~ Down.

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view post Posted on 21/11/2013, 02:27
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Sgusciava per le strade affollate della città aprendosi la via tra i viandanti accecati, annidati nel vento come forme spaventose che si animavano sul selciato al balenare improvviso dei lampi. In quell'ordinario guazzabuglio di umanità, i suoi pensieri apparivano fuori posto, presenze caotiche della notte che insidiavano i suoi passi e portavano gli incubi dal ventre cavo della terra.
Alzò lo sguardo e vide su di sé il cielo plumbeo pieno di nubi gigantesche, forme scarmigliate, folli, incastonate tra le alte cime dei palazzi. Mormorò tra i denti uno scongiuro osservando le vertiginose curve di quelle figure minacciose, tanto forti da insinuare nella carne un ottenebrante senso di debolezza. L'ordalia era appena cominciata.
Si avviò decisa per una strada laterale, mentre le prime gocce di pioggia si spegnevano nella polvere con piccoli tonfi sordi. Sentì l'acqua scorrerle lungo la spina dorsale, in rivoli sempre più rapidi, ma la bocca era secca, la lingua, come un pezzo di cuoio, attaccata al palato.
Continuò ad immergersi nei dedali della città mentre una nebbia spessa emanava dalle viscere di Londra, decapitando passanti ignari, grondando scomposta dai lampioni, strisciando inquieta sui marciapiedi e sulle finestre. I contorni delle case tremolavano e baluginavano incorniciati dall'oscurità ferrigna della sera.
Annusò l'aria fradicia e tagliente. La via deserta celava la sua anima spettrale: cumuli di sporcizia si affollavano negli angoli più bui e negli anfratti sotto i portici delle case, quasi che il buio potesse rozzamente occultare il sudiciume e il degrado per lasciare solo l'ingannevole apparenza di un mondo perfetto. L'indifferenza aleggiava nel suo sguardo appannato, indurito. Un quartiere ipocritamente dabbene, come tanti.
Svoltò a sinistra, in una nuova arteria costellata di luci, fuochi fatui fluttuanti a diverse spanne da terra. Si fermò un istante: lo scrosciare fine dell'acqua, un bus in fondo alla strada, passi che si allontanavano frettolosi.
Un'altra via, qualche ubriaco. Doveva esserci un pub là vicino. Doveva essere quello. Accelerò seguendo la crescente cacofonia di voci sguaiate. Il barlume di vita che si levava da quel marasma disgustoso era ciò che di più simile vi fosse alla cara grazia del calore umano. L'insegna sarebbe potuta apparire invitante se solo le ripetute piogge non avessero disegnato lacrime di sangue a partire dalla scritta rossa.
Spinse la porta a doppie ante e scivolò nella calca. Con quel tempo grigio e la notte ancora tutta davanti, molti avevano ripiegato su di un posto caldo e alla mano; troppi, in effetti, perché si potesse far caso alla sua piccola sperduta figura. Aveva imparato a mescolarsi, a rendersi insignificante, a spostarsi, a percepire gli invisibili fili che guidavano le azioni dei comuni. Era l'ideale, nella sua condizione. Da quando aveva abbandonato Hogwarts, dopo la rinascita del suo corpo, non aveva più avuto notizie di quanto accadeva all'interno di quelle mura. Cosa potevano aver pensato della sua scomparsa? La stavano cercando? O era diventata ai loro occhi e alla loro coscienza l'ennesima vittima delle terribili macchinazioni del Dio? Avevano trovato la spilla che incautamente, in un ultimo irrazionale slancio, aveva abbandonato al limitare della Foresta? Le domande si rincorrevano rodendo una parte della sua anima, quella che ancora si chiedeva se avesse compiuto le scelte giuste. E più temeva le risposte, più si acuiva l'ansiosa necessità di non farsi trovare. Non che in ogni caso fosse facile. Nessuno sapeva della rinascita del suo corpo.
Con pochi fluidi movimenti raggiunse il bancone. Lui non c'era, o almeno così pareva. Un altro sciocco contrattempo che avrebbe finito soltanto con l'esporla inutilmente.
Bere? Se voleva restare lì, doveva pur mostrare d'avere un motivo. E di certo, non poteva raccontare che un ricettatore da quattro soldi aveva garantito di procurarle un volume del raro Aureum Saeculum Redivivum, testo di Magia, per quel giorno, in quel luogo.
Con un rapido gesto si fece versare un po' del liquido ambrato che stazionava in una bottiglia sul piano umido del bar. Sedette allo sgabello di fronte e si dispose ad un'angosciosa attesa. Pensò alla svelta a quanto tempo poteva concedersi in quel posto, nel caso lui non si fosse presentato, prima di cominciare a dare nell'occhio e di doversi definitivamente allontanare. Non era un pensiero allettante, specie dopo la fatica del viaggio a Londra.
Con un misto di nervosismo e rimpianto ripensò a quanto ancora avesse da imparare, il motivo per cui aveva rinunciato a tutto. Lontano dai rigidi, inquadrati studi accademici aveva potuto concentrarsi su aspetti della Magia molto più avanzati e interessanti, ma non era mai abbastanza. E poi, e poi... non era più riuscita a replicare quell'istante di puro orgiastico piacere che il generare la fiamma le aveva procurato la notte in cui lei era rinata.
Soffocò l'amarezza in un sorso bruciante, patetico. Le dita carezzavano il vetro freddo e graffiato del bicchiere. Continuava a scrutare di sottecchi la sala, gremita fino all'impossibile, e si sentì veramente sola.


CITAZIONE
Punti Salute: 243
Punti Corpo: 242
Punti Mana: 260
Punti Esperienza: 37

Equipaggiamento (borsa):
- Mantello di Disillusione
- Pozione dell'Illusione
- Pozione Polisucco
- Polvere Buiopesto Peruviana
- Polvere Volante

Outfit:
- Bacchetta
- Anello Nosferatu
- Cinturone di Odino
- Guanti dell'Eroe Caduto
- Comodo e caldo abbigliamento babbano.
Pantaloni neri, maglione scuro e cappotto lungo, nero.
- In uno stivale è nascosto un pugnale.

 
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view post Posted on 24/11/2013, 13:36
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Erano trascorsi anni da quando il suo viso, "umanamente" corrotto da "umanità" e mortalità, aveva perso quell'insignificante aspetto che lo rendeva nient'altro che uomo.
Il riflesso tagliente di uno specchio implacabile e gretto, lo catapultavano ad un'epoca passata nella quale Egli non si riconosceva più...Poichè Lui era il Futuro.
Un atto quasi forzato fu quello di dover celare la propria perfezione, l'aspetto divino che terrorizzava e trasmetteva orrore e disperata consapevolezza di Morte.
Un uomo...Un disgustoso, mortale aspetto che non rifletteva affatto l'essenza della sua anima...Ammesso che egli ne possedesse ancora una...
Sorrise disgustato al suo stesso riflesso e, voltate le spalle a sè stesso, si diresse verso la porta. La mano raggiunse la maniglia. Le dita affusolate, forti, pallide, parevano essere l'unica costante tra il mortale e l'immortale: perfette, nervose, pronte ad impugnare la bacchetta riposta nella tasca della giacca.
Il progetto che si era insinuato nella sua mente dopo avere saputo, dopo avere osservato attentamente Lei, doveva prendere forma e consistenza.
Sentiva ancora l'odore della selvaggia paura ed il sapore pungente e metallico della malvagità che l'aveva assalita forse consapevolmente, forse istintivamente, forse in maniera assolutamente involontaria. Eppure...Eppure il Male mai nasceva dal Nulla.
C'era sempre stato in Lei...Così doveva essere...Così era.
Ed il piano a Lei riservato sarebbe apparso quale scambio di "doni". La conoscenza in cambio della Sua Anima.

Camminava ora lungo le strade della città. Il cielo era inquieto, oscuro, palpitante, come fosse in attesa della fatalità.
Il freddo, la pioggia percorrevano un lungo tragitto dai cieli fino al corrotto suolo, trafiggevano la sua pelle ed egli se ne deliziava. Si sentiva in comunione con quell'inverno, con quell'arido gelo che rispecchiava la Sua Vera Identità.
Sapeva dove Lei si sarebbe diretta.
L'avidità di conoscenza della giovane donna l'aveva condotta a Lui. L'abilità della Sua Magia l'aveva designata quale Scelta per Lui.
I passi misurati, perfetti, pazienti, lo conducevano, svincolo dopo svincolo, ad una via pregna di debolezza umana.
Il desiderio di uccidere quelle inutili figure alterate da alcool e debolezza, quasi lo inebriò.
La mano destra, fino a quel momento esposta all'aria ed alla pioggia, raggiunse la tasca ove risiedeva la Sua Bacchetta; per un attimo la abbracciò, la strinse forte tra le dita.
Un profondo respiro gli fece quasi assaporare l'idea della distruzione: sangue che percorreva le strade mescolandosi ad acqua, fango, sporcizia...
Socchiuse gli occhi...Respirò il sapore del Male...
Ma non estrasse la bacchetta.
Ripose la mano fuori dalla tasca. Ancora sentiva pulsare la brama di devastazione, la folle voglia di rivelare il Suo potere. Elettricità nelle dita...

E La vide.
Desiderosa di mescolarsi tra tanti, di essere anonima creatura nascosta al Mondo Magico, la donna entrava in un locale, assolutamente ignara di esser seguita da Lui.

Lui non entrò.
Fermo, dinanzi alla vetrata che permetteva di osservare l'interno del sudicio pub, non perdeva il contatto visivo dalla figura della giovane donna.
La vide sedersi, guardarsi intorno furtiva, in impaziente attesa...
Sorrise...
*Guardami*

Nessuna magia.
Lui sapeva che Lei si sarebbe voltata prima o poi: istinto o forse...Sesto senso.
E l'incontro dello sguardo avrebbe decretato il successo del piano del Signore Oscuro.
Oh, sì...Si sarebbe voltata...
Del resto, la fatalità, non era essa stessa Magia?

 
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view post Posted on 27/11/2013, 20:13
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I dettagli della sala emergevano pezzo a pezzo, come tracce incongrue di uno scialbo canovaccio. Sul bancone si ergeva uno squallido mezzo busto, un'eminenza di legno divorata dai vermi, dall'aspetto dissenterico e un'aria svagata. Sovrastando tutti, il pesante cigolio del lampadario in ferro battuto riempiva malinconicamente le pause tra i discorsi, mentre una luce itterica dilagava con attaccaticcia morbosità.
Gli occhi grigi ruotarono nelle orbite, inaspriti, saettando di fianco, obliqui. Le mani dell'uomo accanto a lei erano avvolte nella lana e nel cuoio, abbandonate mollemente a lato del boccale vuoto. Quelle della donna appresso erano nude, le dita affusolate, ruvide, le unghie mangiate fino ai polpastrelli, nervose mentre tamburellavano sul freddo piano scrostato. Tutto attorno si avvicendavano volti scarnificati dalle fatiche del lavoro, che macinavano tra i denti insulti e risa spruzzando saliva e residui di alcol.
Rumore di dadi lanciati in un angolo, passi al piano di sopra, il tintinnare dei bicchieri sui vassoi. E nonostante la maniacale analisi delle minuzie, nessun indizio su di lui.
L'insofferenza la tormentava come punture sulla carne viva, lasciando in bocca un vago sentore di nausea e il sapore acre dell'inquietudine. No, si sbagliava. Era al sicuro in quello sfrontato angolo proletario, nel pulsante espansivo cuore della bassa società londinese. I suoi sensi la ingannavano.
Un nuovo soffocante sorso colò come lava per la gola, esacerbando impietosamente la sua sete. Strinse le labbra in una piega amara, ma l'attimo passò ancor prima che se ne rendesse conto lasciando non del tutto appagato il suo bisogno di calore. Maledizione. Si voltò con foga quasi ossessiva a fronteggiare apertamente l'uggiolante calca. Una massa deforme di umide figure avvinta nel sollazzo della propria ordinarietà. No, non si sbagliava. Avvertiva qualcosa di mutevole nell'aria, di frenetico, irrequieto.
Vi era una probabilità pressoché nulla di incontrare Maghi in quella zona della città, lo sapeva, aveva concordato quel luogo, con lui, proprio per quel motivo. Ma se non era questa la fonte del suo disagio, perché mai le sue percezioni la trascinavano a simili pensieri?
Osservò attentamente una donna di mezza età, gli occhi scuri, le mani rattrappite e l'espressione accorta. Passò ad un giovane, quasi un uomo, la pelle scura, il naso schiacciato, un sorriso sprezzante che vagava sul viso tirato. E poi, con ponderata fatalità, il giovane si scostò, e fu allora, nel varco tra i corpi, che vide quel qualcosa di diverso.
La figura si stagliava nell'oscurità del vicolo, immobile appena oltre la vetrata. Anche a quella distanza, gli occhi taglienti, infossati, sembravano stringersi nel sospetto e sondare la sua essenza. Poteva percepire, appena sotto la loro superficie, il ribollire di una furia glaciale e pura, sacrale. Se ne sentì inspiegabilmente avvinta, e la sproporzione di questo suo sentire, rispetto alla reale semplicità della situazione, la precipitò nello smarrimento. Cercò di passare oltre, ma lo sguardo si aggrappava con forza a quegli abissi immoti che la fissavano, traendone un disperato piacere. Intuiva, con la forza dell'evidenza, che non v'era modo di fingere di non aver notato quello straordinario effetto, così come capiva che sarebbe stato sciocco tentare di defilarsi. L'uomo la scrutava con maniacale dedizione, ma lei non aveva modo di sapere chi fosse, a quale mondo appartenesse, cosa volesse. Il timore onnipresente sul fondo della sua coscienza le suggeriva che un qualche inviato ministeriale, o forse della scuola, l'aveva infine trovata, in qualche modo; ma c'era qualcosa di più, lo sentiva, la percezione di una sottile follia che si manifestava nell'eccessiva spavalderia dell'uomo, risagomando i contorni decisi dei suoi tratti in qualcosa di imponderabile.
Considerò rapidamente le sue possibilità: l'unica uscita era la stessa da cui era entrata, proprio accanto alla vetrata; la presenza di gente le offriva una discreta sicurezza sulle possibili iniziative future dell'individuo. Poteva attendere lì dentro l'orario di chiusura, quando abbandonare il locale sarebbe stato inevitabile, prendendo tempo e confidando nella possibilità di mischiarsi agli altri ritardatari; o cercare un chiarimento prima, quando ancora poteva essere spalleggiata dalla piccola folla lì riunita. Forse l'uomo si sarebbe stancato del suo capriccio passeggero, e si sarebbe dileguato così com'era venuto; o forse era lì proprio per lei.
Fu improvvisamente consapevole del pugnale nel suo stivale e della sottile asticella di legno nella tasca interna del cappotto, ed un barlume di temerarietà attraversò la sua fronte. Non c'era motivo di preoccuparsi, dopotutto non era indifesa.
Un istante dopo, rimase sconcertata dai suoi stessi propositi: che le era preso? La paranoia l'aveva portata a questo? Un passante, nulla più, ecco cos'era. Un Mago forse. Una fatidica casualità.
Il respiro moriva lentamente, mentre un'inspiegabile attrazione vincolava la presenza dell'uomo alla sua, quasi una violenza al buon senso. La piega sottile delle labbra di lui si atteggiava ad un sorriso consapevole, a tratti ironico, imprevedibile, pericoloso. Era un percorso affascinante, e come poteva nuocerle guardare? Gli occhi di lei non si abbassavano, pregni di un improvviso orgoglio che sapeva di sfida. Prima o poi l'altro si sarebbe mosso, avrebbe proseguito il suo vagabondaggio, e a lei sarebbe rimasto il gusto labile di una vittoria tanto inutile quanto esaltante.
...Balle. Il suo cuore conosceva la verità. La conosceva perché la urlava martellando per farsi sentire, tragicamente ignorato. Non era che non volesse abbandonare quel contatto. Semplicemente, non poteva. Era l'apoteosi della sua debolezza, della sua fuga strisciante, della sua maturità ancora suggestionabile: ingenuamente certa d'aver preso le opportune misure, non aveva mai pensato davvero a cosa fare se mai il mondo magico l'avesse infine rintracciata per ricondurla a sé. Se era veramente un Mago, non doveva perderlo di vista. Ma l'immobilità silente di quella figura era più spaventosa e concreta di un qualunque confronto diretto.
 
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view post Posted on 30/11/2013, 12:08
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Sapeva di essere sempre stato capace di aspettare e, nello stesso tempo, incapace di essere paziente...Poichè...Aspettare e pazientare erano due atti molto distinti...
Ma avrebbe atteso, perchè l'attesa era un fastidio allettante, quasi piacevole se ben riposto nel soggetto giusto. Attratto dalla Magia e non dall'essenza dell'essere umano, il Signore Oscuro troppo a lungo aveva delegato sudditi gretti e poco abili al reclutamento di promettenti maghi, per dedicarsi solo al potere ed all'immortale senso del Male che lo avevano inebriato e lo avevano condotto al dominio dell'Oscurità.
Era giunto il momento di agire personalmente e con decisione.
O SUA...O DI NESSUN ALTRO...
Del resto, una vita lontana dal Male, per Lui, non poteva esser vissuta. Non vi era scelta...Vi era un'unica Via.
La osservava quasi divertito ed incuriosito. Una piccola, allettante preda, attendeva solo di esser...catturata.
E lui non avrebbe disatteso tale "attesa"...
Da troppo tempo conosciuto solo per la pura essenza di malvagità, gli avversari avevan forse dimenticato quanto Lord Voldemort sapesse essere ammaliante, affascinante nella sua cattiveria, seduttivo nella sua calcolata freddezza, irresistibile nella sua sconvolgente decisione...Prima di affondare la lama del Male.
La piccola preda si guardava intorno, in attesa, impaziente, scoraggiata e non sapeva che il suo predatore era già lì.
Il richiamo degli occhi attraverso i quali ella cercava, fu sopraffatto dallo sguardo di Lui...L'unico che avrebbe potuto attirare l'attenzione della giovane donna.
E LUI lo sapeva.
Gli occhi di lei dicevano tutto. Essi già appartenevano a lui, e nulla potevano per evitare l'inevitabile.
Sguardi che si incrociavano, si catturavano e tutto diventava chiaro, ma...Paradossalmente nebuloso, insicuro, incerto.
Il volto divertito dell'Oscuro Signore, quasi poteva ammaliare e terrorizzare, confondere e disarmare.
E non vi era arma più letale del dubbio.
Mai Lord Voldemort si stupiva...Mai poteva godere dell'eccitante sorpresa poichè egli conosceva i pensieri dei deboli maghi dinanzi a lui...SEMPRE...
Diabolico Legilimens, egli attendeva solo quel contatto per potersi intromettere nella miriade di interessanti pensieri che invadevano la mente della giovane donna.
Occhi che si aprivano a lui. E lui vedeva...
E si stupiva...Per la prima volta...Non per la legittima paura ma...per la curiosa attrazione che ella provava per il pericolo che tuttavia percepiva e sapeva esser reale...
*Non puoi...Non puoi aspettare...Questo tu lo sai...Arwen...*
Parole pronunciate come un sussurro, lente, delicate e violente, graffianti e dolci, risuonavano nella mente della donna. Era lui...
L'ostinazione dell'attesa e della speranza che lui se ne potesse andare, lo divertirono.
E una piccola, lieve, affascinante risata, risuonò nei pensieri di Lei.
Lord Voldemort l'aveva già spogliata di ogni segreto...E lei lo sapeva...
Dietro la vetrata, fuori dal locale, lui...Lui...Ancora aspettava...
 
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view post Posted on 13/12/2013, 21:01
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Qualcosa di freddo scivolò sgradevolmente dentro di lei, come dita gelide che frugavano irriguardose gli intimi recessi della sua coscienza.
All'esterno, la notte era bianca come la morte, avvolta nel rigido amplesso del sudario di nebbia. Le poderose nubi danzavano attorno a una luna argentea, e le stelle osservavano come altrettanti occhi glaciali attraverso l’umida coltre del madido, febbrile profilo cittadino. Deboli fasci di luce penetravano l’aria lattiginosa e spessa, sfuggenti e scabri come le mani di un cieco, cogliendo a tratti il tacco di una scarpa, il lembo di un cappotto, il dettaglio di un volto. Tutto permaneva in uno stato di latente sospensione, e tutto lasciava presagire che ogni cosa sarebbe sopravvissuta indenne e immutata almeno sino alle prime ore del mattino, quando il sole avrebbe infine dato nuova consistenza alla materia.
Eppure, vi era incontestabilmente un qualcosa in atto, una percezione incalzante del divenire, una diversa densità delle tenebre che appesantiva la figura dell'uomo in un mosaico di ombre.
Un pallore mortale scese sul suo viso mentre l’irresistibile cuneo di quel casuale contatto attecchiva nelle profondità delle sue viscere, e la consapevolezza di possedere una propria vulnerabile anima prendeva il sopravvento, lasciandola vergognosa e sconvolta. Non era solo paura: si sentiva defraudata, violata. Il sentore della debolezza era nella sua pelle, un odore pungente, dolciastro, viscido, che si mesceva agli acri vapori delle vivande e al lezzo untuoso dei corpi. Avvertiva nella testa un'estraneità prepotente che scoraggiava ogni pensiero all'infuori di Lui.
Non poteva più scegliere di non guardare. Gli occhi grigi turbinavano come il mare d'inverno, torbidi e abissali. Vedeva davanti a sé il sorriso divertito dell'uomo e capiva, con assoluta feroce certezza, che Lui, Lui conosceva il suo cuore, e se ne prendeva gioco. Non c'era rammarico, comprensione, pietà: solo l'incrollabile aspettativa di qualcosa di ineluttabile. Era un pensiero terribile, e confortante a un tempo. Come se in fondo anche lei non avesse fatto altro che attendere che qualcosa accadesse. E là, in quegli occhi calmi e inquietanti, quel qualcosa c’era, un qualcosa che lei voleva, che voleva disperatamente. Se ne sentiva a tal punto dilaniata da percepire quel desiderio come un dolore fisico, pronto a trascinarla in egual misura nel dubbio o nel piacere.
Un mormorio lontano, in sottofondo. Dapprima quasi non se ne accorse, come se quella percezione non fosse che un'estensione del suo io inconscio; poi, l'eco vibrante dei sussurri crebbe fino a diventare un tempestoso imperativo, terribile e totale. Le parole si insinuavano seducenti nella sua mente, corrompendo la sua volontà, fluendo lussuriose sulla superficie intonsa delle sue ancora mutevoli possibilità future. La verità lenta e fragile del loro contenuto si riversava con disarmante necessità nel suo sangue, con una dolcezza così impellente e definitiva da rendere impossibile negarsi ad essa.
Il brusio attorno parve spegnersi ed improvvisamente fu sola nella vastità solenne della pervicace mente dell’uomo, che si fondeva invincibilmente nella sua. Il cappotto scivolò con un fruscio lungo le sue gambe e le pesanti maniche ricaddero sui polsi bianchi e sottili mentre si alzava. Non poteva… Non poteva… Cosa?
La voce… Sapeva che era di Lui. Glielo si leggeva nella piega ironica di quella bocca, in quel trasporto a un tempo distaccato e pressante che emanava dalla sua figura e che si protendeva senza freni verso di lei, impedendole di sottrarsi all’ottenebrante estasi del sentirsi, in qualche modo profondamente sbagliato, desiderata. Eppure era allo stesso tempo la propria voce: emergeva dal profondo caos della sua interiorità spezzata, spogliata, come il respiro trepidante e tremulo, intollerabilmente vicino di un amante.
Una mano salì a sfiorarle la fronte, le esili gelide dita che tremavano in una silenziosa disperata supplica. Non poteva… Non poteva…
Non poteva aspettare. Il solo pensiero era una liberazione, una caduta verso il nulla, e un’ammissione con sé stessa. Poteva rimanere lì, in frustrante attesa di un qualcuno che ormai era certo non si sarebbe presentato… o far tornare a splendere la vecchia fiamma del suo spirito e prendere in mano la situazione presente. Poteva attendere che l’uomo andasse via… Ma di fronte alla possibilità concreta che ciò accadesse, come se quelle parole nella sua testa le avessero lasciato un’ultima estrema possibilità di accettarlo, capì di non volerlo: non prima di aver saputo…
Lui, Lui pareva conoscere quel che lei si affannava a decidere ancor prima che lei stessa giungesse a un compromesso con la sua coscienza. Non era sicura che se anche avesse pensato di rimanere immobile al suo posto Lui avrebbe considerato persa la battaglia, eppure cercare di scoprirlo avrebbe significato attendere ancora, e ancora… E Lui sapeva che lei non poteva. Non a quelle condizioni.
Il suo nome la colpì come una stilettata in pieno petto, carico di un piacere ferale, improvviso, accompagnato dal graffiare impietoso ma sottile di risa di vittoria, come sabbia portata dal vento. Eppure il bisogno di continuare a dolere degli occhi dell’uomo le impediva di perdersi del tutto. Com’era possibile che fosse giunto a simili conclusioni? Da quanto sapeva? L’aveva seguita? Cosa vedeva del suo vecchio corpo e cosa sapeva del nuovo? Era folle anche solo il pensiero. Nessuno, nessuno poteva essere arrivato a tanto… Ma… Ripensò alla notte della sua creazione, all’evento straordinario e apparentemente illogico che aveva determinato l’irrimediabile deviazione della sua esistenza: sfinge, questo era il nome della creatura che l’aveva trasfigurata. Una sfinge nella Foresta Proibita di Hogwarts… L’incontro casuale, il dono… Qualcosa che le aveva dato molto da pensare. E l’uomo… l’uomo che pareva sapere ogni cosa, che pareva aver atteso proprio lei, che in qualche affascinante modo la legava a sé. Che fosse stata tutta una subdola macchinazione di cui era caduta vittima pensando scioccamente di essere padrona delle proprie scelte? Che la sfinge fosse stata inviata al preciso scopo di incontrarla? Che conoscesse già, al momento di porle la fatidica domanda, la debolezza che l’avrebbe fatta cadere? Non era forse la regina dei tranelli?
Il dubbio la investì, e la determinazione appena ritrovata vacillò. Se così era, poteva forse considerarsi nulla più di una pedina che ancora serviva alla strategia del gioco. Ma a quale scopo? Perché prendersi tanta briga?
Se era vero che l’uomo era indiscutibilmente un Mago, era anche ormai certo non fosse un funzionario, erano i suoi stessi modi a dirglielo: non era lì per la sua fuga, eppure c’era, a pochi passi da lei, a osservarla, a sussurrarle un nome, il suo, e quel che si aspettava da lei, come se la conoscesse da sempre. Forse in quello stesso momento spiava i suoi pensieri…
Lasciò cadere una moneta sul bancone, accanto al bicchiere non ancora vuotato dagli ultimi sorsi. Il tonfo sordo si perse nel clamore, attutito dal legno. Nessuno le badò, né lei badò ad altri fuorché a quei limpidi crateri luminosi che la seguivano ovunque.
No, non poteva aspettare, lo sapevano entrambi, seppur in modi diversi. La folla numerosa era di ben misera consolazione ora che aveva la certezza che l’altro potesse usare la Magia, ma la bacchetta premeva contro il suo fianco e il pugnale contro il polpaccio. Doveva chiarire subito la faccenda. Era un momento come un altro per farlo, né migliore né peggiore.
Si mosse sinuosamente nella calca, passi calibrati ma decisi, gli occhi fissi sull’uomo quasi temesse di perderne la posizione, in realtà segretamente temendo le conseguenze della fine di quel contatto. Si avvicinava, e ogni passo le dava la strana sensazione di affrettare una condanna in bilico sulla sua testa.
Refoli di aria fredda le carezzarono il viso quando fu a un passo dalla porta. Rabbrividì ma non si scompose. Aveva deciso.
La figura dell’uomo era imponente, ancor più ora che non appariva velata dal vetro appannato del locale, così da assumere una consistenza più reale e minacciosa. Mostrava una carnagione pallida, forse solo l’impressione dovuta alla nebbia, che pure lo rendeva, in qualche modo, più enigmatico e pericoloso. Gli sorrise, stringendosi nel cappotto con fare infreddolito, la mano avvinta tra le pieghe, nascostamente stretta alla tasca con la bacchetta.

- Una serata straordinariamente inclemente per stazionare all’aperto. –
Il sorriso si spense, l'arto non più artificiosamente contratto dal freddo ma strategicamente fermo sull’arma, il viso esangue scolpito nella pietra.
- Una serata straordinariamente inclemente anche per chi vorrebbe starsene per i fatti propri. –
Gli occhi si strinsero a fessure, due cicatrici di ghiaccio contratte in intollerabile tensione.
- So cosa stavi facendo: chi sei e cosa vuoi? –
Il tono era fermo, più coraggioso di quanto si sarebbe aspettata. Forse ad infastidirla, in quell’istante particolare, era l’atteggiamento sicuro dell’uomo, o il taglio obliquo delle sue labbra, o l’insistenza immutabile del suo sguardo; forse era la frustrazione nata dalla consapevolezza di partire in svantaggio in quel confronto: lei non sapeva con chi avesse a che fare, Lui, sembrava, sì.
Una scintilla di primordiale rabbia si accese nel fondo dei suoi occhi, tenuta a bada dalla cautela. Aveva molte domande da porgli, ma era da quelle due prime, banali questioni che sarebbe dipesa ogni altra cosa.

 
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view post Posted on 16/12/2013, 21:52
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Sfrontata, sfacciata, inquieta e tormentata, la giovane donna palesava un incedere vorticoso di sensazioni ed emozioni che lo facevano divertire.
Il contatto mentale, il "muto" dialogo si materializzavano nella testa di Lei per poi venire riflessi in quella di Lui come specchio implacabile della verità.
E Lui se ne compiaceva.
I misteri svelati, le parole non dette ma comunque sonore nel pensiero, rimbombavano nella mente del Signore Oscuro. Ed Arwen appariva ora una persona fin troppo conosciuta per non incrementare la certezza di Lord Voldemort di avere ben agito e di avere utilizzato il suo prezioso tempo per una comune strega...Che forse avrebbe potuto elevarsi ad alto grado di perfezione se solo avesse ben agito.
Lo sguardo, fisso su di lei, come gelido getto infuocato puntato sulla preda, mai cessava di esaminare, controllare. Gli occhi di lui, feroci ed ammalianti, continuavano a scrutare quelli della donna.
E passo, dopo passo, la "prescelta" si avvicinava alla Fine...Oppure all'Inizio.
Del resto, avrebbe potuto trattarsi della medesima cosa, come cerchio infinito che mai cessa di evolvere.
Sì...Certamente sarebbe stata una Fine. Sì...Senza dubbio si poteva trattare di un Inizio.
A dire il vero, il Signore Oscuro si deliziava dinanzi ai cambiamenti che lui stesso era in grado di provocare.
Quasi si trattasse di perverso gioco "umano", ove misere pedine venivano frantumate con le sue stesse mani per esser nuovamente "coniate" a seconda "vita", ricostruite, riplasmate per divenire Sue, Egli si dilettava nel ricercare la "giusta materia magica" (rappresentata da maghi e streghe) per ottenere seguaci degni della Sua stessa natura divina.
Contorto, fonte di turbamento ed orrore, maniacalmente sedotto dalla sua stessa persona, crudele fino a rasentare la genialità assoluta, il Signore Oscuro ora attendeva la giovane donna, certo che i propri piani avrebbero trovato giusto compimento, sicuro che Lei sarebbe stata Sua Preda.
Egli non falliva. Egli non sbagliava. Riusciva a setacciare ogni piccolo angolo della mente umana, catturando quella goccia, quella giusta dose di Male che ciascuno celava nel proprio animo.
Catalizzatore della violenza e della crudeltà, egli non avrebbe mai permesso alla donna di effettuare scelta diversa da quella prevista.
Passo, dopo passo...
Ella si guardava intorno quasi disprezzasse l'ambiente che la circondava, quasi percepisse, come lui, la miseria di tal luogo privo di magia e di divino potere.
Eppure, la stessa presenza di Lei e di Lui, rendevano quel luogo speciale e vibrante di note armoniosamente discordanti, pronte a creare sinfonia nuova e
rivoluzionaria.
Legato alle più degne tradizioni magiche, Lord Voldemort, consapevolmente, sapeva di essere un innovatore...Pur sempre classico ma...Un innovatore.
Ella era vicina. Si approssimava alla porta, sempre ricolma di pensieri e disappunto, ma anche curiosità, timore, rabbia, fuoco...
Il fuoco...
Gli occhi del Signore Oscuro, per un attimo, assunsero nuovamente quel colore vermiglio e quella freddezza che lo rendevano agghiacciante.
La porta si apriva ed egli esultava...Soddisfatto...
La donna si avvicinava ed egli sentiva crescere il senso di vittoria e soddisfazione.
Arwen parlava con forza e "velata", indecisa decisione, e Lui comprendeva quanto il suo successo fosse vicino.
Una domanda sfrontata. Parole chiare. Fastidio manifesto. Lei.
Un sorriso sicuro. Lui.
Seguimi Arwen.
Lord Voldemort si voltò e si incamminò verso lo svoltare del vicolo, senza aggiungere altro...Come certo che lei lo avrebbe seguito.
*Non puoi fuggire...Se questa fosse la tua idea...Non puoi rifiutare il mio...Invito...Non farmi domande di cui conosci già la risposta...Cosa voglio?...TE! Chi sono?...TU...LO...SAI...Cosa ti offro?...FUOCO...*
Una voce insidiosa nella mente della donna...Un'invasione fastidiosa ed affascinante...

 
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view post Posted on 24/12/2013, 17:39
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I lembi delle vesti frustavano l'aria opalescente, divincolandosi al freddo brutale. Vapori lividi risalivano con presa ferrea le membra intorpidite, e la bocca succhiava avidamente il seno gelido della notte provocando un'irriducibile sofferenza ad ogni respiro. Ritmici fiotti cinerei sfuggivano dalle labbra condensandosi nel vuoto immobile e allibito tra i corpi. Dall'interno del locale, il frastuono rugginoso e sporco delle stoviglie e delle risa penetrava l'inerzia del vicolo, spezzato di tanto in tanto dalla cacofonia di legno strascicato.
Le parole erano sgorgate irriverenti, rabbiose e vagamente accusatorie, senza alcuna voglia apparente di mascherare il risentimento o il sospetto, senza alcuna apparente debolezza, senza rimorsi, senza suppliche.
Eppure, nel muto istante che seguì, fu come morire cento volte.
La lieve cortina di pioggia continuava pigramente a pungerle il viso, spillando goccia dopo goccia la sua determinazione. Nella fine percezione di quella illusoria quiete, si andò dilatando un rombo basso, distante, come sospeso nell'aria. Il sorriso dell'uomo tagliava in due la notte, e in qualche modo dilaniava le sue stesse carni, quasi bramasse di separare dalla pura forma del suo essere il marcio della sua esitazione.
Non aveva difese. Nessuna difesa era possibile. Nulla più si frapponeva tra lei e l'immensità fredda e profonda dello sguardo dell'uomo, tanto più grande del suo. Quello sguardo la faceva sentire meschina, limitata, plasmabile. Era folle d'ira con sé stessa perché sapeva che buona parte di quell'incertezza e quella sfiducia che la irrigidivano derivava dall'intima indecisione sulla propria identità. Sentiva allargarsi la sottile piaga della ribellione, una sensazione bruciante che rivestiva le sue viscere chiamandola codarda. Quanto poteva essere lecito avere paura?

- Seguimi Arwen. -
Pareva così straordinariamente naturale, scontato, da far apparire le sue domande sciocchi quesiti di bambina. E forse davvero lo era mentre guardava la figura voltarsi e muovere i primi passi verso lo svoltare del vicolo, così assurdamente certo che lei l'avrebbe seguito da rendere impossibile il contrario.
Il corpo reticente si protendeva in avanti, docile, come a un ordine del padre. Si chiese cosa sarebbe accaduto se avesse tentato di fermarlo, se avesse cercato il contatto del suo braccio. Si agitava in lei un impulso fisico, un bisogno di ritrovare il controllo nella vicinanza, di possederlo ritrovando così la sovranità del proprio Io.
Era un pensiero vagamente bizzarro, malato. La mano si sollevò appena, conscia della violazione. Si accorse di avere il nulla sulla lingua. Tutte le domande che le avevano affollato la mente fino a pochi istanti prima si erano incastrate in gola o erano andate perdute. Era terrorizzante, come se questo, più di tutto, le potesse dare la misura del proprio disorientamento.
E intanto percepiva, dal lontano abisso della sua instabile coscienza, il raschiare seducente e subdolo di quell'eco profondo che era a un tempo manifestazione di sé e della volontà imprescindibile dell'uomo. Una strana eccitazione tornò a correrle nel sangue, una vorace fame di quel labile legame, una spasmodica tensione verso la preziosità di quell'unico raro evento, qualcosa di doloroso e necessario, di totale.
Le parole la mortificavano nel vivo fulcro del suo essere, suggerendo e negando la fuga, chiamandola cieca ed ingenua. La vergogna la assaliva imporporandole le gote, e poco importava che costui fosse uno sconosciuto, un prepotente. Desiderava che la considerasse migliore, che le riconoscesse un livello pari al suo, proprio perché lei stessa si accorgeva della grandezza dell'uomo. Seguirlo era un'implicita ammissione di asservimento, farlo una volta poteva significare dichiararsi spezzata per sempre. Poteva rinunciare così al suo orgoglio? Cosa aveva da guadagnarci?
Eppure... Eppure Lui voleva lei, e un involontario brivido di autocompiacimento la riscosse annegandola nella perversa lusinga. Ma Lui... Sapeva davvero chi era Lui?
Come se l'accenno suggerito dalla voce avesse fatto scattare qualcosa, un pensiero remoto si fece strada nei suoi occhi, voci di straordinarie abilità manipolatrici, di immensi poteri, una paura senza nome che non poteva neppure essere sussurrata...
La mano ricadde, bianca come la morte, il dubbio che si disegnava nei tratti tirati del suo viso, rendendoli più aspri e consapevoli. Possibile? No, era impensabile. Lì? Da lei? Per lei? ...Perché? Una domanda spontanea e semplice, quasi insulsa. Altri al suo posto avrebbero già messo mano alla bacchetta, senza esitare. Era l'occasione di essere un eroe, l'occasione di una vita.
Ma Lui, Lui era lì per lei... Questo in qualche modo la rendeva speciale, diversa, sola. L'ombra del desiderio si allungava nelle sue iridi, guizzante e instabile, in preda a un conflitto interiore. Bruciava, e il fuoco riempiva il suo corpo come se non bramasse altro che di accettare l'offerta dell'uomo, di liberarsi dal peso del vincolo di quella calma forzata.
Il fuoco, il fuoco era in qualche modo la chiave. Le offriva il fuoco... Ma cosa voleva dire? Poteva mai essere un dono disinteressato? Follia, follia! Seguirlo era pura follia.
Eppure l'insoddisfazione la divorava, l'adulazione la blandiva, l'imperativo risuonava.
Forse poteva assecondarlo e poi dileguarsi. Non ci credeva nemmeno lei, ma mosse un passo avanti lo stesso. La giustificazione suonava bene e tanto bastava. Dopotutto, a chi avrebbe mai dovuto rendere conto, ancora?
Avvertiva la sottile disperazione di quella scelta, come di chi, in fondo, non ha alternative. Eppure anche la notte, mentre si abbandonava all'ignoto, non era poi tanto scura.

 
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view post Posted on 3/1/2014, 18:37
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Sorrideva.
Ancor prima di percepire, passo dopo passo, l'avanzare della giovane donna, umile ed orgogliosa accettazione della propria brama di conoscenza e di potere, Lui sorrideva.
Procedeva dinanzi a lei, assaporando il freddo glaciale dell'aria, ed il calore rovente della collera e del desiderio di avere di più.
Respirava paura, fastidio, curiosità, brama, attesa, stupore di lei ... E se ne deliziava.
Tutto nelle sue mani, ogni cosa da lui prevista e voluta, trovava compimento.
Eppure, era solo l'inizio di un interessante esperimento cui lui stesso sarebbe stato spettatore e regista ed autore e sceneggiatore.
E la sua Musa, la sua piccola ed ingenua protagonista, avrebbe invaso quel copione da lui scritto e mai prima utilizzato.
Ed il vicolo trovava fine e si rendeva necessario allontanarsi dai gretti luoghi pubblici per inoltrarsi nelle vie più buie e prive di inutili vite curiose e dotate di occhi e vista fastidiosi.
Nessuno doveva vedere, nè maghi, nè sudici esseri umani privi di Magia e pertanto null'altro che niente.
Un viaggio che cominciava con un incedere incessante ma tutt'altro che frettoloso. Il tempo non era un nemico...Mai...Soprattutto per Lui.
Ma tale pensiero lo faceva quasi ridere per la pena per contrappasso che invece, la giovane donna, aveva subito.
Proprio a causa del Tempo...Quest'ultimo, crudele e sempre giusto ed equilibrato, aveva invece iniquamente sottratto a Lei sè stesso...Il Tempo e le aveva portato via adolescenza ed anni beati.
Tempo...
Beffardo, Traditore in tal caso...Ma assolutamente in Tempo per Lui...
Non vi era momento migliore, non esisteva occasione più allettante.
Era perfetto.
Ed ancora una volta Lui si sarebbe servito del Tempo...Per Lei...
Ancora passi lentamente rapidi ma quasi regali poichè ogni attimo, ogni istante era ricolmo di pensieri, riflessioni, progetti, piccole azioni ritenute quasi impercettibili di Lei, ma da Lui captate come fossero sonoro allarme ed interessante monologo.
Ascoltava il loquace silenzio della giovane donna e, sebbene ella fosse dietro di lui, egli mostrava palesemente, con elegante ma arrogante tacito riso, sussurrato con delicato alito e sommessa corda vocale, il suo potere ed il suo sapere...
Ancora un vicolo svoltato per addentrarsi nelle zone più malfamate ed isolate della Vecchia Capitale. Sopra di loro, intemperie, intorno a loro il freddo, sotto di loro sudici strade...E, all'improvviso, di fianco a Lei, Lui.

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Arrestatosi dall'avanzare, proprio nel mezzo di una stretta stradina protetta da palazzi logori e forse disabitati o semplicemente abitati da discreti esseri silenziosi e desiderosi di star lontani da pericolo e morte, Lui si voltava verso di Lei, la affiancava e, con terrificante eleganza porgeva la mano, come ad invitarla, o meglio ad obbligarla, ad accettare di rimando di riporre la sua delicata mano su quella di lui.
La fissava e la sua bocca non proferiva parola, ma nella mente di Lei si insinuava nuovamente, sfacciato e forte.
*Andiamo dove tutto è cominciato...Mia piccola, malvagia...Assassina...Ricordi? Ti viene in mente la morte dell'innocenza? Rammenti? Oh...Sì...Che rammenti...Ne sono certo....*
Parole...Mute...Prive di significato...O forse ella aveva compreso?

 
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view post Posted on 7/2/2014, 03:28
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Teneva lo sguardo basso, ma ai margini del suo campo visivo ogni ombra era un brulicare guizzante di ipotesi e sospetti. I suoi occhi erano pieni di nebbia, più pallidi della pietra, più scuri del latte. Il respiro riempiva l'aria di vapori lividi, e il gelo serrava la gola al punto da bruciare la pelle, come dita di ghiaccio affondate in profondità nella carne soffice dell'incavo inerme del suo collo. I polmoni bruciavano, e la rigidità del suo corpo tradiva l'insofferenza al freddo e alla tensione. La fronte si incupì, le mascelle si contrassero: sarebbe potuto passare per un atteggiamento di sfida se solo l'eloquenza del gesto non fosse andata sprecata dalla visione del suo capo prudentemente chino.
*Troppi passi.* La via era sconnessa, ineguale, e sotto il baluginare dei lampioni pareva muoversi, cambiare forma. Il cielo premeva con la sua profondità grigia, e il vento soffiava in raffiche rapide e laconiche, efficaci e feroci come le stilettate di un sicario. Anche la luna pareva congelata, il volto esangue tremante dietro il velo di pioggia, lieta di quella distanza. La paura riempiva il silenzio, e l'aspettativa sfumava rapidamente nell'incertezza via via che lo scorrere del tempo corrompeva l'eccitazione e insinuava il dubbio su quanto realmente fosse accaduto. Si scoprì a desiderare d'incrociare ancora gli occhi di Lui, anche solo per un fuggevole istante, solo per una conferma, solo per sentirsi meno sola, come se una volta assaporata la viva devastazione della follia pulsante che aveva scorto in Lui la prima volta, il resto apparisse solo scialba sopravvivenza. *Sono occhi che mentono.*
La lieve cortina di pioggia continuava a cadere attorno a loro, bianca e silenziosa, tenendo un suo arcano concilio. Una fanghiglia viscida si andava asserragliando negli angoli della strada, là dove i dislivelli strutturali creavano avvallamenti e anfratti. Riccioli di nebbia danzavano tra i capelli simili a nastri spettrali, e scivolavano lungo la schiena diritta dell'uomo che la precedeva. Sbagli a seguirlo sussurrò una voce dentro di lei. Sbagli a frenarti sussurrò una voce diversa. Il conflitto era così dolorosamente carico di speranza da farla sentire piccola, fragile e debole dentro, come un bimbo che piangeva nelle tenebre, fino a sfinirsi. *Non scenderò ad altri compromessi.*
La figura dell'uomo oscillava cautamente davanti ai suoi occhi ad ogni passo, e seppe che avrebbe infranto anche quel proponimento. Udiva l'incessante bisbiglio della voce di Lui, un sussurro senza fine, simile al bramito di una belva feroce o ad un fiume dagli insaziabili appetiti, come un liquido mostro ruggente che invadeva la sua mente e cancellava il calore dai suoi ricordi.
Vi era qualcosa di ipnotico in quel modo di incedere calmo e sicuro, qualcosa di surreale, di freddo.
*Ho bisogno di Lui.* Per il segreto del fuoco? Improvvisamente, non pareva più abbastanza da rischiare.
I vicoli si susseguivano nel crescendo spasmodico del suo disagio. Strade sempre più buie, sempre più vuote.
*Un buon posto per morire senza clamore.*
Il petto si alzava e si abbassava rapido, le gambe la trascinavano in avanti, avvinte dall'abitudine all'obbedienza e dal sospetto che lei avesse, dopotutto, un ruolo fondamentale in quella storia.
Quasi non si accorse di essersi fermata. Aghi di pioggia tormentavano il suo viso distogliendo la sua già instabile concentrazione. La mente vagò in devota contrizione sulla desolazione della via e dentro di sé, prima di avvilupparsi nuovamente agli occhi di Lui. L'insano legame si riallacciava con malcelato desiderio, approfondendosi nelle gelide iridi dell'uomo in cerca di quella conferma che disperatamente aveva bramato.
Ma non c'era, e lei rimase tremante e allibita. Scoprì invece un compiacimento ferale e selvaggio, una furia impietosa e blasfema che guizzava in superficie in rapidi e terribili lampi d'intelligenza. Osservandolo, si sentì raggelare il sangue. Quella minuscola parte che ancora proteggeva e teneva nascosta nel profondo del suo io, indietreggiò terrorizzata.
*E' la pienezza di questo modo d'esser vivo che ho desiderato.*
Vide la mano dell'uomo protendersi verso di lei: non artigli pronti a ghermirla, ma dita lunghe e affusolate che suggerivano un invito cortese, quasi intimo. *Non mi permetterà mai di guardargli dentro.* Ma era forse proprio questo che accresceva il desiderio. Si sorprese a pensare che non c'era ormai più nessuno per cui valesse la pena battersi con Lui.
Levò la mano con calma innaturale, senza tremiti, e la pose con consapevolezza su quella dell'uomo. Era il contatto che aveva cercato e temuto, un nuovo livello di comunione che attraversava l'improbabile coppia nascosta nella via desolata. Le parve quasi una violazione, come se toccare quel pallido palmo avesse riportato un confuso ideale sul piano della realtà, strappandolo alla perfezione dell'immaginario.
*Ma Lui non è niente per me* constatò con stupore.
Il cuore batteva furiosamente, mascherato dalla compostezza dell'espressione. Non frignava, né sorrideva. La pelle bruciava lì dove sfiorava quella di Lui, ma non si ritrasse. I sussurri crebbero nella sua testa, sconvolgendo la ragione e lasciando solo un vago sentore di pericolo. La fronte si corrugò per lo sforzo di assimilarne il significato, nonostante gli occhi dell'uomo continuassero ad assorbire tutta la sua anima. Non capiva... Erano parole diverse da quelle che si aspettava, dalle fuggevoli promesse con cui l'aveva allettata a seguirlo. Lottava per ricordare, ma schiarirsi la mente era difficile. Dal profondo emerse una familiare nota di panico quando si accorse di non riuscire a contrastarlo. *Non sono un'assassina.* Voleva dirglielo, ma la sua gola sigillava le parole. Qualcosa si dibatteva negli anfratti oscuri della sua coscienza, e il pensiero di aver compreso cosa l'uomo volesse dire la riempì di terrore. Non era la verità, doveva saperlo. Non c'era un senso in quel collegamento.
Di colpo, il contatto con la mano di Lui era divenuto insopportabile, presagio di un dolore più sottile di quello fisico che aveva temuto. E tuttavia non osava sfuggirgli. Paura, sì, ma si sorprese a scoprire anche una nota di provocazione, in quella forzata immobilità, che la riempì d'orgoglio.
Gli occhi grigi turbinavano promettendo non facile vittoria.
*Non mi spezzerai.*


Edited by Ârwen - 7/2/2014, 03:58
 
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view post Posted on 12/2/2014, 13:25
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Attimi a definirsi infiniti...Momenti nel corso dei quali Egli stabiliva il primo vincolo con la preda, attraverso glaciale e rovente legame mentale univoco e unione del senso del tatto.
La presa affascinante e titanica per durezza e metallica fusione rispecchiava il possesso di ricordi, ideali, pensieri, riflessioni custoditi nella mente di Lei.
Era già SUA ancor prima di tentarla. Lo sapeva, lo percepiva, lo voleva.
Una smaterializzazione perfetta, priva di alcun tipo di incertezza.
Del resto, Egli sapeva esattamente dove andare e forse...Anche Lei.
Non permetteva che alcuno potesse sfiorare la sua persona. In effetti, esisteva essere degno di poter sfiorare dio?
Tuttavia, al contrario, egli provava un sottile piacere legato alla soddisfazione di potere "violare" seppur con una sola, delicata, fredda mano, la sua preda, poichè quest'ultima non aveva scelta e non ne avrebbe avuta alcuna.
Mentre dissoluzione e disgregazione molecolare permettevano a Lui e a Lei di raggiungere il luogo dello "Spettacolo", il Signore Oscuro vigile ed attento, sempre in "moto" per pianificazione e controllo, scavava nei pensieri della giovane, futura perla nera, al fine di valutarne istinto e paura.
Oh, sì...Poichè, riflettendo bene sull'uno e sull'altra, si poteva quasi affermare che l'istinto fosse figlio di una inconscia paura, priva di "razionale ragione" e che pertanto appartenessero alla stessa radice: Natura.
Ed il Male non era altro che il diletto consorte dell'istinto. Vero, sincero, realmente e sinceramente amato dalla Natura ed amante della stessa, il Male non tradiva la sua stessa essenza, rimanendo gelosamente aggrappato alla spontanea voglia, la pura brama della sopravvivenza e della supremazia...E solo la forza maggiore poteva vivere...
Ed ecco il sopraggiungere dell'idea di Male quale Bene Superiore poichè effettivamente naturale e privo del vizio della scelta e della limitazione.
Le molecole trovavano nuovamente perfetta posizione ed unione. La mano del Signore Oscuro, ancora serrata e riposta su quella di Lei, ritrovava materia e consistenza. Lunga, affusolata, ferma, rappresentava seducente promessa di eterno possesso.
Eccolo...Spazio aperto, conosciuto da Lui attraverso i ricordi di Lei. Fiamme, fuoco, paura ed eccitazione inconsapevole, brivido rovente...
Sentiva il profumo del successo oramai prossimo. Aveva preparato la trappola nei minimi particolari, con maniacale attenzione, come solo Lui riusciva a fare. Una trappola dolce e dolorosa, amara e tremendamente seducente...Piano ben architettato che potesse definirsi degno della Sua astuta preda...
Ah, sì...Si sentiva divino, perfetto. E lo era...E questo lo rendeva ancor più terrificante e seducente.
Dimmi Arwen...
La mano lasciava la presa e con passi lenti, quasi sacrali, Lord Voldemort si allontanava dalla giovane donna per poi accerchiarla con i suoi passi e la sua presenza, come se Lei fosse il sole e Lui il Rosso Pianeta. Ma tutto lentamente, senza fretta.
Il tono della voce si faceva più basso ma ancora sinistramente melodioso.
Dimmi dove siamo. Dimmi quanto è piacevole essere qui...Di nuovo...
La notte risplendeva glaciale. Il cielo invernale, sempre coperto dalla coltre di nubi, rendeva ancora più tenebrosa la notte, così tenebrosa da abbagliare gli occhi di Lei. Non vi era più pioggia o nebbia a cullarli.
Solo la Notte.
Te le ricordi? Quelle seducenti fiamme che tutto logorano?...Che uccidono? E tu dici di non esser Assassina?...
L'ultima parola fu pronunciata sibilando, come a non voler violare la sensazione di puro piacere che Egli provava nel richiamarla. Il piacere del Potere. Il piacere della distruzione...

 
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view post Posted on 18/2/2014, 01:16
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La percezione della mano era vivida, dirompente. Il pallore della cute scivolava verso labili sfumature, come onde create dalle tenebre della notte e dal rosso del sangue che andassero a infrangersi su una barriera di carne.
Un momento era là, un momento dopo stava dissolvendosi, la carne priva di colore, più immateriale del vento. Per molto tempo, o così le parve, non ci furono altro che lo sgomento, l'incendio all'interno del suo ventre, e gli incomprensibili sussurri delle stelle. I suoi occhi divennero ciechi, la sua bocca parve piena di cenere.
Quando infine il mondo si ricompose, seppe che c'era qualcosa di terribilmente sbagliato. Avvertì con impetuosa repentina consapevolezza l'intensità della stretta di Lui attorno alle sue dita, e percepì l'incontrovertibile idea del possesso che spirava da quel contatto, irretendo ed abbrutendo i suoi sensi.

- Voglio...-
Le labbra si schiusero a malapena, irrigidite dalla dignità e dal freddo, lasciando scivolare un mormorio indistinto, inudibile, privo di potere. La sua voce era dilaniata come una ferita, e non riuscì a pensare a che cosa voleva.
Volse il suo sguardo alla desolante magnificenza degli alberi spogli intessuti d'argento, alla terra nera che pareva pulsare nell'oscurità come un'immensa massa ribollente pronta ad inghiottire il cielo. Era una notte maledettamente bella, immersa nelle eleganti ombre gettate dalle nubi, e le parve che questo rendesse tutto più difficile.
Il silenzio si spezzò con necessità brutale. Al contrario della sua, rozzamente messa alla prova e tragicamente infranta prima ancora di modellare un pensiero in espressione tangibile, la voce dell'uomo pareva non aver mai smesso di praticare il suo melodioso esercizio. Si levò con languida naturalezza, presto pervasa d'insidia e convinzione, lievemente arrochita da un incoercibile violento piacere che lei sapeva esserle precluso.
Sentì le sue dita scivolare via e sfuggire alla sua presa. Non voleva tornare ad essere sola, ma non voleva neppure che il prolungarsi di quel tocco la mettesse ancora alla prova. Non voleva, e temeva, che, alla fine, la corrompesse.
Lui era ovunque attorno a lei, imperdonabilmente distante ed intollerabilmente vicino. Seguiva i suoi movimenti lenti e sicuri con occhi taglienti, lasciando che fossero gli altri suoi sensi a percepire i movimenti dell'uomo quando questi passava alle sue spalle. Il corpo ritto e immobile pareva quello di un pallido spettro o di un'annegata nel mare torbido della notte.
Era quasi un sollievo poter distogliere in quell'insipido modo la sua attenzione dal resto del paesaggio. Se solo avesse prestato maggior interesse, avrebbe forse riconosciuto i resti di un muretto, poco più avanti, con le sue pietre bianche luminescenti al chiarore lunare, o il suono cupo di piccoli vortici d'acqua, da qualche parte a est. Frammenti familiari che un tempo l'avrebbero riempita di buoni sentimenti, ma che ora le rammentavano solo il tormento di possedere quella terra. Suo padre era vicino? Il pensiero bruciò in un momento nella sua testa, accecante e breve come un fuoco di paglia; quindi tremolò e si spense, lasciando la sua coscienza un po' più nera, e un po' più vuota.

- Questo posto mi è gradito come ci si aspetterebbe lo fosse qualsiasi luogo dove si è vissuta un'infanzia lontana da ogni forma di privazione. -
Una mezza verità, che non diceva nulla né si appoggiava alla menzogna. Nessun impeto si celava dietro la fredda e sterile intonazione. Una risposta arida, di chi di quella formale cortese obiettività se n'era fatto uno scudo, di chi aveva imparato cosa proferire per non farsi male. Stava soffrendo, dentro e fuori, ma non poteva dargli la soddisfazione di sapere quanto temesse ciò che le parole di Lui potevano significare. Non l'aveva seguito per affrontare questo. *Non sono un'assassina.* Avvertiva crescere la furia, qualcosa che si sostituiva con prepotenza alla paura. Stranamente, l'esser lì, veramente sola con Lui, la rendeva più temeraria.
Il ghiaccio crudele dei suoi occhi si fermò nello sguardo feroce e compiaciuto dell'uomo, lo stesso che avrebbe potuto distruggerla. Il prezzo della conoscenza del fuoco stava assumendo connotati sempre più sinistri, e ormai era tardi per chiedere quale sarebbe stato lo scotto finale. Si era lasciata ammaliare, si era lasciata condurre lontano da tutti... E nonostante avvertisse la gravità dell'intero dramma, continuava a desiderarlo, accrescendo così la rabbia e la repulsione per sé stessa. Se avesse avuto da Lui qualcosa di straordinario, tutti gli ultimi mesi avrebbero avuto un senso. Se fosse stata quella la Conoscenza che la sfinge le aveva promesso, avrebbe mai rischiato di voltare le spalle al motivo per cui aveva rinunciato al suo vecchio destino? Ma se quella Conoscenza l'avesse condotta su una strada che sovvertiva il suo antico concetto di giustizia, l'avrebbe accettata ugualmente? Ma era poi certa che i suoi ideali fossero immuni al dubbio, di avere la ragione dalla sua parte? Non vi era forse stata una fugace punta di egoismo nel pronunciare il fatidico assenso di fronte all'ambigua creatura? L'immagine di un ragazzo dall'aria malinconica le attraversò la mente: una sera sul prato, all'ombra della scuola...
La verità era che non sapeva cosa voleva, ed improvvisamente le parve naturale non aver saputo cosa dire quando aveva tentato di formulare un pensiero subito dopo aver messo piede in quel luogo. "Voglio"...cosa? Tornare a Londra? Tornare ad Hogwarts? Sapere il perché di tanto dolore? O magari di tanto disturbo?
Tutto accresceva il furore, e si rese conto che la mano non tremava per il freddo.

- Sì! Sì! Le ricordo! E allora? Fu un incidente! Qualcosa... Tutti... -
Non ne era più tanto sicura. E l'idea di essere vulnerabile in un punto tanto doloroso del suo passato, e che proprio Lui ne fosse a conoscenza, la riempiva di cieca angoscia. Soprattutto perché ricordava bene, con irriducibile senso di colpa, come da piccola le fiamme la deliziassero, instillandole la percezione della forza, della distruzione, della redenzione... *Il fuoco brucia. Il fuoco è Male.* Se l'era ripetuto tante volte. Ma se avesse scoperto di non poterne fare a meno, come una parte di sé, si sarebbe odiata?
Domande, domande, e nessuno tanto misericordioso da darle qualcosa in cui credere. Erano seducenti le fiamme che distruggevano la vita? Erano seducenti le fiamme che avevano divorato sua madre?
 
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view post Posted on 25/2/2014, 13:12
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Lo sentiva...Oh, sì...Percepiva quel turbinìo di sensazioni che convergevano in un unico e potentissimo mezzo di vittoria...
Il Dubbio.
Paura, rabbia, forza, rancore, ricordo, dolore, piacere...Sottile e celato piacere...Nascosto nella condotta definita "onorevole", ma in relatà falsa e meschina, e nel senso di soggettiva giustizia che quel Mondo Corrotto dalla civiltà e dalla limitazione razionale imponevano.
Ancorata nel concetto di Giusto e Sbagliato, ponendolo a specchio nelle definizioni di Bene e Male, il mondo non capiva, non sapeva ciò che Lui non si poteva permettere di ignorare. Seguendo solo ciò che naturalmente l'uomo ricercava - potere, forza, immortalità, supremazia - egli si dirigeva verso via di rettitudine e normalità.
Dunque...Chi era in errore?...Lui?
...Lei.
Mastro della Verità, o forse solo mostruoso, egoista Essere del Male, Lui desiderava Lei.
Ne sentiva l'interiore lotta e percepiva ancora una volta il Dubbio. Ciò che più lo entusiasmava era il fatto che la giovane donna accogliesse il Dubbio nel proprio animo e si facesse quasi sovrastare da quell'istinto che la spingeva verso di Lui.
Il Signore Oscuro sapeva che, tuttavia, la Conversione Totale alla Luce dell'Oscurità avrebbe richiesto cura, minuzia, Tempo...E Lui di Tempo ne disponeva.
L'avrebbe logorata sino all'estremo, avrebbe corrotto la sua anima senza pietà, avrebbe annientato tutte le banali mura della civiltà e l'avrebbe dominata affinchè Lei potesse sentirsi finalmente libera...Libera di essere Sua Serva. E senza nemmeno dover combattere con ostilità o resistenza mentale della giovane donna, Egli si impossessava di ogni suo pensiero proprio nell'istante durante il quale Ella lo elaborava, lo materializzava nel proprio conscio inconscio e lo rendeva Suo...Del suo signore.
Immagini rapide ma nitide e minuziose, come la precisione del suo intelletto, donavano fondamenta di perfetto scenario per attaccare, per colpirla con suadenti e melliflue parole velenose capaci di confonderla ed ammaliarla, illuminarla fino ad irretirLe i sensi...
Un affetto mal celato, o forse indifferenza e fastidio...Un padre...Una morte prematura di madre...Fiamme...Un ragazzo...Oh...Il piccolo e talentuoso discepolo, confuso traditore...Come se Lui non avesse colto, capito, percepito sin dal Suo ritorno in Villa Malfoy.
Dunque un cerchio perfetto...Tutto tornava a Lui con corsi e ricorsi "storici".
Meraviglioso e fedele il Fato...Promotore di successo implacabile, capace di donare Libero Arbitrio pur imponendo una unica via, il Fato portava a Lei la giovane donna ancor prima che l'Oscuro Signore stesso si premurasse di deciderlo, di volerlo, di programmarlo.
Camminava silenzioso attorno a Lei; si avvicinava e si allontanava.
La voce, sempre pacata, suadente, gentile, sembrava volere indurla a cedere.
Le mani e le braccia aperte come in segno di resa, non erano altro che un invito subdolo ad assecondarlo. Gli occhi fissi su di Lei cercavano il turbamento per potersene compiacere.
Ed ecco giungere le parole che avrebbero potuto innescare l'irreversibile percorso verso di Lui.
Tutti? Tutti?!
Un sussurro incredulo, a tratti teatrale ed impostato, ma pur sempre credibile.
Credi davvero a quello che stai dicendo? Noo...Io lo soo...Ti sento...Tu non accetteresti mai di far parte di "Tutti". Tu sai bene che non è così. Percepisci quella insoddisfazione che solo coloro che davvero "vedono" la verità riescono a provare. Non ti basta essere una cellula dell'arto...Tu vuoi essere l'arto...Ed hai ragione, mia giovane Arwen. Io non ti biasimo. Io ti capisco...Siamo simili io e te...Non c'è nulla di Male in ciò che provi...Il piacere del fuoco, del potere, l'istintivo desiderio di vedere divampare la luce da noi stessa generata fino alla distruzione, non è Male...Non è altro che l'inizio di qualcosa di nuovo. Non sempre la morte e la distruzione rappresentano la Fine...E tu, già piccolo prodigio della Natura, sapevi che questa è la Verità sin da piccola, innocente bambina. Sei stata tuu...Perchè l'intenzione e l'azione sono la stessa cosa. Se si desidera qualcosa e altra mano, umana o fatale, porta a compimento tale brama, non siamo forse noi stessi complici perchè in comunione con quell'istinto?...Davvero credi che sia un assassino solo colui che agisce? E chi lo pensa? Chi lo vuole? Chi prepara piano perfetto senza tuttavia metterlo in atto ma rispecchia l'azione del carnefice non è egualmente colpevole? Colpevole...Che falsa parola celata dietro la verità dell'istinto. Un assassino è davvero Reo? Accetta la realtà...Fidati di me. Io non mento...Mai...Io ti presenterò sempre e solo la realtà, cruda e mera realtà. E ti mostrerò la Via della Grandezza. Dominerai l'elemento che ti è caro e potrai finalmente sentirti LIBERA!


 
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view post Posted on 6/3/2014, 02:25
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Le tenebre erano grige e dure come il ferro. Un debole odore di decomposizione aleggiava sulla terra scura, simile al profumo di una bella donna. Gli occhi bruciavano, asciutti e stretti come la lama di un coltello, carichi di sospetto, a tratti sfuggenti, lattescenti, persi in labili visioni che vi imprimevano una sfumatura di cupa durezza. Qualcosa premeva dall'interno del suo corpo, qualcosa che si muoveva con un rumore terribile, come di membrane che si squarciano dall'interno verso l'esterno, come di un immenso fuoco divorante. L'intero suo corpo impercettibilmente sussultava riverberando di una rabbia così pura da piegare le ossa.
Cenere, sete, carne, nuda e nera, rigida, e calda.
La nausea l'assaliva come il lezzo dolciastro di una ferita. Aveva gli occhi rossi, le labbra fessurate, la gola secca e riarsa. Eppure il gusto del sangue le riempiva la bocca, vago e persistente come un'esalazione di morte, sì che percepiva il bestiale sincrono impulso di rabbrividire e leccarsi le labbra, una macabra voluttà sviscerata mentre il grande e luttuoso spettacolo si consumava banalmente nel ricordo.
Ben presto anche quello si lasciò corrompere, mischiandosi in modo seducente e rivoltante con la fragranza pungente degli aghi di pino, l'afrore muschiato della paura, l'odore del buio, dell'estraneo.
Nuvole sparse coprivano la volta, proiettando i loro profili sulla terra, vagando come bestie senza meta tra la luna e le stelle. E quando anche quelle si oscurarono svanendo nella coltre imponente, il silenzio riempì il vuoto come una voce in attesa di manifestarsi. Non vi era aria in quel vuoto, solo freddo, sibilante e inquieto, fatto di dita di ferro pronte a serrarsi attorno al suo collo. Ogni avido difficile respiro pareva ricordarle quanto fosse sciocca, quanto ancora potesse avere, se solo l'avesse voluto, e quanto di più potesse pretendere.
Scosse la testa in costernata negazione della morte, dell'uomo, della sua verità, della sua volontà, mentre Lui rimaneva a guardarla quasi con compassione, le tenebre che danzavano nel suo sguardo rovente.
Il suo respiro si condensava in bianche nubi frastagliate, ristagnando nell'aria, pallido e opaco. Chiuse gli occhi, e un dolore sordo l'avvolse come un profondo bacio grigio, intriso dell'empia promessa di una liberatoria follia. Oh sì, erano simili... Le parole erano inaspettatamente carezzevoli, compiacenti, parlavano di perdono, giustificazioni per una colpa incancrenita, prigioniera del dubbio, e di discolpa, per la sua imprescindibile e inconsapevole natura che deviava così crudamente dal logico percorso della magia comune. Parole che scivolavano ovunque attorno al suo corpo, sussurri che solleticavano la pelle imprimendovi il bisogno di un piacere impunemente sbandierato e negato. Simili... Era un concetto immenso, spaventoso. Per un fugace istante si compiacque di quella minuscola parvenza di riconoscimento, lo stesso che ingenuamente aveva desiderato sin dal primo approccio, notando l'aura di autorità attorno alla sua figura, un miraggio che si scontrava con il contratto grumo che era il proprio ego. Era un pensiero talmente fuori posto, avulso dalla solennità del momento, da ispirarle un senso di munifica ilarità. Simili... Un'affermazione grave, da cui non si poteva tornare indietro. Un nuovo limite sottile che le veniva fatto varcare con somma destrezza e pura dialettica, così che avrebbe camminato ancora molto prima di accorgersi di essere oltre ogni possibile ritorno. Simili. Implicava anche qualcos'altro, qualcosa che aveva paura anche solo di indagare perché avrebbe anche potuto essere vero. Qualcosa che le aveva impedito fino a quel momento anche solo di pensare all'identità dell'uomo come a qualcosa di concreto, di diverso da un mero "Lui".
La luna galleggiava a tratti sulla campagna, scortata dai veli bluastri delle nubi. Il riverbero del raro lucore argenteo dell'astro scintillava nei suoi occhi conferendovi uno splendore gelido e febbrile. Sapeva che era per lei. Che quella luna sarebbe scivolata tra i grovigli di rami spogli, graffiando la sua faccia grassa, pur di seguirla nell'abisso della sua nuova consapevolezza, rincorrendola ad ogni passo.
Azione e intenzione. La stessa cosa. Ma lei non aveva desiderato la morte di sua madre. E se anche vi fosse stato qualche dimenticato dissapore, poteva forse attribuire un qualche valore ai capricci di una bambina?
Il pensiero che questi ultimi dubbi avessero dato per scontato l'ipotesi primigenia secondo la quale era stata lei la mente e la mano della disgrazia, la folgorò. Era stato un passaggio di coscienza paurosamente breve, troppo pacato. Capì che in passato lo aveva già ritenuto possibile, e se ne stupì.

- E la lezione sarebbe che non dovrei colpevolizzarmi per qualcosa che rientra nella sfera dell'istinto, per avere espresso la semplice e schietta natura del mio essere e del mio potenziale? È a questo che tutto si riduce?
*È forse questo il trionfo dell'egoismo sulla ragione?*
Fidarsi di lui. Pareva allettante, ma non facile. Eppure sapeva che non mentiva. Sapeva che sarebbe stato crudele, ma non falso. Dopotutto, la verità era sempre violenta. Ma da quella stessa violenza era quasi affascinata più che spaventata. Valeva la pena sacrificare qualcosa, per questo.
Ripensò ad Hogwarts, ai segreti della Preside che avevano portato al caos e al disastro; ripensò all'imprevedibile tocco del fuoco, il cui controllo le sfuggiva, che aveva lambito lascivamente la sua pelle in quella lontana estate di tanti anni prima, per poi rivoltarsi e morderla impietosamente nel corso della recente battaglia; ripensò ai segreti dell'alchimia, cui da mesi ormai aveva preso a interessarsi, senza mai arrivare a svolte evidenti. Quanta materia oscura... E quanto spregio della sua intelligenza, del suo talento. La rabbia tornò ad avvolgerla, e seppe che avrebbe fatto qualunque cosa pur di poter succhiare una goccia di quella grandezza che dolcemente stillava dalle parole di Lui.

- Perché sei venuto da me? - *Cosa posso offrirti che tu non possa prendere?*
Il vento strisciava tra gli alberi, sospirando vellutato sulle colline, rimescolando il buio della notte. La nota dura nella voce aveva lasciato il posto ad una tristezza più profonda, quasi supplice, mormorante. Desiderava scoprire la natura del suo inspiegabile potere più di ogni altra cosa, ma che ciò l'avrebbe condotta alla libertà lasciava adito a molti dubbi. Cosa le avrebbe chiesto in cambio? A quale tipo di libertà si riferiva?
Al momento di seguirlo, non si era rifiutata. L'aveva anzi trovato straordinariamente appagante, seppur immensamente illogico. Aveva sfidato ogni convenzione in nome di una percezione, di un primordiale impulso che nei primi istanti si era ben accontentato di quelle concise promesse disegnate aggressivamente nella sua mente. Aveva lasciato un posto relativamente sicuro per seguire un folle...o forse solo un visionario. La differenza si faceva sottile. Aveva sfidato la sorte, Hogwarts, il Ministero e sé stessa. Ma il gioco si faceva ora fin troppo reale: le domande che aveva ingoiato riaffioravano l'una dopo l'altra, finalmente libere dai vincoli della soggezione. Si rendeva conto che tutto era stato studiato a quello scopo, per metterla in posizione di inferiorità: il doloroso scenario in cui l'aveva trascinata, l'insinuazione continua tra i suoi pensieri...tutto accresceva la vulnerabilità e l'immagine del suo piccolo fragile corpo stretto tra le grinfie del suo burattinaio. Doveva sapere...
Si accorse di non aver ancora riflettuto sulla possibilità di essere un'assassina. Le pareva un concetto estraneo, senza effettivo valore, qualcosa di inapplicabile alla realtà, di lontano. Che fosse stato vero, che l'intenzione e la volontà fossero stati la stessa cosa, le conseguenze sarebbero state terribili. Era simile a Lui anche in questo? La notte divenne un po' più fredda.
 
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view post Posted on 13/3/2014, 13:14
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Che sottile, suadente piacere...
Sentiva il sapore della persuasione, il profumo dell'irresistibilmente seducente dubbio, l'odore del desiderio di esplodere in tutta la meravigliosa bellezza della razionale scelta di esser Sè Stessa.
Lui, nell'oscuro silenzio della propria anima corrotta sino alla morte, esultava vittorioso.
Un esultare sinistro, privo di manifestazione di gioia alcuna, ma solo fonte di nuova sorgente di Male.
Progettava, programmava, valutava ogni singolo particolare del luogo e del momento per mettere alla prova Lei, sconvolgerLa, ferirLa, esaltarLa, umiliarLa, addolorarLa, renderLa violenta e vendicativa...FarLa Sua.
L'accesso ai suoi pensieri era sin troppo dolce e piacevole per abbandonarlo.
Percepiva i contrastanti sentimenti di orgoglio e timore, di spavada forza e titubante accettazione della verità, di desiderio di essere libera e di volontà di mantenere il decoro del razionale.
Come irresistibile, prelibato, succulento, rigoglioso rivolo di candida e fresca acqua di sorgente a disposizione di Uomo Assetato, Egli si abbeverava dei pensieri di Lei e li possedeva con impertinente senso di Avere.
Sostava ora dinanzi a Lei per fissarla, per incrociare quello sguardo fiero e fin troppo giovane per esser così ardito.
Entrambi sapevano l'uno dell'altra.
Nonostante ancora non fosse stata resa ufficiale la Sua identità, Lui sapeva...Lei sapeva.
Non vi fu conferma verbale di quanto riflesso nella mente di Lei. Ma ogni pensiero, ogni tacita domanda trovava risposta negli occhi di Lui, nel lieve cenno di assenso del capo..Nel sibilante "Sì..." che rimbombava come tuono silenzioso nell'angolo cosciente dell'anima della giovane donna.
Oh, sì...Era proprio Lui...L'unico che non avesse bisogno di pronunciare il proprio nome per esser riconosciuto...L'unico a non dover temere di esser anonimo Essere.
Percepiva la celata lusinga che pervadeva Lei per esser annoverata quale Creatura simile a Lui. E di questo Lui se ne compiaceva. Si trattava di manifesta ammirazione per il potere di Lui. E, consapevole Lui stesso della propria vanità, non poteva fare a meno di provare ancora più piacere nel circuirla, tentarla e stravolgere la Sua vita.
Era da tempo che La voleva. Ne aveva colto l'interiore conflitto e soprattutto aveva percepito la Sua innata potenzialità di Esser Grande e Spietata. E vedere un'anima perdersi nell'Oscurità consapevolmente e con consenso, era quanto di più suadente e meraviglioso potesse esistere. Una giovane alleata da crescere nell'arido Male fino a consumarla e a trasformarla in divina donna del Male, acuta, sinistra, a Lui fedele.
*Perchè Tu vuoi...Perchè tu sai che l'istinto senza l'atto razionale di volontà ed accettazione non è altro che atto...Perchè Tu non vuoi ridurre la tua Vita a meri atti di umana ordinarietà...Perchè tu vuoi essere Libera e questa vita convenzionale ti tiene imprigionata e tu senti il peso della privazione, quasi fosse stretta morsa nei polsi, nelle caviglie, quasi stringesse anche il collo fino a privarti di aria.*
E mentre Lui si insinuava nei pensieri di Lei e la tentava con la melliflua e spietata verità, Lui levava il braccio della mano destra impugnante la diabolica arma magica, la bacchetta del Male, in direzione di una lontana abitazione a Lei familiare...
Dolore e Crudeltà, violenza e disperazione...Erano i soli mezzi per vincolarla a Lui con vera, fedele realtà.
*Chissà chi è in casa a quest'ora...Arwen...Lo fai tu? O lo faccio Io?...*
Gli occhi di Lord Voldemort sembravano essersi accesi di quella fiamma ardente che Lui stesso voleva veder scaturire da Lei con innata capacità.
*Fallo...Devi solo volerlo...E io ti darò ciò che cerchi e ciò che vuoi Dominare...Ti sto già dicendo come fare...Ti sto già indicando la via...Fallo...*

 
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view post Posted on 10/5/2014, 00:33
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I pallidi occhi grigi parevano vacui nel chiaro di luna, come se dietro non ci fosse nessuno. Sottili fili argentei rischiaravano le forme nell'oscurità ruscellando come dita sinuose tra le pietre di un muro. Come un otre putrido che d'improvviso si squarcia, si sentiva infranta e fradicia di una ridda di parole, percezioni e desideri. Un vento umido e freddo soffiava da settentrione sollevando polvere nera dalla terra. Le pieghe delle vesti erano piene di ombre pesanti: stretta nella invisibile morsa che la inchiodava al suolo, si sentiva come un fragile globo di cristallo in cui dubbi e paure si dibattevano al pari di insetti in trappola. Il mondo intero era un labirinto di forme e illusioni che la abbagliavano, un posto dove le ceneri delle vecchie certezze galleggiavano pigramente tra frammenti incongrui di realtà, simili a grassi fiocchi di neve grigia. Era un mondo aspro, fisso e senza scopo: in qualche modo, lo sentiva suo. Eppure, il cambiamento era invisibile ma c'era. Ancora vago e sfuggente ma in continua espansione, era qualcosa che andava al di là del trascorrere del tempo, dell'erosione lenta e implacabile dell'anima. Lo sussurrava il vento, il suolo lo rifletteva, l'aria lo cullava. Il silenzio sepolcrale le sibilava nel cervello come un serpente velenoso: ascolta ora, si disse, ascolta. E lei ascoltava. Le parole erano fiato bollente che incendiava la sua pelle, assecondando l'estasi della mente allo strisciare deciso di quel profetico sì. Gli occhi di Lui erano squarci che scintillavano innanzi alla pira del suo corpo, riverberando del maligno rosso del sangue.
Il velo ombrato della notte ricadeva sulle forme contorte dei fichi selvatici e le fronde carnose dei carrubi. L'odore di casa era intenso e penetrante: era quello delle gialle ginestre, aspro e amaro dell'assenzio, acuto della salvia selvatica. La familiarità di quel luogo la disorientava, negava qualcosa di fondamentale alla sua determinazione. L'idea della libertà era dolce, ma come poteva essere certa che perdere l'appiglio sicuro del passato avrebbe significato trovarne uno nuovo nel presente? Era stata davvero lei a distruggere quel tempo felice per poi cullarne ossessivamente i resti?
Guardò l'uomo, e si chiese fino a che punto potesse farle da ancora. Vide il braccio levarsi ed istintivamente qualcosa dentro di sé si ritrasse, colmo di cieco terrore. Scorse la pelle bianca del polso, che non aveva mai preso la luce del sole: talmente bianca da sembrare iridescente in mezzo alle mutevoli ombre della campagna e nel pulviscolo argenteo della luna. Ma nessun colpo giunse a tingere di rosso le sue inquietudini. La sottile arma puntava lontano, nelle tenebre.
Le bianche mura si scorgevano appena, velate dal grigiore dell'oscurità, coperte dall'intrico della selva, appostata tutt'attorno come un nero esercito intento all'assedio. La pietra si fondeva con la notte, perdendo forma e consistenza, ma le parve ugualmente di scorgere i contorni luminescenti delle torri, lo scintillio della luna sulle guarnizioni in ferro, le merlature che decoravano i recessi superiori. I suoi pensieri confusi parvero cristallizzarsi, raffreddarsi fino a diventare di ghiaccio. Vi era qualcosa di preordinato, di tagliente e penoso nell'osservare la cupa e letale figura dell'uomo che indicava la sua dimora. Il cuore batteva. Eppure, in mezzo all'angoscia, vi era come una sottile frenesia, un'euforia che nasceva dall'intuizione che qualsiasi cosa stesse per succedere, avrebbe rotto la sua inazione.

- No! -
La voce chiara ruppe il groviglio delle insinuazioni di Lui, improvvisa, involontaria, sorprendendola per la sua stessa audacia. Aveva capito... La consapevolezza si rafforzava ad ogni istante, e le domande rimbalzavano nella sua testa in un delirio di vie senza uscita, troppo terribili per essere ignorate. Chi era in casa? Orribilmente, non lo sapeva. Che scopo poteva mai esserci in tutto quello? Una paura sconosciuta e ben maggiore la spingeva ad affannarsi: la paura di non saper scegliere. Guardò il castello, ma non come avrebbe voluto: vi era un velo di rimpianto nello sguardo, forse perfino una sorta di amara tenerezza, come fosse di fronte alle illazioni di uno sciocco, o qualcosa di perduto. Era un luogo tragicamente ignaro di sé, pieno di cicatrici, sorto dalle rovine di un incubo antico. Ancora, dopo tutti quegli anni, alcune zone apparivano fatiscenti, le torri scoperchiate, là dove non era parso utile impiegare risorse per il rifacimento. Un'altra cosa che non aveva mai sopportato. E non solo perché il degrado infangava il suo nome, ma le rovine stesse parevano un monumento prefissato al ricordo del vecchio dolore, qualcosa che alla luce dei nuovi sospetti si palesava come un aperto sbeffeggiamento alla sua colpa, un'accusa sempre aperta e intrisa di egoistico odio che si prendeva gioco del suo solitario e inconfessato tormento. Strinse la bacchetta e si chiese se era sufficiente a richiamare un atto estremo. Nonostante tutto, non lo era. Amava suo padre? Ma capì che neanche quella era la giusta domanda. Il vento tornò a sfiorarle il viso come una minaccia sussurrata, freddo e umido, foriero di pazzia.
- No...- Le parole scivolarono come veleno tra le labbra, e lo spettro di un sorriso aleggiò follemente come una ferita scura sul viso. - No, lo faccio io. -
Il mondo nero vorticò e andò in pezzi. Il problema era sempre stato lo stesso e non era stata in grado di riconoscerlo. Il passato....ecco ciò che le impediva di evolversi, che la legava agli errori commessi, al compatimento, alle incertezze. Era qualcosa di così semplice, in fondo. La distruzione di quel passato era la chiave per la libertà, per non aver più paura di sé stessa, per non temere i fantasmi, né aver più bisogno di loro. Se non vi fosse stato il delitto, non ci sarebbe stata la colpa. Si meravigliò di non aver colto prima una verità così banale. Era per quello che era lì. Quello era il vero motivo. Lui sapeva. Non poteva esserci nulla di nuovo per lei finché avesse continuato a dibattersi tra i freni della morale: ma nonostante la sua presunta colpevolezza, si era resa anche conto che, al di là di ciò che sapeva esser giusto, voleva sopravvivere. Che importanza aveva per lei il giudizio degli altri? Il passato l'avrebbe uccisa, se non l'avesse fatto lei per prima. Troppi legami, troppa fatica. Era stata incredibilmente stolta, limitata: perché aveva cercato di negare a Lui la sua natura? Perché aveva pensato che Lui volesse spezzarla? Era stata messa in condizione di capire sé stessa, ed era stata chiamata lì non per essere umiliata ma per risorgere dalle sue ceneri. Accecata dalla brama di conoscere il segreto della sua abilità, aveva mancato la visione più grande: non aveva intuito che la sua trasformazione sarebbe dovuta essere più profonda per poter ottenere un qualunque aiuto o risultato.
Non sentiva più il dolore, ma era così esausta e affascinata dalla sua scoperta da desiderare solo di restare in compagnia dei suoi pensieri. Aveva voglia di ridere, e di infuriarsi. Gli occhi gelidi brillavano di una luce folle che pulsava di una livida luminescenza azzurra, conferendo ai lineamenti inaspriti una peculiare e insana bellezza. La campagna divenne così immobile da sembrare occupata soltanto dal freddo e dalla natura in disfacimento. Perfino i loro volti parevano di pietra. Avvertì che il gelo le artigliava le viscere, e risaliva sino alla gola bruciando come fuoco. E forse lo era.
Mosse verso di Lui, fluida come seta, nulla più che un sospiro nel vento che scivolava irresistibilmente avanti per puro istinto, mutevole come il nulla. Con gesto unico e sereno ripose la bacchetta tra le pieghe del cappotto, senza distogliere lo sguardo dagli abissi avidi che erano gli occhi del suo mentore. Il timore si era dissolto per lasciare solo un incolmabile bisogno di unione, e di sacrificio. Così indifesa, pareva una creatura assurdamente fragile, uno spettro etereo e perduto in cerca di assoluzione. Eppure vi era una temerarietà così marcata in quella volontaria ricerca della vicinanza, un delirio così lungamente premeditato, che sarebbe stato sciocco supporre una qualsivoglia debolezza. E quando il contatto parve inevitabile, quando la frenesia del corpo parve riscuotersi e contorcersi all'incalzare dei passi, bramando la certezza di un nuovo tocco...passò oltre, frusciando appena contro le vesti di Lui, insoddisfatta ma ebbra di promesse future. Percepì che il cambiamento aveva raggiunto il suo apice, ed una voluttà carica di tensione le bruciò le vene ridisegnando il suo corpo. Niente responsabilità. Niente cordoglio. La morte non esisteva se non per suo volere. Per la prima volta, assaggiò una briciola di quel potere che Lui le aveva assicurato, e capì cosa intendeva. Avvertiva l'ustione del suo sguardo, la trappola irreversibile che le si era conficcata nella carne sin dalla squallida bettola di una Londra lontana; era una piacevole attenzione, priva di sentimento ma carica di aspettativa.
Il castello non era nulla più di un vecchio infermo, pronto a sfaldarsi ad ogni tocco per ricongiungersi definitivamente alla terra. Impalpabile e distante, poteva assumere qualunque forma e qualunque significato. Niente legami. Niente fallimenti.
Levò appena le braccia, in armoniosa sincronia, accogliendo dentro di sé l'immagine di ciò che era e che non sarebbe più stato. La luna bagnava la sua pelle di un luttuoso bianco. Doveva volerlo...Ma come? Quanto? Il conflitto, la rabbia, erano stati i suoi maestri: ma nella sua nuova consapevolezza non v'era odio né dissenso, solo sollievo, e una scelta. L'impazienza solcava la sua anima come un rasoio, lacerando gli ultimi sprazzi di lucidità. E fu mentre si perdeva che percepì l'ombra di un sorriso dare il benvenuto alla sua fiamma interiore.
 
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15 replies since 21/11/2013, 02:27   701 views
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