuntavano timidamente quelle che avevano tutta l'aria di essere margherite e giunchiglie dall'aria familiare. Una bella dimora si ergeva nel mezzo, il portico ancora illuminato, probabilmente in virtù delle ore notturne appena trascorse e della scarsa visibilità offerta dalla cappa scura degli alberi, specie in frangenti ancora così timidi del giorno, o forse solo per rallegrare la fredda paura dell'inverno. Un giardino curato, finestre pulite, tetti spioventi e una tranquillità silente e pacifica. Si sarebbe dovuti passare sotto un rustico arco per superare il recinto e raggiungere la piccola loggia dove si scorgeva, nei bagliori delle torce, la porta d'ingresso.
Qualunque fosse il motivo della sua visita, qualunque fosse la sua convinzione, qualunque fosse la maldicenza, il dolore, il ricordo, qualunque fosse il mutamento del suo sentire, andare o restare, pregare o odiare, temere o capire, qualunque fosse la colpa, il risarcimento, e il perdono... era il momento.
 
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~Hope™
view post Posted on 28/12/2014, 23:16





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Alle sue parole seguì un silenzio denso di pensieri e di frasi taciute. Avrebbe voluto aggiungere altro, un qualcosa che le scrollasse di dosso il peso delle parole pronunciate ma nulla, non le venne in mente nulla da aggiungere. Seguì con la coda dell'occhio il profilo delicato di Christopher, le gote arrossate per l’inaspettata passeggiata mattutina e i movimenti ritmici delle braccia che accompagnavano quelli delle gambe ad ogni passo. Chissà cosa stava pensando, chissà quale idea si era costruito su di lei. Non era neanche riuscita a portare avanti la storia del “lavoro da svolgere ad ogni costo”. Sarebbe stato facile per chiunque ricostruire quello strano puzzle fino a comprendere il legame di parentela che la univa alla giovane figlia dei Gordon. Ma ciò che più le faceva male era il suo voler a tutti i costi difendere “quella donna” dopo tutto quello che le aveva fatto. Si morse il labbro fino ad avvertire il retrogusto ruggine in bocca. Non aveva mai nascosto di essere una persona testarda, lo dimostrava ogni giorno a scuola, a lavoro, ma mai si sarebbe aspettata quell’abbondante carico di masochismo che prima o poi l’avrebbe condotta verso l’autodistruzione. Un’altra persona al suo posto avrebbe distrutto quella pergamena, l’avrebbe strappata in mille pezzettini e gettata nel fuoco gustandosi lo spettacolo con un ottimo bicchiere di whisky stretto tra le dita. O era semplicemente il desiderio di voler dimostrare di essere diversa, migliore, che la spingeva in avanti verso la sua meta, verso l’obiettivo che con il passare del tempo si faceva sempre più vicino. Le parole del ragazzino la richiamarono alla realtà. “La conoscete?”. I muscoli del viso si contrassero mentre lo sguardo corse in avanti verso un punto indefinito nel mezzo della vegetazione. Una domanda semplice che richiedeva una risposta assai più complessa. Le sarebbe bastato aprire la bocca, schiudere le labbra e pronunciare quelle due banalissime lettere, una consonante accompagnata da una vocale. Ma quando avvenne nessun suono riempì il silenzio che nuovamente era caduto tra di loro. Odiava quel suo essere forte e fragile nel contempo, vittima di un passato che in alcun modo avrebbe potuto cambiare, respirò a fondo e affrettò il passo per poter affiancare Christopher. Fu allora che, sollevando di poco lo sguardo, riuscì a scorgere tra la fitta vegetazione un ampio spazio libero da alberi ed arbusti nel cui centro troneggiava un’angusta dimora che in alcun modo pareva risentire del logorio del tempo. Un piccolo recinto di legno la circondava interamente delimitandone i confini. Si fermò in prossimità di un albero e con il bracciò destro scostò alcuni rami per riuscire ad osservare la casa con maggiore accuratezza. La luce notturna era rimasta accesa, segno che la casa era sicuramente abitata. Un brivido le percorse la schiena costringendola a rimanere immobile per diversi istanti. Non era paura, ne timore, ne tantomeno il freddo che ancora avvolgeva la radura. Era giunta al dunque finalmente, aveva raggiunto il suo obiettivo e non vi era più spazio alcuno per ripensamenti. Girò il viso verso il ragazzino e sorridendo tornò a parlare. -Sei stato fin troppo gentile a condurmi fin qui. Ora però ti prego di riprendere la via del ritorno Christopher. Tuo nonno sarà sicuramente preoccupato e io non voglio che ciò avvenga inutilmente.- Si girò di novanti gradi e piegandosi sulle ginocchia portò il viso all’altezza di quello del giovane interlocutore. Sollevò quindi la mano destra e con il dorso della mano sfiorò appena la piccola guancia. Sapeva di non esser stata del tutto sincera, ma in ugual modo era consapevole di averlo fatto a fin di bene. Sorrise, un sorriso sincero, non più tirato. Poi lentamente si rialzò muovendosi in avanti di qualche passo. -A presto …- Si mosse ancora una volta, ogni passo però si fece pesante e il rumore del fogliame schiacciato sotto i piedi era stato sostituito da quello del cuore. Tum ..Tum.. era così forte che per un attimo ebbe paura che chiunque, nell’arco di qualche metro, avrebbe potuto udire quel suono. Cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe detto? Come si sarebbe presentata alla porta dei Gordon? Deglutì a fatica per poi rendersi conto di aver raggiunto il recinto della vasta proprietà.






 
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view post Posted on 30/12/2014, 14:23
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Il Fato

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- Co... come? - Cristopher allungò la mano cercando di trattenere il braccio della donna, ma il suo pugno strinse solo aria. Uno stupore infantile accompagnò il gesto, un'incredulità sospesa che intorbidiva la superficie cristallina del suo sguardo, lasciandovi un senso ancora incompreso di spaesamento, e di abbandono. Le dita serravano il vuoto all'altezza del suo viso, lì dove il calore di lei era ancora percepibile come la rapida impressione di qualcosa di teneramente intimo, quasi potesse afferrarlo, nonostante tutto, ed impedire almeno a quello di dissolversi scivolando via dal suo palmo. C'era un che di terribile e sbagliato nel voltare le spalle a chi si era offerto totalmente e senza difese, una sorta di triste ingratitudine del cuore, una grettezza dello spirito che se pur supportata da una più alta logica razionale, permeava e rovinava ogni bellezza trascorsa.
Cristopher rimase ancora qualche istante in silenzio, incerto dei significati, di lei, del bosco, gli occhi che seguivano l'oscillare dorato di ciocche ribelli, morbidamente intrecciate dal vento sulla schiena di quella che pareva in verità, sullo sfondo dell'inverno, solo un'esile fanciulla. - E come tornerete indietro? Avete visto, non ci sono sentieri, vi perderete! Il nonno non mi perdonerebbe mai di aver lasciato a metà il compito... di avervi lasciato qui! Quanto mai potrà durare una visita di lavoro? Non ho fretta, posso aspettare. E magari per l'ora di pranzo potrete fermarvi a casa mia, ci sono la zuppa di castagne e le focacce dolci... -
Come spiegare al piccolo babbano che il ritorno non sarebbe stato un problema perché avrebbe potuto smaterializzarsi in qualunque momento? Come tornare sui propri passi ammettendo che la visita non era, dopotutto, di natura lavorativa ma personale? Che non sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto o anche solo cosa avrebbe trovato all'interno della casa? Che le semplici, povere pietanze promesse erano sì un generoso dono di ospitalità, ma un dono che pure avrebbe buttato via mille volte se questo le avesse concesso il tempo di venire a capo della misteriosa lettera? Come rivelare che mai come in quel momento aveva desiderato di restare sola, per quanto fosse consapevole di essere in debito con lui, benedetta da un tale aiuto? Come dirgli che poco le importava di Isobel?
Ma se solo si fosse voltata, avrebbe visto sul viso del ragazzino una paura diversa.
- Non farmi attraversare il bosco da solo... - Il braccio si protendeva ancora in una sorta di muta speranza, un barlume di trasporto e ostinazione che celava un'insicurezza più profonda. Credeva all'Uomo Nero? Avrebbe attraversato la foresta senza neppure la compagnia di Jonathan o Isobel o perfino di una come lei? Quanto davvero era rimasto ferito dagli ultimi accadimenti del villaggio, nonostante le apparenze? E di quanta crudeltà, per il proprio tornaconto, o il "bene superiore", sarebbe stata capace l'Auror? Sotto quale auspicio si sarebbe presentata alla porta di sua madre?
La mattina correva, e solo pochi passi la dividevano dalla meta. Quanto poteva costarle bussare a una porta?
 
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~Hope™
view post Posted on 7/1/2015, 18:47





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Era sul punto di superare il piccolo arco d’ingresso, li dove gli arbusti modellati dal tempo e dalla natura si intrecciavano al legno pesante e logoro dello steccato, quando la voce melodica e dolce del fanciullo la costrinse a fermarsi. Aveva forse sbagliato a congedarsi da lui così rapidamente? Se avesse potuto rispondere a quella domanda silenziosa che continuava a frullare nella sua mente avrebbe gridato un forte e chiaro “no”. Ma del resto cosa avrebbe potuto fare? Mettere a repentaglio la sua vita? Inventarsi altre bugie o magari farlo attendere li, per chissà quanto tempo poi. Probabilmente sarebbe stato più al sicuro in mezzo al bosco, tra le fronde degli alberi secolari e il cangiante dorato del fogliame. Il problema era solo quello di trovare il modo di dirglielo senza però urtare la sua delicata sensibilità. Si girò lentamente tentando di recuperare un barlume di quel sorriso che aveva illuminato il suo viso fino a pochi istanti prima e tornò a fissare con le iridi smeraldine il viso paffuto e delicato di Christopher. Avvertì una leggera fitta al cuore; la delusione era incisa a chiara lettere sul suo volto, così come la richiesta di restargli vicina, di non lasciarlo da solo. Era chiaramente spaventato, probabilmente a causa delle fantasiose storie che gli erano state raccontate. Non resistette ulteriormente. Annullò la distanza che li separava e afferrò le sue dita stingendole nelle sue, per poi portarsele in prossimità delle labbra. Si piegò nuovamente prima di baciare con delicatezza la pelle diafana del piccolo. -Perdonami. E’ che a volte mi faccio prendere troppo dalla fretta e dalla voglia di venire a capo di ogni situazione che mi dimentico le cose fondamentali.- in parte era vero, benché il motivo che l’aveva spinta a raggiungere quel luogo, così lontano da Hogwarts, le stesse particolarmente a cuore. Non poteva fare altro, doveva continuare a mentire, non solo per se stessa ma anche per il lui, per mantenere illibata la sua innocenza. Sorrise nuovamente prima di tornare a parlare. -Allora, facciamo cosi. Ora vado dai Gordon, cerco di portare a termine, in breve tempo, il mio “lavoro” e poi torniamo insieme al villaggio, sai ho sempre adorato le focacce dolci e non le mangio da un bel po’. Inclinò leggermente il viso. Era forse quella la soluzione migliore? Del resto non poteva fare altro, non avrebbe permesso che il ragazzino tornasse a casa da solo, intimorito com’era. C’era però un ultimo nodo da sciogliere prima di poter raggiungere la porta della grande casa che pareva al contempo così vicina ma altrettanto lontana. -Tu però devi promettermi che mi aspetterai qui e in alcun caso ti avvicinerai a quella casa.- Disse accompagnando le parole con un lieve movimento del capo. -Anzi, voglio che tu ti nasconda dietro uno di questi alberi, scegli bene mi raccomando, un tronco bello grosso che riesca a nasconderti completamente. Non voglio che loro sappiano che ..- Non poteva dire la verità, doveva proteggerlo, ancora una volta. -..Non sono stata in grado di raggiungere la loro proprietà da sola. Che magra figura potrei farci?- Gli accarezzo ancora una volta la guancia paffuta e delicata. Poi lentamente si sollevò senza smettere per un istante di scrutare il viso di Christopher. Aveva bisogno di sapere che li sarebbe stato al sicuro e che in qualsiasi caso avrebbe potuto notare la sua presenza attraverso una delle numerose finestre, una volta raggiunto l’interno della casa. -Allora? Siamo d'accordo?- Per la prima volta da quando aveva intrapreso quel percorso si rese conto di aver sbagliato. Avrebbe dovuto raggiungere da sola la casa dei suoi nonni senza mettere a repentaglio la vita di nessuno se non la sua e per cosa poi? Per rispondere al richiamo di una pazza, di sua madre. Deglutì faticosamente. Non poteva più permettersi di perdere altro tempo, doveva proseguire, andare avanti, svelare i segreti nascosti dietro l’antica porta di legno.






 
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view post Posted on 31/1/2015, 16:53
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Le dita di Cristopher erano fragili, e fredde. La ruvidezza dell'inverno non gli aveva risparmiato i rossi gonfiori della povertà, che a nessuno porta rispetto. Sebbene la mano stessa della donna fosse minuta e delicata, le dita del fanciullo tra le sue parevano argentei fili di pensiero fluttuanti che il comparire di un sentimento appena più forte avrebbe disperso. Le sue labbra si piegarono in un debole sorriso. Era un buon compromesso: non sarebbe dovuto entrare nella casa della pazza, non avrebbe dovuto affrontare da solo il bosco, non avrebbe deluso il nonno abbandonando i suoi obblighi di ospite, né avrebbe costretto la donna a magre figure. E lei stessa, pure, aveva detto che dopo avrebbe volentieri mangiato con lui le focacce dolci. - D'accordo. - Una nota definitiva, carica di gratitudine, sollievo, vittoria. Ogni timore si scioglieva nella sicurezza da lei ostentata, e il piccolo vi si affidava completamente, con la cieca fiducia di chi, tutto sommato, non vuole essere grande davvero. - Vado! - Un'energia improvvisa, una scintilla che tornava a bruciare nel tempo di niente, l'orgoglio di uno scopo, di un'avventura, e di una promessa. Cristopher si voltò e corse lì dove il cerchio degli alberi si elevava in modo compatto segnando l'ingresso alla foresta. In pochi balzi era svanito, inghiottito da quelle stesse fronde che avevano celato la casa dei Gordon al loro arrivo.
Già, la casa. Voltandosi l'Auror avrebbe ancora visto lo stesso paesaggio tranquillo. Prestando forse un po' più di attenzione, avrebbe capito perché quei fiori che adornavano le aiuole avevessero un'aria familiare: gerani zannuti, cespugli farfallini, giunchiglie strombazzanti... le piante sussurravano colori e magia.

"Isobel diceva che lì crescevano piante come mai ne aveva viste nel resto del bosco... "


Le parole riaffioravano ed acquisivano un senso così sorprendente nella loro evidenza da far meravigliare di una tale ostentazione. Le corolle gialle della magica varietà di narcisi ammiccavano ovunque come gelosi occhi felini. La luce tremula del portico spandeva su di essi tentacoli aranciati che si andavano a perdere nella rarefatta luminosità del mattino, e nelle ombre cupe del bosco. La loggia era scarna, austera. Raccontava di serate fredde, di divieti, e di silenzi. La pesante porta d'ingresso era fatta di buon legno senza crepature. Un elaborato battente in ferro battuto ne occupava la parte alta, e nelle forme rotonde si poteva scorgere l'allungarsi di delicati petali, una pentagonale corona elevata attorno ad una piccola coppa centrale.

- Sai, mia piccola Hope, Narciso era un giovane bellissimo. - Le dita di Lilian scivolavano rapide e leggere, esperte, sulla chioma morbida della bambina. Di tanto in tanto affondavano nella dorata fragilità delle prime ciocche dell'infanzia, traendone sottili intrecci cui univa i lunghi e lisci gambi di candidi narcisi. La piccola rideva, lieta del gioco e della rara attenzione concessale, di quella dolce e rassicurante fermezza che era insita nei gesti accorti della madre. Sarebbe mai tornato un momento come quello? - Si dice che fosse insensibile all'amore da lui suscitato in numerose fanciulle e ninfe. - Gli occhi di Lilian si adombrarono, e la traccia scura di un dolore antico si annidò nelle sue iridi ambrate. - Tra queste, vi era una ninfa, in particolare, la bella Eco, che la disperazione consumò al punto da ridurre la sua persona solo a una voce lamentosa. - La voce le si spezzò, ricalcando involontariamente la storia che narrava, forse dopotutto non così ironicamente lontana dalla verità. - Ma Nemesi fece in modo che Narciso, sporgendosi su una sorgente per dissetarsi, vedesse il proprio volto riflesso nell'acqua e se ne innamorasse: così, continuando a contemplare la propria immagine, si lasciò morire... - Vi era una nota di ferocia in quella macabra conclusione, quasi una predizione, la certa approvazione della punizione per chi non avesse mai davvero amato altri che se stesso.
La piccola, ignara, sedeva di spalle alla madre, concedendole di intrecciarle i capelli, ancora innocente. Lilian si sporse in avanti, e pose un delicato bacio sulla testolina incoronata di fiori. - Tu sarai forte, bambina mia... -


Nessun rumore si percepiva dall'interno della casa, ma le torce erano accese, qualcuno doveva pur esserci. Eli? Elizabeth? L'avrebbero accolta? E Lilian, perché Lilian le aveva scritto un mucchio di sciocchezze senza senso?
La porta, il battente. Bastava così poco. Tutto era come doveva essere. Tranne una macchia scura, come di ruggine, ma più slavata, proprio sulla maniglia di ferro. Non doveva essere poi così facile per una coppia di vecchi, peraltro aventi a carico una folle, occuparsi di tutto nel mezzo di una foresta...
 
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~Hope™
view post Posted on 10/2/2015, 11:44





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Strinse con maggior intensità le piccole mani nelle sue e contemplò ancora per qualche istante gli occhi piccoli ma sinceri ed il mite sorriso, segno che le sue scelte avevano contribuito a riconquistare la fiducia di Christopher, fiducia che stavolta non si sarebbe lasciata sfuggire. Non vi era un motivo in particolare che l’aveva spinta a fare quelle promesse, ne tantomeno un fine ultimo; doveva farlo, semplicemente lo sentiva. In quel modo non avrebbe messo a repentaglio la sua vita e non lo avrebbe costretto a riattraversare il bosco da solo; sperava comunque che nessuno, all’interno della casa si fosse accorto prematuramente della loro presenza e avesse quindi scorto l’esile figura di Christopher. Rilassò i muscoli delle mani e lasciò andare le piccole dita senza però smettere di fissare il suo viso paffuto; rimase in quella posizione finché non svanì come inghiottito dalla vegetazione. Provò a studiare con maggior attenzione quel medesimo punto ma fortunatamente non riuscì a scorgere alcuna traccia del ragazzino. *Bene, così sarà al sicuro* pensò prima di rialzarsi e voltarsi nuovamente verso l’angusta dimora che si ergeva placida e silenziosa dinnanzi a lei. Era giunto il momento di tornare a fare i conti con il suo passato e probabilmente nulla avrebbe più rallentato il suo inesorabile avanzare verso quella verità che ormai era divenuta fin troppo tangibile e chiara ai suoi occhi. Superò il piccolo arco e la staccionata che delimitava il confine del giardino, fermandosi ad osservare, per qualche istante, le numerose piante presenti. In quel momento brevi frammenti del racconto di Christopher tornarono a fare capolino nella sua mente mentre le iridi smeraldine si adagiavano sui numerosi cespugli farfallini e sui quieti gerani zannuti i cui petali celavano le fameliche zanne. Dovevano essere quelle le piante particolari descritte da Isobel nei suoi racconti, la giovane babbana probabilmente si era spinta oltre fino a raggiungere il giardino dei Gordon. Ma cos’era avvenuto poi? I maghi si erano forse accorti della sua presenza? Avevano forse utilizzato la magia contro di lei? Troppi pensieri, troppe domande continuavano ad affollare la sua mente mentre le gambe la spingevano in avanti verso l’antico portone di legno. Eppure qualcosa di diverso attirò nuovamente la sua attenzione. Tra le numerose piante magiche affioravano coloratissimi Narcisi il cui odore penetrante ed inebriante la costrinse a viaggiare con la mente indietro nel tempo; no vi era un ricordo chiaro, nitido ma solo piccoli frammenti, parole sussurrate con dolcezza, una dolcezza che solo una madre può donare alla sua bambina. Il ricordo più dolce che aveva di Lilian era legato proprio a quei Narcisi, un ricordo inconsapevole, deturpato da molti altri meno piacevoli ma comunque sempre presente nella sua mente. Provò ad allontanare quel ricordo dalla sua mente e a tornare indietro, al presente, dove vi era soltanto un metro o forse due a separarla dalla porta d’ingresso e naturalmente dalle risposte che stava cercando. Si fece coraggio e con un paio di falcate annullò quell’esile distanza fino a ritrovarsi a pochi centimetri dalla porta. Rimase immobile girando leggermente il capo verso sinistra per provare ad individuare qualche rumore proveniente dall’interno della casa, qualche segno che vi fosse qualcuno ad attenderla oltre quella soglia. Ma come poteva pensarlo? Era così certa che lo scopo di Lilian fosse quello di attirarla nuovamente a se? E i suoi nonni, le sue zii, era poi così sicura che fossero al corrente di quella lettera spedita dalla figlia? Quelle e altre domande continuavano ad appesantire ogni suo passo, ogni singolo movimento dei muscoli, come un macigno troppo gravoso per poter essere messo da parte. Era così vicina ma nel contempo così distante da quel mondo che le apparteneva ma del quale non aveva mai fatto parte. Allungò la mano verso il battente macchiato da quella che a prima vista pareva ruggine e dopo averne afferrato una parte, stando attenta ad evitare quella strana macchia batté un paio di volte contro la porta per poi ritrarre la mano. Aveva varcato il confine, quella linea invisibile di non ritorno; non vi era più tempo per dare ascolto ai pensieri, alle domande, alla mente. Si era spinta oltre e ora non poteva più tornare indietro; avrebbe affrontato a viso aperto quella situazione così come aveva sempre fatto e avrebbe trovato le risposte che cercava. Rimase quindi in attesa portando la mano destra all’altezza della cintola della gonna dove poteva facilmente avvertire la sagoma della bacchetta di agrifoglio premere contro il suo esile corpo.






 
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view post Posted on 24/3/2015, 01:51
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Il Fato

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Due colpi. Il battente di ferro era pesante, nel rispetto della tradizione più antica. Ogni sua ricaduta produceva contro il legno un suono cupo, intenso, netto, scevro di vibrazioni, essenziale come tutto era, all'apparenza, in quella casa.
Era bastato quel tocco, la debole spinta seguita all'accompagnamento del misurato gesto, una rotazione gentile del meccanismo che con semplicità annunciava il nuovo ospite: la porta ruotò sui cardini, libera da catene e chiavistelli, scivolando indietro nella penombra all'interno della dimora. Si aprì, per inerzia, innanzi alla mano ancora sollevata della donna, manifestando candidamente il proprio non esser mai stata chiusa.
Un tocco. Tanto era bastato. L'uscio si era dischiuso, banalmente e senza resistenza, senza magia. Non vi era nessuno ad accompagnare il suo cauto dondolio: la casa rimaneva silenziosa e dormiente, instillando una spiacevole percezione di vuoto. Un'occasione perduta? Una dimenticanza? La normalità? Varcare la soglia? Insistere? Chiamare?
Poco distante, là attorno, vi era Cristopher, lo sapeva: se avesse dato segno di voler tornare indietro, se avesse anche solo lasciato intendere di non aver trovato nessuno, di esitare... lui sarebbe corso di nuovo da lei per accompagnarla al punto di partenza. E il momento, la preziosa opportunità... sarebbe andata sprecata per sempre. Ma come richiamare l'attenzione dei proprietari là dove il mezzo predisposto pareva aver fallito? Magia? Poteva forse compiere magie davanti al piccolo babbano? Poteva anche solo rischiare di estrarre la bacchetta senza
sapere dove gli occhi di lui fossero puntati? Lì, sulla soglia della dimora dei suoi avi, era visibile e vulnerabile alle premure della sua giovane guida. Entrare e studiare poi il da farsi? Assicurarsi l'accesso e pensare in seguito a chiedere il permesso? Non era in fondo anche casa sua? Non era forse stata sua madre a spedirle quella lettera? Non era forse colpa dei residenti se il battente si era rivelato non all'altezza delle esigenze della famiglia?
Attraverso la porta semi-aperta si scorgeva un corridoio illuminato da belle lampade a muro, rivestito da una carta da parati vagamente antiquata, un gancio da cui pendeva una giacca, un portaombrelli su cui tracce di qualcosa di bagnato e scuro potevano lasciar supporre un uso recente. Acqua? Fango? Le lampade proiettavano ombre scure sugli oggetti del corridoio, falsandone i colori. E intanto, nessun segno di loro. Nessun rumore indicava che qualcuno si stesse avvicinando, o fosse anche solo semplicemente affaccendato nella sua quotidianità. Erano usciti? Avrebbe potuto attenderli dentro?
Le torce del portico, il segno che l'aveva indotta a confidare nella presenza di sua madre e dei nonni, continuavano a bruciare, irridenti. Ogni minuto di attesa la rendeva meno credibile.
 
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~Hope™
view post Posted on 28/3/2015, 11:44





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L’unica certezza che poteva avere in quel momento era che chiunque fosse presente all’interno dell’antico maniero fosse ora a conoscenza del fatto che vi era qualcuno alla porta che annunciava la propria presenza. Che fosse un bene o un male ancora non poteva saperlo con certezza eppure sentiva che vi era qualcosa di strano, una vocina che la metteva in guardia e l’incoraggiava a prestare attenzione ad ogni più piccolo dettaglio, rumore o strano movimento. Avvertì il macchinoso meccanismo muoversi generato della forza della sua spinta e poi finalmente la porta si schiuse per inerzia, come se fosse stata lasciata aperta apposta per permettere a chiunque di entrare o magari uscire a piacimento. Lanciò un ultimo sguardo in direzione della boscaglia, li dove aveva perso le tracce del piccolo babbano, per assicurarsi che a nessuno fosse data la possibilità di riscontrare la sua presenza anche solo per errore; nulla, lo sguardo corse di arbusto in arbusto, di tronco in tronco e del giovane Cristopher non vi era alcuna traccia. Schiuse le labbra in un mesto sorriso poi si girò in modo da riuscire ad adagiare la schiena al pesante legno di cui la porta era costituita e vi si appoggiò indietreggiando insieme ad essa. Lo sguardo corse rapido verso l’interno dell’abitazione illuminato soltanto da alcune lampade a muro antiche così com’era antica la dimora; un odore pungente invase le sue narici, un odore assai simile a quello che avvertiva ogni volta che metteva piede nel maniero di famiglia, un odore che era li a descrivere qualcosa di antico immerso nell’ineluttabilità dello scorrere del tempo. Eppure continuava a non sentirsi a suo agio, c’era qualcosa in quella porta lasciata aperta che non quadrava e che la spronava inevitabilmente a metter mano alla bacchetta; e se qualcuno, magari un estraneo, fosse entrato all’interno dell’abitazione prima di lei? Ricordava ancora chiaramente le parole utilizzate da sua madre nella lettera, Lilian aveva mostrato il timore che qualcuno potesse decidere di andarla a prendere senza però specificare il soggetto di quel timore. Rabbrividì a quel pensiero e il cuore, all’interno della gabbia toracica, prese a battere con maggior vigore. Tuttavia sapeva bene che nonostante non fosse in grado di vederlo, Cristopher era li e molto probabilmente stava osservando ogni suo movimento pronto a valutare il da farsi. Non poteva certo permettere che la vedesse stringere tra le dita la bacchetta magica, dopo tutto quel che le aveva raccontato, dopo i timori mostrati dagli abitanti del piccolo villaggio circa la famiglia Gordon e la loro reale identità. Decise quindi di scivolare lentamente verso l’interno della casa e quando l’oscurità avvolse interamente il suo corpo infilò la mano sotto la maglietta ed afferrò il manico del piccolo bastoncino di agrifoglio sguainandolo prontamente. Iniziò solo in quel momento a guardarsi intorno con maggiore attenzione restando però ferma in quel punto; portò indietro la mano sinistra e non appena avvertì la presenza della porta la spinse con forza moderata in modo da respingere in ugual modo la timida luce del sole che non le permetteva di visualizzare la stanza così come avrebbe voluto. Continuò a guardarsi intorno e la sua attenzione fu inevitabilmente attratta da una portaabiti al quale era stata appesa una giacca, e poco più sotto un portaombrelli dove erano chiaramente evidenti alcune tracce di fango o forse solo semplici gocce di acqua che però lasciavano presagire la recente presenza di qualcuno all’interno dell’angusto corridoio. Ma se realmente c’era qualcuno all’interno della casa perché non l’aveva raggiunta in prossimità della porta d’ingresso dopo aver sentito il rumore dei colpi prodotti del chiavistello? I suoi timori stavano forse prendendo forma? Chiaramente non poteva perdersi in chiacchiere doveva capire, trovare le giuste risposte a quelle domande e quindi non le restava altro da fare che muoversi e svelare quel segreto. Se i suoi parenti l’avessero vista con la bacchetta in mano, forse avrebbero capito o forse no ma di certo non poteva rischiare di muoversi disarmata. Doveva iniziare a fare delle valutazioni basandosi sui fatti e non più su inconsistenti pensieri o elucubrazioni della sua mente. Rinvigorì la presa sulla bacchetta e provò a concentrarsi sul suo potenziale magico in modo dar modo di fluire attraverso ogni singola cellula del suo corpo fino a raggiungere la mano destra.* Homènum Revèlio * la formula venne prodotta dalla sua mente in modo chiaro e minuzioso; aveva bisogno di sapere quante persone erano presenti all’interno di quella casa prima di muoversi e quello pareva essere l’unico modo. Stava esagerando? Si stava lasciando prendere dalla classica deformazione professionale? Non le interessava, c'era la vita di sua madre in gioco e anche la sua, non poteva permettersi di essere superficiale basandosi su quelle piccole prove.






 
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view post Posted on 29/3/2015, 17:33
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Sottosopra2
Non era di sicuro l'accoglienza che doveva aver immaginato. Qualunque cosa si aspettasse di trovare, certamente non poteva essere quella.
Cosa aveva segretamente desiderato, lì, nello scrigno occulto del suo cuore, recandosi sin sulla soglia di una dimora che mai aveva veduto e di cui mai si era interessata? Quali confessioni aveva sussurrato nel silenzio dei propri passi, mentre brandelli logori di ricordi pungevano gli angoli degli occhi e delle labbra? Aveva forse sognato la grande riconciliazione? Abbracci lacrimevoli e sorrisi puliti? O aveva puntato ad un chiarimento, preparandosi persino ad esser cacciata, ad accogliere accuse ed improperi, e tutto solo per essere certa di come stessero realmente le cose, del fatto che la frattura fosse ormai davvero troppo profonda? Poteva essere lì per mero altruismo, le sarebbe mai bastato vedere quelle persone vivere una vita felice lontana dalla sua, assicurarsi della loro salvezza ed accettare di buon grado il sacrificio, la pugnalata d'essere irrimediabilmente esclusa?
Perché, davvero, era lì? Era stata abbandonata, due volte, e se la scomparsa del padre era stata di per sé una dura prova, un'ultima spinta nel vortice del declino e dell'oblio che si era andato ingigantendo sin dal momento dell'orrenda scoperta di una notte lontana, ancora peggiore era stato il tradimento di vedersi lasciar sola dalla sua stessa madre, sola ad affrontare tutto quello, nel momento del più grande bisogno, quando la percezione che i punti saldi del proprio mondo stessero crollando si era fatta concreta.
Lei, sì, Lilian, era stata un'egoista: quale madre poteva arrogarsi il diritto di non essere abbastanza forte per la propria figlia, quale madre avrebbe permesso che ogni antica speranza degenerasse fino a quel punto? Che ogni più piccola bellezza fosse così brutalmente mutilata, ogni gentilezza appassita e lasciata ad annerirsi nella consunzione del rimpianto? Sciocca, vanesia Lilian. Così ingenua. Aveva preferito dimenticare, tornare essa stessa bambina tra le braccia dei genitori piuttosto che stringere al petto la propria. Perché le aveva scritto?

"Maledetta la tua nascita! Sei bella? La mia piccola era bella. Aveva capelli dorati che danzavano nel sole e denti bianchi da cui si libravano risa argentine. Non l'ho mai amata. "

Così aveva scritto. Eppure anche dove la mano di lei metteva nero su bianco l'aberrazione più grande, si scorgeva ancora una qualche tenerezza ben celata, il cogliere di quei frammenti d'immagine che restano solo nel cuore di chi ti ha voluto intensamente, di chi ha preso il meglio dal tempo speso assieme.
Aveva sofferto scrivendo quelle parole? Aveva voluto allontanarla con la morte nell'anima? Proteggerla? Ma perché allora abbandonarla già quella prima volta? Così poco era valso il suo amore? E perché ricordarglielo ora, quando avrebbe potuto spegnere la propria vita nell'indifferenza della figlia che aveva ripudiato? A tal punto era peggiorata la sua follia? Che quell'addio, vergato con calligrafia trattenuta, non fosse altro che la crudele conferma attesa? Quanto potevano essere attendibili le ossessioni di una pazza? Qual era stata la reale entità del dolore che una vita di affanni e segreti le aveva portato? Delusioni, amarezze, rabbia, impotenza: che posto aveva avuto Hope nei pensieri della donna? Cosa aveva rappresentato per Lilian Gordon quella bambina? E cosa rappresentava, ancora quel giorno, in quella casa, senza la provvidenziale maschera di distanza e inchiostro a nascondere il viso?
Eppure, Hope era lì. Non l'Ispettrice, non la Vice Preside, semplicemente Hope. Accolta dal vuoto e dal silenzio, nell'indifferenza di tutti, col suo bagaglio di perché, di ansie, di collera. Quell'apatia pareva quasi uno sgradevole invito ad andar via, un affronto personale che sapeva di disinganno. Una lettera mal interpretata? O forse non capita davvero? Cosa avevano nascosto le righe frettolose, quale nuovo triste male si annidava ad un soffio dall'anima vulnerabile di una figlia preoccupata vincolata al richiamo imprescindibile del sangue?

"Pare facile, conoscere perché si piange. "

Oh sì, in fondo, Lilian aveva ragione. Le sue parole erano più taglienti di quanto chiunque sarebbe stato disposto ad ammettere.
Era poi così facile capire i motivi dei loro rapporti deteriorati? Quali variabili avevano lavorato assieme in modo che tutti soffrissero? Poteva mai esservi un unico colpevole? Era forse stata tutta colpa di Frederick, l'ingannatore, il crudele? Aveva seguito degli ideali, una volta, orgoglio, successo, aveva ottenuto rispetto, riconoscimenti. Era forse stata colpa di Lilian, la fragile, bella Lilian, che aveva amato nel modo sbagliato, che era vissuta e sopravvissuta senza macchia e senza lode? O era forse stata colpa di Hope, la forte, la giusta, che aveva condannato una madre e l'aveva abbandonata alla propria follia, senza mai tentare di trattenerla con convinzione al proprio fianco, senza poi cercarla una volta cresciuta, senza mai porsi e porle i giusti interrogativi, lasciando che fosse un problema dei nonni?
Sì, Lilian, con quelle poche parole, aveva forse intravisto la verità: tutto quel supporre, quei perché... erano poi così rilevanti? Le conseguenze erano state talmente enormi che la causa aveva perso di significato. Tutto quel che restava era uno strappo al cuore, l'unico fatto reale e presente attorno al quale rannicchiare il proprio dolore.

stanza
Un passo avanti. La schiena della donna premette contro il legno della porta, un gesto rapido e fluido che non desse modo al piccolo Cristopher di dubitare della bontà del progetto, che le permettesse di avere le spalle coperte, e anche di ampliare la sua visuale sull'interno della casa.
Ma non c'era nessuno all'interno ad attenderla: l'uscio si apriva su un corridoio che proseguiva alla sua destra per sei o sette metri. Di fronte a lei, i pochi oggetti intravisti quando la porta era scivolata indietro: la giacca, il portaombrelli. Le macchie su di esso parevano ora, alla luce del giorno proveniente dall'ingresso, più diluite e brillanti di quanto fossero parse a prima vista nei contrasti d'ombra dell'ambiente.
Una nuova spinta all'uscio e quello si richiuse, lasciando la giovane Auror apparentemente sola all'interno della dimora. Aveva così schermato la luce del sole ormai lavatosi oltre le cime degli alberi, e concesso ai suoi occhi di abituarsi più celermente alla penombra delle lampade. Si era anche definitivamente sottratta alla possibilità di essere osservata da Cristopher, che se avesse tenuto fede alla sua parola sarebbe rimasto nascosto al limitare della radura per tutto il tempo necessario, ignaro di tutto ciò che si muoveva e accadeva all'interno della casa.
Il corridoio si presentava in modo piuttosto neutrale, scarno, antiquato. Ma vi erano alcuni dettagli che mal si inquadravano in un'idea di ordinario disordine. Un vecchio scrittoio proprio accanto all'ingresso pareva esser stato frugato da mani poco delicate: un cassetto era a terra, alcuni fogli sparsi sul pavimento. Che fosse opera degli abitanti o di un estraneo, pareva evidente che qualcuno avesse perso la pazienza senza poi curarsi di mettere tutto a posto.
Sul fondo del corridoio, una porta aperta segnava l'accesso ad una stanza. Doveva esservi una bella finestra in quella parte della casa, la luce scivolava calda sul pavimento fin oltre il suo campo visivo, al di là del quadro della porta stessa. Poteva intravedere una bella vetrinetta, sulla parete di fondo, una poltrona, e a terra, le gambe di una sedia rovesciata.

L'incantesimo proruppe con semplicità ed efficacia. C'era davvero da aspettarsi la presenza di intrusi? Erano i segni di un'effrazione, quelli? Era sensato supporre che chiunque fosse stato si aggirasse ancora per la casa? Poteva trattarsi di un litigio familiare? E lei, lei che entrava di soppiatto con grandi pretese e grandi intenti, in che posizione era lei?

- Isobel, sei tu? Hai un messaggio per me, vero? Da parte di Damon? -

La voce giunse all'improvviso, nel silenzio, inaspettata e orribilmente familiare, dalla stanza sul fondo. Era una voce mite, leggera, sottile, portava in sé una fragilità che in qualche modo stringeva il cuore. Vi era una punta di aspettativa nel piegarsi dell'intonazione, ma il tutto produceva nient'altro che un senso di infinita tristezza. Era una voce pronta a spezzarsi, una voce che forse aveva posto quella domanda più di una volta. Una voce che chiedeva più di quanto avesse pronunciato.
L'incantesimo si dipanava dalla bacchetta e percorreva rapidamente le distanze, vagliando ogni ombra. Infine la consapevolezza la pervase: un solo individuo era in casa. Il proprietario di quella voce, a soli pochi metri da lei, in quella stanza, appena al di là della sua visuale. Lilian.
 
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~Hope™
view post Posted on 11/4/2015, 11:03





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Aveva chiaramente approfittato del susseguirsi di eventi per recludere, in una parte remota della sua mente, ma soprattutto del suo cuore, quel tumulto di pensieri, emozioni e sensazioni che l’inizio di quella inaspettata avventura aveva suscitato in lei. Eppure erano li, ora che tutto intorno il silenzio regnava sovrano, riusciva a sentirli così come poteva avvertire il battito incessante e tachicardico del suo cuore. Presto avrebbe rivisto sua madre, colei che l’aveva portata in grembo per nove mesi, proteggendola da un mondo fin troppo crudele per poi lasciarla crescere da sola, rinnegando quell’affetto fisiologico che inevitabilmente lega una madre alla sua bambina. Perché quella notte lei non c’era? Fermò i suoi passi e lo sguardo si perse tra le immagini riprodotte dalla sua mente; buio, oscuri mantelli, fiamme, quel ricordo era li così nitido, così denso di significato e nel contempo talmente indelebile da risultare familiare. Cosa avrebbe provato nel rivedere Lilian? Perché era li? Cosa l’aveva spinta a lasciare in tutta fretta la scuola e raggiungere quella casa famigliare ma nel contempo sconosciuta? Sarebbe stato troppo semplice giustificare ogni sua azione come un dovere da compiere nel rispetto di quegli stessi ideali che da sempre avevano guidato ogni sua mossa, perché lei odiava Lialian, odiava quella donna che si era lasciata sottomettere, che aveva creduto ad un amore impossibile e mal ricambiato, che non aveva saputo stringere a dovere la mano di sua figlia. Ma no, era vero forse in parte e lo sapeva, conscia di non poter esser sorda dinnanzi alla verità. Una parte di lei, una parte che talvolta riusciva a governare a dovere, ma che in quel momento pulsava frenetica li nel suo petto, gridava la verità con tutto il fiato che aveva in gola. Strinse a pungo la mano sinistra fino ad avvertire le unghie accarezzare in maniera decisa il sottile strato di pelle. Non era li per dovere, non era li come Ispettrice ne come Vice-Preside. Li c’era solo Hope e i suoi sentimenti verso una madre che nella sua fragilità, nel suo non riuscire ad imporsi, restava pur sempre sua madre e come tale non poteva fare a meno di amarla; era li perché aveva scelto di correre in suo aiuto nonostante tutto, nonostante le parole espresse in quelle poche righe e confutate dall’inchiostro bagnato di lacrime colme di dolore. Era forse quello un modo per aiutarla a cancellare il passato? Per allontanarla da lei una volta per tutte? “Non l’ho mai amata” neanche quello era vero, Lilian l’aveva amata a modo suo, commettendo degli errori, anteponendo la sua fragilità ad ogni cosa, ma l’aveva amata. Sciocca, sciocca Lilian, sempre pronta ad eclissarsi pur di proteggere a suo modo le persone amate; ma no, non glielo avrebbe permesso, non questa volta, non più. Avvertiva lo strano ed inaspettato desiderio di stringere a se il corpo minuto e fragile della donna come non aveva mai fatto, poiché guidata dall’orgoglio che fino a quel momento l’aveva tenuta lontana da lei. Conosceva gli errori commessi da sua madre, avrebbe potuto elencarli uno dopo l’altro come una semplice filastrocca da ripetere a Natale, ma cosa potevano valere dinnanzi alla possibilità di perderla per sempre? Nulla, così come era nulla la scelta di tenerla lontana da se. In parte, forse, aveva anche lei commesso degli errori lasciandola in quella casa, senza provare, dopo la scomparsa di Frederick, ad avvicinarsi a lei a ricominciare, a ricostruire quel rapporto che il tempo e le circostante avevano reso difficile e doloroso. Mentre quei pensieri attanagliavano incessanti la sua mente, mano a mano che avanzava lungo il corridoio, fu in grado di notare dettagli che inevitabilmente attirarono la sua attenzione. Un antico scrittoio era stato precedentemente frugato da cima a fondo senza curarsi di rimettere tutto a posto. E se qualcuno fosse realmente entrato in casa? Se sua madre si fosse trovata in pericolo? Osservò la piccola scia di luce fuoriuscire dalla punta della sua bacchetta ed allungarsi una avanti verso la porta, lasciata aperta, dinanzi a se. Sollevò quindi lo sguardò e riuscì ad intravedere parti di quello che pareva un soggiorno. “Isobel, sei tu? Hai un messaggio per me, vero? Da parte di Damon?” quella voce attirò completamente la sua attenzione. Il cuore parve fermarsi all’interno della gabbia toracica, così come ogni singolo muscolo del suo corpo si tese in una sorta di paralisi spastica. Era lei, era Lilian e presumibilmente doveva trovarsi all’interno di quell’unica stanza visibile, vicina a quella bella vetrinetta, alla poltroncina illuminata dai sottili raggi del sole. Era pronta ad affrontare quell’incontro? Era sicura di quel che sarebbe avvenuto? No, in realtà non era sicura di nulla tranne del fatto che avvertiva un disperato bisogno di lenire quella sofferenza con un abbraccio che probabilmente in quel momento sarebbe servito a poco ma che avrebbe parlato più di mille parole. Odio, amore, sentimenti forti e contrastanti che contribuirono a riattivare nuovamente il battito del suo cuore. Si portò la mano sinistra al petto nel vano tentativo di rallentare quel tumulto interiore scatenato dal sol udire quella semplice frase, la voce flebile delicata, simile ai primi germogli esposti al gelido vento di tramontana, pronta a spezzarsi da un istante all’altro. Forte del fatto che vi fosse, all’interno della grande casa, un’unica presenza, si mosse in avanti fino a raggiungere l’uscio di quella stanza. Aveva fatto una scelta, aveva deciso di mettere da parte ogni tipo di risentimento, ogni pensiero negativo, era li per lei, solo per lei. - No, sono io... Hope... -






 
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