Don't forget to close the Door..., [Quest Fissa]

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view post Posted on 12/11/2014, 23:10
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Il Fato

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Scusatemi il ritardo! Stavolta è colpa mia.


Ah! Com'era bella la sensazione della scoperta, dell'indizio, di qualcosa di nuovo! La trepidazione che si prova quando, in un momento di buio totale, si intravede una luce è impagabile. Certo, poi quella flebile opportunità potrebbe rivelarsi una falsa speranza, nient'altro che un piccolo spiraglio di luce che si rivela poi un mero riflesso. Questo, però, né Arya né Emily potevano saperlo e le due decisero di separarsi per seguire la strada che il loro istinto comunicava loro. Due vie, poi, neanche troppo lontane: la prima, era intenzionata a raggiungere il misterioso chioschetto arancione il cui nome, sulla mappa, non compariva, mentre la seconda, invece, voleva appurarsi che fra i banchi dei vari giochi vi fosse altra bambola che, ella pensava fosse proprio la bambola che tempo addietro suo padre le aveva regalato.
Mentre Arya tagliava la strada, proseguendo diritta verso l'obiettivo, Emily si incamminò, costeggiando dapprima le montagne russe abbandonate e poi il vecchio Tunnel dell'Amore; il rosa con cui era stato dipinto, un tempo doveva essere di una tonalità talmente accesa da abbagliare. Ora, larghe chiazze di ruggine avevano fatto scrostare la vernice, facendo assomigliare il tutto ad un grosso complesso malato di lebbra. All'ingresso, persino i cigni, che una volta galleggiavano in un rigagnolo ora prosciugato, erano stati attaccati dalla ruggine e due di loro avevano persino la testa staccata. Il cancelletto era chiuso da un piccolo lucchetto che, una volta, doveva essere a forma di cuore e di cui ora non ne rimaneva che la metà. Quando la Serpina vi passò davanti, fu costretta a fermarsi. Non seppe perché lo fece, eppure fu come se una strana forza l'avesse spinta a farlo. L'interno del tunnel era buio, ma dal profondo sembrava provenire una corrente d'aria che, tuttavia, aveva qualcosa di sinistro; era un vago eco, quello?
In ogni caso, Emily dovette muoversi poiché il tunnel le comunicava un'orrida sensazione. E, del resto, aveva un obiettivo da portare avanti. Raggiunto il complesso di stabili che formavano l'angolo dei giochi, la Serpeverde dovette ricredersi: quasi tutti erano chiusi, sbarrati da pesanti serrande. Soltanto un banchetto, al centro dei tanti, era aperto. Non era altro che un misero tiro a segno: i pochi premi rimasti erano appesi sul soffitto, niente più che qualche vecchio polveroso peluche e vecchie scatole di dolci ammuffiti. Sulla parete di fondo, delle piccole mensole ospitavano qualche dozzina di vecchie lattine tutte ammaccate, colpite da chissà quanti pallini nei bei vecchi andati.
L'idea della giovane Rose si era rivelata un buco nell'acqua. Evidentemente il bambolotto che ella teneva tra le braccia non era la bambola Lottie che ella sperava. E come sarebbe potuto esserlo, del resto? Quel posto sembrava abbandonato da troppo, troppo tempo. Eppure, ciò non escludeva del tutto che l'oggetto fosse di per sé inutile. Solo... bisognava vedere da qualche altra parte, magari anche solo giungendoci per caso. Emily certamente avrebbe capito quando si sarebbe trovata di fronte la verità.

Arya, invece, a pochi passi di distanza dalla compagna, aveva raggiunto il misterioso chiosco scoprendo, dal cartello sbeccato posto in cima all'apertura di questi, che era la cassa. Sul bancone v'era una vecchia scatola al cui interno, probabilmente, una volta v'erano brochure e mappe del parco. Un vecchissimo registratore di cassa era adagiato in un angolo, mentre uno sgabello era riverso a terra. All'apparenza non v'era niente di che, ma se la ragazza si fosse fatta avanti, entrando nel gabbiotto, avrebbe intravisto qualcosa di interessante, sotto il bancone. Nascosto nell'ombra, vi era una vecchia cassetta per gli attrezzi, i cui scomparti erano aperti, come se qualcuno avesse cercato qualcosa in fretta e furia. In realtà c'era rimasto poco e niente: qualche piccola ed inutile vite, un solo cacciavite e una grossa tenaglia. In fondo a questi, un piccolo foglietto con strani disegni di circuiti e uno schema:

fPYjEBV


Una volta girato il foglietto... beh.

YnQGcwM


...Se non altro, almeno lei, aveva avuto il suo indizio per poter proseguire.






Oggetti acquisiti: tenaglie, foglietto.


InventarioEmily C. RoseArya Von Eis
Emily: bambolotto [in mano]
Esterno: Olio, mappa, tenaglie, foglietto con circuiti
PS: 116
PC: 66
PM: 67
PS: 111
PC: 61
PM: 61

 
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Arya Von Eis
view post Posted on 27/11/2014, 16:07




E, ovviamente, ecco la brillante idea della serata, cosa si fa in un parco divertimenti apparentemente abbandonato, cadente a pezzi, con rumori sinistri in dolby surround? Ma ci si divide, mi sembra ovvio.
Solo quelle due disgraziate potevano avere un’idea così geniale, chiunque, in una situazione simile, avrebbe optato per il gioco di squadra o, almeno, per il “quattro occhi son meglio di due”, ma loro no.
Non disse nulla, non aggiunse altro, annuì col capo all’affermazione della compagna, inutile tentare di convincerla che, scintille rosse o no, quella, sembrava una pessima idea, la lasciò andare verso non sapeva nemmeno esattamente dove, tentò di seguirla con lo sguardo, ma la scarsa illuminazione rese l’impresa più complicata del previsto, scosse il capo
*Fai attenzione* e si diresse senza distrazioni verso l’ingresso, ripercorrendo a ritroso la strada fatta in precedenza fino alla carcassa del dinosauro, per poi deviare verso la struttura senza nome.
“CASSA”
Come tutto il resto del parco, anche quel cartello portava i segni del tempo, non era proprio l’insegna luminosa che aveva domandato, ma, almeno, non era più un baracchino senza nome.
Cosa sperava di trovare? Non sapeva molto della logistica di un parco divertimenti, ma qualcosa le diceva che non avrebbe trovato lì l’interruttore generale.
Ormai che c’era, tanto valeva dare un’occhiata, sia mai che riuscisse a recuperare una qualche planimetria o il piano d’evacuazione con segnate le uscite d’emergenza
*Anche una passaporta va benissimo è*, non lo trovava il modo più comodo per viaggiare, ma, in quel momento, tutto andava bene, bastava uscire *E giuro che non mi avvicinerò mai più a un parco divertimenti*
Il bancone sembrava vuoto e, tanto per cambiare, anche lì tutto appariva buttato per aria, anche lì la sensazione era che qualcuno fosse scappato in fretta e furia e nuovamente il dubbio su cosa fosse accaduto in quel luogo si faceva opprimente o, forse, era l’idea che qualcosa di sinistro si celasse dietro quell’innaturale silenzio a farle maledire l’istante in cui aveva varcato la soglia della Stamberga Stillante.
Non dovette nemmeno faticare molto per entrare, la porta era aperta e, una volta dentro, si rese conto che no, non c’era nulla di apparentemente utile, nessuna planimetria, nessun piano di evacuazione, nessuna passaporta, solo lo sgabello riverso a terra e
*Una cassetta degli attrezzi? Che diamine ci fa l’omino delle casse con una cassetta degli attrezzi?* la tirò fuori posandola a terra e chinandosi per guardare se ci fosse qualcosa che potesse tornarle utile *Una fiamma ossidrica? Una sega circolare? Macchè, non c’è manco un misero martello qui dentro*
Si aggrappava ad ogni misera speranza e, ogni volta, tutto sembrava andare in frantumi, più si avvicinava a quella che sembrava una luce, più, alla fine, le pareva di allontanarsi dall’uscita, si stava quasi lasciando trascinare a fondo dalla rassegnazione di passar lì l’eternità quando un foglietto di carta fece capolino tra le viti smosse sul fondo della cassetta.
*E questo?* lo prese tra le mani *Sicuramente qualcos'altro di inutile* lo avrebbe appallottolato e gettato via, ma, fortunatamente, ancora non si era completamente arresa, una parte di lei ancora lottava per restare aggrappata alla speranza di uscire.
I disegni erano decisamente incomprensibili, lo rigirò da tutti i versi prima di decretare che le scritte erano un buon parametro per capire quale fosse il dritto, ma, comunque, quelle linee non le dicevano assolutamente nulla.
Solo una cosa sembrava abbastanza chiara, non aveva trovato l’interruttore generale, ma, forse, qualcosa che poteva almeno condurla verso l’esatta ubicazione, sempre che fosse riuscita a capirci qualcosa.

*Se hai problemi guarda qui, già, io guardo è, ma non vedo nulla, a tre anni facevo degli scarabocchi più comprensibili*
Scosse il capo, c’era davvero qualcosa di utile su quel pezzo di carta? Di sicuro non capiva i disegni, magari con le parole le sarebbe andata meglio.
*Circuiti parco...ah ahn...no, Schemi generali...mmm...nada...Circuito generale e Interruttore...Interruttore? Dove? Mio*
In realtà non c’era scritto nulla a riguardo, sarebbe stato carino tipo trovare qualcosa come “Porticina alla destra dei bagni” o “botola sotto il chiosco dei pop corn”, ma era forse chiedere troppo, l’unica altra cosa era un numero, il 9, scritto proprio accanto alla parola “Interruttore”, quasi quasi avrebbe giurato che fosse anche indicato con una freccia, come se quel numero dovesse corrispondere a un luogo, magari proprio il luogo dove si trovava l’interruttore generale? Che l’immaginazione le stesse giocando un brutto scherzo o meno, decise di seguire l’istinto *Tanto che hai da perdere?*
Infilò la mano in tasca alla ricerca della mappa del parco, sapeva di aver già visto dei numeri, se quella era un’indicazione, forse la mappa le avrebbe svelato dove andare *Il nove erano..gli autoscontri? No...mmm...la casa degli orrori? No...ma dove diavolo è finita?* non riusciva a trovarla, eppure era sicura fosse lì *Ah già...Emily* si ricordò che la compagna gliel’aveva sottratta poco prima di separarsi, beh, ora le serviva e se la sarebbe ripresa.
Si alzò in piedi infilandosi il bigliettino in tasca e, mentre lo accartocciava, si accorse del macabro messaggio sul retro
*Vorrei che qualcuno aiutasse me in questo momento* era scritto col *Sangue?* per un attimo ebbe l’istinto di gettarlo via, ma le serviva, chiunque l’avesse scritto, probabilmente, se n’era già andato da un pezzo, di certo non poteva aiutarlo lei, cercando di non pensarci lo ripose al sicuro e uscì da quelle che, una volta, erano le casse.
Era già pronta a castare un Periculum per attirare l’attenzione della compagna, quando le sembrò di scorgerla poco distante, vicino a uno dei banchi dei giochi
*Bingo* e con passo spedito si avvicinò a lei.

-Rose, mi servirebbe la mappa- poi si rese conto che, magari, anche lei poteva aver trovato qualcosa -Trovato nulla?-

In realtà si stava ancora chiedendo cosa ci facesse lì, ma quello preferì non domandarlo, attese semplicemente che la compagna le porgesse ciò che le aveva chiesto, una volta nelle sue mani se la sarebbe tenuta stretta, sia mai che potesse nuovamente tornarle utile.
Non sapeva ancora che, il numero 9, corrispondeva alle montagne russe, ma, una volta scoperto, si sarebbe diretta immediatamente lì.

 
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view post Posted on 7/12/2014, 19:48
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Monsters are real, ghosts are real too.
They live inside us and, sometimes, they win.



Dire che Emily stesse per perdere nuovamente la pazienza era certamente un eufemismo.
Viste le condizioni in cui riversava quell’orrido Luna Park, si era convinta, fin dal primo istante in cui vi aveva messo piede, che fosse abbandonato da tempo immemore. Il ritrovamento della bambola, tuttavia, le aveva dato modo di credere che non fossero poi passati troppi anni: se la sua memoria eidetica non la tradiva, era certa che la produzione delle bambole Lottie avesse avuto inizio intorno al 2012, ergo non doveva esser passato molto tempo da quando quel luogo era caduto in disgrazia.
Purtroppo non aveva avuto modo di constatare la veridicità o meno dei suoi dubbi ed oltre che minare il suo orgoglio, il buco nell’acqua non le fu di aiuto nel rinsaldare l’ottimista speranza nella possibilità di uscire da quel luogo il prima possibile.
Ancora una volta si chiese perché invece che entrare nel Morning Child, non si fosse limitata a girarvi intorno, cercando di capire in che dannata parte del mondo si trovasse e trovare un modo per far ritorno ad Hogwarts – o in Inghilterra, chi poteva dirlo.
La Serpina sospirò appena, cercando di fare il punto della situazione; Arya non era ancora riuscita nel suo intento: la ruota panoramica, tralasciando i tetri rumori di sottofondo, restava praticamente immobile nella sua condizione di stasi iniziale.
*Beh almeno lei sta cercando di fare qualcosa di sensato, tu invece?*
Pensandoci bene, aiutare la compagna nel suo piano sarebbe stata una mossa più saggia ma era evidente che persino in casi di estremo pericolo – o presunto tale – la giovane Rose preferiva fare di testa sua e, specificatamente in quel caso, trovare qualcos’altro d’utile da fare invece che perder tempo dietro Arya la quale poteva benissimo cavarsela da sola. Inoltre, qualora il piano della Concasata si fosse rivelato inutile, lei avrebbe potuto far ricorso ad un piano di fuga d’emergenza.
*Peccato che nonostante la ruota non si sia mossa di un centimetro, sembra che lei stia avendo più risultati di te. Od almeno, non sta rischiando di impazzire, pensando seriamente di dar tutto in pasto alle fiamme*
Inutile dire che Emily avesse davvero pensato di dar fuoco a tutto ma fortunatamente la sua razionalità le aveva suggerito che nonostante questo fosse stato utile per sfogare la sua ira, poteva anche portare alla conseguente distruzione di una probabile ma non impossibile via di fuga.
Conscia del fatto che quella bambola non rappresentava nulla (se non un oggetto capace di rendere quel posto ancora più orrendamente triste e lugubre), Emily abbandonò il banco dei giochi, tornando sui suoi passi.
Fu in quel momento di sconforto generale, in cui pensava a cosa diavolo fare oltre che avviare un fantasmagorico Tour del posto, che le ritornò in mente la strana sensazione provata poco prima, quando qualcosa l’aveva quasi costretta a fermarsi dinanzi al Tunnel dell’Amore poco lontano.
La giovane Caposcuola arrestò nuovamente il suo camminare, volgendo le iridi chiare verso quell’ammasso di rottami devastato dalla ruggine che immaginò esser nauseante anche durante il periodo di massimo splendore ed attività del Luna Park.
Un cancelletto, chiuso da un lucchetto avente la forma di un cuore a metà ( *ridicolmente ironico* ), non rappresentava un ostacolo qualora Emily avesse deciso di assecondare quella tetra sensazione ed entrarvi (come se le azioni sconsiderate non fossero già stata abbastanza) eppure la Serpe continuava a restare immobile, indecisa sul da farsi.
Mi servirebbe la mappa. Trovato nulla?
La voce della compagna, comparsa dal nulla, per poco non la fece sussultare, concentrata com’era nel tentativo di comprendere la fonte di quelle strane emozioni e sensazioni derivanti dalla vicinanza a quel tunnel popolato da cigni decapitati e ruggine che sembrava avere la capacità di crescere come muschio sui tronchi.
Senza volgerle sguardo alcuno, continuando a fissare quella costruzione di uno sbiadito rosa consunto, Emily le porse la mappa dapprima stretta nella sinistra, la stessa mano che reggeva la bacchetta. Non rispose alla sua domanda: era ovvio non avesse trovato nulla, altrimenti l’avrebbe certamente avvisata. Anche se l’idea di poterla lasciare lì e sgattaiolare via attraverso una porta immaginaria, non le sembrò così cattiva: bisognava davvero sottolineare l’inutilità delle sue azioni?
*Meno complessi, Emily. Infondo pare sia oggettivamente colpa tua se Arya si trova in questo Inferno con te*
Ed a proposito d’Inferno…

Ho intenzione di entrare nel Tunnel. Se mi cerchi, sono lì.
Si limitò a dire, esprimendo più sicurezza di quanta l’idea di avventurarsi all’interno di quel posto potesse infonderle.
Dopotutto, era meglio del non fare nulla. Oppure poteva aiutare Arya in… qualsiasi cosa Ella stesse facendo e lavorare come una squadra come una qualsiasi coppia di giovani sventurati avesse fatto.
Si morse il labbro inferiore, indecisa e *Al diavolo!*, s’incamminò verso il cancelletto.
Puntando l’arma di Salice verso il lucchetto, mirando con precisione alla serratura, evocò l’incantesimo:

Alohomora!
Asserì, facendo attenzione a non insistere sull’ “h” presente nella formula.
Se l’incanto avesse avuto successo, si sarebbe soltanto dovuta avventurare all’interno di quel disastro, cercando di capire da cosa ( e, sperando, non da “chi”) provenisse quella sensazione di disagio provata poco prima.
[/font]


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view post Posted on 5/2/2015, 18:33
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Il Fato

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La Disperazione. Una creatura malvagia, subdola e impalpabile come l'aria, che si insinua anche nei più coraggiosi, nei più speranzosi. E la Frustrazione che con essa andava a braccetto, formando un duo potenzialmente letale, nemico dei sensi e della lucidità, pronti a ceder il passo all'isteria.
Arya aveva creduto che tutto fosse perduto, sul punto di mollare letteralmente baracca e burattini avrebbe lanciato alle ortiche quel poco che le restava per salvar la vita di se stessa e della sua compagna: un foglietto provvidenziale quanto macabro e grottesco, il sangue rappreso come tacito monito per una fine che forse, sarebbe giunta anche per loro?
Ed Emily, travolta dai ricordi e da quella flebile speranza di scoprir l'origine della bambola Lottie, per poi veder sfumare quella pallida strada intrapresa. Niente di fatto. Tutto era perduto? No, non proprio.
Rincontratesi, le due fanciulle avevan forse deciso di collaborare? Ancora una volta, un no di fatto. Forti della loro indipendenza, la Rose più della Von Eis, ognuna continuava a mantenere un obiettivo, pur essendo entrambe consce, nel loro profondo, di star facendo il possibile per tirarsi fuori da quel pasticcio.
rollercoaster
Presa la mappa, Arya si diresse al numero nove: le Montagne Russe. Il loro scheletro si innalzava contro un cielo sempre più cupo, il sinistro scricchiolio che cominciava a farsi via via sempre più forte mentre il sole scendeva, nascosto da un'orizzonte nebbioso. E mentre la ragazza camminava... un'ombra, proprio alla sua destra, si palesò. Fu un lampo, che la ragazza poté vedere solo con la coda dell'occhio, sparire in prossimità di quella casa grande e diroccata che sulla mappa era indicata come il classico antro degli orrori. C'era qualcuno? Poteva aiutarli? O forse...
In ogni caso, il tempo di voltare il viso per constatare che fosse stata, quell'apparizione, reale o meno, e questa era già sparita, lasciando in Arya un'inquietudine crescente. Quando infine giunse alle Montagne Russe, trovare lo scomparto dell'apparato elettrico non fu eccessivamente complesso. C'era un cancelletto tutto arrugginito, come gran parte di quelle strutture in ferro, e un paio di gradini. Una volta saliti, Arya avrebbe notato dinnanzi a sé un paio di vecchie navette, ferme al punto di partenza: la vernice era ormai saltata in più punti; i divanetti erano rosicchiati, l'imbottitura usciva fuori come macabra materia cerebrale da una testa esplosa. Le sbarre d'acciaio delle protezioni erano anch'esse corrose dal tempo e i faretti sulla struttura frontale erano spaccati, come due orbite vuote. Le rotaie si inerpicavano verso l'alto, e molti pezzi di legno marcio delle traverse pendevano, per un lato, nel vuoto, come buffi denti cariati nella bocca devastata di un qualche mostro lovecraftiano, i mille tentacoli formati dalle rotaie rotte e incidentate. Alla destra della Prefetta, prima dell'entrata alle navette, e relegata in un piccolo cubicolo, c'era una postazione con alcuni vecchi comandi: una sorta di cloche incrostata da strane macchie rosso scuro, qualche pulsante e poi, sotto di esso, uno scomparto, il cui sportello pendeva mezzo rotto: all'interno, i cavi elettrici erano mezzi strappati: i fili di rame spuntavano fuori dalle loro guaine, tranciati alla bell'e meglio. C'era puzzo di bruciato, un sentore vago, ma presente, come di carne ustionata lasciata sulla brace troppo a lungo. Era chiaro, che quel caos di cavi e fili era stato fatto intenzionalmente da qualcuno. Lì accanto un grosso interruttore, secco e arrugginito, che probabilmente regolava l'ON e l'OFF. Come riattivarlo? Come riparare? Forse, la risposta Arya già ce l'aveva, Magica e non. L'esperienza, insegnava?

Emily invece, non molto distante dalla sua amica-nemica, si avvicinava a quel luogo che, pochissimo tempo prima, le aveva comunicato un malessere che ora che si avvicinava al Tunnel, andava crescendo. La giovane venne scossa da mille brividi mentre macinava la distanza fra lei e il cancelletto dal mielenso lucchetto. Mille occhi, sembravano puntati su di lei mentre stringeva la bacchetta, mentre evocava la formula, mentre, semplicemente, era in piedi di fronte quell'antro oscuro. Sembrava non esserci nulla, oltre il cancello e il lucchetto: il fondo del Tunnel sembrava solamente un pozzo buio di oscurità liquida. Ma c'era qualcosa, che emergeva da quelle tenebre: dei tonfi, ripetuti, netti:
Tonk...
Tonk...
Tonk...
Tonk...
Tonk...
Rumori lontani, trasportati dall'eco. Tubature? Del resto, quel fiumiciattolo dove galleggiavano quei cigni rotti e corrosi, doveva pur nascere da qualcosa.
O era qualcos'altro? C'era tempo, forse di scoprirlo?
Ma prima, l'incanto: abile e ingegnosa, la Serpeverde si apprestava a castare un perfetto Alohomora. Tuttavia, l'incanto avrebbe funzionato solo se il lucchetto fosse stato integro. Dov'era l'altra metà? L'Alohomora avrebbe funzionato se ci fosse stato il pezzo mancante? Chissà, probabile... Era chiaro, oramai, nel profondo della Caposcuola che quello era un luogo chiave. Per quanto il MorningChild comunicasse un grottesco malessere, l'ansia e la disperazione che provenivano da quel luogo erano senza pari. Tremendo, angosciante, sembrava voler risucchiare chiunque dentro di sé, come un losco buco nero.
E poi... anche lei, con la coda nell'occhio la vide. L'ombra plumbea che corse, rapida, come vento, superandola e scomparendo nella Casa degli Orrori. Fu un secondo, uno soltanto, in cui anche Emily si chiese se fosse reale o meno, se ci fosse qualcuno, in grado di aiutarli. Forse non tutto era perduto, forse entrambe le ragazze avevano modo di uscire da lì, di scoprire la verità, di capire cosa successe a quel MorningChild che a suo tempo sembrò essere un gioiellino, fra i parchi divertimenti.

Ma bisognava fare presto... il Sole stava tramontando e qualora questo fosse scomparso... nessuno sarebbe stato più al sicuro.

Loro sapevano.
Loro aspettavano.
Tonk...
Tonk...
Tonk...






InventarioEmily C. RoseArya Von Eis
Emily: bambolotto [in mano]
Arya: Foglietto con circuiti, mappa
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Arya Von Eis
view post Posted on 9/3/2015, 01:19




E per la serie “meglio soli che male accompagnati”, le due ragazzine perseveravano nel proseguire nella più totale indipendenza, avessero avuto due mappe, probabilmente, si sarebbero ritrovate solo una volta fuori, fortuna, o sfortuna, dipende dai punti di vista, la cartina era una sola.
Per il momento erano entrambe vive, anche se Arya iniziava a nutrire qualche sospetto sulla veridicità di quell’affermazione, ed entrambe illese, ma iniziava anche a dubitare che quella condizione sarebbe durata in eterno, cioè, se seriamente quel luogo si fosse rivelato deserto e senza uscite, probabilmente sarebbero presto impazzite correndo il serio rischio di aggredirsi a vicenda giusto per passare il tempo, se, al contrario, qualcuno o qualcosa abitava quel parco, beh, era già andata loro fin troppo di lusso.
In ogni caso, senza troppi giri di parole, la compagna le consegnò la mappa, mettendola giusto al corrente della sua stramba idea di farsi inghiottire dall’oscurità del Tunnel, forse, sovrappensiero, non prestò troppa attenzione a quelle poche parole, concentrata com’era sul capire da che parte andare, in caso contrario si sarebbe probabilmente opposta, ma ciò non avvenne, aveva una meta e, sperava di arrivarci il prima possibile, giusto per fare un po’ di luce sulla faccenda.
Si limitò dunque ad un semplice
-Okey Rose- constatando con piacere che il numero 9 corrispondeva alla costruzione proprio lì accanto, forse, questa volta, sarebbe stata più fortunata.
S’incamminò dunque, riponendo la cartina ormai piegata e ripiegata in tasca, avrebbe voluto dire, a posteriori, con sicurezza e spavalderia, ma al momento l’unica cosa a cui pensava era mettere un piede davanti all’altro mentre tentava di controllare l’agitazione.
I sinistri cigolii non aiutavano di certo e nemmeno il Sole che, forse fin troppo velocemente ai suoi occhi, sembrava desideroso di nascondersi, come se, anche lui, provasse una sorta d’inquietudine a sostare lì più del dovuto.
A metà strada tra arrivo e partenza qualcosa la costrinse a voltarsi, un brivido quasi la lasciò impietrita, un misto tra speranza e terrore, qualcosa, poco distante e, allo stesso tempo, lontana anni luce, sembrò muoversi alla sua destra, solo un’ombra, forse frutto della sua stessa immaginazione, non sapeva nemmeno in cosa sperare, una reale presenza si sarebbe rivelata positiva o negativa? Era meglio esser sole o aggrapparsi all’illusione che qualcun altro si trovasse lì con loro? E se davvero c’era, perchè non si mostrava? Che magari temesse loro più di quanto loro potessero temere lui?
Pensieri, illusioni, speranze, congetture, nulla di più, nello stesso istante in cui si era voltata, quell’ombra, qualsiasi cosa fosse, qualsiasi cosa significasse, era già scomparsa, scomparsa nel luogo che, in quel momento, rappresentava l’intero parco, la Casa degli Orrori.
Per un istante, una frazione di secondo, pensò di inseguire quella flebile speranza, ma subito i dubbi tornarono a farsi più prepotenti, voleva davvero abbandonare la via appena tracciata per inseguire il nulla? Si disse di no, per quanto non ci fosse nulla di sicuro, le Montagne Russe, le apparivano al momento come un faro nell’oceano.
Continuò dunque dritta per la sua strada, senza nemmeno fare più caso a quanto tutte quelle strutture fossero logore e diroccate, trovare qualcosa di integro e funzionante, quella sarebbe stata la vera sorpresa, quello l’avrebbe forse allarmata, la ruggine, il marciume, erano ormai pare integrante di quel parco, nulla di cui stupirsi.
Scostato il cancelletto arrugginito e saliti i pochi gradini, ciò che le si palesò fu nuovamente qualcosa di già visto, altri comandi, altri pulsanti, un altro pannello di controllo, ovviamente non funzionante, questa volta, però, non c’erano molti dubbi sul perchè, i cavi tranciati erano in bella vista o meglio, lo sportello che doveva custodirli si manteneva penzolante, permettendo a chiunque di notare l’innaturalità della cosa, se alla Ruota il dubbio che si trattasse di un semplice guasto meccanico appariva lecito, lì, anche il più stolto dei passanti avrebbe decretato che, qualcuno, avesse voluto mettere fuori gioco l’impianto.
In realtà, poco importava, che il danno fosse intenzionale o meccanico, la soluzione al problema sembrava persino troppo semplice, come fatto con la Ruota, poteva riparare anche quello, ma, era realmente la cosa giusta da fare?
Perchè qualcuno si era premurato di danneggiare le attrazioni? Nell’eventualità di una fuga chi avrebbe perso tempo a fare una cosa del genere senza motivo? Forse si stava ponendo un sacco di domande inutili, magari i fili erano rimasti tranciati accidentalmente durante la fuga.
E se, invece, quello fosse stato l’ultimo tentativo disperato di impedire qualcosa? Magari, invece, non era successo nulla di così terribile e, semplicemente, il parco era stato abbandonato.
No, quello sembrava impossibile, tutto buttato all’aria, il bigliettino con la richiesta d’aiuto, il sangue, no, decisamente tutto lasciava intendere che nulla di normale era successo lì dentro.
In ogni caso, il dubbio restava, chiunque decise di tranciare i cavi, lo aveva fatto con che scopo?
In quel momento non era più così convinta della genialità del suo piano e nuovamente le tornò in mente quella lieve speranza che le aveva fatto visita nello scorgere l’ombra poco prima, se davvero c’era qualcuno, doveva sapere cos’era successo, magari non conosceva l’uscita o se ne sarebbe già andato, ma, forse, poteva sapere qualcosa, qualsiasi cosa di utile.
Non che l’idea di andare a caccia di fantasmi nella Casa degli Orrori la riempisse di gioia, ma, se c’era anche la più remota possibilità di capirci qualcosa, dovevano coglierla, se poi si fosse rivelato un buco nell’acqua, beh, poteva sempre tornare lì e riprendere da dove si era interrotta.
C’era sempre la possibilità che l’ombra non fosse amica ma nemica, ma, era una possibilità su 3, forse valeva la pena rischiare.
Scese i due scalini, dirigendosi nuovamente verso la Ruota, questa volta con l’intenzione di superarla, voleva raggiungere il punto dove l’ombra era scomparsa, cercando di non pensare che, sto giro, era lei a tentare un’impresa suicida, al momento l’idea di Emily di lasciarsi inghiottire dall’oscurità del Tunnel non sembrava più insensata di quella.
Forse, però, poteva almeno evitare di andarci da sola, okey, non lo avrebbe mai palesemente ammesso con nessuno, ma l’idea che la Caposcuola l’accompagnasse, poteva alleviare leggermente la sua inquietudine, magari se si fossero coperte le spalle a vicenda ne sarebbero uscite vive, non pretendeva illese, ma almeno vive.
Una volta raggiunta la Casa degli Orrori si sarebbe voltata in direzione del Tunnel dei cigni storpi, forse sperava di trovare ancora Emily indecisa sul da farsi, in tal caso avrebbe tentato di attirare la sua attenzione, tanto lì regnava il silenzio più totale, sarebbe bastato chiamarla, se, al contrario, quell’incosciente fosse già andata per la sua strada, beh, sarebbe tornata indietro a prenderla.

 
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view post Posted on 28/3/2015, 01:52
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Bur Darling, we're not all insane.
Insanity is relative.
It depends on who has who locked in what cage.

Più tempo passava imprigionata in quel luogo, più Emily avvertiva una crudele, orripilante sensazione di completo abbandono: quel parco non le piaceva. tutto sembrava suggerirle che qualcosa di cruento, raccapricciante doveva esser accaduto e che presto una sfortuna simile si sarebbe abbattuta in egual modo su di loro.
I flebili raggi del sole continuavano ad illuminare l'ambiente ma la giovane Caposcuola non ne avvertiva il calore; per un istante credette di trovarsi in un luogo inesistente, irreale e che l'astro luminoso fosse soltanto luce artificiale, nulla di più. Chi poteva dire, infondo, che quel posto esistesse davvero, da qualche parte? Potevano esser ovunque e da nessuna parte ed era questo che rendeva l'animo della Serpina sempre più inquieto.
Si era ormai abituata alle improvvise folate di vento ed ai rumori sinistri provenienti da ogni dove eppure i sensi restavano all'erta, pronti a captare ogni suono o movimento fuori dalla norma. Fino a poco prima dell'evocazione dell'Alohomora, non v'era stata nessuna percezione anomala. Nessun colpo, nessun strambo rumore, nessuna voce, niente urla: solo lei ed il suo respiro; non vedeva o sentiva Arya impegnata a far chissà cosa per portarle in salvo; non udiva più gli scricchiolii macabri della ruota panoramica consunta e pronta a venir giù con l'ennesimo soffio di vento.
Solo lei ed il suo respiro.
*Nessuno ti sta fissando, sei sola*, si disse più volte per mantenere la calma di cui era entrata in possesso ed allontanare la stupida sensazione che vi fosse qualcuno - o qualcosa? - nascosto chissà dove ad osservarla, studiando ogni suo fallito tentativo di capire dove si trovasse e perché.
*Ci sei solo tu ed il tuo respiro*, ripeté.
Allora lo trattenne, il respiro, smise di respirare, per poter sentire completamente il silenzio, ignorando il battito accelerato del suo cuore. Era immobile, ferma con la bacchetta in mano e gli occhi socchiusi: il silenzio era totale, se si fosse mossa probabilmente avrebbe sentito le sue ossa scricchiolare. Ma non si mosse e non sentì nessuna articolazione muoversi, al contrario, sentì dei tonfi.
Espirò di colpo, avvertendo un peso all'altezza del petto e la testa vorticare per qualche secondo.
Tonk.
Tonk.
Tonk.
Immaginò delle pesanti gocce infrangersi, seguendo intervalli di tempo regolari, contro una superfice metallica. Le iridi argentee si posarono sull'intonaco rosa, sbiadito ed orrendo mentre la fanciulla ipotizzava che un tunnel dell'amore in cui dei cigni mal rappresentati galleggiassero - a discrezione del peso dei passeggeri - su uno specchio d'acqua, avrebbe potuto conservare dei residui del suo antico splendore: qualche tubatura rotta al di sopra di una costruzione metallica a pezzi ed il mistero era risolto. Ma se era così semplice spiegarlo perché la Serpina restava lì, con lo sguardo paradossalmente concentrato e spento al contempo, cercando di definire quella ritmica, inquietante serie di tonfi?
Doveva esserci qualcos'altro lì sotto, qualcosa che aveva deciso, improvvisamente, di attirare la sua attenzione, invitandola a fare il possibile per entrare in quel luogo sicuramente squallido anche durante i giorni di gloria del Morning Child.
Entrare era mossa dunque giusta? Dopotutto, cosa le restava da fare? Girare a zonzo non aveva portato a nessun risultato e se la ragione faceva cilecca, tanto valeva assecondare l'istinto.
Aveva ripreso a respirare normalmente, l'adrenalina in circolo sembrava essersi stabilizzata ad un livello di non difficile gestione ed Emily stessa si sentì nuovamente motivata, non le restava che spazzare via quel dannato cancelletto e perlustrare il luogo. Ma in quel Luna Park i momenti in cui la Caposcuola cercava di prendere in mano la situazione sembravano destinati a durare poco: non ebbe neanche il tempo di tranquillizzarsi che il cuore riprese a battere velocemente. Accanto a lei, ne era certa, era apparso qualcuno. Un'ombra veloce, irriconoscibile ma che tuttavia non passò inosservata. Voltandosi in direzione del presunto pericolo, stringendo con ardore il Salice, riuscì ad individuare la sagoma seguendola fin dentro la Casa degli Orrori.
Chi era? Cos'era? Poteva essere d'aiuto?
All'improvviso il Tunnel dell'Amore aveva perso tutta la vitale importanza che aveva acquisito alla comparsa di quei ripetuti suoni. Sicuramente la presenza che l'aveva appena distratta, non voleva far altro che impedirle di proseguire oltre ma ciò che restava in dubbio era la motivazione: per preservarla da un qualche pericolo o perché bramasse d'attirarla verso un rischio ben maggiore?
La Serpina si lasciò sfuggire un sonoro sospiro, reprimendo la voglia di imprecare proprio quando sperava di aver raggiunto un equilibrata tranquillità.
Si voltò nuovamente verso la costruzione rosa, posando lo sguardo freddo sul lucchetto rotto, domandandosi nuovamente se fosse quello il motivo per cui l'incanto non aveva funzionato.

Maledizione.
Proferì con rabbia, avanzando di un passo, pronta a scagliare un qualsiasi incanto contro quel dannato cancelletto o, addirittura, a tirargli un calcio colpendolo con la piena suola delle sue ormai impolverata scarpe nere.
Fortuna - forse - volle che, allarmata dall'ombra che si era palesata fin troppo celermente al suo fianco, Emily fosse attirata dall'esile figura del suo Prefetto nel momento in cui questi rientrava nel suo campo visivo.
Si voltò in sua direzione, osservandola camminare spedita verso la Casa degli Orrori: che avesse visto anche lei l'ombra?
*Magari è alla ricerca di altro* e doveva essere dunque allertata. Cacciò la bambola nella borsa che le pendeva dalla spalla destra e con ultimo sguardo verso l'abisso che invocava la sua presenza, prese a camminare con passo spedito nella direzione della Concasata.

Arya.
Chiamò prima ancora di affiancarla in modo da impedirle di proseguire nella Casa ed attenderla.
Credo di aver visto qualcuno entrare qui.
Proferì senza guardarla, per evitare di osservare l'espressione facciale di chi poteva darle, forse a ragione, della pazza.
Anzi, ne sono certa. Direi di entrare. Magari possono aiutarci o, in caso contrario, potremmo minacciarli di farlo.
Proseguì palesando più sicurezza di, in realtà, potesse vantarne il controllo in quel momento.
Il Morning Child sembrava desideroso di vederle collaborare e se non esaudire il suo desiderio le aveva condotte ad un fallimento dietro l'altro, tanto valeva assecondarlo, avviarsi verso l'entrata dell'nesima enattrazione e scoprire come diavolo uscire da quell'orrendo posto.




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view post Posted on 19/4/2015, 18:54
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Il Fato

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Nonostante le due fanciulle non avessero collaborato affatto, c'era qualcosa che le univa che non era lo stemma della Casata, o l'amicizia —per quanto insolita— e nemmeno la Paura. Era la speranza e la perseveranza di continuare a cercare un modo per andarsene da quel luogo: così come erano comparse, potevano tornare indietro? La risposta sarebbe potuta esser positiva e il bicchiere visto come mezzo pieno, ma quando il dubbio si insinua infido e subdolo, minando quella stessa convinzione e facendola così vacillare, le cose potevano peggiorare, l'acqua versarsi e il bicchiere infrangersi.
Il Parco era davvero un ruolo fisico, reale? Si trovava in una Contea, in un Paese o Nazione, in un continente? Era sulla Terra? Queste considerazioni erano, del resto, assai pericolose: se il MorningChild non fosse stato reale, allora dove si trovavano Emily ed Arya? Intrappolate, forse, in una dimensione distorta, deviata, nata dalla mente o dalle mani di un folle, forse in preda di allucinazioni o droghe. Se così fosse stato, se nulla era reale, allora uscire sarebbe stato più complesso e contorto, se non impossibile. Ma la razionalità spesso e volentieri interviene sulla mente umana per giustificare timori e incomprensioni, per spiegare tutto ciò che, altrimenti, non avrebbe logica e lascerebbe alla Pazzia un campo troppo aperto. Così, Emily, si affidava ad essa mentre, impalata innanzi l'entrata dello squallido Tunnel, udiva con terrore nascosto quei tonfi secchi e metallici. Sì, forse potevano essere delle tubature: del resto i cigni galleggiavano su dell'acqua che doveva pur provenire da qualche parte. La domanda, tuttavia, era: possono delle gocce fare un rumore così sordo e roboante al tempo stesso? Non era più un "plin plin plin" la classica onomatopea?
E per tutto il tempo che la giovane rimase lì, il rumore non sembrò mai diminuire né aumentare, rimanendo costante. In ogni caso, le domande di Emily erano destinate a rimanere senza risposta... per il momento.

Arya, dal canto suo, ignara di quel suono e dell'inquietudine della compagna, si era ritrovata ancora una volta di fronte l'ennesimo guasto che, tuttavia, ora aveva la conferma di esser stato indiscutibilmente doloso. Domande come "perché" erano ormai una routine in quella vicenda ed era ormai chiaro che al MorningChild fosse accaduto qualcosa di orribile. Anziché riparare i fili rotti come la volta precedente, Arya decise di lasciare l'impianto al suo destino, nonostante il chiaro messaggio che al chiosco aveva ritrovato.
E fu proprio quando la ragazza superò la struttura decadente che una folata di vento si alzò con maggior forza, facendola cigolare acutamente; quando lei superò il cancelletto, qualcosa si sporse da uno dei veicoli della ormai contorta giostra.

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La mano penzolò oltre il bordo ammaccato dello scalino del veicolo, smossa leggermente dalla brezza; la carne maciullata lasciava scoperte le falangi, dove alcuni tendini ancora resistevano alle ossa, come piante rampicanti su un muro; quelle dita, rivolte verso la schiena di Arya, sembravano quasi volerla fermare in una muta richiesta d'aiuto che lei non avrebbe colto. Il corpo a cui l'arto apparteneva era impossibile da notare, poiché quel braccio era tutto ciò che restava. Brandelli di stoffa di una manica, una volta color paglierino da cui pendevano merletti corrosi dalle intemperie, erano tutto ciò che identificavano quella che una volta doveva esser stata una figura femminile.

Un fischio, cupo, lontano sostituì il silenzio.
Sapevano che erano lì.
Sì, loro forse li avrebbero aiutati.
O magari... avrebbero fatto loro compagnia?
C'era posto lì... bastava solo che Lui non lo scoprisse,
altrimenti...

Quando Arya ed Emily si ri-incontrarono, fu chiara ad entrambe la decisione da prendere. L'ombra che avevano captato con la coda dell'occhio poteva essere un'ancora di salvezza o la mano che le avrebbe uccise, ma valeva comunque la pena tentare, per aggrapparsi a qualsiasi cosa che non fosse quella desolazione. Qualsiasi cosa fosse, amica o nemica, vita o morte, era sempre meglio che rimanersene lì, in balia di quelle strane sensazioni, di quei silenziosi sguardi, di quel Sole morente che a poco a poco nascondeva i suoi rassicuranti raggi. Insieme, le Serpeverde si avvicinarono all'entrata della Casa degli Orrori: un grosso ragno di plastica mangiata dal Tempo le osservava dal tetto, mentre le zampe meccaniche sembravano esser mosse dal vento, più che dagli ingranaggi fermi da ere. L'insegna era arrugginita e marcia così come i cartelli, sparsi sulla facciata, che indicavano tutti gli orrori che gli incauti visitatori avrebbero trovato: goblin, fantasmi, zombie, streghe, le loro lettere scrostate e sbiadite erano oramai inutili. Grossi gargoyle dai volti demoniaci e di dubbio gusto erano stati piazzati, alla bell'e meglio, qui e là sul fronte della casa, sbeccati in più punti e, forse, più grotteschi di quanto fossero stati originariamente. Al lato della struttura, v'era il baracchino dei biglietti: la serranda era stata tirata giù e l'impronta di una mano insanguinata spiccava sulla grata: che fosse vera o finta, non era dato saperlo.

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L'uscio pendeva da un lato: il legno era ricoperto da muschio e muffa e, una volta che le giovani furono entrate, un puzzo di marcio e umidità pizzicò loro le narici. L'interno della casa era banale e forse straordinariamente simile a quello che le due avevano intravisto all'interno della Stamberga; anziché salire su più piani, però, il percorso era solo al piano terra e, curvando, passava da una stanza all'altra, dal tema sempre diverso. All'interno non v'erano lampade funzionanti, se non qualche sporadica luce d'emergenza che funzionava chissà in quale astruso modo. Il loro fascio luminoso era necessario soltanto al fine di camminare e intravedere vagamente i contorni dell'ambiente e del percorso, illuminando malamente ciò che le circondava. L'aria che penetrava dai vari buchi della struttura risuonava nella casa in maniera inquietante e grottesca, facendo scricchiolare il legno.
Un fischio cupo.
Superando antri vampireschi, laboratori di scienziati pazzi, cimiteri di plastica tristemente deserti, il percorso improvvisamente scese nell'entroterra e la scenografia diroccata lasciò ben presto lo spazio ad un muro di roccia nuda e umida. Man a mano che Arya ed Emily camminavano, nel silenzio, l'unica compagnia era il risuonar dei loro passi e la consapevolezza di un altro buco nell'acqua. Ma quell'odore pungente, che inizialmente poteva esser rintracciato come muffa e chiuso, si fece sempre più fastidioso e nauseante, dolciastro a tratti e serrava le gole delle fanciulle come una mano venefica. Raggiunsero dopo un tempo inquantificabile, quello che sembrava essere le fondamenta della casa adibite a magazzino: vecchi fantasmi di stoffa bucherellata pendevano dal soffitto di travi putride, sopra le loro teste; accatastati ai margini del percorso v'erano gabbie con pipistrelli finti e teschi minuscoli, coperte mangiate dalle tarme e cartelloni pubblicitari dei vari freaks che avevano un tempo animato quella Casa con la loro partecipazione. Ovunque, dei manichini di plastica giacevano scomposti ai lati del percorso che, dal parquet e mattonelle, era ora in terra fangosa. L'oscuro e la paura avevano sempre attirato un'infinita quantità di gente e quell'attrazione, forse, un tempo doveva esser stato il fiore all'occhiello del Morning Child. Cosa spingeva gli umani nei meandri delle loro fobie, era una domanda destinata a rimanere irrisolta e le Serpeverde per prime, del resto, avevano seguito quei dogmi e quell'attrazione irresistibile dell'ignoto, penetrando nella Stamberga nel cuore della notte.
Ora, nonostante le due fossero giunte finalmente ad una collaborazione, sembrava che della misteriosa ombra che avevano intravisto non ci fosse traccia e che tutto non fosse che l'ennesimo nulla di fatto.
A quel pensiero, forse, la mano di Emily, improvvisamente, sembrò ricercare la spalla della compagna, stringendone leggermente la stoffa dell'abito. La presa era salda, forte ed Arya fu suo malgrado costretta a voltarsi verso di lei, notando, con orrore, che le mani di Emily erano entrambe lungo i propri fianchi.
Quella mano, che al tatto era fredda e rinsecchita, apparteneva ad un'alta figura alle spalle della Prefetta. La pelle apparentemente bruciata e cicatrizzata lo ricopriva in ogni punto e gli occhi bianchi erano vacui, rivolti oltre le due fanciulle, ma la lucidità della sua superficie fece intuire ad entrambe che quella altro non fosse che plastica. Un manichino, come gli altri, forse appoggiato alla parete e intruppato dalla Serpina mentre avanzava.
D'improvviso, però, le dita si strinsero, come in uno spasmo, e con tutto il suo peso, e come strattonata, il manichino venne giù, piombando addosso ad Arya e facendola capitombolare sulla pavimentazione dove batté violentemente la nuca a terra (
- 8 ps - 7 pc - 2 pm). Il peso del manichino, abbondante, per semplice e cava plastica, le impedì di rialzarsi celermente, costringendola per un istante a terra. Fu in quel momento che l'odore si fece insopportabile per la ragazza, il cui fiuto sovraumano era ancor più sensibile di quello della Caposcuola; e fu lì, che Arya notò la plastica scrostarsi dal corpo del manichino, forse come danno della caduta, lasciando intravedere sotto quell'involucro un orrore inaspettato. Sotto di essa, scrostatosi proprio come una vernice, emerse carne viva, putrida da cui larve ormai morte fuoriuscivano come se fosse passato poco tempo, dalla decomposizione. Le ossa lucide sbucavano nella marcescenza e un roco lamento sembrò provenire dalla muta creatura. Le sue mani, si arpionarono rigidamente alla carne del collo scoperto di Arya, come a volerla stringere in un abbraccio mortale (- 2 PS).

Uno, due, tre, quattro, cinque, decine di rochi lamenti risuonarono
come un ronzio nel tunnel.
Provenivano dalle pareti,
dal soffitto, dal terreno.
Loro sapevano.
Imploravano.
Aiuto,
aiuto.

Il fracasso divenne un crescendo e Emily, ancora in piedi, alzando lo sguardo avrebbe notato l'ombra emergere dall'oscurità innanzi a loro e a quella vista, uno strano angoscia e terrore avrebbe seriamente minato la sua mobilità e razionalità (
- 10 PM). A sbarrar la strada v'era una bambina. Occhi e bocca erano stati brutalmente cavati e tre buchi neri ne sfiguravano il volto, mentre il collo era solcato da un lungo taglio ricucito da spesso filo chirurgico. La camicetta, una volta bianca, e ora logora e ingiallita, era sporca di sangue e i capelli, tagliati alla maschietta, erano arruffati. Le braccia erano rotte e si allungavano verso le due Serpeverde assumendo angoli contorti, le dita delle mani ancora intatte e i palmi rivolti verso l'alto; verso Emily.

pMV1wtM


Hrrrrrrrrrrr...........
Hrrrrrrrrrrrr.................
Hfffff..........






InventarioEmily C. RoseArya Von Eis
Emily: bambolotto [in borsa]
Arya: Foglietto con circuiti, mappa
Esterno: Olio, tenaglie
La bambina dista quattro metri da te.
Arya è a terra, al tuo fianco.
La Paura ti paralizza.
PS: 116
PC: 66
PM: 57/67
Sei schiena a terra; il manichino/cadavere ti schiaccia.
Hai difficoltà di movimento.
Sei stordita a causa dell'odore.
PS: 101/111
PC: 54/61
PM: 59/61


???Bambina
Sopra Arya, aggrappato alla carne
del collo con ambo le mani.
PS: ???
PC: ???
PM: ???
Innanzi Emily.
Apparentemente immobile.
PS: ???
PC: ???
PM: ???


 
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view post Posted on 12/6/2015, 21:50
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And the monster wait, watching, hoping for me to let my walls come down and welcome them in. They hide in the shadows, beekoning my name and whispering evil lies into my ears so I'll go to their side.

Questo e molto altro offuscava la mente già messa a dura prova della Serpina la quale, seguendo con finta decisione i passi di Arya, si avventurava in modo del tutto privo di senso all'interno di bui e decadenti corridoi, attraversando camere da orribili temi, scivolando tra manichini ed orrendi pupazzi, verso il nulla, al seguito di un'ombra che in quel momento, lontana dai relativamente rassicuranti raggi solari, intrappolata doppiamente in quel mondo contorto, sembrava tutt'altro che una speranza; l'ascia che ci calerà sul collo piuttosto, si disse per rassicurarsi, *E la cosa peggiore è che ve la state proprio cercando, uh*.
Quanto grande poteva essere quel posto? Dal di fuori non sembrava nemmeno così spaventoso; certo la facciata diroccata e tetra faceva la sua parte ma considerata le condizioni in cui versavano, Emily era certa che sarebbe servito molto di più per spaventarla e, come al solito, il suo pensiero sarebbe parso come invocazione a quel Fato giocherellone che si divertiva, in modo crudele e per puro piacere personalpe, ad esaudire gli incubi della fanciulla.

Era stanca di camminare, stanca di respirare quella pesante aria che sapeva di umidità e sporcizia, che s'insinuava al di sotto degli abiti facendo prudere insolentemente la pelle delicata. Emily stava quasi per imprecare, urlare ad Arya di fermarsi perché nulla aveva senso, perché dovevano ragionare, forse, piuttosto che buttarsi alla cieca in luoghi oscuri e che tutto sembravano nascondere tranne che il modo per andarsene da quel posto - se mai fosse stato possibile, ovviamente - quando giunsero all'interno di un'altra stanza, diversa dalle altre perché mentre le ultime rispecchiavano un determinato tema quella sembrava destinata a raccogliere qualsiasi cosa, qualsiasi scarto, roba vecchia e non più utilizzata, dimenticata.
Tristi manichini, stoffe mangiate dal tempo e dalle tarme, e quando Emily avanzò di qualche passo per individuare un'uscita in quel buio pressante ed ammasso di oggetti, si rese conto che i suoi passi erano attutiti da qualcosa di morbido, forse bagnato: fango.
Poco più avanti anche Arya aveva arrestato la sua avanzata, forse anche lei era giunta alla medesima conclusione della concasata? Quando la giovane Caposcuola si voltò in sua direzione per parlarle, notò il suo sguardo spaventato carezzarle le braccia per poi soffermarsi sul suo stesso volto e comprese; comprese che qualcosa non andava. In quella prigione di muffa, sporco e polvere, Emily si stupì di provare sollievo: c'era qualcuno, non erano sole, si muoveva, non erano più bloccate in ripetuti buchi nell'acqua, avevano trovato qualcosa ed in quel preciso istante, animata dalla disfatta precedente, non si preoccupò immediatamente della presenza.
Ma fu soltanto un mero attimo: il silenzio venne interrotto da cupi mugolii, orrendi versi e quel che, ad una prima occhiata, le era parso un semplice e rovinato manichino, inverosimilmente attaccò Arya, portandola a terra sotto il suo peso. Emily rimase immobile per qualche secondo, aspettandosi di vedere la compagna scansare il corpo in plastica, tornando sulle sue gambe, magari con una battuta per smorzare la tensione eppure ciò non accadde. La giovane Rose, piombando improvvisamente in un comprensibile panico, si rese finalmente conto del pericolo e mosse il primo passo verso la lupa bloccata contro la terra bagnata mentre in mente già prendeva vita l'incantesimo per liberarla.
Quell'energia che si era impossessata del suo esile corpo, quella piacevole ed istintiva scossa di pura adrenalina, tuttavia, svanì con la medesima rapidità con la quale s'era palesata: un'ombra ancora più buia dell'oscurità in cui versavano da tempo, si palesò contro quest'ultima come prendendo vita da essa ed Emily fu costretta a ridurvi la sua attenzione, trattenendo dolorsamente il respiro.
La vide.
Una bambina che, prima di metterne fuoco la tremenda e mutilata figura,le sembrò vulnerabile ed indifesa. La serpina credette di arretrare ma il suo corpo restava immobile, ancorato al fango mentre una sorta fitta le dilaniò lo stomaco, che si trattasse di nausea o paura o entrambe non era dato saperlo, stava di fatto che la fanciulla non riusciva a distogliere lo sguardo, dimenticandosi del soccorso che avrebbe dovuto prestare ad Arya e la bambina - o cio che d'Ella rimaneva - avanzava in sua direzione, moncherini alzati, orbite vuote ridotte su di lei.
Le labbra di Emily si schiusero ma quando la creatura emise dei rauchi, agghiaccianti versi, credette di aver perso anche l'uso della parola. Doveva chiamare Arya, dovevano capire cosa stava succedendo, dovevano fuggire da quel posto, c'era qualcosa di strano, qualcosa di Oscuro verso cui la ragazzina si sentì brutalmente attratta.
*Resterai qui. Diventerai così. Arya..*
Quel corpincino raccapricciante si faceva sempre più vicino ed Emily ebbe il timore che se solo l'avesse sfiorata, si sarebbe trasformata in qualcosa di simile; la paura scatenata dall'immaginarsi in quelle vesti raccapriccianti poteva, forse, essere abbastanza per permetterle di fare marcia indietro?
Una piccola scintilla l'avrebbe scossa, richiamandola dall'oblio?
In modo innaturale mosse un passo verso Arya, lontana dal mostro, stringendo veementemente bacchetta e bambola tra le mani. Lentamente avrebbe provato a sciogliersi dalla paralisi, diminuendo la distanza dalla compagna e concentrandosi sull'alleata quel tanto che bastava per liberarla dal peso "morto".
Si costrinse ad agire in fretta calmando il timore, cercando di non posare le iridi cineree su quell'ammasso di pelle ed ossa che sembrava intenzionata a stringersi al suo ventre per non ricadere nuovamente nell'orrore; raccolse il braccio quasi intorno al collo, arrivando a poggiare la mano sinistra sulla spalla opposta e con il braccio ancora fermo, pronunciò la prima parte della formula:

Everte...
Mosse rapidamente il braccio, estendendolo verso l'apparente manichino concludendo l'evocazione:
Statim!
La voce risuonò più alta del voluto ma intrisa di decisione e voglia di prevalere, desiderio di riavere la sua compagna al suo fianco.
Scacciò la convinzione di non potercela fare da sola e si disse, piuttosto, che sarebbe andata via da quel luogo ma non l'avrebbe lasciata lì, non poteva perderla, non così.
*Arya..*




 
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Arya Von Eis
view post Posted on 3/7/2015, 16:26




Si trovava, ormai, a pochi metri da quella fatiscente struttura, quella che, un tempo, doveva essere stata la Casa degli Orrori, anche se, ora, non sembrava aver nulla di più spaventoso rispetto al resto del desolato parco, una casa degli orrori gigante, un Parco degli Orrori.
Mentre, avvicinandosi, osservava la facciata di quella costruzione, sentì il suo nome alle sue spalle, un suono, per una volta, non preoccupante, la Caposcuola la stava raggiungendo, che avesse visto anche lei quell’ombra?
Per averne conferma non dovette attendere molto, non appena l’una accanto all’altra, la rossa, si fece portavoce di quella visione e il prefetto si limitò ad annuire, come a volerle confermare che non stava impazzendo, che non se l’era sognata, che l’aveva vista anche lei.
Rispetto alla titubanza di Arya, Emily, dimostrò anche una certa risolutezza, come se tutta quella situazione non avesse minato la sua sicurezza e quasi si sentì in difetto nel non riuscire a dimostrarsi altrettanto spavalda, malgrado la speranza data da quell’ombra, iniziava seriamente a farsi strada la preoccupazione che non esistesse una via di fuga.
In ogni caso cercò di non darlo troppo a vedere, non avrebbe fatto la bambina che frignava impaurita proprio davanti alla sua Caposcuola, così, senza pensarci due volte, si armò di coraggio e mosse i primi passi oltre la soglia della Casa degli Orrori.
Appena oltrepassata la porta, una smorfia di disgusto le si dipinse in volto, , trattenne il respiro, sperando fosse solo qualcosa di passeggero, lo sbalzo tra fuori e dentro, ma quando ricominciò a respirare nulla era cambiato, quel tanfo impregnava l’intera costruzione e ogni suo arredo, la casa avrebbe sul serio retto? Il marciò doveva essere ben radicato nel profondo eppure, non sembravano esserci segni di gravi cedimenti.
Si guardò intorno, con la vana speranza che l’ombra avesse deciso di aspettarle, ma nulla, se volevano tentare di recuperarla avrebbero dovuto addentrarsi maggiormente, così, seguendo quello che doveva essere l’antico percorso, iniziarono ad esplorare le varie stanze, ognuna con un tema diverso, ognuna con mostri diversi e, nell’insieme, avrebbero dovuto racchiudere un po’ tutte le paure.
Sembravano ormai essersi abituate a quei sinistri scricchiolii e a tutti quei piccoli rumori comandati dall’aria che s’insinuava in ogni fessura, diventati ormai la normalità, non bastarono a dissuaderle dai loro intenti, il “sentiero” proseguiva, anche se, abbastanza repentinamente, sembrò mutare, che fosse una nuova e singolare stanza? Le pareti divennero roccia umida e il terreno fangoso, forse era qualcosa di diverso, dubitava che i proprietari avrebbero corso il rischio di dover ripagare le scarpe ad ogni fanciulla che, entrata lì dentro, li avesse poi accusati di aver rovinato le loro bellissime scarpe nuove.
Anche l’arredo sembrava non lasciare molti dubbi, nulla di definito, sembrava che gli avanzi delle altre stanze fossero stati buttali lì un po’ alla rinfusa, una specie di deposito, un deposito senza ombra di dubbio più nauseabondo della casa stessa, il marciume sentito prima sembrava nulla in confronto a ciò che le sue narici si trovavano ad affrontare ora, se avesse dovuto descriverlo in poche parole avrebbe detto “odore di morte”, come se tutto fosse in putrefazione.
Nuovamente la smorfia di disgusto sul suo volto, che in realtà mai l’aveva abbandonata, si accentuò e quell’olezzo sembrò penetrarle quasi nel cervello, distraendola, per un momento, da ciò che c’era intorno a loro.
Fu la mano di Emily sulla sua spalla a riportarla alla realtà, o almeno era ciò che credeva, una volta voltatasi nella direzione della compagna notò, con sorpresa e inquietudine crescente, che le sue mani si trovavano ben adagiate lungo i fianchi, sollevò gli occhi per incrociare lo sguardo della compagna, come a cercar risposte, se lei era lì, immobile, di chi era la mano che le stava stringendo il tessuto all’altezza della spalla?
Avrebbe chiuso gli occhi, sperando che qualsiasi cosa fosse si volatilizzasse così com’era comparsa, un po’ come si fa nei sogni, ma sapeva bene di essere sveglia, o almeno lo credeva, non ricordava di essersi mai addormentata, così, ritenne che l’opzione “chiudi gli occhi” fosse da scartare e, come comandata da un riflesso incondizionato, si voltò di scatto, ritrovandosi faccia a faccia col suo assalitore.
L’odore di morte sembrava aggredirla, ma con stupore notò che si trattava solo di un manichino, un manichino brutto, un manichino bruciato, ma solo un semplice manichino, magari uno spiffero, un ragno, un topo, l’avevano smosso facendolo adagiare sul prefetto e poi, la sensazione di cadere, il buio e, riaperti gli occhi, si rese conto di trovarsi stesa a terra con quel dannato coso in plastica sullo stomaco.
Cos’era successo? Il manichino sembrava essersi animato, afferrandola con più foga e gettandola a terra
*Impossibile* si disse mentre lo osservava immobile sopra di lei, probabilmente era inciampata senza accorgersene, tirandosi dietro quel finto essere umano, la botta in testa aveva fatto il resto, sentiva ancora il tonfo rimbombarle nel cervello, ma doveva tirarsi su, non era il momento del riposino, avevano ancora un’ombra da trovare.
Cercò di scansare la plastica, non doveva poi essere una cosa troppo difficile, eppure il suo peso la schiacciava a terra, rendendole difficile liberarsi, di che diamine era fatto quel coso? L’ultima volta che era andata a fare compere per poco non rovesciava tre manichi per averli semplicemente sfiorati e questo, invece, non si era minimamente scomposto.
Ignara di ciò che stava accadendo qualche metro più in là
(ipotizzo che, data la posizione coricata con tanto di peso morto addosso, per Arya sia leggermente improbabile vedere sia Emily che la bimba mostro) iniziava a domandarsi se la compagna si stesse divertendo a vederla in quelle condizioni o se avesse deliberatamente deciso di abbandonarla o forse, più semplicemente, la stava maledicendo perchè ci stava mettendo troppo ad alzarsi, dopo tutto, quanto ci vorrà mai a levarsi un manichino di dosso?

-Miss Rose scusi, se non le è di troppo disturbo, non è che mi darebbe una mano? Sto coso è più pesante del previsto-

Non ottenne nessuna risposta e la cosa iniziò anche a preoccuparla, era ancora lì? Cosa stava facendo?
Tentò di divincolarsi nuovamente, ancora senza risultati, se non quello di aver contribuito all’aumentare il nauseabondo odore, trattenne nuovamente il fiato per qualche istante, possibile che provenisse dal manichino? Che fosse penetrato così in profondità anche nella plastica?
La risposta arrivò quasi immediatamente, forse a causa della caduta, forse degli scossoni, la plastica sembrava essersi rotta in più punti, rendendo visibile la sconcertante realtà, carne in putrefazione, piccole larve bianche che sguazzavano come in una piscina e un lamento, come se, quella cosa, qualsiasi cosa fosse, fosse ancora viva.


-E-emily...non vorrei metterti fretta, ma qui avrei seriamente bisogno di una mano-

Non fece in tempo a concludere la frase, pronunciata in modo da infondergli una certa urgenza e la giusta dose di preoccupazione e ribrezzo, che quella cosa tentò di afferrarla per la gola, cercò quindi di divincolarsi, almeno per quello che le era possibile fare, sperando che la compagna avesse colto la sua richiesta d’aiuto.

Nel caso in cui l’incanto di Emily vada a buon fine e Arya torni ad essere libera di muoversi:
Fortunatamente, la rossa, era ancora lì, non l’aveva abbandonata, certo, forse lei avrebbe optato per qualcosa di meno rischioso rispetto all’Everte Statim, ma il risultato finale era ciò che contava, aveva sentito l’onda d’urto dell’incantesimo e visto il corpo volare a qualche metro da lei, si sentì improvvisamente leggera, la testa le doleva ancora, ma le narici potevano tirare un sospiro di sollievo e anche lei, finalmente poteva alzarsi, successivamente avrebbe provveduto ad informare la compagna sul manichino e a domandarle come mai c’avesse messo tanto.
Con uno scatto abbastanza agile si riportò in posizione eretta, rivolgendo il suo sguardo verso la Caposcuola


-Grazie, molto gentile-

Pronunciò quelle parole sistemandosi gli abiti e osservando lo strano comportamento dell’amica, sembrava spaventata e guardava fissa un punto indefinito, si decise, allora, a seguire il suo sguardo, notando, per la prima volta, quello strano essere, ciò che rimaneva di una bambina

-Rose? Che diamine è quella cosa?-

Involontariamente afferrò il braccio di Emily tirandola leggermente indietro, in modo da allontanarla ulteriormente da quel problema, fino a portarsela accanto, quello doveva essere stato il motivo del suo silenzio e della lunga attesa prima di rispondere alla sua richiesta d’aiuto.
Inquietata, non sapeva nemmeno lei se per il manichino vivente, per la bambina storpia o per entrambi, si concentrò un attimo sulla compagna, era strano vederla così, soprattutto dopo tutta la sicurezza dimostrata in precedenza e con delicatezza le accarezzò il braccio fino ad afferrare la bambola, anch’essa storpia, che la rossa stringeva


-Emily, lascia- le disse con dolcezza -Ce la caveremo, come sempre- e le sorrise

Non sapeva assolutamente cosa stava facendo, l’idea era forse la più ridicola che aveva avuto fino a quel momento, ma era pur sempre qualcosa, nella peggiore delle ipotesi si sarebbero sbarazzate di un peso.
Sfilando il bambolotto dalle mani della Caposcuola si rivolse poi alla piccola figura


-Non vogliamo farti male, guarda- disse mostrandole la bambola -Abbiamo un regalo per te-

Chinandosi leggermente appoggiò il giocattolo a terra, spingendolo poi in direzione della bambina.
Magari, così, sarebbe stata incline ad aiutarli, magari conosceva il posto, magari conosceva qualcuno che potesse aiutarle, magari sapeva cos’era successo, insomma, tentare era d’obbligo, in caso contrario, sperava almeno di distrarla e tenerla occupata per un po’, giusto il tempo di capire cosa fare.


Nel caso in cui l’incanto di Emily non vada a buon fine e Arya sia ancora bloccata:
Qualsiasi cosa stesse succedendo, qualcosa non andava, malgrado tutto, la Caposcuola non l’avrebbe abbandonata, dunque doveva esserci una motivazione plausibile se non rispondeva, ma per poterlo scoprire doveva prima liberarsi da quella dannata presa.
Sentiva le mani fredde stringersi intorno al suo collo, mentre le sue erano ancora bloccate sotto il peso del pesante corpo, ma doveva reagire, doveva fare qualcosa, se non altro per capire se Emily stesse bene, già, iniziava seriamente a preoccuparsi, per entrambe.
Provò a divincolarsi, ancora, ma niente e, forse presa dall’esasperazione, passò a qualcosa di decisamente più disperato, la rabbia del non poter far nulla, la preoccupazione per l’amica, quelle dannate mani che le bloccavano, in parte, il respiro, la spinsero a riporre tutte le sue forze nella testata che si accingeva a tirare a quel dannato manichino e...SBAM...
Le due teste cozzarono l’una contro l’altra, ma la serpeverde era preparata, l’essere no, l’effetto sorpresa doveva pur contare qualcosa, certo, non sperava di stenderlo con quel colpo, ma sperava almeno di destabilizzarlo quel tanto che bastava per poterselo togliere di dosso, c’aveva la testa dura lei.
In caso di successo, se, per un attimo, avesse mollato la presa, magari accasciandosi e liberando, in parte, la visuale alla ragazzina, quest’ultima avrebbe potuto avere una visione approssimativa di ciò che stava accadendo davanti a lei, avrebbe visto Emily in preda al panico e la bambina causa di quel turbamento.
Divincolandosi, tentando di spostare il corpo che, se privo di sensi, non avrebbe potuto opporre resistenza, avrebbe realizzato una cosa stupidissima che, però, non avrebbe fatto a meno di dire


-Rose, lancia la bambola a quella cosa-

Che se ne facevano loro della bambola? Tanto valeva usarla, non sapeva bene se, effettivamente sarebbe stata utile come mossa, ma tanto valeva provare, che avevano da perdere?



Allora, qualche piccola precisazione, ho descritto due ipotesi, la prima nel caso l’Everte Statim funzioni, la seconda nel caso non funzioni, ho optato per tale scelta così da poter accelerare i tempi dando modo al Master di proseguire qualsiasi sia la sua decisione in merito, in un caso o nell’altro volevo dare quella cavolo di bambola alla bambina e per non perdere un ulteriore turno ho trovato questa soluzione soddisfacente, spero apprezzerà anche il master.
Per quanto riguarda la seconda opzione, Arya tira la testata e tenta di divincolarsi con l’obiettivo di liberarsi e alzarsi, ma ho comunque lasciato al Master decidere se ce la fa o meno, l’unico lusso che mi son concessa è quello di riuscire ad ampliare un po’ la mia visuale.
Per quanto riguarda tutte le supposizioni sulla bambola e la bambina, non le ho riscritte due volte, mi sembrava di ripetermi, ma restano invariate tra la prima e la seconda opzione, quindi finga che le abbia riportate tale e quali.
Okey, credo di aver finito.
 
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view post Posted on 12/7/2015, 23:02
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Il Fato

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C'erano mille modi per reagire al terrore: c'era chi urlava, chi si strappava i capelli, chi reagiva con ferocia, spinto dall'adrenalina. Chi, ancora, fuggiva come un folle, gridando, senza più una goccia di lucidità nel corpo. E chi rimaneva immobile. Forse, quella, era la reazione peggiore perché ogni stilla di terrore ti pervade: lo senti sulla lingua, sulla punta delle dita e delle labbra, ti affolla la mente in un grido muto.
Sei lì, incapace di muoverti, nonostante ogni parte di te inciti alla fuga. Il cuore pompa così veloce il sangue che la mente è annebbiata, i polmoni e lo stomaco si accartocciano e la voce sparisce, travolta dalla paura, come se fosse un fiume in piena impossibile da placare. Emily si trovava così impossibilitata a qualsiasi ragionamento, mentre il cadavere della bambina, innanzi a sé rantolava e tendeva le piccole dita storte fino al limite, un polso brutalmente spezzato e una mano rivolta all'indietro. La sua mascella, probabilmente a pezzi, si muoveva leggermente, quasi ella stesse cercando di parlare; ma da quell'antro oscuro, da quella pozza nera che era la sua bocca, non usciva altro che un rantolo.Cosa le era accaduto? Chi l'aveva ridotta così? Ebbene, questo sembrava essere un mistero che al momento non poteva, non doveva esser risolto.
Ben presto però, la Caposcuola e il suo terrore mutarono forma e la Serpeverde venne travolta dall'istinto di selvaggia sopravvivenza per sé e per la sua compagna. La sua bacchetta scattò rapida e fendette l'aria, la voce, ritrovata, esplose, rimbombando nel silenzio inquietante di quel luogo.
Il raggio colpì in pieno il petto della bambina, ma anziché cadere a terra, il tronco della piccola si piegò all'indietro, in un angolo retto perfetto. Il sonoro e tremendo "crack" risuonò così forte da provocare una scossa di brividi sulla schiena di Arya ed Emily.
Era... morta? O poteva morire qualcosa che già era da un bel pezzo finita?
Apparentemente, la bimba non si mosse e persino il suo rantolo si interruppe. Rimase così, immobile.


Ce l'avevano fatta... l'avevano placata?
Ma Lui... Lui?
Oh aiuto, aiuto! Anche noi vogliamo...
anche noi...
anche voi...

Arya, d'altro canto, giunta alla tremenda consapevolezza di aver sopra di sé un cadavere, non poté attender oltre l'aiuto della Concasata. Il corpo, infatti, continuava ad affondare le sue fredde dita nella morbida carne del collo di lei, quasi si volesse aggrappare ad essa con disperazione. A quel punto, l'aria cominciava a farsi rarefatta e la lupa sentì la vista annebbiarsi e la mente vorticare. Tuttavia, grazie all'adrenalina, riuscì a rimanere cosciente e, caricando la testa all'indietro, colpì in pieno quella del suo orrido assalitore. La botta fu più forte del previsto (
- 5 ps - 5 pm) e la sensazione provata fu come quella di colpire un'anguria matura: il cranio del cadavere si fracassò in mille pezzi per la forza di cui Arya disponeva essendo Licantropo. Il suo cervello si spappolò, finendo in parte sul viso della Serpeverde e sulle sue vesti, ma fu chiaro che quel colpo disperato era andato a segno: la pressione sulla gola della ragazza si allentò d'un tratto e nonostante la leggera confusione che l'aveva colta per la botta, la Prefetta riuscì dapprima a scivolare di lato e dopo a rialzarsi, traballante. L'odore, a quel punto, era talmente nauseante da procurarle conati di vomito, ma nonostante questo, ebbe la giusta intuizione: la bambola era una chiave. Forse la prima, vera soluzione da quando erano arrivate. E quando le mani di Arya sfiorarono la bambola, la bambina si rialzò di scatto, come una molla. Un altro sonoro e secco schiocco permeò l'aria e le braccia tornarono a rivolgersi verso le due fanciulle. Il rantolo era ricominciato e lentamente l'essere si avvicinò alle due, con molta più disperazione. Ma fu in quel momento che le due notarono qualcosa: nella mano sinistra della bambina c'era incastrato un oggetto. E quando la bambola fu lanciata e la bimba l'accolse fra le braccia con improvvisa umanità distorta, l'oggetto incastrato cadde a terra, non molto lontano dai piedi di Arya: era un lucchetto a forma di cuore spezzato a metà. La bambina, quasi fosse tornata in vita, strinse a sé il suo antico giocattolo e il rantolo si spense, mentre lei rimase immobile e questa volta per sempre.
Dopodiché, tutto accadde in un attimo: una volta raccolto il lucchetto da terra, la terra cominciò a tremare e uno dopo l'altro dalle pareti sembrò emergere qualcosa. I manichini, gli oggetti, le teste mozzate e i crani sembravano vivi e il fango ribolliva come lava: dovevano fuggire.
Le Serpeverde ripresero a correre, ma attorno a loro l'antica Casa degli Orrori sembrava cominciare a cedere: le assi di legno saltavano, i cadaveri-manichini, che nel momento della loro entrata erano silenti, ora emergevano da ogni angolo, cercando di brandire le loro carni, i loro vestiti, in una supplica eterna. Si sporgevano, strepitavano in gridi rauchi e angoscianti. Nelle loro orbite vuote, nelle labbra strappate dalla pelle, nelle mani scarnificate sembrava esserci una richiesta d'aiuto. Ed ognuno, voleva trovare la salvezza in quelle estranee o trascinarle con loro.

RRuGRnm
Nessuno fuggiva dal MorningChild,
non finché Lui... sapeva.






• Vi siete liberate, ma dovete fuggire dalla casa fatiscente. I cadaveri cercano di fermarvi, tentate di liberarvi e di andare avanti. Potete supporre di riuscire solo se ruolate bene i tentativi di fuga.

Oggetti acquisiti: lucchetto.


InventarioEmily C. RoseArya Von Eis
Emily: bambolotto [in borsa]
Arya: Foglietto con circuiti, mappa, lucchetto.
Esterno: Olio, tenaglie

PS: 116
PC: 66
PM: 57/67

PS: 96/111
PC: 54/61
PM: 54/61

 
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view post Posted on 11/11/2015, 17:12
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Monsters are real, ghosts are real too.
They live inside us and, sometimes, they win.




*crack*
Il suono ansimante che fuoriusciva dalle labbra della Serpina affaticata dalla spinta di coraggio che aveva pervaso le sue membra, si fermò in modo innaturale. Emily trattenne il respiro, lasciandosi pervadere da quel brivido malevolo che, seppur non aveva smesso di accompagnarla per tutta la durata di quell'incubo, si era appena fatto avanti con maggior forza: la bambina, se ancor così la si potesse definire, s'era piegata all'indietro a causa della forza dell'incanto appena cascato e così, immobile in quella crudele posizione, aveva smesso di rantolare verso la Serpeverde.
Non erano salve, questo Emily lo sapeva bene, ma aver quanto meno fermato quel piccolo, dilaniato cadavere, l'aveva rincuorata, di poco certo ma quanto bastava per riprendere un minimo di lucidità e consapevolezza.
Era ormai chiaro che non si trattasse di un brutto sogno, che era davvero bloccate in quel posto e non solo potevano rischiare di restare lì per sempre - la speranza che vi fosse una via d'uscita poteva essere la chiave per non impazzire - ma anche di trasformarsi in qualcos'altro. Quella bambina era reale ed era morta, potevano essercene altri come lei, altri che, forse un tempo, erano al pari di Emily ed Arya... Umani.
Un altro sonoro tonfo costrinse il corpo esile della fanciulla ad un percettibile tremore: Arya si stava rialzando, lasciando sul pavimento i resti disgustosi del cadavere che l'aveva posseduta fino a pochi attimi prima; le sue vesti ed il suo viso erano macchiati di sangue nero e, quanto meno da ciò, la Serpina pensò che la compagna non fosse ferita, che fosse ancora in grado di darle man forte. Da sole, ormai era chiaro, non potevano farcela.

Emily, lascia.
La carezza di Arya le regalò il calore di cui la ragazzina si rese conto di aver bisogno. Volgendo il viso impassibile verso la concasata, serrò le labbra così forte da sentire il rumore della pelle a contatto con i denti e mollò la presa sul bambolotto, lasciandolo nelle cure della giovane. In quel preciso istante, come se avessero nuovamente acceso il pulsante per donare vita a quella maledetta "cosa", la bambina assunse una posizione più naturale con un altro, sonoro e macabro schiocco, rivolgendosi a loro con ancora più disperata decisione. La bambola venne lanciata in sua direzione e sembrò calmarsi: c'era qualcosa di terribilmente usuale ed umano in quanto stava accadendo e ciò confuse ancora di più la mente razionale di Emily. Non comprendeva, non comprendeva affatto, né come fossero finite lì dentro, né cosa volesse dire tutto ciò che stava capitando.
Senza rendersene immediatamente conto, uno scambio era stato effettuato; la ragazzina ridusse lo sguardo su quanto era appena sfuggito dalla presa dell'innocente cadavere e la speranza si fece nuovamente spazio nella mente annebbiata dall'orrore e dalla confusione. Sapere a cosa potesse servire quel pezzo, avere una meta, un piano d'azione - per quanto fallimentare potesse in seguito rivelarsi - era quel qualcosa a cui Emily sentì di doversi aggrappare.

Arya prendi quel lucchetto e segui---
Nemmeno il tempo necessario affinché la compagna rispondesse positivamente a quell'ordine che gli eventi ripresero una brutta piega. La terra prese a tremare lasciando Emily pochi secondi per evitare di perdere l'equilibrio sul suolo fangoso che ribollì come pronto a dar vita a qualcosa; tutt'intorno a loro, le pareti, gli oggetti, in quadri, l'arredo scadente ed orripilante, cedette e ad entrambe fu chiara una cosa: dovevano scappare.
E così fecero.
Al seguito di Arya che doveva essersi trovata più vicina all'uscita di quel sotterraneo, Emily prese a correre come mai in vita sua perché, per la prima volta, correva per salvarsi, per fuggire da quella casa che emanava, da ogni dove, odore malsano di Morte.
La prima cosa che la colpì fu un asse di legno, saltata in aria come in seguito ad uno scoppio ed atterrata sul suo polpaccio. La ragazzina piegò il ginocchio, stringendo gli occhi per l'improvviso dolore, tenendosi con la destra alla parete per non cadere. Una piccola, fredda carezza le sfiorò il dorso e lei provò a ritirare il braccio come scottata ma in quello stesso istante la presa della mano cadaverica si strinse più forte intorno al suo polso. La Serpina tirò con più forza, già pronta ad utilizzare la fedele bacchetta ma quello che si era rivelato all'inizio soltanto un manichino lasciò la presa per farsi avanti, spingendosi contro il muro con ambo gli arti ed Emily indietreggiò; una parte di lei voleva capire di cosa si trattasse, l'altra, di gran lunga più furba, le ordinò di correre, veloce.
Stringendo i denti, ignorando il calore del cruore denso che aveva raggiungo ormai la caviglia della gamba ferita, si affrettò nuovamente dietro Arya, ormai certa che tutto, intorno a loro, era vivo ed era rimasto silente solo per permettere l'ingresso senza indietreggiare e dare, infine, l'ultimo scatto alla trappola.

Escono da ogni dove!
Urlò in un inutile tentativo di incoraggiare la compagna a muoversi od avvisarla della sua presenza che, ormai, non era più un dato di fatto. Potevano essere catturate, potevano ritrovarsi sole ed Emily sapeva che anche Arya, come lei, si stava chiedendo se era ancora al suo fianco o fosse caduta nelle braccia di quelle orribili bestie.
La concasata avanzava veloce, troppo veloce, in modo quasi disumano e lei faceva fatica a starle dietro; il respiro prese a mancarle ed il dolore della corsa tra quelle stanze, tra laboratori di scienziati pazzi e celle di manicomio, voltando a destra e sinistra, rantolando nella luce quasi assente, tra corridoi per nulla familiari e rampe di scale, pervase ogni piccola parte del suo corpo già provato.
Se non si fosse fermata per riprendere fiato almeno per un attimo, pensò, non sarebbe uscita viva da lì. Rallentò di poco con la vista ormai annebbiata dallo sforzo di mettere a fuoco quel luogo scarsamente illuminato e trovare una via d'uscita, una caccia resa ancora più difficile dalla disperazione dei mostri che tentavano di strapparle vesti e capelli, che provavano a trarla a sé ma fu proprio uno di loro a darle lo slancio, la forza per continuare: quel che aveva tutta l'aria di un pagliaccio assassino gettato a terra, le afferrò una caviglia col tentativo di trascinarla nella stanza di cui bloccava l'uscio. Emily si fece forza sul cornicione della porta ma quando il legno putrescente cedette, si rese conto che tirare, questa volta, non l'avrebbe salvata.
Cercando di trovare appiglio sul piede libero per fermarsi, si voltò verso il pagliaccio e portò il braccio sinistro indietro, come se volesse effettuare una stoccata, per spostarlo velocemente in avanti in modo che il gomito venisse portato al medesimo livello della vita e contro la presa del mostro.

Depulso!
Urlò con quanto fiato aveva in gola.

[*Ci sei quasi. Vedi, la luce*
Le stanze erano molto più luminose delle precedenti seppur l'oscurità faceva ancora da padrona ma ciò poteva solo significare che l'uscita era vicina. Inoltre, il luogo era più spazioso e questo permetteva ad Emily ed alla compagna di muoversi più velocemente, senza rischiare di cadere intrappolate nella morsa di più cadaveri contemporaneamente.

Si catapultò all'esterno della casa, scivolando sui gradini di legno marcio ed arrestando la corsa sul suolo polveroso.
Palmi a terra, Emily cercò di tranquillizzare il respiro e calmare il battito del suo cuore; si sentiva come in apnea e qualsiasi cosa doleva seppur la serpina non fosse in grado di fare la conta delle ferite.
Riaprì gli occhi mettendo a fuoco le sue mani: una presa violacea sul polso destro fu la prima cosa che intravide tra i mille, piccoli graffi dovuti a schegge di legno e, sicuramente, alla forza con cui si era aggrappata al legno putrescente per sfuggire dal pagliaccio killer. Si rialzò pochissimo dopo, cercando la compagna con gli occhi stanchi, ancora ansimando ma col petto che doleva un po' meno.

Al tunnel... C'è l'altro pezzo... Del lucchetto.
Asserì tra una boccata d'aria e l'altra. Alzò la sinistra provvista di bacchetta verso destra ad indicare la direzione da intraprendere e con passo veloce, si fece strada fino alla meta.
Avevo avvertito tipo una corrente d'aria ma qualcosa non andava. Ho provato comunque ad entrare ma il lucchetto era rotto.
Erano ormai giunte nei pressi del Tunnel ma la Serpina non aveva smesso di guardarsi intorno nemmeno per istante: chissà cos'altro nascondeva quel dannato posto ma, di certo, non fremeva di scoprirlo.
Si avvicinò con cautela al cancelletto e si fece da parte per permetterne la visione ad Arya: anche a prima vista il pezzo lì ancora inerte sembrava combaciare col pezzo raccolto dalla compagna in quella casa.

Dammelo.
Entrata in possesso del piccolo tesoro di cui non sapevano nemmeno stessero dando la caccia, Emily l'avvicinò all'altro, facendoli combaciare e puntandovi la bacchetta pronunciò la formula:
Sera Repàro.
Ora non toccava che aprire il cancello e, ancora una volta... Sperare.]

Tra le parentesi quadre ho riportato quanto potrebbe accadere qualora Emily ed Arya riuscissero a scappare dal Cimitero di corpi vivi :look:

 
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Arya Von Eis
view post Posted on 19/11/2015, 03:47




In quel momento, indaffarata a comprendere come liberarsi da quel manichino in putrefazione, iniziava anche seriamente a infastidirsi per la mancanza di prontezza di riflessi della compagna, possibile che se ne stesse lì a non far nulla invece che aiutarla?
Ma la risposta, per quanto apparentemente priva di senso, arrivò nel giro di pochi istanti, un sonoro CRACK, che avrebbe fatto rabbrividire anche il più impavido dei grifondoro, preceduto da una formula pronunciata dalla concasata, erano chiaro segnale che qualcosa, oltre la visuale occupata dal manichino, stava accadendo.
Fu forse quello uno dei motivi che la spinsero a reagire così impulsivamente, se erano state attaccate su più fronti, non avevano tempo da perdere ad elaborare qualcosa di meno rozzo.
Il colpo andò a segno, non senza conseguenze, per quanto fosse preparata all’impatto, il dolore alla fronte fu tale da farle chiudere per un attimo gli occhi imprecando mentalmente, ma non fu quella la cosa peggiore, il cranio del manichino si frantumò, riversandole addosso il suo contenuto.
Un pezzo di quello che, una volta, doveva essere stato un cervello umano, si adagiò sulla sua guancia, mentre altri schizzi le macchiarono i vestiti, nauseata si pulì il viso con la manica, per fortuna intonsa, ma ciò non le impedì di trattenere a stento un conato di vomito, l’odore di morte sembrava ormai impregnare ogni suo singolo respiro.
Libera dalla presa, si lasciò scivolare di lato, in modo da togliersi definitivamente quel peso morto di dosso, riuscendo, così, finalmente, a rialzarsi.
Il suo sguardo interrogativo si posò prima su Emily, notando che la compagna sembrava completamente disorientata e in preda al panico, per poi seguire quello di lei, fino a vedere, finalmente, cosa le aveva impedito di aiutarla.
In realtà non vide molto, un corpo piegato, o meglio, spezzato in due, riuscì a stento a comprendere che si trattasse di ciò che rimaneva di una bambina, potevano fidarsi? Potevano sul serio tirare un sospiro di sollievo illudendosi che tutto fosse finito?
Potevano, ma non l’avrebbero fatto, aveva imparato ormai da tempo che era sempre meglio pensare al peggio.
Avvicinandosi alla compagna, decise di prendere in mano la situazione, sperando che, in quel modo, anche lei si destasse dal torpore, non era né il tempo, né il luogo per farsi prendere dal panico.
Delicatamente le sfilò il bambolotto, ma in quel momento, un altro CRACK, le confermò che non erano ancora al sicuro, la bambina aveva nuovamente assunto posizione eretta e si avvicinava a loro.
Istintivamente, seguendo un ragionamento ai limiti dell’assurdo, le lanciò il bambolotto, arginando, una volta per tutte, quel pericolo, la bambina, infatti, lo afferrò e, per la prima volta, riuscì quasi ad intravvedere qualcosa di umano in quella piccola figura, provò quasi pena per lei, domandandosi chi fosse, cosa le fosse successo, ma la voce della Caposcuola la destò dai suoi pensieri.
Non capì immediatamente, nella frenesia del momento non si era resa conto subito del pezzo di metallo caduto poco distante da lei e, a dirla tutta, non capiva nemmeno perchè a Emily interessasse tanto, ma, in ogni caso, non aveva intenzione di discutere, si chinò per raccoglierlo e, nell’istante esatto in cui lo sfiorò, la terra iniziò a tremare.
Strinse la presa sull’oggetto, posando l’altra mano al suolo per mantenersi in equilibrio, la casa sembrava decisa a seppellirle vive.
La sua mano affondò nella fanghiglia e poté chiaramente sentirla ribollire, si voltò verso la compagna, notando che, quello, non era il loro unico problema, le assi del soffitto iniziavano a cedere e, quelli che un tempo erano stati semplici corpi inermi, ora, si staccavano dalle pareti convergendo verso di loro.
Un rapido cenno d’intesa ed entrambe iniziarono a correre, non fu necessario parlare, la situazione lo face già per tutte e due, non c’era scelta, dovevano abbandonare quel luogo e dovevano farlo alla svelta, o rischiavano di restare intrappolate lì in eterno.
Col lucchetto ancora stretto nel pugno sinistro, si alzò di scatto, individuando la porta che poco prima avevano oltrepassato per entrare, non era distante, potevano farcela, se quella stanza era l’epicentro, le successive, si sarebbero presto trasformate in altre trappole mortali, dovevano raggiungerle il prima possibile, prima che l’intera costruzione fosse inghiottita dalla terra, prima che il raggiungere l’uscita si rivelasse un’impresa troppo ardua.
La fuga era iniziata, rapida scattò verso la porta, ma il primo rallentamento non tardò ad arrivare, qualcosa le impediva di sollevare il piede, per un attimo credette d’inciampare, riuscì a mantenere l’equilibrio solo arrestando la sua corsa giusto in tempo per non mettere il piede in fallo.
Si voltò, osservando con ribrezzo il mezzo busto aggrappato alla sua scarpa, il volto sfigurato, la metà inferiore del corpo mancante, un relitto, un relitto che, però, si aggrappava a lei con tutte le sue forze.
Per un secondo non poté fare a meno di ripensare alla bambina, cosa li aveva ridotti così? Ma non poteva prendersi il lusso di pensare anche a quello, doveva andarsene e, per quanto quelle cose, almeno in parte, suscitavano la sua pietà e la sua compassione, non esitò a colpire il cranio del mezzo busto col tallone della sua scarpa, la questione era solo una, loro o lei e la scelta era più che ovvia.
Nell’istante esatto in cui si sfracellò, la sua gamba fu libera, ma un altro manichino, questa volta uno intero, era riuscito ad avvicinarsi quel tanto che bastava per afferrarle la stoffa della manica, non si voltò, non lo guardò in faccia, sapeva di essere, in generale, più forte di loro e l’adrenalina che stava accumulando non faceva che aumentare il divario tra loro, scattò più veloce, sentendo lo strappo della stoffa, ma era libera, nessuna zavorra.
Raggiunse la porta, ma ecco che, come se il Fato non volesse sentir ragioni, il piede in fallo, questa volta, lo mise, si sentì sprofondare nella fanghiglia, la casa voleva inghiottirla e uscire da quella poltiglia sembrava una cosa impossibile.
Nella sfortuna, però, riuscì a intravvedere la speranza, la costruzione cadeva a pezzi e quel piccolo intoppo l’aveva salvata dal prendersi una trave in testa, trave che, ora, si rivelava molto più utile di quando sosteneva il soffitto.
Di traverso, a terra, a sbarrarle la strada, riuscì ad afferrarla, usandola per farsi leva e uscire da quelle sabbie mobili, una volta libera, la utilizzò anche come trampolino per balzare oltre la soglia e abbandonare quella stanza per sempre.
Atterrando si rese conto di avere nuovamente un pavimento solido sotto i piedi, ce l’aveva fatta, non era ancora salva ma il peggio l’aveva superato o, almeno, così credeva.
Si voltò indietro per controllare che la compagna ci fosse ancora
-Emily la casa non reggerà in eterno- probabilmente l’avrebbe mandata al diavolo, ma doveva spronarla in qualche modo, sapeva di essere più veloce e agile di lei, ma non le avrebbe permesso di prendersi indietro, non in quella situazione.
Intravista la sua figura, ricominciò la folle corsa, attraversando le finte stanze degli orrori che, ora, decisamente apparivano più realistiche, più tetre, i rantolii dei manichini si facevano più invadenti, le loro mani cercavano di afferrarla, evitarli, scansarli, si rivelava un’impresa sempre più complessa, una mano le afferrò il colletto alle spalle, si voltò, afferrando quel braccio e strappandolo via con tutta la forza che possedeva, ormai era esasperata, non vedeva più la fine, la meta, tentava solo di salvarsi la pelle e, più si concentrava su quello, più le sue abilità come lycan sembravano assisterla.
L’apice lo raggiunse quando, finalmente, riuscì a vedere la luce, doveva essere l’ultima stanza
-Vedo l’uscita, un ultimo sforzo e siamo fuori- in realtà non sapeva se stava rassicurando la compagna o se stessa, ma poco importava, l’importante era farcela, si voltò ancora una volta e vide che Emily non se la stava passando troppo bene, poteva farcela? Sì. Poteva rischiare? No. Aveva deciso di tornare indietro, di darle una mano, ma quando si giro a controllare che nulla bloccasse poi la loro fuga, ecco che uno strano essere comparve dal nulla.
L’afferrò per il collo, tentò di colpirlo, ma bloccò il suo colpo senza batter troppo ciglio, sembrava più forte, più agile, diverso dagli altri, sentì il respiro venirle a mancare, ma erano troppo vicine alla salvezza per perdere tutto così.
Con entrambe le mani si aggrappò a quelle della bizzarra figura, tentando di liberarsi dalla morsa, ma sembrava più forte anche di lei, strinse di più e, in quel momento, sentì di essere riuscita a penetrare la sua carne con gli artigli.
La creatura la lasciò libera, ma non pareva affatto intenzionata a lasciarla andare, a quel punto, però, nemmeno Arya era più intenzionata a farsi intralciare oltre, l’adrenalina, la rabbia, l’urgenza, l’avevano messa nella condizione di poter sfruttare maggiormente la sua nuova natura, le sembianze animalesche assunte dalla fanciulla, destabilizzarono per un attimo il suo assalitore, ma fu un attimo di troppo che la serpeverde sfruttò per spezzargli il collo e con violenza separare la testa dal resto del corpo.

(Ciò che scrivo da qui in poi è nell'ipotesi in cui la fuga sia riuscita)
Era fatta, la strada era libera, sentì la voce della compagna formulare un altro incantesimo e ricominciare a correre, ce l’avevano fatta entrambe, si chinò a raccogliere il pezzo di metallo che nella colluttazione le era caduto e raggiunse, finalmente l’uscita.
Una volta fuori mise un altro paio di metri tra lei e la casa, respirando a pieni polmoni, finalmente, l’aria non sembrava più impregnata di morte.
La corsa l’aveva stancata, ma non sfinita, di certo, a posteriori, avrebbe potuto prendere in giro la Caposcuola per la sua pessima forma fisica, anche se, forse, sarebbe stato scorretto, in fondo, lei aveva pur sempre barato.
La brezza, l’aria fresca, la consapevolezza di aver scampato il pericolo, contribuirono a far scemare l’adrenalina, riportandola a riacquistare una certa tranquillità e, con essa, anche il suo normale aspetto.
Udì la rocambolesca uscita della compagna e sorrise, fortunatamente era di spalle e non poteva vederla, ma, alla fine, la cosa importante era che ne fosse uscita.
Si avvicinò a lei, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi, ma non fu necessaria “Al tunnel... C'è l'altro pezzo... Del lucchetto.”
*L’altro pezzo di che?* si ricordò dell’oggetto di metallo che le aveva fatto raccogliere *Ah quello* ma non ebbe il tempo di replicare nulla che Emily già si era messa in marcia a passo spedito.
Alzò gli occhi al cielo, non ci stava capendo nulla, ma la seguì, preferendo non contraddirla
*Ma il lucchetto di cosa? Una corrente? Ma dove? Entrare? Ancora? Dobbiamo entrare da qualche altra parte? Sicura? Non è che hai sbattuto la testa troppo forte?*
Riuscì a comprendere meglio solo quando si ritrovarono davanti al cancelletto e al mezzo lucchetto rotto che lo chiudeva, ma l’idea di addentrarsi nuovamente da qualche parte continuava a non entusiasmarla *Ma dobbiamo proprio?* Ovviamente sapeva benissimo che la risposta era “Sì” in qualche modo da quel parco “divertimenti” dovevano uscire *E perchè per uscire dobbiamo entrare?* la domanda non sembrava proprio così fuori luogo, ma mettersi a filosofeggiare in quel momento non era la cosa più opportuna.
“Dammelo.”
*Un mezzo per favore non è che ti fa male è* le rivolse uno sguardo seccato, veramente a volte non riusciva a comprenderla, okey che entrambe volevano andarsene, okey che volevano farlo il più alla svelta possibile, ma dopo quello che avevano passato non avrebbe disdegnato un tono più gentile.
Allungò il braccio verso di lei, aprendo il pugno e porgendole l’oggetto
-Tieni- la osservò in silenzio mentre tentava di riparare il lucchetto, avvicinandosi e affiancandola.
Quando ebbe finito, si convinse ad aiutarla, ormai sembrava chiaro che dovessero collaborare, estrasse la bacchetta e la puntò verso la serratura del lucchetto appena ricomposto
-Alohomora- pronunciò la formula così come l’aveva imparata, senza calcare sull’acca che doveva essere muta.
Se entrambe non avessero commesso errori, di lì a poco si sarebbero inoltrate in un altro antro buio
*Che Salazar ce la mandi buona sta volta* ma, in ogni caso, prima di procedere oltre, posò una mano sulla spalla della compagna -Emily, tutto okey?- in realtà la sua preoccupazione maggiore non era per lo stato fisico della fanciulla, le pareva stare abbastanza bene, ciò che le premeva era capire come fosse messa dal punto di vista emotivo, l’aveva vista in preda al panico, avevano affrontato una folle corsa verso la salvezza ed erano ancora bloccate lì, possibile che tutto questo sembrasse non toccarla minimamente, non una parola, non un’esitazione, non si era nemmeno fermata a prender fiato, si era concentrata esclusivamente su ciò che dovevano fare, il che non era nemmeno del tutto sbagliato, ma restava fermamente convinta che una persona prima o poi dovesse crollare e se poteva, voleva evitare che ciò accadesse o almeno, voleva evitare che accadesse nel momento meno opportuno.

 
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view post Posted on 2/12/2015, 12:27
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Il Fato

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Che una grande, terribile tragedia era accaduta al MorningChild ormai era appurato. Certo, l’impressione che ci fosse qualcosa di storto, di… malvagio in quel luogo desolato era ormai insidiata nelle menti e nei cuori delle Serpeverde, ma di una prova così tangibile, probabilmente, sia Arya sia Emily ne avrebbero fatto a meno. Sfuggite al disperato tentativo di quelle povere anime martoriate di trattenerle con loro, di chiedere loro aiuto, le due si erano catapultate fuori.
Arya, nonostante lo shock, nonostante la stanchezza, percepì nell’immediato il giovamento da quella fuga: l’aria pulita le donò subito sollievo ai suoi sensi di Lycan (
+ 5PC) e la sua natura più forte e resistente di Creatura sovrannaturale le risultò particolarmente utile per accusare meno danni ( - 5 PS); Emily, dal canto suo, fragile Umana, nonostante la mente forte e l’incredibile spirito di sopravvivenza —che, chissà, magari l’aveva persino stupita– se la cavò con meno fortuna: un grande livido sul polso, numerosi graffi e sbucciature su polpacci e ginocchio e un dolore acuto ad un fianco furono sgradevoli regali di quell’orribile esperienza (- 9 PS – 5 PC). Nonostante gli acciacchi le due fanciulle se l’erano cavata ancora una volta, una sorte che, tuttavia, non era toccata alla fatiscente casa: non appena le due uscirono, infatti, la struttura scricchiolò paurosamente e, con un gran fracasso, le fondamenta e le pareti di legno marcio cedettero e quel disgustoso brulichio che proveniva ancora dall’interno, come di migliaia e migliaia di vermi intrappolati, venne brutalmente azzittito. Con un tonfo, la misera attrazione si accartocciò su se stessa, morendo una volta per tutte con un gran polverone.
Eppure, né Arya né Emily potettero assistere a lungo a quella scena: animata da una folle idea, la Caposcuola era partita in corsa, o almeno per quanto gli potessero permettere le ferite, e ben presto si ritrovarono di fronte il Tunnel dell’Amore. La riattivazione della corrente aveva fatto accendere qualche sporadica lampadina e la fila di cigni-barchetta, quelli rimasti interi almeno, presero a scivolare placidamente sull’acqua. Una musica stonata e distorta proveniva dall’interno: scoordinati e lamentosi violini lamentosi che un tempo assicuravano un’armoniosa colonna sonora agli innamorati, ora rendevano il tutto dannatamente inquietante. Ed in sottofondo, nonostante la musica, quel tonfo che aveva udito Emily, sembrava vincere qualsiasi altro rumore:

Tonk...
Tonk…
Tonk…

3QPUjhH


Sorde al cupo, misterioso avvertimento, Emily ed Arya collaborarono e l’intuizione si rivelò quella giusta: il lucchetto fu riparato e, con un click, si aprì liberando così l’accesso al tunnel. Perché Emily aveva scelto di tornare in quel luogo? Era davvero lì che si celava la risposta? Questo non potevano saperlo, ma non avevano altra scelta: provare quella che ormai sembrava l’ultima strada. Così, evitando i cigni, si incamminarono lungo un minuscolo marciapiede che costeggiava il rigagnolo d’acqua, addentrandosi sempre di più nel profondo di quel tunnel. Cuoricini e cupido erano appesi sulle pareti, paesaggi di colline rigogliose erano dipinte sulle pareti, illuminati da qualche sporadica lampadina: qualcosa che, forse, sarebbe sembrato certamente romantico se non fosse stato per i manichini decapitati, per i cuori spezzati e per la vernice scrostata. Più quell’inquietante, terribile sensazione che aveva preso le ragazze ostaggio: “Andate via, andate via, andate via”. La voce sconosciuta sembrava rimbombare direttamente nelle loro menti e si intensificava mano a mano che proseguivano, che quel tonfo si faceva più forte.
Tonk…
Tonk…
Tonk…
D’un tratto, il percorso sembrò curvare e poco prima che il tratto sbucasse oltre la curva, si aprì un orrido scenario: le pareti erano tutte, completamente imbrattate di quello che era palesemente sangue. Su una parete, in particolare, la parola SORRY era dipinta così tante volte da tappezzarla dal soffitto alla base.
Il rigagnolo era diventato torbido, maleodorante e su di esso galleggiavano grottescamente delle membra umane: teste, arti, ossa, dita e organi emergevano dall’acqua, cozzavano contro i cigni che lì si ammassavano l’uno sull’altro, come se qualcosa impedisse loro di proseguire. Quel tonfo era così forte da risultare ormai chiaro: sordo e metallico cadeva sempre, ripetutamente, con lo stesso ritmo.
La brutta sensazione che avvolse le ragazze fu tanto forte da risultare pesante, in grado di impedire qualsiasi movimento, assai simile a quella provata nella Casa. E fu in quel momento che emerse.

Dall’acqua, in mezzo ai pezzi di cadaveri galleggianti, una figura si alzò a poco a poco: il suo volto era spaventosamente bianco, gli occhi incavati, la pelle attaccata alle ossa, il naso ridotto a poco più di un mozzicone; i ciuffi di capelli spuntavano dal piccolo cranio, ma la bambina, o quel che ne rimaneva, rimase immobile. L’abitino di pizzo le ricadeva addosso come uno straccio, rendendola ancora più fragile, ancora più piccola. Ma nonostante l’iniziale somiglianza con quella fanciullina che era apparsa nella Casa Stregata, fu subito chiaro che Lei era diversa. Tutta la sua piccola figura emanava un terrore, disperazione, una forza così Oscura da schiacciare chiunque e quando uno scatto involontario di Emily fece cadere un piccolo sassolino nell’acqua, la creatura scattò.
Con sorprendente forza si slanciò verso Emily, senza mutare espressione, stringendo le dita ossute contro la carne del suo collo (
- 15 PS – 5 PC).

foWKO1C


Era un Inferius, l’Inferius di una bambina di quattro anni.
Che Emily ed Arya si rendessero conto o no di
cosa avevano davanti non aveva importanza, ma era chiaro una cosa: emanava Magia, Magia proibita, Magia che fino a quel momento non sembrava appartenere al Morning Child: qualcuno era il responsabile ed era un Mago.
Tonk…
Tonk…
Tonk…




InventarioEmily C. RoseArya Von Eis
Emily: //
Arya: Foglietto con circuiti, mappa
Esterno: Olio, tenaglie
La Paura ti paralizza.
L'Inferius ti si è arrampicato addosso come un ragno,
le sue mani ti stringono il collo e ti rendono difficoltoso respirare.
Puoi muovere poco le braccia.
Perderai 4 PC finché non ti liberi.
PS: 92/116
PC: 56/66
PM: 57/67[
Sei stordita dall'odore.
Perdi - 2 PC finchè rimani lì.
PS: 91/111
PC: 59/61
PM: 61/61


Inferius
Aggrappata ad Emily.
PS: ???
PC: ???
PM: ???


 
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view post Posted on 8/12/2015, 11:06
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Monsters are real, ghosts are real too.
They live inside us and, sometimes, they win.



Il rumore della casa che cadeva su stessa come fragile costruzione alle sue spalle fu assordante ma Emily non si voltò, nemmeno una volta; stringendosi il fianco nel palmo destro come a voler attutire un dolore insopportabile, la Serpina aveva continuato la corsa verso il Tunnel ignorando il bruciore intenso delle ferite il cui cruore aveva ormai macchiato in più punti gli abiti sporchi.
Quel luogo stava mirando ad indebolirle, si disse, e continuando in quel modo, sarebbero rimaste prive di difese. *Perché continuare a fuggire?*, una vocina malevole le s’insinuò nella testa, *Ormai sei chiusa qui, sei parte di questo posto. Non lo vedi? Non si scappa. Sono tutti qui e tu sei con loro ora*, parlò ancora ed ancora mentre il lucchetto veniva aperto e l’ennesimo passaggio per chissà quale orrendo scenario ripristinato. Se prima l’istinto di sopravvivenza si era ritrovato a combattere contro la malvagità di quel posto vincendo, ora doveva fare i conti con un nemico ancora più subdolo: la stanca arrendevolezza.
*Accettalo. Sei qui, dove credi di trovare un’uscita? Sei circondata. Buio, pena, dolore, non li senti? Sono ovunque. Sono tuoi.*
Presa a non cedere a tali pressioni, fingendo di essere in grado di ignorarle, Emily quasi non si era resa conto che il posto avesse preso vita. Una cupa e stonata melodia si disperdeva nell’aria, violini dalle corde mancate soltanto eco di una dolce sinfonia passata si univano in modo inquietantemente armonico a quel familiare tonfo udito in precedenza ma nonostante tale forte avvertimento, la fanciulla proseguì, aggrappata a quella speranza che animava il suo corpo al di là del dolore, piccola ed unica fiammella alla mercé della buia tempesta.
Costeggiando le piccole barchette ed i loro resti che scivolavano irregolarmente sull’acqua torbida, s’avviò lungo lo strettissimo cavalcavia che l’avrebbe condotte nel tunnel di cui non s’intravedeva ancora l’uscita.
*In una caverna? È davvero in un posto del genere che vuoi farla finita?*, la quattordicenne scosse di poco il capo vermiglio, unica istintiva difesa contro la nemica coscienza e cercò di concentrarsi altrove – sull’eco dei passi calmi, attenti, contro le pareti dell’oscurità sempre più fitta, persino su quel rumore distorto che sembrava farsi più forte man mano che avanzava.
Cercò di adattare gli occhi al buio sempre maggiore e rotto solo da qualche sporadica lampadina volta ad illuminare cuori spezzati, dipinti rovinati e, ancora una volta, manichini smembrati ma quando svoltò l’angolo, desiderò non averlo fatto: le pareti si allungarono in una sfumatura nero rossastra di quel che doveva essere palesemente sangue rappreso in una quantità così elevata da far sembrare che qualcuno avesse deciso di dipingere quel luogo dimenticandosene poi, lasciando il lavoro incompiuto. Le iridi argentee scivolarono lungo le mura ora più opprimenti e fu quando individuarono dei simboli riconoscibili che Emily arrestò del tutto la sua avanzata.

Sorry. Sorry. SORRY. Sor ry.


Cosa voleva dire tutto ciò? Cosa era quel posto? Perché erano finite lì? Cosa volevano da loro?
Lo sguardo di Emily seguì le scritte ripetute fino a posarsi sul rivolo di cruore secco che scivolava fino al marciapiede e quando un’ancora più macabra vista fatta di pezzi di corpo umano galleggianti si aprì innanzi a quel ceruleo, arretrò di un passo e la tempesta spazzò con un violento sbuffò la fiamma che teneva in vita la speranza.
Ipnotizzata da quell’orribile candore in contrasto col rossore delle pareti e le impure e sudice acque, non si rese conto di premere con forza la schiena contro la parete dietro di lei, come a volervi sprofondare all’interno per allontanarsi da quella visione, per scappare, per ritrovarsi al sicuro.
Continuava a fissare quell’orrore nonostante la mente suggerisse al corpo stanco di correre via - avanti od indietro non aveva importanza purché fosse via - e fu in quel momento che accadde: con la coda dell’occhio intravide un movimento alla sua destra, lì tra il mucchio di membra cadaveriche, e quando riuscì a metterne a fuoco le fattezze, compì l’ultimo passo che l’aveva divisa dalla parete alle sue spalle. Lo scatto fu talmente forte che il retro della sua infagata scarpa destra dovette calciare con prepotenza qualche insulso ciottolo il quale cadde nell’acqua melmosa con un “tonk” riconoscibile…. Ed Emily non la vide arrivare.
Lo slancio della creatura fu così forte che la ragazzina sentì un dolore lancinante alla testa quando il capo urtò violentemente contro il muro retrostante. Le piccole manine si stringevano con forza intorno al suo esile collo e la Serpina, che non aveva avuto modo di prender aria, sentiva già il respiro mancarle ed i polmoni far fatica per risucchiare quel po’ di ossigeno concesso.
Si costrinse a non guardarla in volto e piegò oltretutto il capo verso destra come per timore che se solo si fosse avvicinata un po’ di più, la macabra bambina avrebbe potuto addentare la sua carne aggiungendo il resto del corpo alla decorazione delle acque.
Il tanfo che emanava era così insopportabile che Emily non solo si ritrovò a combattere contro il tentativo di respirare ma anche contro quell’odore malevole che la spingeva a non farlo.
*Ora ci credi? Hai solo trovato una sorte peggiore*, l’isteria parlò ancora ed ancora più crudele e quando la fanciulla sentì le forze venir meno quasi si sentì sul punto di cederle. *Sei così debole…*, non poteva muovere le braccia e a nulla servivano le sue gambe contro quel minuscolo corpo eretto sopra la sua vita. Cercò di far pressione tra gli avambracci della bambina con i polsi ma la stretta era forte, impossibile da rompere in quel modo. Non ci stava provando abbastanza e con la fedele arma inutilizzabile, cedette sotto il suo stesso peso.
Cadde sulle ginocchia senza accusare la pena di quella caduta: la morsa rendeva insaziabile la fame d’aria, conati avevano dato inizio a piccoli irregolari spasmi corporei e l’incoscienza era alle porte.
Il moncone della piccola gamba della creatura prese a sbattere ripetutamente contro il fianco dolorante di Emily, alla ricerca di un ennesimo appiglio incapace di comprendere la mancanza di quell’arto e la fanciulla non avrebbe mai saputo dire se fosse stato per le fitte ripetute che in qualche modo l’avevano fatta sentire ancora viva o per il disperato tentativo di incrociare lo sguardo di Arya, di ritrovare la sua figura per un aiuto (o per sentirsi meno sola mentre sentiva il corpo spegnersi), eppure reagì d’istinto. Facendo forza sulla caviglia sinistra e sulle ginocchia sbucciate compì un unico sforzo volto a cambiare la posizione di preda e predatore: in tal modo avrebbe potuto spingere l’Inferius contro il muro e da lì tentare la libertà.
[Le labbra secche della giovane Rose si schiusero in un muto urlo di dolore e disperazione mentre tentava l’ultima, forse impossibile, impresa e quando l’adrenalina le regalò la riuscita anche la coscienza sembrò ritrovare un riverbero di antica lucidità. Il cranio dell’Inferius sbattè con forza contro la pietra del tunnel ed Emily si accasciò su di esso con tutto il suo peso in modo da creare uno spazio sufficiente per far scivolare il ginocchio sinistro sul ventre vuoto della fanciulla fino al petto mentre le braccia tentavano il precedente movimento: il polsi spinsero con forza contro gli avambracci putridi e verso l’esterno mentre la gamba premeva contro il busto privo di vita e lei inarcava la schiena verso l’esterno.
Sentì l’ossigeno bruciarle il polmoni ma la bambina strinse ancora di più ed ancora fin quando Emily non si ritrovò costretta a ripetere la fatica ma questa volta, con la forza regalatale dalla boccata d’aria che aveva ritrovato, riuscì ad allontanare quelle manine sudice e putrescenti. Con le braccia ora libere mentre il ginocchio e l’esile peso su di esso impresso tentavano l’impossibile per trattenere la malevola creatura a terra, Emily strinse la sinistra ancor di più intorno alla bacchetta. I nervi ed i tendini arsero dinanzi a tale rinnovata forza e la Serpeverde si erse un po’ di più, spostandosi di poco verso sinistra; roteò il polso detenente l’arma tre volte in senso orario e pronunciò la formula dell’incantesimo di cui richiedeva l’ausilio con tutta la decisione che animava la sua sopravvissuta mente puntando alla bestia che ancora tendeva le mani verso di lei.

Flipendo.
La voce risuonò strana alle sue orecchie eppur chiara: non poteva sbagliare proprio in quel momento.
Avrebbe rispedito quel dannato essere alle acque per evitare di un ennesimo attacco mortale e sarebbe corsa, incurante ormai dell’orrore che la circondava. Era vicina, doveva esserlo e ne sarebbero uscite, ora lo sapeva.
Ora sapeva di esserne in grado.
 
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Arya Von Eis
view post Posted on 6/1/2016, 03:38




Il tonfo della casa che si accartocciava su se stessa sembrò impossessarsi della scena per qualche istante, poi, silenzio, sì voltò un solo attimo, osservando quel che restava della costruzione e domandandosi se, quella, sarebbe stata anche la loro fine.
Mentre fuggiva, cercando di divincolarsi dalle creature che disperatamente si avvinghiavano a lei, aveva provato pena per loro come se, per qualche assurda ragione, qualcosa le avesse fatto pensare che fossero solo sventurate anime rimaste intrappolate lì, quel pensiero le aveva fatto gelare il sangue, se davvero quell’ipotesi si fosse rivelata corretta, nulla impediva a lei e alla sua caposcuola di ritrovarsi a condividere quella stessa sorte, di diventare parte integrante di quel macabro parco, di marcire lentamente lì dentro dimenticandosi di esser state vive.
Cercò con tutte le sue forze di cacciar via quel pensiero, la cosa peggiore, in quel momento, era proprio arrendersi, persa la speranza di una possibile salvezza, avrebbe perso tutto, si sarebbe semplicemente seduta lì, attendendo il suo destino.
Il CLICK del lucchetto che si apriva sembrò concederle un po’ di respiro, una buona notizia in mezzo alla disperazione, ma durò poco, molto poco, come tutto il resto, anche quell’attrazione, tutto sembrava tranne che rassicurante, distrutta, scoordinata, cupa, era davvero una buona idea addentrarsi lì dentro?
Ogni fibra del suo corpo urlava “NO”, le sue gambe sembrarono rifiutarsi di compiere quel passo verso l’ignoto e, istintivamente, tentò di afferrare il braccio della compagna per supplicarla di non proseguire, ma era troppo tardi, era già troppo distante, lei aveva preso la sua decisione.
In precedenza si erano già divise e, per qualche istante, l’idea di farlo nuovamente non le sembrò così male, scosse il capo, sapeva che sarebbe stato sciocco, così, anche se titubante, decise di seguirla, anche se ancora non capiva cosa l’attirasse tanto, era un tunnel, un tunnel buio, una melodia da mettere i brividi e quel TONK costante, tutto pareva dire “Andatevene”, ma lei no, lei doveva entrare.
Aumentò il passo, cercando di raggiungere la compagna di disavventure, ma attenta a non mettere il piede in fallo, il marciapiede non era strettissimo, ma date le condizioni generali della struttura, un po’ d’attenzione in più non guastava.
L’aria era pesante, forse più del dovuto, ma quel primo tratto non sembrò riservare loro particolari sorprese, a parte quella costante sensazione di pericolo e oppressione, i primi metri si rivelarono, stranamente, tranquilli.
Stava quasi per tirare un sospiro di sollievo, come se quell’apparente calma potesse davvero tranquillizzarla, quando una smorfia di disgusto s’impossessò del suo viso, costringendola ad aumentare il passo, nella speranza di uscire da lì il prima possibile, ma quella mossa quasi le costò uno scontro con la caposcuola che, proprio in quell’istante, appena dopo la curva, aveva arrestato la sua avanzata.
Le avrebbe probabilmente intimato di proseguire, maledicendola per essersi fermata, se quell’odore nauseante non le fosse penetrato così profondamente nelle narici, impossessandosi del suo stomaco e portandola ad appoggiare una mano alla parete nel tentativo di reggersi e nella speranza di non vomitare.

*Ma che...* la mano sembrò scivolare su una superficie viscida, cosparsa di qualcosa di denso, non ci mise molto a rendersi conto di cosa si trattasse *Sangue* avrebbe lasciato immediatamente l’appoggio, ma non ce la fece, quella consapevolezza non fece che aumentare il suo malessere, lasciandola inchiodata lì.
Cercò di capire la situazione, di comprendere cosa le circondasse e l’origine di quell’odore, ma non riuscì a portare lo sguardo oltre il primo metro del fiumiciattolo, anche se quello bastò.
L’acqua sembrava densa e più stagnante della precedente, poteva chiaramente distinguere pezzi di corpi galleggiare, se ancora non avevano toccato il fondo, dovevano esserci vicine e, in quel momento, l’idea di tornare indietro, l’idea che avanzare fosse un suicidio, sembrò farsi più forte.

*Solo due minuti* continuava a ripeterselo, quanti ne erano passati in realtà? *Rimettiti dritta, prendi quella disgraziata e trascinala fuori a forza se necessario* non sembrava difficile dopo tutto, ma aveva completamente perso di vista ciò che la circondava, si era a mala pena accorta della figura che emergeva dall’acqua, sentì appena il maledetto sassolino che aveva increspato la superficie e, pur realizzando che quella cosa era scattata, non si era accorta che aveva aggredito Emily.
*Devi...* ma finalmente qualcosa sembrò riportarla alla realtà, costringendola a opporsi a quello stato di rassegnazione che lentamente la stava convincendo a lasciarsi avvolgere da quel putridume *...tirarti su*
Mentre terminava quel pensiero, ancora reggendosi al muro, rivolse lo sguardo verso la compagna, aveva percepito che qualcosa non andava, non le stava dicendo su per essersi fermata e, le era quasi sembrato di averla sentita cadere a terra.
Ci mise un po’ a mettere chiaramente a fuoco la situazione, Emily stava lottando contro qualcosa di indefinito, un essere simile a quelli nella casa, ma completamente diverso, senza nemmeno porsi troppe domande, quelle magari le avrebbe fatte dopo, portò la mano alla bacchetta, sarebbe di sicuro stato il modo più rapido per aiutarla, ma si bloccò, non era sicura di colpire una senza colpire anche l’altra, doveva trovare un’altra via, ma doveva farlo in fretta.


Variante 1
In quel momento, però, la caposcuola sembrò riuscire ad avere la meglio, almeno temporaneamente, sull’essere, la vide prendere la sua arma e puntarla contro quella cosa, forse, alla fine, non aveva bisogno del suo aiuto eppure, istintivamente, mente la compagna pronunciava l’incantesimo, scattò in avanti nel tentativo di bloccare la creatura.
Quella mossa sembrò decisamente senza senso e, per qualche istante, non lo ebbe nemmeno per lei, ma per qualche arcano motivo aveva deciso di farlo comunque.
In realtà, destatasi leggermente dal torpore, il susseguirsi degli eventi di poco prima acquistò un po’ di senso, il sassolino che cadeva, l’essere che attaccava, sembravano quasi collegati, l’ultima cosa che serviva loro era che, quel corpo, cadesse nell’acqua svegliandone chissà quanti altri.
Cercando quindi di essere più rapida della compagna, cercò di afferrare la creatura o, comunque, di bloccarla, nell’esatto istante in cui l’incantesimo la colpiva, in modo che l’effetto la stordisse, ma che il colpo non la facesse finire in acqua, avrebbe spiegato successivamente, a Emily, il perchè di quel gesto.
Se ci fosse riuscita, avrebbe fatto appello alle energie rimaste e alla frustrazione che stava provando in quel momento, per staccare la testa dal resto del corpo di quella pseudo bambina
*Ti prego scusami* lasciando poi i due pezzi sul marciapiede.

Variante 2
La creatura sembrava avere la meglio, il tempo per escogitare un piano decente sembrava decisamente mancare, così, fece l’unica cosa lontanamente sensata, approfittando della sua distrazione, di certo non avrebbe potuto aggredirle entrambe, l’afferrò alle spalle, cercando di staccarla dalla compagna.
Da distante sembrava decisamente più innocua, dovette far dunque appello a tutte le forze che le erano rimaste per riuscire nell’intento, esasperata, stanca di quella situazione, con l’unico desiderio di andarsene da lì, strinse la testa di quell’essere in una morsa, girandola poi nel tentativo di spezzargli il collo
*Perdonami* e, successivamente, giusto per andare sul sicuro, la separò dal resto del corpo, lasciando i pezzi di quel cadavere ai piedi del muro insanguinato.

Fine comune
Se fossero riuscite a liberarsi di quell’impiccio, non sarebbe rimasta lì un secondo di più, avrebbe afferrato Emily per un braccio, che lo volesse o meno, con la chiara idea di tornare indietro prima di cadere in qualche altro tranello.
Ovviamente, l’espressione della collega parlava chiaro, lei voleva proseguire, come se, per qualche illuminazione divina, fosse convinta che per di là ci fosse l’uscita.
L’avrebbe guardata esasperata scuotendo il capo, ma assecondando quella follia, al momento, l’importante, era muoversi da lì e, senza lasciare la presa, avrebbe affrettato il passo, facendo bene attenzione a dove metteva i piedi, addentrandosi maggiormente in quel dannato tunnel.



Come al solito, giusto per evitare di allungare il tutto più del dovuto, ho optato per le due varianti, la prima, nel caso in cui il Master decida di far andare a buon fine il tentativo di Emily, la seconda, nel caso in cui, invece, la simpatica creature avesse la meglio su di lei.
Il finale invece resta invariato (sempre ammesso che il Master ci voglia bene XD)
Giusto una precisazione nel caso non si capisca, nella prima variante Arya vuole che il Flipendo colpisca l’Inferius, ma vuole evitare che Emily lo rispedisca in acqua, quindi tenta di trattenerlo/fargli da ostacolo in modo che non vada a zonzo.
 
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99 replies since 11/4/2014, 23:12   3630 views
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