«Ampliate la mente.»Una stanza come una saletta da tè, un tavolino vestito di candido tessuto in pizzo, l'effluvio di lavanda, biancospino e incenso in infusione da un punto all'altro; il tepore di una stagione sospesa tra i tempi, né estate né inverno, né primavera né autunno: una sensazione pacata, l'invito ad un sonno armonioso, a dispetto di ogni altra tensione. Le narici in principio pizzicavano leggermente, le ciglia fremevano al battito lento delle palpebre e perfino lo schienale più scomodo delle sedie in legno diveniva monito per poggiarvi la testa e lasciarsi andare, senza più pensieri; con l'esperienza, e con la pratica più necessaria, l'Aula di Divinazione poteva rivelarsi alla giusta attenzione e ogni suo dettaglio, tra le strette pareti, assumeva valore prezioso.
«Proiettatevi nel Futuro, l'Occhio Interiore...»«Psst, Olli.» Accanto a sé, proprio mentre l'Insegnante riprendeva le sue battute, Oliver si sentì chiamare; cercò di ignorare ogni disturbo, volontariamente. Sebbene il suo sguardo non fosse rivolto alla Docente, ogni parte di sé era in sintonia perfetta; Divinazione non era soltanto una disciplina scolastica, non per lui, e il prezzo e il peso di ogni argomento ponevano fondamenta in una visione d'insieme molto più estesa. Penny, tuttavia, non era della stessa idea.
«Olli, ti prego, dimmi cosa c'è nella mia tazza.»Un battito di ciglia, l'intenzione - per il Caposcuola - di far finta di non aver sentito, affatto. Quando l'Insegnante cominciò a girare per i tavolini, le prime domande traboccarono come goccioline di acquaviola, e il sospiro che coinvolse tutta la stanza diede prova di come perfino gli studenti più disattenti e distratti fossero ormai all'erta. Prima o poi, Oliver lo sapeva, la Professoressa sarebbe arrivata anche da loro, là dove lui e il suo compagno sedevano vicini. Penny non riuscì a demordere e tentò prima con un calcio sotto il banco e poi con una leggera spinta all'avambraccio. Nel frattempo, l'Insegnante era ormai a pochi passi.
«Oliver, dannazione, dimmi solo una figura-»Sollevò appena la mano sinistra, l'indice soltanto; un monito ferreo, un comando diretto. Non una parola di più, chiariva, e tuttavia sapeva quanto Penny non fosse in torto. Sul suo tavolino, sul fazzoletto indaco ben ricamato, c'era in effetti una tazza di porcellana bianca - un esercizio, quello, che aveva già compiuto alla prima lezione e che l'Insegnante sembrava voler ripristinare ancora una volta, prima di procedere con il programma; il tè era tuttavia intatto, per giunta si stava raffreddando. Da parte propria, Oliver non ne sembrava troppo preoccupato, e concentrava la sua attenzione su un altro elemento, appena accanto. Soppesava lo sguardo in avanti, là dove era stata sistemata una sfera di cristallo: al suo interno, era un continuo espandersi di volute di fumo perlaceo. C'era un ordine che il Veggente non afferrava, non del tutto.
«Che poi, Oliver, quella roba si studia al settimo anno.»Il commento di Penny giunse di nuovo come eco lontana.
Per nulla interdetto, sebbene già più stizzito dell'attimo prima, il Caposcuola invano si affidò alla lettura delle foglie di tè e al profumo di mirtilli della bevanda, tornò invece sulla sfera. Passò la mano libera, quella destra, sulla superficie del Cristallo - rinnegò ogni contatto, apparve come una carezza dall'alto,
leggera.
La bocca si dischiuse in un tacito sussurro, e lesto mutò in singulto. Penny, dal canto proprio, cominciava ad apparire ancor più a disagio e stava avvampando, spostandosi sulla sedia come a trattenersi dal desiderio di saltare in piedi e scappare via. Con la coda dell'occhio, e con l'indice tuttora sospeso verso l'altro, Oliver si accorse di come l'amico stesse tentando ogni via - la lettura delle tazze di tè era prassi facile, ma Penny non aveva dimestichezza con il mistico rassegnarsi del tempo né, soprattutto, aveva pazienza. Era quella la chiave vincente.
«Brior, giuro su Godric.» La rabbia, la minaccia, l'assalto - il tentativo lasciò sbocciare un sorriso a fior di labbra, in Oliver.
«Fallo per me.»Abbassò la mano e alla fine si rassegnò; rivolse lo sguardo alla tazza di porcellana dell'altro, vuota e con i classici resti di foglie e petali sul fondo, a differenza di quella di Oliver. Si sporse leggermente, reclinò appena il capo, e l'istante successivo forme e trame si rivelarono alla Vista.
«Spighe di grano, rinascita.» Socchiuse gli occhi, continuando.
«Cerchio, successo in arrivo.» Percepiva la tensione del compagno, le sue mani che giravano una pagina dopo l'altra del manuale di Divinazione sul banco, alla ricerca di un maggiore filo conduttore di quei simboli pronunciati. Ad un tavolino di distanza, l'Insegnante interrogava altri.
«Spighe, come dannazione trovi delle spighe nella tazza-»«Serpeggia, Penny.» Oliver lo interruppe, indicando il contenuto della porcellana e quello che ai suoi occhi si delineava nitidamente come una spirale in moto ondeggiante, dal principio alla fine, da sinistra verso destra, così costante.
«Serpente, invidia e pericolo. È così chiaro.» Un sospiro trattenuto, lo sguardo confuso dell'amico; indicò la sfera di Oliver e borbottò velocemente.
«Chiarissimo, Brior. Oh guarda, a te sembra un albero.»Quando spostò lo sguardo sulla propria parte del tavolino, il Cristallo brillò di un segreto appena svelato; un filamento trasparente, il candore di una ramificazione, l'una e l'altra, infine un ricordo, una forma, un'immagine tra tutte.
«Un albero.»«Proprio quello che dicevo io, sono un Veggente.» Il commento di Penny lo scalfì in lontananza e la voce della Docente, ormai alla loro postazione, giunse come borbottio. Un brivido indistinto, un brivido lungo la schiena di Oliver Brior.
Poco tempo dopo, il suono della campanella di fine lezione scivolò perfino in quella stanza; prima di poter fermarsi a discutere sui presagi di morte che Penny, come ogni giorno, credeva di aver ricevuto dall'Insegnante, Oliver recuperò in fretta le sue cose e infilò tutto in disordine nella borsa a tracolla. Non aveva altre discipline in programma in pomeriggio e mancavano un paio di ore prima della cena in Sala Grande. Salutò Penny con un cenno della mano e con i dovuti, rispettosi convenevoli nei riguardi della Docente, il Caposcuola non impiegò troppo per scendere dalla familiare scaletta fino al piano inferiore. Conosceva quell'ala del Castello di Hogwarts più di quanto potesse ammettere e quando un gruppetto di studenti imboccò la direzione sulla destra, il suo sguardo non poté fare a meno di soffermarsi su una balaustra di una finestra poco distante: il ricordo di una prima, fugace Profezia a discapito di Thalia Moran lo trascinò come in alta marea, fin nel passato, e stentò a riprendersi nell'immediato. Al ripristino di un equilibrio migliore, trasse un respiro di sollievo, sistemò la camicia blu notte che aveva indossato sotto la divisa scolastica e si diresse a passo spedito verso le rampe di scalinate più vicine. Non poteva rientrare in Sala Comune, non subito: aveva più saggi da scrivere di quanti potesse contarne, ma sentiva il bisogno di rincorrere un presentimento che continuava a tornare nei suoi pensieri. Quando aveva sentito parlare alcuni concasati di una strana, orrida presenza spettrale nei pressi della Stamberga Strillante, la sua prima reazione era stata piuttosto divertente: aveva sentito girare quelle voci fin dal primo giorno al Castello, fin da quando vi aveva messo piede, e da sempre aveva creduto che si trattassero di racconti dell'orrore di fronte un camino scoppiettante. Un'atmosfera interessante, lui stesso non si sarebbe allontanato e ne sarebbe stato partecipe. C'era altro, però. Nelle ultime settimane, quella stessa diceria sembrava essere cresciuta a dismisura, a tal punto da aver fomentato alcuni tra i suoi Grifondoro e per giunta alcuni giornalisti del Profeta; da quando era stato nominato Vice-Direttore, la sua corrispondenza epistolare aveva subito un incremento notevole, e tra le lettere della Redazione c'erano anche quelle riguardanti fantasmi, spettri e oscure presenze ai confini di Hogsmeade, proprio alla Stamberga Strillante. Quanto fossero veritiere o meno, Oliver non poteva saperlo, ma di una cosa era certo: da parte propria, aveva visitato già due volte quel luogo e più di sembrare una catapecchia perduta e dimenticata nel tempo, non c'era stato altro. Avrebbe continuato su quella scia, se non ne fosse stato condizionato perfino dalle sue ultime Visioni; c'era un motivo ricorrente: un quadro, non più grande di una cornice; un albero, imponente ed esteso con ramificazioni protese verso il cielo; e se il primo poteva avere un discreto senso positivo, in Divinazione, il secondo aveva più ambivalenza e incauta versatilità del previsto. Aveva fatto un'assonanza piuttosto superficiale: il Platano Picchiatore, quella la destinazione. C'erano troppe coincidenze in atto, e lui non avrebbe potuto crederci.
Aveva abbandonato il portone principale del Castello di Hogwarts con passo spedito, ma con una discreta attenzione: non c'erano lezioni in corso, non più, e se fosse stato fermato da qualcuno, avrebbe potuto semplicemente dire di essere in giro prima di cena. Il coprifuoco restava lontano e a mali estremi, si era detto, la spilla appuntata al petto avrebbe saputo aiutarlo; con lo sguardo all'indietro, più preoccupato dalla presenza improvvisa di Penny che di qualsiasi altro studente, Oliver continuò verso i giardini e verso il limitare della Foresta Proibita. Si infilò tra un arbusto e l'altro e rapidamente, scomparve alla vista. Quando fu nei dintorni del Platano Picchiatore, provò a carpirne eventuali suoni - un fruscìo, un movimento di qualsiasi genere. Aveva scovato il passaggio segreto all'interno dell'albero magico, così secolare, con l'ausilio della Mappa del Passaggio: tuttora, in effetti, Oliver considerava quel manufatto come tra gli articoli migliori di proprio acquisto, e il pensiero non poté fare a meno di andare ai Tiri Vispi Weasley con un sorriso. Assicuratosi di essere in solitaria, lo sguardo attento da un punto all'altro, il Caposcuola Grifondoro avanzò di qualche passo e si pose ad una discreta distanza dal Platano Picchiatore. Immaginò una barriera, un ostacolo, un velo lento e inesorabile in imperitura discesa dall'alto, e distendendo il braccio dominante, quello destro, rivolse parimenti la bacchetta magica - stretta nella mano - verso l'incantevole, imponente arbusto. Il braccio appariva così perpendicolare al corpo, la presa era costante e decisa, e la volontà attingeva ad un'immagine di resistenza e consistenza - rocce durissime, pietra intangibile, il peso di una staticità che diveniva necessaria e improvvisa.
«Immòbilus.» Scandì la formula magica con altrettanta intensità, ponendo attenzione sull'accento dell'unica -o in esame. *Alla staticità del Platano, il ragazzo si volse indietro un'ultima, fugace volta; non ritenne necessario, di lì in poi, occultarsi alla vista: l'interno del passaggio segreto, già percorso l'anno precedente, era così isolato e così dimenticato dal mondo da non ammettere traffico, in termini tanto di presenza quanto di visita. Si chiese, curiosamente, se non fosse così avventato da incorrere nel pericolo di propria scelta, e una scintilla di aspettativa - fuorviante e minacciosa - travolse il suo cuore come un incendio in piena. L'idea di fare un salto alla Stamberga Strillante non era nuova, per lui; girava da giorni, ormai, con un paio di Occhialini Incantati che non aveva mai, neanche una volta, utilizzato fino a quel giorno. Prima di superare le liane e il tronco dell'albero, recuperò infatti quel paio proprio dalla borsa a tracolla, per giunta ancora appesantita dai libri e manufatti della lezione di Divinazione; indossò in fretta gli occhialini, ammiccando una e due volte, e si scrutò attorno nella speranza di attivarne fin da subito il potere e individuare fantasmi. Nel frattempo, non osò immaginare come potesse bizzarramente apparire in quel momento e raggiunse - in parte strisciando, in parte facendo pressione con le mani - la bocca del passaggio segreto all'interno del tronco e da lì via, sempre in avanti. Ricordava più o meno il sentiero, si era perso una volta e aveva ricevuto in cambio, dalla visita, un'ustione leggera di sigaretta sulla pelle: lunga storia, quella. Il ricordo lo accompagnò fin quando non fu tra le pareti della Stamberga e cercò uno spiraglio, un dettaglio, un elemento più inusuale del solito per poter trovare conferma alle voci e dicerie più folli. Salì una rampa di scalini, e il cigolio gli parve leggermente sinistro. Una sensazione nuova, di timore e di tensione, cominciò a crescere nel petto al pari della sua innata sete di scoperta e relativa avventura. Alla fine, si fermò improvvisamente: un buco, una cornice, una parete macchiata. Parve esserne attratto, sorpreso e confuso di pari modo, e cercò di avvicinarsi il più possibile. La mano destra già era protesta in avanti, come a voler sfiorare un punto di un mobilio di per sé così fuori dall'ordinario.