| Oliver Brior • Caposcuola Grifondoro Linsen. Non poteva sfuggire al richiamo lampante tra pensieri e ricordi, non avrebbe potuto. Forse, si ripeté, non avrebbe neanche voluto. Credeva di esserne ormai indenne, di aver superato di gran lunga l'esperienza peggiore della sua infanzia, di tutta la sua giovane vita. Avrebbe giurato di esserne ben oltre, di avere un vero e proprio controllo: aveva sempre saputo di non avere armi valide contro la memoria, così come aveva sempre saputo di come nel suo caso convergesse indistintamente da una linea temporale all'altra. Il concetto di passato, la riflessione del presente, la possibilità di un futuro, non avevano confini così nitidi per lui. Aveva immaginato di avere una scelta. Al momento opportuno - esattamente come in quella circostanza, nel bosco vestito di tenebre - aveva pensato di percepire una stilla di tristezza, al massimo un velo di profonda malinconia, niente di più. Sensazioni, quelle, che avrebbe potuto contenere. Il ritrovo della lepre, invece, era apparso come onda d'urto. In balia della stessa, Oliver ne era stato dapprima coinvolto, il battito del cuore inseguiva infatti uno stridio che non ammetteva equilibrio, e in seguito pienamente e inaspettatamente travolto. Quando deglutì, tessendo una conversazione in sospeso, si accorse immediatamente di un groppo in gola. Doveva spostarsi, sentiva la necessità di muoversi. Più tratteneva l'immagine della creaturina spenta, più invece non aveva forza per riuscirvi. In piedi, astante tra gli astanti, aveva occhi soltanto per la lepre - anche quando capitombolò in basso, nello scatto involontario delle braccia della piccina lì di fronte, Oliver ne inseguì la traiettoria a malincuore. Non era totalmente indifferente a quello che stava accadendo attorno, le figure della bambina e della donna più grande non erano fuori dalla sua concentrazione; erano di certo marginali, e il punto focale restava inavvertitamente quello della lepre. Era morta, a quanto pareva, e più che una rivelazione dal commento dell'altra, per Oliver acquisì il senso di una conferma. Una parte di sé l'aveva capito fin dal primo istante, e la speranza si era allontanata come l'ultimo tra i condannati. Il tonfo appariva quasi ovattato, il manto di foglie secche e di terriccio accoglieva come grembo materno la lepre sfortunata; per lui, tuttavia, ebbe il peso di un grido a tutti gli effetti, il grido di una Visione che si sviscerava in modo frammentario, e il grido di un bambino dagli occhi azzurri più del mare, destinati a chiudersi sulla notte di un pozzo senza via d'uscita. Rabbrividì, di nuovo. Aveva la percezione del tempo in corso, di come la sua reazione potesse a quel punto essere sotto analisi da parte degli altri; se fosse stato attaccato in quel momento, non avrebbe avuto la forza di controbattere come dovuto, era letteralmente in preda ad una psiche incontrollata, e parimenti incontrollabile. Si riscosse soltanto al prosieguo delle voci, l'allerta dei suoi sensi si pose come necessità assoluta. Non potevano restare lì, la ragazza più grande diceva qualcosa del genere e il senso delle sue parole si realizzava come un monito vero e proprio: non aveva idea di dove fossero finiti, non era certo di come potessero tornare al Castello di Hogwarts. Si chiedeva alla fine come fossero arrivati in quel luogo: neanche il cenno al Villaggio di Hogsmeade era stato colto, non aveva radici che potessero mostrarsi fertili, non aveva collegamenti. Ovunque fossero capitati, quello non era un territorio conosciuto, non per lui. Il velo tetro, a tratti mistico del bosco tutto intorno, fomentava in Oliver il senso di rischio e di pericolo. Tra le dichiarazioni della donna così apparentemente apatica, aveva ascoltato il richiamo al morso alla gamba di Megan, poco distante, e aveva collegato a quel punto lo scatto fulmineo che avevano fatto insieme in precedenza: un serpente l'aveva colpita, a quanto pareva; nella frenesia degli ultimi istanti, Oliver non aveva avuto occasione per porre domande, per assicurarsi di come stesse l'altra, e - si disse - di come stesse anche lui. Rimpianse la distrazione imminente e ancor più maledì il suo istinto peggiore: imperterrito, gli chiedeva di guardare in basso per l'ennesima volta. Dove c'era il corpo screziato di morte, dove c'era il leprotto. Deglutì, mentre un pensiero si districava dagli altri: dove c'era Linsen. «D'accordo.» Come un sussurro, la voce in un soffio. Il suono pizzicò la sua attenzione, mentre si agganciava al filo più lucido di mente e cuore. Acquisiva un controllo ben più sperato, oltre che decisivo, e così tentò di sfruttare l'ultimo contatto tra le due figure per indietreggiare di un passo, e di un altro. Indistintamente, come un movimento casuale del corpo. Non c'era tempo, lo comprendeva, ma non era neanche pronto a fidarsi pienamente delle due donne - al di là di ogni pregiudizio immediato, quella situazione non gli piaceva. Reclinò la testa di lato, alla ricerca del contatto di Megan, e mosse appena la bocca in poche, rapide parole. «Credo che seguirle sia una buona idea.» Non distolse lo sguardo dalla coppia, ma con la coda dell'occhio provò a scrutare la collega. Il tono sommesso, sufficiente per passare come un sussurro, un borbottio, un suono di un bosco in risveglio. «Questo posto non sembra sicuro. Con loro potremmo scoprire dove siamo finiti, trovare una via di ritorno.» Sollevò la mano destra, portandola in quel modo a coprire il volto: un gesto casuale, l'indice che solleticava la fronte. Quando parlò ancora, una nota dolce sfumava in rassicurazione, certezza, empatia. Non poteva dire di essere così legato alla Corvonero, sentiva che tra di loro ci fosse qualcosa in sospeso: ne aveva avuto prova poco prima, in quell'esordio di accuse che non aveva compreso, e che mai avrebbe voluto vivere. Ma non avrebbe neanche potuto negare di esserne affine, in quella situazione di pericolo crescente così come nell'esperienza più funesta dell'Estate precedente. Non l'avrebbe lasciata. «Cureremo il morso, se dovesse essere come dice. C'è anche un altro modo.» Abbassò il braccio, di nuovo. Avrebbe voluto trattenersi, aggiungere un paio di frasi più marcate e di gran lunga più valide, ma non c'era più tempo. C'era un sottile confine tra una conversazione di dubbi e commenti fugaci, e non poteva correre il rischio di perdere le due ragazze di fronte: il pensiero passò dalle erbe di cui parlava l'una come solitaria cura per il veleno ad uno specifico incantesimo che conosceva di persona. Non era certo dello stato della Caposcuola Corvonero né delle conseguenze eventuali della ferita, tuttavia erano insieme in quella vicenda, volenti o meno che fossero stati l'uno o l'altra. Lo sguardo tornò in basso, catturato com'era dalla persistenza della morte. Aveva già visto altre lepri, era naturale: tra i giardini della Scuola di Hogwarts fino al boschetto bagnato dal fiume Lee, in Irlanda; tra i cespugli che crescevano lungo i sentieri più piacevoli della periferia di Hogsmeade fino alle esercitazioni in classe. Restava un animale comune, fin troppo. Per lui, però, era più di quello, da sempre. «Un attimo soltanto.» Alzò la voce, rivolto alle due sconosciute. Piegandosi lentamente sulle ginocchia, Oliver cercava il volto della più piccola: aveva visto come stringeva la creaturina, aveva seguito la caduta del corpicino sul terriccio. Non ebbe bisogno di insistere sulla cadenza della voce, perché comprendeva pienamente la ragazza, la sua perdita, l'impatto che forse lei, come lui, percepiva proprio in quel momento. «Sai, una lepre può viaggiare tra i mondi, da quelli conosciuti a quelli più lontani, più misteriosi.» Linsen tornò tra i suoi pensieri, immediata come una memoria mai dimentica. Il musetto sporco, le lenticchie attaccate ai baffi, le orecchie lunghe, si muoveva a scatti, non aveva paura; il manto scuro, gli occhi grandi, pieni, così vivi. Tra le braccia di Loras, come quella lepre era stata tra le braccia della bambina. Nel suo passato, come era stata nel presente della bambina. Lì, sul terriccio, come corpo esanime, come custode di uno spirito eterno. Si affidò all'arte che più percepiva come affine, tra tante e tra tutte; si affidò alle lezioni di un tempo, ai tentativi di mutamento di un paio di pantofole in conigli, e viceversa; si affidò all'Abete della sua bacchetta magica, al legno così versato nelle trasfigurazioni più complesse, e la pressione delle dita scivolò delicatamente sul manico. Si affidò a quello che Linsen era stata per lui, e a quello che Linsen sarebbe stata per la bambina. Al senso che portava con sé, all'affetto e al dolore, alla nostalgia e alla stretta al cuore; al battito di un'umanità che non poteva spegnersi, a prescindere dagli anni, a prescindere dal tempo. Come un musetto, come un saltello, come un girotondo. Come un ricordo, come un pensiero, come un cerchio perfetto - passato e presente, e il confine che non si esauriva. La bacchetta colpì due volte il corpicino della lepre, lì ai suoi piedi, sul terreno boschivo. Un colpetto dopo l'altro, un ritmo cadenzato, un tacito ticchettio. Disegnò un cerchio poco più sopra la creaturina, come un soffio, un'onda eterea. Svegliati, suggeriva. Svegliati adesso. Ma la sua bocca si dischiuse al suono di una formula semplice, nitida, il canto di un richiamo tra i confini. «Globus Pellucidus» Scivolò diligentemente, con la stessa dolcezza con cui si era rivolto alla bambina. Alla sillaba conclusiva, -dus, l'Abete toccò un'ultima volta la lepre: il colpo decisivo, come una carezza, come il solletico delle dita. Svegliati, diceva. Svegliati adesso. Linsen continuò a frugare tra sensazioni e ricordi, e più zampettava, più lasciava orme argentee - mutava in un custode, e guardiano insieme, come la lepre che era suo Patronus. Allo stesso modo, girava in tondo: era felice, era libera, era di nuovo presente. Nella sua intenzione, la lepre del bosco sorgeva dalla morte: dal cerchio si piegava, si restringeva, e nel movimento del corpo in trasfigurazione attingeva ad una nuova forma, una nuova parvenza di vita. Diveniva così sfera esatta, il Cristallo dei tempi: la magia avrebbe dovuto donarle immortalità, rendendola così ricordo tangibile. Il suo volere, quello del Veggente, si esprimeva nel cambiamento: la lepre come sfera di cristallo, e da lì avrebbe insistito ancora. Una flessione profonda, un ondeggiare continuo, prima dall'alto al basso a donare compostezza, poi da sinistra verso destra come un vortice che concludeva in due puntini più alti: tracciava con la bacchetta la forma di una lepre in miniatura, così stilizzata, di certo grezza. Come la danza di un artigiano: dal cristallo concentrico alla statuina di una lepre, la stessa materia, la forma che più le apparteneva. Conosceva l'Incantesimo che aveva utilizzato, il Pellucidus si dedicava alla trasfigurazione di un corpo in una sfera. Ma conosceva anche la sua bacchetta, il suo potenziale, e tutto quello che cuore e mente avrebbero potuto fare insieme: la magia era plasmabile, era volontà, ed era memoria, era tempo, era empatia. La magia era parte di sé, e lì Linsen c'era ancora, non era mai andata via. Voleva rivederla, nella miniatura di una lepre di cristallo. Se così fosse stato, l'avrebbe affidata alla piccina, lì di fronte. Un movimento leggero, il raccolto di qualcosa che non poteva restare lì dimentica nel bosco, abbandonata alla putrefazione. La lepre viaggia tra i mondi, aveva detto. «Dal buio alla luce, sempre al tuo fianco.» Avrebbe concluso così, il cuore spezzato. Il cenno di un sorriso sul volto. Linsen gli mancava, e Loras gli mancava ancora di più. «Andiamo via, in fretta.» In piedi, il suo era stato un tentativo: se il corpo morto fosse stato trasfigurato, se fosse stato reso soltanto sfera di cristallo come da prassi oppure forma stilizzata di una lepre lucida; se la bambina avesse accettato il suo dono, se avesse compreso il senso delle sue parole, se avesse visto la gentilezza di un'anima affine; tutto quello avrebbe avuto impatto per lui, in ogni caso. Non avrebbe potuto più trattenersi, però. Un ultimo sguardo alla coppia, un ultimo sguardo a Megan, e via da lì.
statistiche / inventario salute 315/315 corpo 285/285 mana 343/343 exp 59.5
incanti I, II, III, IV Classe completa V Classe » Claudo, Nebula Demitto, Plutonis, Patronus VI Classe » Perstringo Chiari » Stupeficium, Rituale Perfetto
abilità Divinatore Esperto, Maridese, Materializzazione
inventario bacchetta magica, galeone ES, spilla C.r.e.p.a., bracciale di damocle, libri di Divinazione, sfera di cristallo, rune sacre con gessetto, occhialini ghostbuster, macchina fotografica
in breve Ho dedicato una parte fondamentale a Linsen e alla lepre nella storia di Oliver: suo Patronus, sua memoria, suo passato, è ad ora un risveglio totale per lui. Il post è volutamente introspettivo, per le azioni: cerca contatto con Megan per mostrarsi vicino; prima che la coppia si sposti, Oliver tenta di trasfigurare la lepre morta dapprima in una sfera di cristallo e poi in una lepre di cristallo in miniatura. La sua intenzione è di non lasciare il corpo della creatura al bosco, di donare alla bambina un ricordo tangibile, nella forma di una statuina. Si affida all'arte trasfigurativa a lui più affine e alla natura della sua bacchetta magica: l'Abete è indicato per le trasfigurazioni, anche le più complesse. Il valore personale è indice di tutta la scelta.
|