In quel momento, indaffarata a comprendere come liberarsi da quel manichino in putrefazione, iniziava anche seriamente a infastidirsi per la mancanza di prontezza di riflessi della compagna, possibile che se ne stesse lì a non far nulla invece che aiutarla?
Ma la risposta, per quanto apparentemente priva di senso, arrivò nel giro di pochi istanti, un sonoro CRACK, che avrebbe fatto rabbrividire anche il più impavido dei grifondoro, preceduto da una formula pronunciata dalla concasata, erano chiaro segnale che qualcosa, oltre la visuale occupata dal manichino, stava accadendo.
Fu forse quello uno dei motivi che la spinsero a reagire così impulsivamente, se erano state attaccate su più fronti, non avevano tempo da perdere ad elaborare qualcosa di meno rozzo.
Il colpo andò a segno, non senza conseguenze, per quanto fosse preparata all’impatto, il dolore alla fronte fu tale da farle chiudere per un attimo gli occhi imprecando mentalmente, ma non fu quella la cosa peggiore, il cranio del manichino si frantumò, riversandole addosso il suo contenuto.
Un pezzo di quello che, una volta, doveva essere stato un cervello umano, si adagiò sulla sua guancia, mentre altri schizzi le macchiarono i vestiti, nauseata si pulì il viso con la manica, per fortuna intonsa, ma ciò non le impedì di trattenere a stento un conato di vomito, l’odore di morte sembrava ormai impregnare ogni suo singolo respiro.
Libera dalla presa, si lasciò scivolare di lato, in modo da togliersi definitivamente quel peso morto di dosso, riuscendo, così, finalmente, a rialzarsi.
Il suo sguardo interrogativo si posò prima su Emily, notando che la compagna sembrava completamente disorientata e in preda al panico, per poi seguire quello di lei, fino a vedere, finalmente, cosa le aveva impedito di aiutarla.
In realtà non vide molto, un corpo piegato, o meglio, spezzato in due, riuscì a stento a comprendere che si trattasse di ciò che rimaneva di una bambina, potevano fidarsi? Potevano sul serio tirare un sospiro di sollievo illudendosi che tutto fosse finito?
Potevano, ma non l’avrebbero fatto, aveva imparato ormai da tempo che era sempre meglio pensare al peggio.
Avvicinandosi alla compagna, decise di prendere in mano la situazione, sperando che, in quel modo, anche lei si destasse dal torpore, non era né il tempo, né il luogo per farsi prendere dal panico.
Delicatamente le sfilò il bambolotto, ma in quel momento, un altro CRACK, le confermò che non erano ancora al sicuro, la bambina aveva nuovamente assunto posizione eretta e si avvicinava a loro.
Istintivamente, seguendo un ragionamento ai limiti dell’assurdo, le lanciò il bambolotto, arginando, una volta per tutte, quel pericolo, la bambina, infatti, lo afferrò e, per la prima volta, riuscì quasi ad intravvedere qualcosa di umano in quella piccola figura, provò quasi pena per lei, domandandosi chi fosse, cosa le fosse successo, ma la voce della Caposcuola la destò dai suoi pensieri.
Non capì immediatamente, nella frenesia del momento non si era resa conto subito del pezzo di metallo caduto poco distante da lei e, a dirla tutta, non capiva nemmeno perchè a Emily interessasse tanto, ma, in ogni caso, non aveva intenzione di discutere, si chinò per raccoglierlo e, nell’istante esatto in cui lo sfiorò, la terra iniziò a tremare.
Strinse la presa sull’oggetto, posando l’altra mano al suolo per mantenersi in equilibrio, la casa sembrava decisa a seppellirle vive.
La sua mano affondò nella fanghiglia e poté chiaramente sentirla ribollire, si voltò verso la compagna, notando che, quello, non era il loro unico problema, le assi del soffitto iniziavano a cedere e, quelli che un tempo erano stati semplici corpi inermi, ora, si staccavano dalle pareti convergendo verso di loro.
Un rapido cenno d’intesa ed entrambe iniziarono a correre, non fu necessario parlare, la situazione lo face già per tutte e due, non c’era scelta, dovevano abbandonare quel luogo e dovevano farlo alla svelta, o rischiavano di restare intrappolate lì in eterno.
Col lucchetto ancora stretto nel pugno sinistro, si alzò di scatto, individuando la porta che poco prima avevano oltrepassato per entrare, non era distante, potevano farcela, se quella stanza era l’epicentro, le successive, si sarebbero presto trasformate in altre trappole mortali, dovevano raggiungerle il prima possibile, prima che l’intera costruzione fosse inghiottita dalla terra, prima che il raggiungere l’uscita si rivelasse un’impresa troppo ardua.
La fuga era iniziata, rapida scattò verso la porta, ma il primo rallentamento non tardò ad arrivare, qualcosa le impediva di sollevare il piede, per un attimo credette d’inciampare, riuscì a mantenere l’equilibrio solo arrestando la sua corsa giusto in tempo per non mettere il piede in fallo.
Si voltò, osservando con ribrezzo il mezzo busto aggrappato alla sua scarpa, il volto sfigurato, la metà inferiore del corpo mancante, un relitto, un relitto che, però, si aggrappava a lei con tutte le sue forze.
Per un secondo non poté fare a meno di ripensare alla bambina, cosa li aveva ridotti così? Ma non poteva prendersi il lusso di pensare anche a quello, doveva andarsene e, per quanto quelle cose, almeno in parte, suscitavano la sua pietà e la sua compassione, non esitò a colpire il cranio del mezzo busto col tallone della sua scarpa, la questione era solo una, loro o lei e la scelta era più che ovvia.
Nell’istante esatto in cui si sfracellò, la sua gamba fu libera, ma un altro manichino, questa volta uno intero, era riuscito ad avvicinarsi quel tanto che bastava per afferrarle la stoffa della manica, non si voltò, non lo guardò in faccia, sapeva di essere, in generale, più forte di loro e l’adrenalina che stava accumulando non faceva che aumentare il divario tra loro, scattò più veloce, sentendo lo strappo della stoffa, ma era libera, nessuna zavorra.
Raggiunse la porta, ma ecco che, come se il Fato non volesse sentir ragioni, il piede in fallo, questa volta, lo mise, si sentì sprofondare nella fanghiglia, la casa voleva inghiottirla e uscire da quella poltiglia sembrava una cosa impossibile.
Nella sfortuna, però, riuscì a intravvedere la speranza, la costruzione cadeva a pezzi e quel piccolo intoppo l’aveva salvata dal prendersi una trave in testa, trave che, ora, si rivelava molto più utile di quando sosteneva il soffitto.
Di traverso, a terra, a sbarrarle la strada, riuscì ad afferrarla, usandola per farsi leva e uscire da quelle sabbie mobili, una volta libera, la utilizzò anche come trampolino per balzare oltre la soglia e abbandonare quella stanza per sempre.
Atterrando si rese conto di avere nuovamente un pavimento solido sotto i piedi, ce l’aveva fatta, non era ancora salva ma il peggio l’aveva superato o, almeno, così credeva.
Si voltò indietro per controllare che la compagna ci fosse ancora -Emily la casa non reggerà in eterno- probabilmente l’avrebbe mandata al diavolo, ma doveva spronarla in qualche modo, sapeva di essere più veloce e agile di lei, ma non le avrebbe permesso di prendersi indietro, non in quella situazione.
Intravista la sua figura, ricominciò la folle corsa, attraversando le finte stanze degli orrori che, ora, decisamente apparivano più realistiche, più tetre, i rantolii dei manichini si facevano più invadenti, le loro mani cercavano di afferrarla, evitarli, scansarli, si rivelava un’impresa sempre più complessa, una mano le afferrò il colletto alle spalle, si voltò, afferrando quel braccio e strappandolo via con tutta la forza che possedeva, ormai era esasperata, non vedeva più la fine, la meta, tentava solo di salvarsi la pelle e, più si concentrava su quello, più le sue abilità come lycan sembravano assisterla.
L’apice lo raggiunse quando, finalmente, riuscì a vedere la luce, doveva essere l’ultima stanza -Vedo l’uscita, un ultimo sforzo e siamo fuori- in realtà non sapeva se stava rassicurando la compagna o se stessa, ma poco importava, l’importante era farcela, si voltò ancora una volta e vide che Emily non se la stava passando troppo bene, poteva farcela? Sì. Poteva rischiare? No. Aveva deciso di tornare indietro, di darle una mano, ma quando si giro a controllare che nulla bloccasse poi la loro fuga, ecco che uno strano essere comparve dal nulla.
L’afferrò per il collo, tentò di colpirlo, ma bloccò il suo colpo senza batter troppo ciglio, sembrava più forte, più agile, diverso dagli altri, sentì il respiro venirle a mancare, ma erano troppo vicine alla salvezza per perdere tutto così.
Con entrambe le mani si aggrappò a quelle della bizzarra figura, tentando di liberarsi dalla morsa, ma sembrava più forte anche di lei, strinse di più e, in quel momento, sentì di essere riuscita a penetrare la sua carne con gli artigli.
La creatura la lasciò libera, ma non pareva affatto intenzionata a lasciarla andare, a quel punto, però, nemmeno Arya era più intenzionata a farsi intralciare oltre, l’adrenalina, la rabbia, l’urgenza, l’avevano messa nella condizione di poter sfruttare maggiormente la sua nuova natura, le sembianze animalesche assunte dalla fanciulla, destabilizzarono per un attimo il suo assalitore, ma fu un attimo di troppo che la serpeverde sfruttò per spezzargli il collo e con violenza separare la testa dal resto del corpo.
(Ciò che scrivo da qui in poi è nell'ipotesi in cui la fuga sia riuscita)
Era fatta, la strada era libera, sentì la voce della compagna formulare un altro incantesimo e ricominciare a correre, ce l’avevano fatta entrambe, si chinò a raccogliere il pezzo di metallo che nella colluttazione le era caduto e raggiunse, finalmente l’uscita.
Una volta fuori mise un altro paio di metri tra lei e la casa, respirando a pieni polmoni, finalmente, l’aria non sembrava più impregnata di morte.
La corsa l’aveva stancata, ma non sfinita, di certo, a posteriori, avrebbe potuto prendere in giro la Caposcuola per la sua pessima forma fisica, anche se, forse, sarebbe stato scorretto, in fondo, lei aveva pur sempre barato.
La brezza, l’aria fresca, la consapevolezza di aver scampato il pericolo, contribuirono a far scemare l’adrenalina, riportandola a riacquistare una certa tranquillità e, con essa, anche il suo normale aspetto.
Udì la rocambolesca uscita della compagna e sorrise, fortunatamente era di spalle e non poteva vederla, ma, alla fine, la cosa importante era che ne fosse uscita.
Si avvicinò a lei, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi, ma non fu necessaria “Al tunnel... C'è l'altro pezzo... Del lucchetto.” *L’altro pezzo di che?* si ricordò dell’oggetto di metallo che le aveva fatto raccogliere *Ah quello* ma non ebbe il tempo di replicare nulla che Emily già si era messa in marcia a passo spedito.
Alzò gli occhi al cielo, non ci stava capendo nulla, ma la seguì, preferendo non contraddirla *Ma il lucchetto di cosa? Una corrente? Ma dove? Entrare? Ancora? Dobbiamo entrare da qualche altra parte? Sicura? Non è che hai sbattuto la testa troppo forte?*
Riuscì a comprendere meglio solo quando si ritrovarono davanti al cancelletto e al mezzo lucchetto rotto che lo chiudeva, ma l’idea di addentrarsi nuovamente da qualche parte continuava a non entusiasmarla *Ma dobbiamo proprio?* Ovviamente sapeva benissimo che la risposta era “Sì” in qualche modo da quel parco “divertimenti” dovevano uscire *E perchè per uscire dobbiamo entrare?* la domanda non sembrava proprio così fuori luogo, ma mettersi a filosofeggiare in quel momento non era la cosa più opportuna.
“Dammelo.” *Un mezzo per favore non è che ti fa male è* le rivolse uno sguardo seccato, veramente a volte non riusciva a comprenderla, okey che entrambe volevano andarsene, okey che volevano farlo il più alla svelta possibile, ma dopo quello che avevano passato non avrebbe disdegnato un tono più gentile.
Allungò il braccio verso di lei, aprendo il pugno e porgendole l’oggetto -Tieni- la osservò in silenzio mentre tentava di riparare il lucchetto, avvicinandosi e affiancandola.
Quando ebbe finito, si convinse ad aiutarla, ormai sembrava chiaro che dovessero collaborare, estrasse la bacchetta e la puntò verso la serratura del lucchetto appena ricomposto -Alohomora- pronunciò la formula così come l’aveva imparata, senza calcare sull’acca che doveva essere muta.
Se entrambe non avessero commesso errori, di lì a poco si sarebbero inoltrate in un altro antro buio *Che Salazar ce la mandi buona sta volta* ma, in ogni caso, prima di procedere oltre, posò una mano sulla spalla della compagna -Emily, tutto okey?- in realtà la sua preoccupazione maggiore non era per lo stato fisico della fanciulla, le pareva stare abbastanza bene, ciò che le premeva era capire come fosse messa dal punto di vista emotivo, l’aveva vista in preda al panico, avevano affrontato una folle corsa verso la salvezza ed erano ancora bloccate lì, possibile che tutto questo sembrasse non toccarla minimamente, non una parola, non un’esitazione, non si era nemmeno fermata a prender fiato, si era concentrata esclusivamente su ciò che dovevano fare, il che non era nemmeno del tutto sbagliato, ma restava fermamente convinta che una persona prima o poi dovesse crollare e se poteva, voleva evitare che ciò accadesse o almeno, voleva evitare che accadesse nel momento meno opportuno.