Don't forget to close the Door..., [Quest Fissa]

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view post Posted on 11/1/2016, 22:22
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Il Fato

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Quando la porta sgangherata della Stamberga Strillante s'era aperta dinanzi a loro, offrendo il suo cupo e squallido interno alle due Serpeverdi, avevano anche solo immaginato quanto logorante e sfiancante si sarebbe rivelata quell'incursione notturna? Probabilmente il buon senso di entrambe le aveva messe all'erta attraverso orribili sensazioni e brividi lungo la spina dorsale, eppure era difficile credere che razza di mondo si aprisse al di là di una stupida porticina disegnata con un banale gessetto su un muro.
Un mondo fatto di disperazione, di follia, di dolore senza pari e bambini, donne e uomini avevano pagato ben più di qualche soldo per entrare in quel maledetto Parco Giochi. Ma c'era qualcosa che entrambe sapevano bene, forse più Emily della più scettica e razionale Arya: quella era l'ultima fermata della loro fantomatica giostra. In fondo al Tunnel dell'Amore, lì dove proveniva il suono sordo e inquietante, c'era la risposta a tutto quell'orrore e, con ogni probabilità, l'unica via d'uscita possibile.
Quale essa fosse, beh, questo era difficile da capire, non con un cadavere aggrappato al proprio collo, almeno.
Su quel corpicino, almeno, l'intuizione di Arya fu giusta: la piccola era stata risvegliata dal sasso nell'acqua, ma non c'era niente che facesse pensare ad altri simili o, altrimenti, sarebbero giunti tutti in massa insieme alla bambina. Fortunatamente per loro.
Emily invece, non poteva dire di sentirsi poi così baciata dalla Fortuna: a poco a poco le vie respiratorie si facevano sempre più occluse, l'aria ormai un vago miraggio e la Morte, a quel punto, era la più dolce delle promesse. Il tanfo della ragazzina le permeava le narici, sembrava quasi acido in grado di bruciare le sue membra, mentre la presa si rafforzava ogni secondo di più. Ma l'essere umano è straordinario e possiede un' enorme forza di sopravvivenza: con un ultimo sprint donatole dall'adrenalina che ancora scorreva come un fiume in piena in lei, Emily riuscì a soggiogare l'Inferius, liberandosi dalla stretta per un breve istante che, tuttavia le consentì di armarsi. La bambina, a terra, si agitava come un ragno rovesciato sul dorso, ma in men che non si dica era di nuovo in piedi, le braccia piegate in strane angolazioni, il petto affossato e un rantolo raschiante. Avrebbe nuovamente attaccato la Caposcuola, se questa non l'avesse colpita di striscio con il Flipendo. Il danno non fu abbastanza per sconfiggere una creatura simile, ma bastò per permettere ad Arya di balzarle addosso. Fu ancora una volta merito della sua rapidità e della sua natura sovrannaturale se riuscì a staccare, di netto, la testa della piccola. Tutto ciò che rimase nelle sue mani fu un lunga striscia di stoffa che probabilmente, un tempo, era stato un vezzoso foulard da legare ai capelli.
Con un orribile tonfo, il corpo e la testa caddero a terra e, come zampe di uno scarafaggio ferito, le braccia e le gambe si torcevano nella speranza di aggrappare ancora della carne. La testa roteava su se stessa, la bocca spalancata in un continuo orribile gorgoglio. L'Inferius, tuttavia, non era morto e soltanto una cosa le due potevano ancora fare: andare avanti e il più veloce possibile.
Se Arya poteva dire di stare bene, puzzo nauseante, melma putrida fra le dita e fazzoletto come insolito souvenir a parte, stessa cosa non si poteva dire di Emily che accusava i postumi di uno svenimento: l'aria era tornata rapida ad ossigenare il suo cervello in carenza, la testa girava, le gambe erano deboli, ma la fanciulla poteva contare sulla sua compagna.
Proseguirono, girando la curva, lasciando alle proprie spalle l'Inferius, il cui scalpiccio risuonava raccapricciante, simile a mille e mille insetti sul terreno, ma a poco a poco quel rumore si allontanò e il tonfo fu l'unico protagonista di quel luogo infestato.
Non dovettero camminare molto: man a mano che il rumore si faceva più forte, le scritte sul muro si infittivano. La parola era sempre la stessa, ma più frenetica, tanto che il più delle volte si interrompeva o era così tremolante da risultare quasi impossibile la lettura, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Arrivarono quando ormai il senso di disagio e terrore era così pesante da rendere difficoltoso qualunque passo, com'era già accaduto in quel Parco; il suono costante si fece più forte, metallico, insopportabile.

Lui era lì.
In piedi, il viso rivolto verso il muro, la mano destra stretta a pugno, da cui spuntava una puntina bianca, stretta convulsamente. Il sangue gli colava a fiotti dalla fronte, macchiando gli abiti sudici che gli cadevano addosso sul corpo magro come uno scheletro.

Tonk
Tonk
Tonk

Come in trance, l'uomo dondolava avanti e indietro, colpendo con la testa la tubatura innanzi a sé, ormai anch'essa imbrattata di sangue e qualcosa di grumos che sembrava orribilmente materia cerebrale. Ad ogni colpo, la tubatura risuonava come una cupa campana, ma lui sembra non avvedersene; la pelle della fronte era così consumata che cute e capelli erano ormai ritirati e il lucido candore del cranio brillava sinistramente alla debole luce delle rare torce d'emergenza.
Nonostante il rumore dei passi, l'uomo non sembrò neanche accorgersi delle Serpeverdi: semplicemente continuava a dondolare, senza fermarsi mai, colpendo ritmicamente la testa. Una lugubre nenia proveniva dalle sue labbra, difficilmente percettibile e praticamente incomprensibile.
A terra, proprio ai piedi delle ragazze, c'era una bacchetta ormai spezzata ed un lurido vecchio articolo di giornale.

ccYbdRh
Oltre, la strada era bloccata da quello che sembrava un muro. L'ultimo ostacolo, era Lui: ma se fosse stato semplice o complesso, stava alle due ragazze scegliere.



• Siete dinanzi all'ultimo ostacolo, ma sta a voi capire come muovervi e decretare così una fine rapida e indolore o un marasma. Siate furbe e leggete bene.

InventarioEmily C. RoseArya Von Eis
Emily: //
Arya: Foglietto con circuiti, mappa, foulard della bambina
Esterno: Olio, tenaglie
La paura ti blocca e la testa ti duole.

PS: 92/116
PC: 56/66
PM: 57/67[
La paura ti blocca
PS: 91/111
PC: 59/61
PM: 61/61


 
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view post Posted on 2/2/2016, 11:24
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Monsters are real, ghosts are real too.
They live inside us and, sometimes, they win.



La testa le doleva ma, al contempo, ne avvertiva l'assoluta leggerezza; l'aria era tornata ad ossigenare i tessuti nervosi con prepotenza, lo stato di confusione e spaesamento non le permettevano di rendersi effettivamente conto dei danni e, per tale motivo, Emily avanzava con velocità, sopravvalutando le sue capacità percettive.
Non aveva mai spinto il suo esile corpo ad un tale sforzo: nonostante le varie contusioni, l'ipossia momentanea, la nausea, gli spasmi muscolari ed il terrore che ormai le scorreva nel sangue come parte integrante di esso, Emily s'affrettava a dare le spalle all'Inferius, a proseguire, palesando un benessere che non le apparteneva affatto.
*Voglio uscire*, continuava a ripetersi con la stessa frequenza, forza o fragilità, delle scritte presenti sulle mura circostanti che, col loro scuro cruore, premevano su di lei, sulla sua mente, rendendo quel suo mantra del tutto inutile. Sapeva di voler uscire ma temeva di non poterne essere in grado. Come biasimarla, dopotutto? Considerando quanto fosse successo dall'esatto momento in cui aveva messo piede in quel posto, doveva ritenersi sfortunata ad essere ancora viva.
Il tonfo ritmico che aveva udito all'esterno e che nulla aveva potuto contro l'idea della fanciulla di entrare in quel luogo dimenticato da Dio, si era fatto più forte, più chiaro ma prima che l'ennesimo, se non peggiore, orrore potesse aprirsi dinanzi alle sue arrossate iridi argentee, Emily, sopraffatta dalla precedente mancanza di ossigeno, non si era minimamente accorta della differenza e nel momento in cui avrebbe dovuto contare maggiormente sulle sue capacità di valutazione e ragionamento, tali abilità venivano a mancare.
Era stanca, si rese conto quando arrestò il suo frettoloso passo. Perché si era fermata? Non lo ricordava ma qualcosa l'aveva spinta ad arrestarsi. Gli occhi chiari erano fermi su una figura, un uomo; dondolava avanti ed indietro sbattendo la testa contro una tubatura. Si sentiva anche lei così, riflettè, forse non sarebbe stata una cattiva idea iniziare a colpire il muro con la sua testolina vermiglia. Voleva accasciarsi a terra e chiudere gli occhi, cullata da quel rumore ormai così familiare. L'aveva trovata finalmente, la fonte di quella cadenza assordante e mai avrebbe creduto che potesse trattarsi di una persona. Chissà cosa ci faceva lì.
L'idea di aver trovato finalmente una risposta le permise di rilassare il torace ed abbassare lo sguardo.
Era evidente che la fanciulla non si rendeva conto di cosa effettivamente stesse accadendo in quel momento; era confusa, ferita e la sua percezione del reale, la sua intuizione, sembravano esser andate in pezzi nello stesso momento in cui anche l'Inferius veniva smembrato.
Lo sguardo cadde sul foglio di giornale che giaceva in pessime condizioni sul suolo umido. Tutto era macchiato di sangue ma ad Emily sembrò così normale ormai, da non farci più caso, soprattutto a causa delle condizioni in cui versava.
*Strage al Morning Child*, lesse l'articolo una volta, due, tre... Iniziava a comprendere ma, al tempo stesso, il significato delle parole le sfuggiva. Doveva chiedere ad Arya, si disse, forse lei avrebbe capito meglio.


Tonk... Tonk... Tonk...

*Basta, ti prego*; con una mano tremante portata alla fronte, chiuse gli occhi. Cosa avrebbe dato, ora, per far sì che quel suono cessasse. Doveva concentrarsi, sapeva che era vitale ma non ne era capace con quell'uomo lì che...

"L'uomo non è ancora stato catturato."

Il viso della giovane, dapprima rilassato seppur piegato alla sofferenza, assunse dei tratti più tesi man mano che alzava nuovamente lo sguardo e, per la prima volta da quando lo aveva incrociato, poteva davvero rendersi conto di chi aveva davanti e della reale e macabra situazione in cui si trovava.
La Ragione la sbeffeggiò così forte che Emily avvertì un forte dolore alla testa e, insieme all'Intuizione perduta, il Terrore tornò a farle visita.
Non era più cieca o confusa e li vedeva: il sangue, l'uomo, l'indefinibile materia grigia, le scritte, il foglio, i pugni serrati, il foulard stretto nelle mani di Arya al suo fianco, l'Inferius lasciatosi alle spalle, la puntina bianca che il Mostro reggeva convulsamente.
Poteva farcela, doveva solo concentrarsi un'ultima volta; una vocina le suggerì che si era sbagliata, doveva esserci una via d'uscita e la soluzione era lì davanti a lei, lo sapeva ma, allora, perché non riusciva a ricordare? Nell'esatto momento in cui credeva di aver in mano due pezzi di puzzle che combaciavano in favore della risoluzione del sistema generale, questi le sfuggivano.


L'Inferius era una bambina e la morte di una bambina aveva dato il via alla tragedia.
L'uomo dinanzi a lei doveva essere colui che gli Auror non aveva mai ritrovato e che aveva causato la tragedia. L'inferius era sua figlia...

Tonk... Tonk... Tonk....

*Dannazione!*, imprecò riprendendo il ragionamento ancora una volta.


L'Inferius era sua figlia ed era morta ma doveva averla creata lui perché se ce ne fossero stati altri, allora l'avrebbero aggredita e lei, a quell'ora, sarebbe stata spacciata.

A terra giaceva anche una bacchetta spezzata il che rendeva l'uomo inoffensivo, oppure no? Considerando il modo in cui stava colpendo le tubature, c'era da aspettarsi qualsiasi cosa eppure lui non sembrava essersi accorto della loro presenza. *E non possiamo avanzare perché c'è un muro ma solo tornare indietro*, a questo punto non le restò che chiedersi che diamine stessero facendo lì: perché erano entrate? Per una risposta. Ed ora che l'avevano finalmente trovata, perché non potevano uscire? Doveva trovare l'uscita, un'uscita affatto convenzionale a quanto sembrava, capace di catapultarle indietro così come erano state gettate nell'oblio. Ricordava la traccia sul muro che aveva sfiorato; era stata irrimediabilmente attratta da una semplice forma geometrica tracciata su una parete... *Con un gessetto*.
Se solo la sua mente non le avesse giocato dei brutti scherzi, probabilmente sarebbe arrivata alla risoluzione dell'Enigma ancora prima di crogiolarsi nella Pazzia, ancor prima di prendere a fissare l'uomo come se, la sua presenza lì, fosse curiosa eppure, al contempo, la cosa più normale del mondo.
E finalmente si ricordò che Arya era al suo fianco; si voltò con un barlume di sopresa negli occhi spenti e stanchi rendendosi conto che la ragazza era stata lì per tutto il tempo.
Aveva compreso anche lei? Aveva notato ogni dettaglio? Ricordava la porta che le aveva condotte in quel girone infernale? Lei sapeva ma non poteva dirglielo, non poteva parlare.
Tutto aveva ora un senso eppure Emily seppe che, se solo ne avesse avuto la possibilità, condividere le sue riflessioni con Arya l'avrebbe fatta sentire ancora più pazza. C'era dell'impossibile in quella storia eppure ora avevano finalmente un vero tentativo da fare.
Cercò l'attenzione della compagna, attese pazientemente di incrociare il suo sguardo e quando Ella riuscì a focalizzarsi sulla propria figura, la giovane Rose semplicemente strinse la sinistra in un pugno e ne indicò il centro per poi far riferimento al braccio penzolante del Mago che avevano davanti.
Devi assicurarti la piccola mina bianca., era tutto ciò che di essenziale c'era da capire in quel momento.
Con un gesto stanco ma silenzioso Emily sfiorò il polso della concasata e sfilò, dalla sua stretta, la striscia di stoffa che era appartenuta alla figlioletta del proprietario. Cosa aveva intenzione di fare?
*Pazzia, pura pazzia*, se ne rendeva conto ma doveva comunque provare ad agire in quel modo. Ne aveva avuto da poco la certezza: nelle condizioni in cui la confusione e la follia avevano regnato, non era stata in grado di percepire il nuovo ma soltanto trovare conforto in quel che aveva precedentemente appreso; doveva sperare che l'uomo dinanzi a lei, ad un livello di insanità palesemente più alto del suo, annichilisse nella medesima condizione.
Con le mani tremanti, Emily portò il foulard al capo; cercò di legarlo ma gli spasmi muscolari le impedirono la breve riuscita. Avanzò di qualche passo pregando la Paura di farsi da parte, almeno per un momento, almeno per quell'istante.

Papà.
La voce risuonò più infantile e fragile di quel che aveva premeditato. Era debole e finalmente ciò segnava un punto a suo favore.
Sono venuta a trovarti. Torni con me? Se mi dai quel piccolo gessetto possiamo andarcene insieme.
Decise di parlare presto, non poteva permettersi di perdere il coraggio, non poteva permettersi di fallire a causa del Terrore.
Le mani, strette dietro la schiena ed intorno la bacchetta, affondarono le unghie nella carne; la litania di una Maledizione si ripeteva nella sua testa: ci stava provando ma al primo passo falso non avrebbe potuto fare altro che ucciderlo.
 
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Arya Von Eis
view post Posted on 24/2/2016, 02:59




Stava vivendo quell’incubo a metà, alternando la consapevolezza di se stessa e di ciò che stava facendo, a momenti in cui agiva cercando di estraniarsi completamente, cercando di non pensare, puntando solo e semplicemente a quell’unico obiettivo, uscire da quel luogo.
L’ennesimo tonfo, l’ennesimo corpo smembrato e lasciato cadere a terra, il rosa delle sue mani era impossibile da distinguere, completamente ricoperto dal sangue quasi nero di quelle creature e, in quel momento, quasi si lasciò cadere sulle ginocchia, non credeva più che sarebbe riuscita ad arrivare a una fine, non vedeva una fine, solo quell’orrore, il suo fisico poteva ancora farcela, ma lo stesso non poteva dire della sua mente, non avrebbe retto ancora a lungo, non avrebbe sopportato di farlo nuovamente, non senza uno scopo almeno, non se tutto doveva esser fine a se stesso e, guardandosi intorno, sembrava essere così.
Poteva sembrare assurdo e mai avrebbe ammesso con nessuno di essersi sentita in colpa mentre si difendeva, eppure era così, erano mostri, le avevano aggredite, ma aveva avvertito qualcosa, intravisto qualcosa nei loro occhi, forse semplicemente l’eco della loro umanità, ma era lì, c’era e per quanto si ripetesse che non poteva agire diversamente, non riusciva ad evitare di provar pena per loro.
Anche ora, mentre stringeva il piccolo pezzo di stoffa e osservava il corpicino di quella che, una volta, doveva essere solo una bambina, non poteva fare a meno di pensare che non l’avevano scelto loro, che erano solo vittime, un po’ come lei e la compagna e nuovamente si ritrovò a temere che, quella, sarebbe stata anche la loro fine, intrappolate lì insieme a loro, perdendo lentamente la loro umanità e tramutandosi in quei mostri dai quali stavano tentando di scappare.

*No* se una parte di lei voleva arrendersi e accettare quel destino, l’altra, sembrava trovare ancora la forza di opporsi *Muoviti, torna indietro, vai avanti, ma muoviti, reagisci, fai qualcosa, se ti arrendi è davvero la fine*
Fu in quel momento che decise, nuovamente, di seppellire quelle sensazioni, in realtà voleva tornare indietro, ma la compagna non sembrava dello stesso avviso, non aveva le forze per combattere anche contro di lei, così, semplicemente, acconsentì a quella follia, ma non intendeva indugiare oltre, qualsiasi fosse la direzione da prendere, dovevano farlo subito, prima che una delle due considerasse davvero l’idea di unirsi definitivamente a quella compagnia di dannati.
Proseguirono, cercò di non guardarsi troppo intorno, le scritte sulle pareti sembravano farsi più fitte e, man mano che avanzavano, un senso d’oppressione tentava di travolgerla, doveva evitare di lasciarsi condizionare da quel luogo, ma l’impresa pareva impossibile, le scritte, quel suono, quel ritmico e mai mutato tonk che le accompagnava fin dal primo passo in quelle gallerie, ora, sembrava farsi sempre più presente, sempre più chiaro, sempre più vicino, così come la sensazione di esser circondati dalla morte, quell’odore che le penetrava le narici, tutto sembrava indicar loro di star sprofondando sempre più nell’abisso.
D’un tratto arrestò il passo, incapace di proseguire, un uomo o ciò che di lui restava, dava loro le spalle, non sembrò accorgersi del loro arrivo, continuava...continuava a dondolare sbattendo ritmicamente la testa contro una tubatura...tonk tonk...e in quel momento realizzò che il suono macabro udito fino a quel momento altro non era che il cranio dell’uomo che cozzava contro il metallo.
Chi era? O cos’era? E perchè se ne stava lì? Sembrava diverso dagli altri, non le stava attaccando e, per quanto fosse difficile asserire con certezza che qualcosa di umano fosse sopravvissuto, sembrava meno cadavere degli altri.
Quella consapevolezza avrebbe potuto rincuorarla eppure, per qualche motivo, quella figura sembrava infonderle più insicurezza che altro.
Una cosa appariva però certa, che quella cosa fosse inutile o no, che potesse aiutarle o no, che volesse attaccarle o no, la strada sembrava averle condotte ad un punto morto, niente uscite, solo l’uomo e un muro.
Si voltò verso la compagna, forse sperando in una qualche idea brillante o, più semplicemente, per sincerarsi che fosse ancora lì, la trovò con lo sguardo rivolto verso il basso, qualcosa aveva catturato l’attenzione di lei, lo seguì, notando prima una bacchetta spezzata e, successivamente, il ritaglio di un giornale.
Si avvicinò per leggerle, ma arrivata alla fine, l’unica cosa che quell’articolo le aveva lasciato, era nuovamente il senso di sconforto già provato in precedenza, quel luogo, quelle persone, non erano vittime di chissà quale macabro scherzo, erano vittime della disperazione di un uomo, un uomo che, in preda al dolore, aveva deciso di condividerlo portando tutti con sé nell’abisso e, avrebbe aggiunto, sembrava esserci riuscito benissimo.
Tonk, tonk, riportò lo sguardo verso la figura poco distante da loro, era dunque lui l’unico supersite, quello mai ritrovato, l’artefice di tutto? Ecco perchè quella strana sensazione di insicurezza, si trovavano di fronte al mostro che aveva creato tutto quello, impossibile credere di potersi sentire tranquille, eppure, mentre lo guardava, ripensando a ciò che aveva appena letto, per quanto da una parte lo stesse odiando e il desiderio di saltargli alla gola fosse predominante, dall’altra, non poteva fare a meno di provar pena per lui, aveva perso sua figlia e quello lo aveva fatto impazzire.
Cercò nuovamente lo sguardo della compagna, realizzando che, anche lei, stava facendo lo stesso, osservò i suoi movimenti un po’ perplessa, cosa stava cercando di dirle? La vide stringere il pugno e indicargli quello dell’uomo, sussurrandole poi poche parole, non riusciva a capire, ma la seguì comunque e, osservando meglio, riuscì a notare il gessetto che teneva nella mano, tentò di concentrarsi, di capire perchè quell’affarino bianco fosse tanto importante, era forse impazzita anche lei? Aveva forse deciso di ridecorare le pareti dell’attrazione per renderla più adeguata come sua casa?
*Oh dai, concentrati* doveva per forza esserci un motivo.
Avevano un obiettivo, fin da quando erano entrate avevano sempre e solo avuto un unico obiettivo, uscire, dunque perchè quel gessetto sembrava essere tanto importante per la compagna?
*Disegnare una porta funziona solo nei cartoni babbani* ma in quel momento si ricordò un piccolo dettaglio, dettaglio che mai le sarebbe tornato in mente se non fosse stato per quell’ironia fuori luogo *Eppure c’ha fatto entrare* solo in quel momento ripensò a come tutto era cominciato, si trovavano alla stamberga strillante e... *Se non impari a metterti le mani in tasca* e Emily aveva posato la mano su una porzione di muro incorniciata da una linea bianca e da lì tutto era precipitato.
Okey, ora c’era, cioè, più o meno aveva capito il motivo che spingeva la caposcuola a pensare che quella potesse essere la soluzione ai loro problemi, ma, se anche fosse stato così, come intendeva sottrarlo all’uomo?
La risposta non si fece attendere, sentì la compagna sfiorarle il polso, tentando di sfilarle lo straccetto che ancora teneva in pugno, perplessa allentò la presa
*E’ una follia* una volta realizzato cosa volesse fare, una volta realizzato quello che per Emily sembrava ormai sicuro *Quella creatura era sua figlia* tentò di afferrarla per un braccio per bloccarla, ma era già troppo distante *E’ una follia* ma tutto era già in movimento, non poteva far altro che adeguarsi.
La osservò allontanarsi, mentre si faceva sempre più vicina all’uomo, avrebbe mentito a dire che, in quel momento, non fosse assolutamente pietrificata, era tutto in mano ad una folle intuizione, ad un folle piano e se non avesse funzionato?
Cercò di scrollarsi di dosso quella domanda, doveva crederci, doveva almeno provare ad avere un minimo di fiducia nella compagna, se non altro, doveva almeno ridestarsi da quel torpore per poter reagire nel caso ce ne fosse stato bisogno.
Strinse la mano destra sull’impugnatura della bacchetta, cercando sicurezza nella sua arma, ma lo sguardo cadde nuovamente su quella spezzata a terra, doveva essere quella dell’uomo, non poteva attaccarle, non magicamente almeno, così lasciò la presa sulla sua
*Un’ultima volta* se fosse stato necessario, avrebbe terminato così, come aveva iniziato, facendo affidamento sulla sua maledizione, se qualcosa fosse andato storto, semplicemente, gli avrebbe fatto fare la fine di sua figlia, anche se sperava di non dover arrivare a tanto.
Al momento, comunque, la priorità era un’altra, il gessetto, se Emily fosse riuscita a convincerlo, se l’uomo l’avesse lasciato, non avrebbe perso tempo, cercando di non attirare l’attenzione dell’artefice di quell’orrore, l’avrebbe raccolto o avrebbe atteso che la compagna glielo lanciasse e avrebbe tentato di realizzare quel folle piano, disegnando una porta sul muro e tentando di varcarla portandosi dietro anche Emily e l’uomo nel caso in cui non avesse opposto resistenza, in caso contrario, in un modo o nell’altro, semplicemente allontanandolo e scappando o, se necessario, ponendo fine alle sue sofferenze, si sarebbero sbarazzate di lui prima di procedere.
Per quanto folle, stava davvero iniziando ad aggrapparsi a quella speranza, per la prima volta da quando erano entrate, l’uscita non sembrava poi così lontana.

 
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view post Posted on 2/3/2016, 15:10
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Il Fato

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L'orrore della verità piombò loro addosso come una valanga da mille tonnellate, soffocandole ed imprigionandole. Quel misero, minuscolo pezzo di carta aveva chiarito l'oscenità di ciò che era stato compiuto in quello che sarebbe dovuto essere un mero parco divertimenti. Eppure il dolore di un padre possedeva una forza tale da distruggere decine di vite e trasformare, così, il sogno di una vita in un inferno in Terra.
A poco erano valsi i tentativi dell'uomo di riportare in vita la figlia esanime e tutto ciò che era riuscito a fare era sacrificare la sua stessa sanità mentale e le anime di quegli sventurati la cui unica colpa era stato il loro desiderio di evadere dalla quotidianità per una domenica soltanto.
Emily ed Arya, in un certo senso, avevano rischiato di condividere lo stesso destino: fuggite dalla monotonia del Castello, erano piombate lì, in quel luogo non richiesto e non voluto e fin dal primo istante avevano dovuto lottare con la spiacevole sensazione che le aveva attanagliate, rischiando di divenire nient'altro che due cadaveri tra i mille, perduti per sempre in un luogo maledetto.
Nonostante il terrore, fortunatamente, le menti delle due ragazze, disperatamente aggrappate alla Realtà e alla Speranza, riuscirono ad accantonare la paura per far fronte all'ennesimo, ultimo periglio.
Se quell'uomo era riuscito ad uccidere tutti i partecipanti al parco e creare un Inferius, di cosa sarebbe stato capace? I suoi poteri avrebbero potuto trascendere l'uso della bacchetta? La disperazione sarebbe arrivata al punto da esplodere ancora una volta?
Qualunque fosse stata la risposta, era chiaro che Emily ed Arya non avrebbero voluto saperlo, non se costrette almeno. Furbe, le due ragazze decisero di non attaccare per prime, preparandosi al peggio, ma tentando l'ultimo tentativo di un'idea tanto folle quanto probabile.
Fu la Caposcuola a generarla e, dunque, ad avanzare per prima: angosciata da ciò che stava per fare, le sue dita tremanti si portarono il foulard, un tempo vezzo di una bimba, al capo, senza riuscire tuttavia ad allacciarlo. La sua voce, il suo volto, le sue stesse forme minute cozzavano con quelle di una bambina, eppure l'uomo fermò la sua litania e il proprio corpo all'udire di una voce dolce, diversa. Un rantolo uscì dalle labbra rattrappite e, con penosa lentezza, il suo viso si girò, scrocchiando disgustosamente, e rivelando così un viso deformato dai colpi. Il naso non esisteva più, la cartilagine ammassata come una maschera strappata via. I bulbi oculari erano iniettati di sangue, incassati nelle orbite scure ed un piccolo rivolo di bava colava all'angolo della bocca: c'era poco e niente di un essere umano in quei lineamenti distorti da follia e decomposizione.
Eppure l'uomo guardò a lungo Emily, le pupille azzurre spiccavano su tutto quel cruore e si muovevano saettando in ogni parte del viso della ragazza, quasi non credesse ai propri occhi, cercando di riconoscere ciò che la sua mente aveva cercato per tanto tempo. Poi, un tic nervoso prese vita, facendo tremare le labbra marcescenti: il dubbio si insinuò palese, sfigurando ancor di più il suo viso, ma quando ciò che restava dei suoi occhi incrociarono il sottile foulard sul capo della fanciulla, il suo viso si rilassò e un lungo sospiro animò le sue labbra.
L'uomo gracchiò qualcosa, rivelando gengive prive di denti nella parte superiore, quasi essi fossero saltati via a furia di colpire la tubatura.
Con uno sforzo incredibile, l'uomo alzò la mano, piazzandola sul viso di Emily e stringendolo con forza.

« ...hhh...hr...hrr...rrrr....Ro..ss... »
Per un attimo il fiato mancò ai polmoni della fanciulla, il puzzo la colpì in pieno e proprio mentre i nervi tesi scattavano come molle, l'uomo lasciò la presa, risalendo sopra la sua fronte ed afferrando il foulard che scivolò via dai capelli arruffati della Serpina.
L'uomo, improvvisamente, cominciò a piangere affondando il viso nel misero e sudicio pezzo di stoffa, gracchiando parole senza senso, soffocate dai singhiozzi.
Il suo corpo cominciò a tremare come preda delle più volente convulsioni e d'un tratto il gessetto che teneva fra le dita cadde a terra.
Quel piccolo, infimo suono rombò nel tunnel come un potente tuono: le pareti si mossero, le acque si agitarono e l'uomo cominciò a tremare così forte che pezzi del suo corpo cominciarono a sbriciolarsi proprio come il soffitto sopra le loro teste, il cui intonaco cominciò a sfaldarsi: il Morning Child stava morendo e con lui il suo creatore.
Fu la rapidità di Arya a salvarle dal morir schiacciate in quel luogo: sarebbe stato il colmo, dopo tutta la fatica e gli orrori con cui le Serpeverde avevano dovuto far i conti.
La Prefetta, agile, si tuffò a recuperare il gessetto e i suoi occhi individuarono la prima parete libera, a circa cinquanta centimetri di distanza da quel che restava del corpo dell'uomo, ormai polvere e stoffa.
Con mani scosse dai tremiti, ma salde, disegnò sulla parete spesse ed irregolari linee a formare un quadrato grande abbastanza da permettere ai loro corpi di entrare.
Un piccolo bagliore e il gesso sembrò illuminarsi come crepe nella parete, aprendo una porticina sulla parete, coprendo un'intensa luce bianca che inglobò le due ragazze proprio mentre un muro si piegava su se stesso, ostruendo quell'entrata per sempre.


D'improvviso, come se niente fosse accaduto al di là della luce, Arya ed Emily si ritrovarono immerse nell'oscurità della Stamberga Strillante: il suo odore polveroso e umido, il silenzio e l'indefinibile sensazione di familiarità comunicò loro che l'avventura era terminata; voltandosi, avrebbero notato che le sottili linee in gesso del quadrato originale erano sbavate e la porticina era ormai diventata solida, insostituibile pietra.
Erano tornate a Casa, vive.






Emily C. RoseArya Von Eis
Ferite alla testa, collo, braccia e gambe.

PS: 92/116
PC: 56/66
PM: 57/67
Ferite alla testa, collo, gambe e torace.
PS: 91/111
PC: 59/61
PM: 61/61




Signorine, ce l'abbiamo fatto. AVETE TERMINATO.
Nonostante i tempi decisamente lunghi, la cui colpa va da ambo le parti, sono soddisfatto della vostra fantasia e della vostra tenacia dimostrata lungo il percorso. In particolar modo negli ultimi post ho notato un'iniziativa e una partecipazione più coinvolta di Emily. Per tanto attribuisco a
Emily C. Rose 2 Punti EXP 3 punti stats e a Arya Von Eis 1,5 Punti EXP 2 PS 2 PM 3 PC.
Andate con Deo a curarvi in Infermeria.


QUEST LIBERA

 
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view post Posted on 11/7/2018, 21:47
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entropia.

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»Anche la luce sembra morire nell'ombra incerta di un divenire, dove anche l'alba diventa sera e i volti sembrano teschi di cera.




Il crepitare della neve sotto la suola delle scarpe la indusse a chiudere gli occhi e a gettare il capo all’indietro. La brezza tagliente, dal folto della foresta alle sue spalle, s’insinuò tra le ciocche di capelli candidi e li smosse appena. Arrendevole, Nieve inspirò a pieni polmoni e storse il naso quando l’aria gelida di Dicembre le fendette il petto. Faceva male – solo un po’ ma abbastanza perché il messaggio nascosto nel vortice incostante di particelle riuscisse a svelarsi. Stava per arrivare, ancora. Aprì le palpebre, dunque fissò gli occhi chiari sulla lana impalpabile delle nuvole color fumo. Avrebbe nevicato, e abbondantemente, nelle prossime ore. Strato su strato, la coperta di bianco si sarebbe ispessita sul villaggio e i suoi dintorni: le orme, i profili, i suoni ne avrebbero accolto la discesa con condiscendenza e, inermi, le avrebbero concesso di cancellarli. Perfino i suoi pensieri parevano procedere più lentamente, rifletté.

Seduta sul masso che aveva fatto da teatro ai suoi pasti in solitaria negli ultimi anni, Nieve abbracciò il paesaggio con pacifico disinteresse. Aveva le labbra secche e arrossate dal freddo, pertanto era portata a inumidirle di frequente. Sorrise nell'osservare un passerotto mingherlino farsi via via più vicino: saltellava a poca distanza dai suoi stivaletti e beccava con ingordigia le poche briciole cadute sulla neve. Del toast che aveva consumato in religioso silenzio, non rimaneva che l’eco di un Evanesco pronunciato a mezza bocca ai danni dell’involto cartaceo. Una morsa di tenerezza le strinse lo stomaco nel notare la voracità alla quale procedeva l’uccellino. La visione della sé passata – zigomi pronunciati, occhi affamati, vestita di luridi cenci– la spinse a stringere inconsapevolmente la presa sull’elsa della bacchetta. Distolse lo sguardo e tirò su col naso, turbata da una visione che le provocava disagio e pena in egual misura. Quindi, estrasse dalla tasca interna del mantello scurissimo il muffin ai cereali che aveva prelevato a colazione. Si chinò in avanti e ne sbriciolò una porzione. Era una missione perduta in partenza, quella di nutrire la Nieve di sei anni attraverso quel gesto, eppure vi pose la stessa solerzia che avrebbe impiegato per prendersi cura di Ania. "Mangia", avrebbe voluto dirsi, "e ti prometto che stasera dormirai. Andrà tutto bene…"

Asciugò il rigagnolo di sale tracciato da una lacrima, prima di alzarsi e costringersi a compiere qualche passo. Strette attorno allo steccato logoro, le mani trasmisero al legno la portata dell’inquietudine che si trascinava dietro da settimane. Era arrabbiata, sempre! A passi lenti, intraprese il percorso che l’avrebbe condotta alla Stamberga Strillante. Sulla collina, la vecchia dimora si stagliava tetra contro l’orizzonte. Nonostante fosse una persona d’indole curiosa e il suo impiego a Hogsmeade l’avesse condotta spesso a rintanarsi in quelle zone al limitare della foresta, Nieve aveva consapevolmente rifuggito il confronto con l'abitazione arroccata. In un anfratto della sua mente, a farle da monito, s’agitavano ancora i ricordi della gita con Amber. Mentre calpestava il pavimento di neve intonsa, rammentò i dettagli che avevano conservato vivida l’immagine dell’uomo nella sua memoria: l’animo inquieto, i modi febbrili e la smania oscura degli occhi liquidi. Un ghigno le incurvò le labbra, mentre faceva ingresso nell’edificio, carponi. La possibilità d’incontrare quell’oscura figura la spaventava ben più delle storie che circolavano sulla casa. L’aspetto rovinoso, del resto, le era indifferente. A suo tempo, con Ỳma, aveva condiviso una catapecchia che avrebbe fatto rabbrividire la stessa Stamberga, privandola della nomea che la rendeva tanto spaventosa.


«Lumos,» sussurrò a bacchetta sguainata, prima di dedicarsi allo spolvero del mantello. Solo quando si ritenne soddisfatta, procedette a una prima esplorazione visiva dell’ingresso. Diede una scrollata di spalle e si lasciò scappare un commento a voce alta, come spesso le capitava di fare per deformazione esistenziale: da piccina, non avendo nessuno con cui giocare, aveva trascorso i pomeriggi in compagnia delle più svariate figure immaginarie. Il tempo le aveva dato degli amici e la maturità lo stimolo a confrontarsi con loro, ma né l’uno né l’altra erano riusciti a scardinare quell’abitudine. «E non sei neppure stata vittima di un incendio,» fece, rivolta alla casa. Non accennò al fatto che Ỳma avesse trovato la morte tra le mura del bugigattolo della sua infanzia, avvinta dalle fiamme. «Non reggi il confronto, decisamente.»

Aveva appena asceso il primo gradino – il legno si era piegato in un tripudio di scricchiolii sotto il suo peso, quasi a farle da monito – quando posò lo sguardo sulla parete alla destra della scala. Una macchia di muffa s’inerpicava lungo la carta da parati, mezzo scrostata, su fino al pianerottolo successivo. Con la bacchetta alzata, Nieve tornò a voltarsi verso l’ingresso e inclinò il capo. Un dettaglio, sfuggito alla sua indagine, ne richiamò l'attenzione, dunque tornò indietro per posizionarsi dirimpetto al muro. Gli occhi percorsero la linea spessa tracciata dal gessetto, sicché le scappò una breve risata. C’era un non so che di bizzarro nel fatto che avessero deciso di incorniciare – pur grossolanamente – l’impronta fungina creata dall’umidità e dall’incuria; denotava, se non altro, un gusto discutibile in fatto d'arte. Scosse il capo con espressione divertita, chiedendosi chi fosse l’artista cui era imputabile quella creazione, quando un rumore secco e, insieme, soffuso la costrinse a indugiare. Per la prima volta da che aveva messo piede nella Stamberga, all’erta, Nieve ispezionò l’ambiente in cui si trovava. Il suono si ripeté a poca distanza dal precedente, mentre dava le spalle alla cornice. Un brivido le percorse la schiena, spingendola a voltarsi di soprassalto. Con un vissuto diverso, i suoi passi non avrebbero esitato a tracciare il percorso verso la stanza adiacente, oltrepassando l’arco che rompeva la netta consistenza della parete. L’esperienza vissuta in Sala Comune al primo anno, invece, le fornì una chiave di lettura diversa. A fronte aggrottata, Nieve compì un altro passo in avanti e accostò la macchia. La mano sinistra si librò a mezz’aria e lì rimase. Trasalì di spavento nel momento in cui un battito forsennato di ali le impose di guardare nella direzione in cui stava la finestra adiacente la porta. Attraverso le tegole che ne sbarravano il perimetro, si era insinuato un passerotto. Le si fece vicino, depositandosi sul fusto del catalizzatore.

«Dici che dovrei fermarmi finché sono in tempo?» gli chiese, attenta a non fare movimenti bruschi nel timore di spaventarlo. Guardandosi intorno, Nieve non poté fare a meno di interrogarsi: sarebbe riuscito a trovare la via d’uscita da quel luogo desolato? Era in procinto di condurlo alla porta con l'intenzione di facilitarlo, quando l’uccellino prese il volo in direzione del piano superiore. Nieve si limitò ad osservare il punto in cui era sparito. Infine aggiunse: «Tu hai fatto la tua scelta. Io faccio la mia.»

Pose la mano sinistra al centro della cornice e spinse.


PUNTI STATS
Punti salute: 157
Punti corpo: 123
Punti mana: 135
Punti esperienza: 13.5

INVENTARIO
Bacchetta (+ pietra);
Vestiario e normale mantello nero;
Ciondolo della Scaglia di Drago;
Anello dell’Eroe;
Anello del Coraggio;
Anello gemello (Thalia Moran);
Muffin ai cereali;
Sacchetto con pochi galeoni;

 
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view post Posted on 27/9/2018, 15:55
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Il Fato

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Ogni tanto il mondo manda dei segnali e sta solo a noi decidere se ascoltarli oppure no. Quel passerotto, che l’aveva seguita nella stamberga probabilmente in cerca di riparo dalla rigida stagione, era il monito che il destino aveva sbattuto in faccia a Nieve di non oltrepassare quella porta disegnata sul muro. Sarebbe stato meglio per la ragazza di seguirlo al piano superiore, chinarsi a terra e continuare a regalargli briciole di pane, passare del tempo in sua compagnia continuando a cercare una cura per se stessa, invece scelse una via diversa, un incognita che l’avrebbe portata verso un orrore che ancora non sapeva possibile.
Quando il palmo di lei tocco la parete, quella che doveva essere un’ammuffita carta di parati divenne ruvido legno sotto la sua pelle e un odore di bosco, di terra bagnata e nebbia fetida, di foglie marce e ammuffite le riempì all’istante le narici, mentre un freddo umido, ben lontano da quello silente e rassicurante della neve, si infilò sotto gli strati di vestiti attaccandosi alle ossa senza più andarsene e regalandole un lungo brivido freddo. La punta della bacchetta rischiarava a malapena l’area circostante ma spostando lo sguardo tutto attorno non ci avrebbe messo molto a capire che si trovava dentro un mastodontico albero cavo e che del passaggio che l’aveva portata li, non vi era più traccia. Avrebbe visto anche i fili argentati di diverse ragnatele ma dei padroni di quelle trame assassine non sembrava esserci traccia anche se i loro mille occhi luminescenti, s’irradiavano di luce ad ogni movimento della bacchetta. Sembravano osservarla, attenti e curiosi come questo fato beffardo in attesa di una sua mossa.
A un paio di metri da lei un varco stretto e basso emanava una tenue luce, per passarci attraverso avrebbe dovuto chinarsi o trovare soluzioni alternative se non aveva voglia di sporcarsi gli abiti di terra e foglie morte.
In lontananza o forse solo ovattato dal tronco che la circondava, sembrava esserci un gracidare di viscide rane, ma a quello avrebbe pensato poi. Ora doveva scegliere se stare li dentro in compagnia di ragni curiosi in attesa che qualcuno la venisse a cercare o uscire da lì.


roC5msu






Durante il proseguimento della quest oltre al tuo inventario te ne verrà consegnato anche uno provvisorio in caso tu abbia intenzione di raccogliere oggetti. Per qualsiasi cosa sono disponibile via mp. Buon orrore.

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»Anche la luce sembra morire nell'ombra incerta di un divenire, dove anche l'alba diventa sera e i volti sembrano teschi di cera.




Premette le ciglia tra loro, a palpebre serrate. L’improvviso cambio di ambientazione, generato dalla magia, l’aveva indotta a provare a una sensazione di inspiegabile disagio che si era tradotta in una compressione delle spalle, un vuoto all'altezza dello stomaco e un impercettibile spostamento d’aria. Poi, d’un tratto, un incessante gracidare.
Nieve schiuse occhi e bocca insieme, concedendosi una lunga inspirazione. I suoi sensi erano ancora ostinatamente votati al disorientamento. Era accaduto tutto in modo così brusco che abituarsi le costò uno sforzo di volontà non indifferente. Sospirò, ancora immobile, scrutando con attenzione le venature di un legno che pareva morto, o in procinto di morire. Allora, istintivamente sollecitò la superficie coi polpastrelli nel tentativo di saggiarne lo spessore. Quando allontanò il palmo dalla parete dell’albero cavo, Nieve si convinse che l’illusione in atto — determinata dalla muffa, dalla magia, forse dal freddo e dalla stanchezza — avrebbe fatto presto a dissiparsi in favore della catapecchia che dominava Hogsmeade. Invece, rimase esattamente dov’era. Fu la speranza a persuaderla a poggiare nuovamente la mano sul legno e a ripetere il gesto, certa che la magia potesse attivarsi all’inverso e restituirla alla realtà cui apparteneva; ma non ebbe fortuna neppure in quel caso.

«Maledizione!»

Si rese conto di aver commesso lo stesso errore del suo primo anno a Hogwarts: la differenza stava nel fatto che, allora, lo sbaglio fosse imputabile all’inesperienza; nel presente, invece, il capo d’imputazione portava la dicitura “stoltezza”. Si chiese se il meccanismo che l'aveva condotta nella pancia cava dell'albero non fosse il medesimo usato in Sala Comune. Nonostante le similitudini con l’esperienza passata, qualcosa le suggerì che il suo compito sarebbe stato ben più arduo che non aiutare una bambina a costruire un pupazzo di neve. Inspirò a occhi chiusi, dunque rabbrividì. Stupida, si disse. Sono una stupida.

Nieve strinse la bacchetta con forza, prima di dedicarsi a una rapida perlustrazione, un po’ com’era accaduto all’interno della Stamberga. Arricciò le labbra in un sorriso accennato, ricordando i pomeriggi di gioco trascorsi in Islanda: una volta, s’era infilata nell'apertura di un tronco di dimensioni più modeste e vi era rimasta per ore, immaginando che fosse la casa confortevole che aveva sempre desiderato; la fantasia e la fame le avevano giocato un tale scherzo che, a un certo punto, si era convinta di aver sentito il crepitio delle fiamme nel camino.
La differenza con l’arbusto del suo passato emerse subitaneamente, quando Nieve prese coscienza della moltitudine di occhi fissa su di lei. La punta della bacchetta incontrò la resistenza di una ragnatela più bassa delle altre, quindi agitò appena il polso per liberarla. Non temeva i ragni, chiaramente. La sua infanzia era costellata di una solitudine che solo gli animali erano stati in grado di riempire a modo loro: che si trattasse di un insetto, di una rana, di un pesce di passaggio sul pelo dell’acqua, di un uccelletto ovvero, come in quel caso, di un ragno, poco importava. Nieve avrebbe saputo sfruttare l’occasione per farsi un nuovo amico.

«Buonasera,» fece con voce cordiale, sghignazzando. Solo sul finire della risata, si sarebbe potuto intuire il nervosismo di fondo che intesseva le trame del suo stato d’animo. Quel luogo e il freddo denso che lo popolava la inducevano a temere qualsiasi movimento e, per converso, ogni genere di stasi prolungata. Scorse l’apertura nel tronco. Stante il fatto che i precedenti tentativi non fossero bastati a riportarla alla Stamberga, convenne di non avere molte alternative. Tornò a rivolgersi al pubblico aracneo: «Scusatemi per la brutale invasione! Sono sempre stata una pessima ospite.» Parlò loro con la disinvoltura che si usa nel fare qualcosa di solito. E, invero, Nieve conservava ancora l’abitudine di comunicare con oggetti e animali, benché il tempo le avesse offerto l’occasione di coltivare più di un rapporto umano. «Tolgo subito il disturbo,» proseguì, accennando un inchino e avviandosi in direzione dell’apertura nel legno. Era china sulle ginocchia e i palmi poggiavano sul terreno, quando si congedò. «Buonanotte e grazie!»

Il fatto che avesse la bacchetta stretta tra i denti non depose a favore di una buona pronuncia, ma Nieve si convinse di essere stata comprensibile. A quel punto, avanzò.


PUNTI STATS
Punti salute: 157
Punti corpo: 123
Punti mana: 135
Punti esperienza: 13.5

ABILITÀ
Metamorfomagus Inesperto

INVENTARIO
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INVENTARIO PROVVISORIO
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Mi scuso per il ritardo, Master, ma conto di procedere in modo puntuale da ora in poi, così da recuperare il tempo perduto. Avviso di aver aggiunto — più per scrupolo che per altro — l’abilità di Metamorfomagus nella parte del post dedicata alle info tecniche su Nieve.

N.B. Benché non usi il condizionale, va da sé che rimetto comunque l’esito di qualsiasi azione alle tue indicazioni.

N.S(uper).B. Modifica concessa dal Master.


Edited by ~ Nieve Rigos - 17/10/2018, 18:27
 
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Il Fato

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Nieve Rigos non era certamente una studentessa qualunque, aveva raggiunto la carica da prefetto nel breve giro di qualche anno, dimostrandosi audace, curiosa e brillante. Eppure era bizzarra e non era per quella lucina che le brillava negli occhi, capaci di cambiare colore di tanto in tanto, non era nemmeno per quella figura sottile che il quidditch aveva iniziato a plasmare era proprio per la sua essenza, quell’essenza che la portava a parlare con animali che probabilmente, una buona parte delle persone sulla terra, avrebbero spiaccicato senza pensarci due volte. Invece lei se ne stava li, tra le ragnatele e i loro abitanti, parlando con loro come se fossero capaci di capirla, apparentemente incurante di quel aracnide di modeste dimensioni che raggiunto il mantello ad altezza della spalla sinistra, aveva deciso di infilarsi sotto di esso e perlustrare che tipo di biancheria avesse la ragazza, senza che questa, complice il buio e la grazia dell’avventore, si accorgesse di nulla. Il resto dei ragni rimase immobile ad osservarla, nessun filo argentato venne levato contro di lei anche se Nieve, si trovò una buona dose di ragnatele attaccate ai vestiti, ai capelli e alla bacchetta che teneva alta. Salutati gli amabili amici ad otto zampe la grifondoro fece l’unica scelta sensata se voleva uscire da lì, ovvero quella di infilarsi la bacchetta tra i denti, nemmeno fosse il più temibile dei pirati, e strisciare lungo il cunicolo, tra foglie morte e fanghiglia, lordando le vesti quanto bastava per farla felice. Fuori da quel rifugio sicuro il silenzio irreale era rotto solo dal gracidare delle rane, incessante e continuo. Nessun altro animale pareva abitare quel luogo, nessun segno di vita attorno a lei se non per gli aracnidi che dimoravano nel tronco cavo. Non vi erano tracce di alcunché sul fango e sulle foglie umide che scricchiolavano viscide sotto i suoi piedi, levando un olezzo di muffa e marciume. L’ambiente per ora non sembrava minaccioso e si poteva osservare attorno senza problemi. Una luce eterea, per via della nebbia capace di infilarsi tra i vestiti umidi, illuminava il luogo. Nieve non sarebbe stata in gradi di orientarsi in un qualche modo se non ricorrendo all’utilizzo della magia, e nemmeno capace di capire che ore potevano essere. Era forse mattino in quella foresta nuda e spoglia? O forse si stava avvicinando la notte, con le sue ombre e i suoi abitanti? Non poteva essere sicura di nulla se non del fatto che doveva proseguire. Alcun sentiero sembrava aprirsi davanti a se e nemmeno a destra o a sinistra o dietro all’albero cavo da cui era uscita ma innanzi a lei, in mezzo alla monotonia degli alberi, due apparivano intrecciare i loro rami, quasi come a creare un volto indicando forse una direzione sensata. Eppure Nieve, memore delle sue precedenti esperienze sapeva che il destino poteva averle preparato qualche tiro mancino e che forse non era quella la strada giusta da seguire. Doveva scegliere che percorso fare, per dove proseguire, ma mentre sceglieva, non dimentichiamo che quel ragno che prima era sceso per farle compagnia, ora lo poteva avvertire solleticarle il collo, scivolare con tutta la dolcezza delle sue otto zampe pelose verso gli indumenti più nascosti.


N6i42fi







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»Anche la luce sembra morire nell'ombra incerta di un divenire, dove anche l'alba diventa sera e i volti sembrano teschi di cera.




Passò le mani sul mantello per rimuovere i residui di fanghiglia e foglie; solo allora recuperò la bacchetta e assunse una posa che meglio si addiceva a una strega... o a una persona civile! Thalia le avrebbe rimproverato quello sfoggio di rozzezza, lanciandole uno sguardo di reprimenda che nelle sfumature affettuose avrebbe perso in autorità. Sarebbe morta di crepacuore, come minimo, se avesse saputo in quale guaio si era appena cacciata Nieve. Per un attimo, mentre si guardava attorno con circospezione e tratteneva a stento un sospiro, la Rigos desiderò averla al proprio fianco. Il rosso acceso dei capelli di Thalia avrebbe sfidato apertamente l’umidità lugubre dell’ambiente palustre e, nel contrasto, sarebbe apparso audace abbastanza da intimorire — o, quantomeno, allertare — possibili nemici circa la loro tempra. Lei, d’altro canto, con quella chioma risolutamente d’argento, viveva della stessa fragilità dei fuochi fatui. Almeno, si disse, sarebbe stato più semplice mimetizzarsi.

«Per tutte le aurore boreali!» Il sussurro le uscì in un’unica nuvoletta dalle labbra schiuse, che si muovevano appena. Deglutì. «Dove diavolo ci siamo cacciate, Niniska?!»

Setacciò le immediate vicinanze alla ricerca di eventuali pericoli, ma le fu concesso a stento il dono della visibilità. L’immagine dei boschi dei suoi ricordi d’infanzia le offrì uno strumento di paragone e, con essa, i tratti della Foresta Proibita che conservava in memoria. Chiuse gli occhi contro ogni forma di buonsenso e si impose la calma. Se c’era una dote che possedeva e sapeva di poter sfruttare, era l’originalità di un punto di vista altro. Quando li riaprì, perciò, sorrise: non aveva di fronte che un paesaggio naturale ammalato di un morbo che non conosceva. Appariva spaventoso, pericoloso, a tratti perfino minaccioso, ma era semplicemente diverso — come lei. Il pensiero, autoreferenziale quanto bastava a darle l’impressione di poter gestire sé stessa e l’ambientazione allo stesso modo, le diede conforto.
Si soffermò sull'albero per verificarne le fattezze esteriori o, se del caso, per individuare una minaccia. Quindi, mosse qualche passo. L’intenzione di Nieve era di circumnavigare il solo protagonista della zona e darsi a una rapida esplorazione dei dintorni più prossimi a fusto e radici. Qualsiasi riflessione circa il preciso momento della giornata in cui stesse avendo luogo l’avventura non giunse mai a sfiorare le sue meningi. Aveva già liquidato inconsciamente la questione con linearità: se a Hogsmeade era ora di pranzo, perché avrebbe dovuto essere diversamente lì?

«OoOoh,» fece d’un tratto, sbilanciata in avanti da un'estroflessione naturale piuttosto bitorzoluta. Recuperò l’equilibrio senza troppi problemi, prima di concedersi una constatazione: «Ma le rane dove sono, scusate?» Per chi possedeva la nettezza di pensiero della Rigos, non aveva il benché minimo senso essere circondata da un gracidare così insistente senza che le fosse stato dato di scorgere anche un solo esemplare della razza di riferimento. Cominciò a far schioccare le labbra in una sequenza di bacetti col proposito di richiamarne qualcuna. «Qui, ranucce! Sono qui... Mwah, mwah, mwah… Qui, ranucce, qui!»


Sollevò lo sguardo per indagare la foschia quando si accorse dell’intreccio di rami a pochi metri da lei. Allora Nieve, che si era leggermente ingobbita alla ricerca di ranocchie, tornò a ergersi in tutta la sua altezza. Inspirò ed espirò con lentezza, ora più lucida. Che si trattasse dell’improvviso bagno di ricordi connesso all’ambientazione o dei fumi del luogo, aveva perso di vista per un attimo la possibile gravità della situazione. La minaccia del pericolo investì i suoi sensi alla vista dell’arco che la fronteggiava dalla distanza, mentre la nomea della Stamberga Strillante tornava a ronzarle nelle orecchie a mo’ di monito. Non potevano essere tutte dicerie e Nieve, forse meglio di chiunque altro, aveva dalla sua la consapevolezza di quali e quante insidie potessero celarsi lungo il cammino della vita.
Focalizzò l’attenzione sulla bacchetta — la fece sorridere l’aspetto conferito al legno chiaro dalle ragnatele che non si era premurata di rimuovere —, espose il palmo della sinistra verso l’alto e fece per depositarvi il catalizzatore. L’incantesimo Guidami si era fatto spazio tra gli archivi della sua memoria di studentessa, chiedendole di essere utilizzato. Poco prima che potesse completare quella semplice operazione, una sensazione di prurito alla base del collo la spinse a fermarsi. Le dita della sinistra raggiunsero il punto dolente. Nieve afferrò l’autore del gioco di seduzione col giusto grado di fermezza e delicatezza, non volendo nuocergli, e se lo portò davanti agli occhi a una distanza di sicurezza.

«La prossima volta, chiedi prima di salirmi addosso. Non sarò una signorina perbene, ma nemmeno una con cui puoi fare i tuoi porci comodi così, amico.» Gli sorrise e rise di sé stessa. Poi, se lo posizionò in spalla. «Ma non ho mai rifiutato un po’ di buona compagnia… Semmai, gli altri hanno rifiutato la mia!» L’amarezza di quell’ultima rivelazione l’accompagnò mentre s'incamminava verso il groviglio di rami, dimentica del Guidami. Sentì il suolo di foglie e fango infermo sotto gli stivaletti. «Però, tieni le zampe al loro posto, intesi? Tutte quante, non fare scherzi!»


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Anche qui non uso condizionale — e non lo farò neppure in futuro —, ma le interazioni col ragno sono sempre soggette al tuo vaglio, Masterino.
 
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Se Nieve fosse stata in un qualche film d’animazione babbana, probabilmente avrebbe dovuto chiedere consiglio ai libri per trovare la strada migliore da seguire, quella che portava all’uscita, ma libri non vi erano, c’erano soltanto il gracidare incessante delle rane che ancora non si facevano vedere nonostante l’invito della giovane grifondoro. Dopo aver concentrato la sua attenzione sugli anfibi, la nostra etologa improvvisata prese a discutere con il ragno, che riuscì a stringere in modo delicato tra le dita. L’aracnide, una volta avvertita la morsa delle dita gentili, mosse le zampe davanti al naso della prefetta con fare frenetico e inarcato l’addome verso il suo volto, aprí le ghiandole, espellendo verso il viso di lei una sostanza appiccicosa, colpendole oltre a una porzione del naso, anche l’occhio sinistro, appicciando le palpebre una all’altra (-2PS, -2PM), La bestiola, speranzosa che Nieve non lo schiacciasse tra le dita, riprese ad agitarsi con foga, dimostrando con tutto il suo ardore quanto poco le piacesse essere afferrato così.

Fu in quel momento, che probabilmente in un altro luogo e in un altro tempo avrebbe scatenato ilarità, che dal profondo della foresta, come se fossero ricordi remoti di essa, si levò un respiro cavernoso e delle voci incomprensibili. Nonostante un occhio fosse momentaneamente fuori uso, fino a che la ragazza non vi avesse posto rimedio, l’altro era ancora sano e abile ad osservarsi attorno, anche se, non avrebbe scorto nulla. A parte i tronchi contorti, gli alberi spogli, le foglie secche che crepitavano agli aliti di vento che leggeri spiravano, nulla sembrava essere la fonte di quei suoni. Eppure non li aveva immaginati. Qualcosa dentro di lei le disse che erano reali, era un brivido freddo che correva sotto la pelle e il dubbio che non fosse sola, che vi era qualche forma di vita indecifrabile lì vicino la colse.



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Le scappò un’imprecazione a denti stretti — una di quelle che le sarebbe costata un paio di atti di contrizione agli occhi di Dio, insomma — quando la secrezione del ragno la colpì al volto.
Lasciò andare la bestiola, colpevole solo di aver assecondato il proprio istinto di fronte all’irruenza di una ragazzina scapestrata, e concesse all’esigenza che le imponeva di toccare la palpebra lesa di avere la meglio. Ne sfregò la superficie nel tentativo di eliminare i residui di veleno, o bava, o quello che diamine era. Soltanto in un secondo momento, la sfiorò l’idea di servirsi del mantello. Roteò il capo, allora, dimodoché l’occhio sano le consentisse di dare una rapida controllatina al capo d’abbigliamento e individuare una porzione sfuggita al fango e alle ragnatele. Poco dopo, stava frizionando entrambi i punti offesi con un lembo di tessuto apparentemente intatto.

«Ti pareva che non beccavo un ragno-lama,» borbottò, in parte adirata con sé stessa. Aveva sul viso la stessa espressione imbronciata che le capitava di sfoggiare quand’era bambina e un animale mostrava una certa refrattarietà a godere della sua compagnia. A discolpa delle creature, c’era da dire che a Nieve non sempre fosse stato riconducibile un atteggiamento rassicurante: se ne stava dietro un albero, o un cespuglio, o peggio ancora dietro le proprie mani a fissare con un occhio chiuso e l’altro aperto il malcapitato di turno; la speranza era che, tramite l’appostamento, capisse che non voleva attaccarlo ma solo essergli amica. Aveva realizzato molto più in là nel tempo di risultare più inquietante che non tenera o affidabile. «Curo Venénum,» esclamò, dopo aver impugnato la bacchetta e descritto col braccio un movimento da sinistra verso destra, al quale aveva fatto seguire l’esecuzione di un semicerchio in senso antiorario a favore della palpebra sinistra.

Era così presa dalle mansioni da infermiera che mancò di notare in un primo momento, ciò che stava accadendo intorno a lei. Con la lingua che fuoriusciva dalle labbra, aveva appena tentato di eseguire l’incantesimo, sperando che le fosse risparmiato il look da lupo di mare, quando i rantoli della foresta riuscirono a raggiungerla.
La pelle precedette l’udito di pochi frammenti di secondo, trasmettendo a Nieve una sensazione di disagio nelle forme di un brivido. Poi, fu il turno del suono. La ragazza alzò il capo di scatto. L’occhio sano mirava all'arco di rami che aveva attirato la sua attenzione in precedenza. Dimentica del ragno, Nieve trasalì.
Di foreste era costellata la sua vita in un modo che, spesso, le risultava impossibile spiegare. Gli alberi, gli spiazzi e le creature dei boschi d’Islanda erano stati una casa per Nieve di gran lunga migliore della catapecchia che aveva condiviso con la sua balia. E la Foresta Proibita, da un anno a quella parte, aveva lenito gli effetti dell’insonnia con la promessa dei Thestral ben più del calore familiare della Sala Comune Grifondoro.
Proprio per questa sua esperienza di lunga data, comprese di essere al cospetto di un paesaggio differente. Nel trovare un collegamento tra sé stessa e l’aspetto spaventoso della foresta, Nieve si era fornita la più efficace delle consolazioni: credeva fermamente di non aver nulla da temere, fintantoché la più grande minaccia che avesse avuto dal panorama erano rantoli e fantasiose sculture di legno intrecciate. Perché, allora, l’istinto aveva cominciato a metterla così prepotentemente in guardia?

«Sei viva…» sussurrò all’indirizzo della boscaglia, dopo aver disteso le dita della mano sinistra e riposto il catalizzatore sul palmo. «Guidami,» sentenziò, il respiro appena più irregolare.


PUNTI STATS
Punti salute: 155/157
Punti corpo: 123/123
Punti mana: 133/135
Punti esperienza: 13.5

ABILITÀ
Metamorfomagus Inesperto

INVENTARIO
Bacchetta (+ pietra);
Vestiario e normale mantello nero;
Ciondolo della Scaglia di Drago;
Anello dell’Eroe;
Anello del Coraggio;
Anello gemello (Thalia Moran);
Muffin ai cereali;
Sacchetto con pochi galeoni;

INVENTARIO PROVVISORIO
//



Ho supposto che l'ultima parte del dialogo col ragno non fosse mai avvenuta, quindi neppure l'abbandono della strategia del Guidami.
 
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view post Posted on 6/12/2018, 19:52
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Portare la mano e stropicciarsi l’occhio leso non fu una scelta saggia, il filo di ragnatela sputato dall’addome del ragno sembrava rattrappirsi ancora di più attorno alle ciglia ad ogni rotazione delle dita e la scelta conseguente, quella di portarci il mantello che era da poco stato trascinato per terra, andò solo a peggiorare le cose. L’occhio difatti, non venne pulito, la seta venne spalmata ancora meglio, raccogliendo lanugine e polvere, arrossando quindi il bulbo oculare e provocando un fastidio non indifferente alla ragazza, lo sentiva infatti pulsare, come se il cuore avesse cambiato dominio e deciso di abitarle dentro il cranio (-2 PC). Quanto poi Nieve andò a compiere fu una scelta sensata ma inutile, il ragno non era velenoso e anche se l’incantesimo si palesò con un bagliore rinvigorente, non vi fu alcun veleno da debellare o salute da donare. Mentre la spensierata grifondoro continuava a compiere le sue mansioni da crocerossina, la foresta attorno a lei continuava a palesare la sua essenza, con la nebbia che quasi sembrava apparire più fitta e la luce, che si faceva più torbida, arrossata, come se un tramonto lontano lanciasse i suoi primi barbagli. Nel giro di poche ora sarebbe forse giunta notte e le ombre che si rincorrevano di pari passo all’avanzare di Nieve, si sarebbero palesate tutte assieme, stendendo le lunghe dita su di lei, ghermendola in un abbraccio senza fine. Spinta dall’ambiente che la circondava, decise di scagliare un incantesimo che fece il suo effetto. Una pallina rossa, venne espulsa rapidamente dalla sommità della bacchetta e dopo aver compiuto una rotazione attorno alla giovane, andò a sostare nel lato opposto agli alberi intrecciati, limitandosi ad indicare dove fosse il Nord. Una magra consolazione per colei che forse sperava di trovare una strada e una via verso la libertà. Quel “Guidami”, esploso dalla bacchetta in maniera sana e consenziente, sembrò confondere maggiormente le cose palesando alla ragazza l’unica cosa concreta di tutta la faccenda: si era persa. Era lontana da Hogwarts e dai suoi affetti, in un luogo che non aveva mai visto prima, circondata da ombre, da una foresta capace di vivere e respirare e inoltre era sola. La solitudine non era qualcosa che in altre occasioni avrebbe turbato la ragazza ma quel giorno, l’aura funesta della foresta e una presa di coscienza maggiore sembrò agire sul suo animo, incrinandolo quanto bastava per farla vacillare. Ma qualcosa decise di venire in suo aiuto. Sopra il gracidare delle rane, i rumori dell’acqua di un possibile stagno, dei bisbigli che si rincorrevano tra gli alberi spogli, sopra ogni suono, vi fu il cinguettare di un fringuello. Posto proprio al di sopra dell’intreccio dei tronchi, attese quasi che lei lo notasse prima di spiccare il volo e superare quell’arco che una natura, o forse un fato beffardo, si erano divertiti a creare.



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»Anche la luce sembra morire nell'ombra incerta di un divenire, dove anche l'alba diventa sera e i volti sembrano teschi di cera.




Circa un anno prima, mese più mese meno, Nieve Rigos era stata sfiorata dall’idea di dedicarsi alla Medimagia. Intravisto il bando per aiuto-infermiere tra gli annunci in bacheca, l'aveva allettata non poco la prospettiva di vedere meglio legittimate le sue capatine al secondo piano: evitare le lezioni di Difesa, sfoggiando la qualifica di curatrice provetta oltreché di Prefetto, le avrebbe fornito una scusa a dir poco perfetta. Chiunque si fosse dedicato a un ruolo simile aveva o non aveva le migliori intenzioni, al punto da mettere il benessere altrui prima di qualsiasi altra cosa?! Peccato che il progetto non fosse sopravvissuto alla porzione di documento che elencava i requisiti minimi per prendere parte alle selezioni; requisiti che, per buona pace dei suoi entusiasmi più mariuoli, assolutamente non possedeva.
La serie di azioni compiute per rispondere all’attacco del ragno-lama le diede l’ultima conferma circa il fatto che il destino, ora come allora, stesse tentando di tenerla a debita distanza da quel particolare settore dello scibile magico.
Nieve realizzò di non aver mai provato un fastidio intenso come quello che stava sperimentando adesso che la ragnatela era incastrata tra palpebra e bulbo. Un gruppo di lacrime si assiepò sul bordo delle ciglia chiarissime, che facevano da contorno alla pelle arrossata, ma solo una ebbe l’ardire di staccarsi dal resto del gruppo. La Grifondoro la sentì percorrere lentamente il profilo del naso, seguire la curva appena pronunciata della narice e, infine, insinuarsi tra le labbra schiuse. Le papille gustative ne colsero l’impronta salina con non troppo entusiasmo.

Il bagliore dell’incantesimo la spinse a socchiudere l’occhio buono, ma non la risparmiò dal guaio nel quale la sua maldestrezza l’aveva cacciata. Mugugnò di scontento, mentre prendeva atto del proprio fallimento (l'ennesimo!) e un’altra lacrima seguiva la scia tracciata dalla precedente.

«Porco squalo,» imprecò, battendo le palpebre a un ritmo frenetico. Aveva smesso di frizionare la zona lesa, ma la tentazione di tornare a massaggiarla coi polpastrelli era così forte che si costrinse a conficcare le unghie nel palmo della mano. In un accesso d’ira, tirò un calcio al pavimento e grugnì. «E maledetta Stamberga, e maledetto passerotto, e maledetta… maledetta io

Come spesso accadeva quando l’insoddisfazione le provocava un moto d’odio verso sé stessa, Nieve accolse la familiare sensazione di costrizione alla base della gola che seguiva le sue reazioni più infantili. Avrebbe voluto piangere per quanto si sentiva sciocca e incapace!
E l’avrebbe sicuramente fatto, se il Guidami non avesse rinfrancato la sua autostima e dirottato la sua attenzione altrove. A fatica, si costrinse a seguire con l’occhio buono la scia tracciata dalla sfera di luce. Mosse qualche passo in quella direzione, dando le spalle all’arco di rami che esitava ancora a raggiungere. Ciò che vide — o, meglio, ciò che non vide — bastò a innervare di fragilità il suo animo scosso. Là dove levitava la scintilla espulsa dalla bacchetta, non c’era nulla che potesse aiutarla, nessuna via che brillasse per nettezza, o sicurezza. Hogsmeade, come Hogwarts, era più che lontana: era irraggiungibile.
Allora Nieve, che per molti versi era ancora nient’altro che una bambina, accostò il tronco cavo con la schiena, vi si lasciò scivolare contro e, raccolte le ginocchia al petto, nascose il viso tra le braccia. Benché stesse piangendo in religioso silenzio — con l’occhio sinistro che pulsava, quello destro che non osava sbirciare di nuovo la desolazione del paesaggio e le labbra schiuse che inspiravano in affanno l’aria stantia della palude —, finse di non cogliere la propria debolezza. Per quanto ne sapeva ed era disposta ad accettare, lei era ancora in posizione eretta e studiava l’ambiente con quel modo di fare beffardo che si conveniva alle personalità più brillanti della scuola. Quella versione inetta e rovinosa di sé non meritava di essere considerata esistente.
Alzò il capo di scatto sulla scia di un mezzo singulto. Aveva le guance rigate di pianto, quando scorse i contorni del fringuello il cui verso si era levato sopra il gracidare delle rane fantasma. Nieve tirò su col naso mentre una lacrima — pesante, rotonda, fiera della propria mole — si lanciava in picchiata dal punto più sporgente dello zigomo e si schiantava sul grembo della ragazza senza nemmeno sfiorarle la mascella.
Meno di un minuto dopo, la Rigos si era alzata e stava correndo per raggiungere l’arco di legno.


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Il fringuello venne presto perso dalla vista ma aveva adempiuto al suo compito e illuminato la strada alla fanciulla che, tra una ragnatela e un po’ di sconforto, sembrava avere la mala sorte dalla sua. Non ci volle molto a raggiungere l’arco a Nieve, era distante solo una decina di passi, eppure, appena varcato, andò a notare qualcosa che prima, forse per via della nebbia che aveva iniziato a sollevarsi dalla terra umida o a causa della flora, era rimasto celato: un sentiero. Non era molto visibile, le foglie e gli arbusti che vi crescevano accanto lo rendevano sottile, ma c’era, e il fatto che i fili d’erba erano mozzati e schiacciati, stavano a significare che era stato percorso da qualcosa o da qualcuno in un tempo non troppo remoto. Il gracidare delle rane si fece più vicino, accompagnato anche da uno sciabordio che le ricordava dell’acqua. Se vi era acqua, avrebbe finalmente potuto porre rimedio alla ragnatela che, nonostante le lacrime, ancora le irritava l’occhio, invalidandole, almeno per il momento, la vista.


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«Vai! Entra, Nieve! Muoviti!» Una spinta sgarbata sulle spalle le costò quasi l’equilibrio, mentre resisteva alle pressioni di chi mirava a relegarla in ciò che rimaneva di una casa abbandonata. «Forza,» le intimò Ívan.
«Non voglio, non voglio. Vi prego!» La supplica si espresse in un piagnucolio. Lacrime grosse, pesanti le rigavano le guance smunte e il cuore batteva così forte contro il costato indebolito dall’inedia da far male. Era terrorizzata! «Peffavore, ho paura,» squittì Nieve, tirando su col naso.
«Non puoi avere paura. Vivi con quella vecchia strega di Ỳma in un tugurio…» Dal modo in cui Andrés pose l’accento sull’ultima parola, fu subito evidente che l’avesse sentita pronunciare a un adulto e fosse fiero di averla assimilata al punto da poterla sfoggiare. «Questa, in confronto, è una reggia per te. Avanti!»
Con un ultimo sforzo combinato, Nieve venne scaraventata oltre la soglia di un casolare in disuso da tempo. Si lasciò cadere sulle ginocchia con le braccia strette attorno al corpo, sfinita, e osservò la porta chiudersi davanti ai suoi occhi arrossati. Sentì Ívan e Andrés trafficare oltre la barriera creata dalle assi logore e capì che si stessero assicurando di impedirle l’uscita. Cominciò a tremare, al buio.
«Peffavore… Peffavore… Ho paura…» Le rispose una risatina soddisfatta. Infine, fu il tempo di un rumore di passi in allontanamento. L’avevano lasciata sola. «Mamma…»


La sua corsa durò meno del supposto. Distratta dal problema agli occhi, Nieve perse di vista il volatile che aveva appena oltrepassato l’arco e si era immessa nella vegetazione lugubre. Proprio in quel momento, si lasciò vincere dalla tentazione e portò la mano al volto: i polpastrelli insistettero sulla palpebra alla ricerca della ragnatela, disperatamente. Era un bene, pensò con un certo scontento mentre contravveniva alle regole del buonsenso, che il pianto di poco prima avesse reso battuto il terreno delle sue guance per le lacrime che avevano da venire, sollecitate dalla presenza del corpo estraneo. Era così disturbata dalla sensazione di fastidio che non si avvide del parallelismo con la strada che aveva davanti — battuta a sua volte — né della strada in sé.

«Dio mio!» Sarebbe stato difficile determinare se la frase avesse più dell’invocazione o dell’imprecazione. «Mi sembra di impazzire!»

Distanziare mani e volto le richiese uno sforzo di volontà non da poco. Avrebbe voluto insistere sulla carne molle finché non avesse ottenuto il risultato di scacciare la ragnatela. Ed era talmente esasperata che, se riuscirci avesse richiesto l’intero occhio in tributo, lo avrebbe reso senza troppe rimostranze. Orfana, bruttina e guercia! C’era una certa qual simmetria nell’immagine di sé che le restituì quella descrizione. Quantomeno, avrebbe potuto puntare sul carattere… no?! Aveva desistito solo quando il pensiero più spaventoso che l’avesse raggiunta da che era giunta in quello strambo luogo si era fatto spazio tra i suoi timori: *E se non potessi più giocare a Quidditch?!*
Allora, ebbe modo di avvedersi dei cambiamenti che erano intervenuti tutto intorno a lei. La colpì da subito l’intensità accresciuta del gracidare di sottofondo. Involontariamente si era avvicinata alla sorgente di quel suono proprio nel momento in cui aveva smesso di importarle. Si chiese che senso avesse cercare i ragni le rane e quale risultato avrebbe potuto ottenere, se mai le avesse trovate. Rise quando la sua mente le servì una considerazione che, pur caustica, attingeva ad un fondo di verità non da poco: se fosse stata una principessa, avrebbe potuto sperare di baciare ogni anfibio finché non ne avesse trasformato uno in principe per ottenerne l’aiuto; ma, poiché era nient’altro che un’orfana senza arte né parte, era ben più probabile che si beccasse un altro sputo nel solo occhio buono che le fosse rimasto. Doveva essere un altro dei suoi fetish, considerò ripensando all’esperienza con Vagnard sul campo di Quidditch, come il fatto che avesse una certa predisposizione per i Serpeverde… O i Serpeverde ne avessero una per lei!
Si mosse nella direzione in cui si snodava il sentiero, la bacchetta stretta tra le dita.


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