Don't forget to close the Door..., [Quest Fissa]

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view post Posted on 24/8/2020, 15:28
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Ocean eyes.

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I passi furono incerti, come il pensieri che l’avevano portata a quella scelta. Seguire le due giovani figure a lei sconosciute significava, in qualche modo, rischiare. Quanto era disposta a farlo?
Gli occhi, pupille dilatate fra le tenebre, indagarono attenti scorgendo senza alcuno stupore il tetro paesaggio. L’ansia, si alternava fra i battiti accelerati del cuore e il presentimento che qualcosa poteva succederle di lì a breve. Inutile convincersi che quanto accaduto pochi attimi prima le era stato del tutto indifferente, più provava a non pensarci, più sentiva il peso delle parole dette dalla donna gravare sul proprio petto. Le sagome scure degli alberi delimitavano un percorso che non avrebbe di certo saputo riconoscere in alcun modo se per puro caso avesse dovuto farvi ritorno. Era persa e i simboli disposti lungo i tronchi rappresentavano un linguaggio a lei sconosciuto, che non aveva saputo decifrare prima né sapeva farlo adesso. Rune, pensò di nuovo ma non seppe dare un significato preciso a quelle raffigurazioni.
«Come ti senti?»
«Bene» aveva risposto alla domanda di Oliver abbozzando un sorriso, «ti ringrazio per averlo chiesto.» Lo sguardo di posò su di lui per una manciata di secondi. Seguì, poi, le parole del giovane Grifondoro e tornando ad osservare gli alberi accennò con il capo un segno di affermazione.
«Già, ho provato anche io ma non mi dicono niente» il tono era flebile voleva che solo Oliver sentisse la sua voce. «Potremmo chiedere a loro, anche se non mi fido, oppure vedere se dentro alla capanna troviamo qualcosa.»
Pronunciando quelle ultime parole Megan osservò la struttura ormai sempre più vicina. Poteva definirsi abituata a quel tipo di ambiente, non era la prima volta che vedeva una dimora fatiscente.
«Al loro arrivo, volse l'orrenda faccia e disse: “Datemi la prova del vostro dolore!”» disse Oliver rivolgendo lei un sorriso divertito. Megan, non seppe cogliere la citazione ma capì il tono teatrale e scherzoso che il ragazzo aveva assunto. Scosse il capo e le fossette sulle guance diedero chiaro segno di una risata soffocata, cui leggero sbuffo si sentì appena uscire dal naso. Non era certo il momento giusto per sdrammatizzare ma non poteva far altro che alleggerire il proprio cuore navigando su un velo di ironia momentanea.
«Ti donano!» disse, non appena vide il compagno indossare gli occhiali. Poco dopo accettò l’invito della donna, la seguì varcando la soglia lasciando alle leggere fiammelle di qualche lampada riscaldarle il volto pallido.

▲ Attivo & Conoscenze

Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida
Tracolla in pelle nera
Amuleto Oscuro
Anello Difensivo(Medio sx)
Effetti: : protegge da danni fisici e incantesimi. Anche da Avada Kedavra, ma poi si spezza. [Usabile 1 volta per Quest.]
▸ Anello + Zaffiro “Trillon” (Anulare dx)
1 Nanosticca
Effetto: permette di assumere dimensioni di 30 cm.
Filtro Sonno Leggero

––


Occlumante Apprendista
Essendo apprendista, il pg riuscirà a chiudere la mente solo a legilimens apprendisti. Nulla però potrà, nel caso si trovi di fronte a legilimens esperti. Non sempre riesce a combattere le proprie emozioni, che sono per lui il problema principale.

I, II, III Classe completa.
Eccetto: Orcolevitas e Fattoriam.

▼ Riassunto & Danni

Megan segue le due figure. Interagisce con Oliver e una volta giunta fronte alla dimora varca la soglia.

––


Lieve morso di serpente caviglia sinistra.


PS 208/209 ∆ PC 160/160 ∆ PM 167/167 ∆ EXP 21

 
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Il Fato

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La catapecchia avrebbe potuto, a tutti gli effetti, appartenere alla strega malvagia delle fiabe. Megan e Oliver non erano più due bambini, tuttavia la loro storia sembrava quella degli sfortunati protagonisti di qualche antico racconto popolare: persi nel bosco in una notte di luna argentata, accolti da presenze misteriose. Lo sbuffo di una mezza risata da parte della Corvonero contribuì ad un momento di insolita leggerezza, a dispetto della situazione opprimente. La piccola sconosciuta li guardava, interdetta di fronte ai toni scherzosi. Il suo sguardo si soffermava soprattutto su Oliver, mentre le braccia sottilissime stringevano ancora il suo dono. «Hanne», mormorò quando le venne chiesto il nome. La bocca richiusa in una linea terribilmente seria, annuì per confermare che quella fosse l'abitazione che condivideva insieme all'altra.
Non era l'ambiente in cui ci si sarebbe aspettati di trovare una bambina. Una volta varcata la soglia – bassa tanto da sfiorare la sommità della testa del Grifondoro –, ci si sentiva quasi soffocati dalle quattro pareti. L'unica stanza era piuttosto ampia, per la verità, ma era ingombra di una quantità spropositata di mobili e oggetti. Alcune credenze ed innumerevoli scaffali si accavallavano contro le pareti: sbilenchi, i secondi ospitavano ampolle e barattoli impolverati il cui contenuto rimaneva indistinguibile. Qua e là, attaccati a sottili corde, pendevano mazzi di piante lasciate a seccare – verbena, belladonna, cicuta, foglie e fiori avvizziti le cui ombre grottesche si contorcevano assieme al tremolare delle lampade. Oltre ad un grande tavolo di legno grezzo piazzato pressoché al centro della stanza, altri tavolini più piccoli spuntavano qua e là come escrescenze del pavimento di assi, ingombri a loro volta di libri dalle coste rotte e lunghe piume nere; a fare da fermacarte ad una pila di fogli, quello che sembrava il teschio di un grosso corvo. A destra della porta, uno scaffale posto perpendicolarmente rispetto alla parete creava una sorta di divisione nell'ambiente, così che i due letti che vi si trovavano dietro si scorgevano appena da dove si trovavano i due studenti.
La ragazza, ancora priva di nome, li aspettava al centro della stanza. Nella destra reggeva una candela, la cui fiamma si aggiungeva a quella delle lampade che, pure, erano insufficienti ad illuminare a dovere la casa, lasciando che gli angoli fluttuassero nell'oscurità, mentre ombre marcate disegnavano i profili degli altri oggetti. Ora che era vicina alla luce, il suo viso si mostrava con più chiarezza: il mento affilato, le labbra tese in una linea dura, i grandi occhi, chiari e guardinghi. Sarebbe apparsa bella, non fosse stato per una tensione palpabile nella sua espressione e qualcosa sul suo fondo che, poco distinguibile – ostilità? Rabbia? Terrore? –, le dava un'aria sgradevole. La bambina, ora che si era in parte scostata i capelli dal viso, le somigliava parecchio; a giudicare dall'età, dovevano essere sorelle. C'era qualcosa di familiare nel disegno dei loro tratti, ma non abbastanza da suscitare qualcosa di più definito di una sensazione sottopelle.
«Vieni, puoi sederti di qui.» La più grande indicò a Megan i letti, dove avrebbe potuto sedersi più comodamente che su uno dei rozzi sgabelli intorno al tavolo. «Io torno subito.» Si diresse verso la porta: nel farlo passò così vicino alla Corvonero che, se questa non si fosse scostata, avrebbe sentito sulla pelle il bruciore momentaneo della candela.
Gettando un'occhiata ai giacigli delle due sorelle, Megan avrebbe potuto constatare come nemmeno quell'angolo fosse sgombero di scartoffie, che occupavano interamente un tavolino ai piedi di uno dei letti. Alcuni fogli erano caduti a terra, dove giacevano abbandonati: a guardare con attenzione, la fitta scrittura di cui erano ricoperti aveva un'aria ad un tempo estranea e familiare, nelle sue forme spigolose.
Nel mentre, Hanne cercò lo sguardo di Oliver e, con un cenno della testa, lo invitò a seguirla al grosso tavolo centrale, da dove la zona dei giacigli era visibile sono in parte. «Che occhiali brutti. Non ci vedi?» Ora che si trovava in casa, sembrava un po' più a suo agio. Appoggiò con cura la lepre di cristallo su uno sgabello, prima di prendere posto su quello accanto. Gli occhialini, che la bambina aveva così impietosamente commentato, non mostrarono ad Oliver niente di interessante: il posto sembrava sgombro di fantasmi, quanto meno di quelli che le lenti erano in grado di mostrare.
«Giochiamo con la sfera?» Un cenno alla borsa del ragazzo, in cui pesava la sfera di cristallo del Divinatore. Hanne non poteva sapere della sua esistenza, eppure non c'erano dubbi che si riferisse a quella. «Emma dice che le fanno apposta per quelli come me», proseguì nel medesimo tono piatto, vuoto di qualsiasi entusiasmo infantile ci si sarebbe aspettati dalla sua età.



Oliver
PS: 315/315
PC: 285/285
PM: 343/343
PE: 59.5

Megan
PS: 208/209
PC: 160/160
PM: 167/167
PE: 21

Prossima scadenza: 15 settembre, 23:59

 
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Oliver Brior • Caposcuola Grifondoro
All'ingresso della casupola abbandonata, un vecchio ricordo sgusciò via fino a trascinare con sé un sorrisetto. Un altro luogo, un'altra circostanza, con un letto dalle coperte di lana morbida e più cuscini del previsto; una lampada ad olio sospesa pigramente a mezz'aria, a sfiorare appena un vaso di calendule sul comodino vicino, e infine un bambino, un adulto, un libro di fiabe. La voce di zio Albert era impossibile da dimenticare: mentre leggeva i racconti di Beda il Bardo, mentre ne inventava di altri, perfino mentre arricchiva tutto con la verve fantasiosa più sorprendente. Mai entrare in una casa abbandonata, diceva così. Con il tono grosso e piuttosto serio, con un cenno di aspra, finta raucedine, e con tutte le smorfie del caso per un realismo affatto indifferente per il piccolo Oliver. Un posto misterioso come quello in cui si trovava, in effetti, sarebbe piaciuto di certo ad Albert Brior, e chissà quali e quante altre avventure avrebbe potuto ricamarci attorno. Anche a distanza di anni Oliver viveva il fascino tutto elettrizzante di quando era bambino, e tra i suoi pensieri già si annidava l'idea di poter imbattersi in una creatura mostruosa, in un fantasma, in uno spettro intrappolato in una botte, e così via. Con gli occhiali così spessi a coprire il volto, era proprio la perfetta caratterizzazione di uno dei migliori personaggi dell'inventiva dello zio; per un attimo ne fu travolto, dapprima in modo spensierato e poi con una nostalgia che non avrebbe potuto allontanare tanto facilmente. Nessuno poté accorgersi dello sguardo adombrato, il paio di occhialini tanto speciali schermò ogni espressione, e ne fu grato a sua volta. Grato di non essere visto, grato di non essere così vulnerabile, almeno all'attenzione degli altri. Seguì il gruppetto con un interesse maggiore, scongiurando le sensazioni che la casa aveva portato con sé. Non aveva memoria di quando fosse stata l'ultima volta in cui aveva incontrato suo zio, e tristemente sapeva di non poter fare più di quanto non avesse già tentato. Era accaduto quello che entrambi, lui e suo zio Albert, sapevano da lungo andare; perché era facile essere accanto a qualcuno come lui, nel bene più limpido, nella gentilezza del suo spirito, nei giorni buoni. Ma quando la Vista aveva colto anche Albert, e la sua famiglia, erano arrivati rapidamente gli altri giorni, ed era ancor più semplice lasciare all'indifferenza il compito di porre distanza. Sua madre lo ripeteva sempre, e lui non le aveva mai creduto. Arriveranno gli altri giorni, diceva. Arriveranno i giorni non-buoni, aggiungeva d'un fiato. Così era stato, e Albert Brior, sua moglie, i suoi figli, tutti quegli affetti così cari avevano scelto la strada più libera, la strada più lineare. Da parte propria, Oliver non accusava nessuno tra loro, e aveva maturato dimestichezza con la Vista al punto da non disprezzare neanche se stesso. Non c'era delusione, non più, e quello che restava altro non era che malinconia.
La voce della bambina, lì accanto, riuscì a strapparlo dalle sue reminiscenze. Oliver coltivava un interesse particolare, tutto prezioso per quella figura tanto minuta, e abituato com'era a carpire tracce e dettagli passeggeri, nella sua mente ricostruiva l'identità dell'altra nel modo più rapido consentito. Aveva smesso di credere di essere vittima di un'illusione, era tutto troppo reale - dal bosco al sottosuolo, dalle creature che vi abitavano alla coppia di ragazze, dalla presenza della Caposcuola Corvonero alla propria, era un crescendo ben definito di sensazioni, visioni, percezioni. Erano tra l'altro tangibili, e di sfuggita l'ultimo pizzicotto sul braccio ne diede prova effettiva al Grifondoro. Ne era così ancor più estasiato, e per lunghi istanti lasciò che il nome della bambina si cullasse come suono solitario. Lo rese vivido, si accorse di esserne colpito. Hanne aveva il sapore della terra segreta, dei misteri contenuti, del soffio di vento che solleticava le foglie, e per lui, per lui era tutto quello. Non poté fare a meno di sorridere, e il rimpianto di un passato irreversibile - di quanto successo con suo zio e nella sua famiglia in generale, così come nella sua vita - parve già spazzarsi via. Hanne, ripeté tra sé. Hanne. Gli piaceva. «È un nome molto bello.»
Non aggiunse altro, forse non riteneva fosse necessario. Anche all'interno della casa, dopo essersi leggermente abbassato per non toccare il tetto d'ingresso con la testa, Oliver rimase taciturno. Indugiò con lo sguardo da un punto all'altro, accolse la mobilia lì presente con discrezione, lasciò così all'attenzione il compito di instaurare una riflessione più o meno generale. Chi potesse abitare tra quelle mura, se solo le due figure con loro oppure un'intera famiglia, altri amici, altre presenze; quali informazioni potessero ricavarne da una semplice, rapida visita, e quali altri dubbi la stessa potesse fomentare. Era un continuo interrogarsi, in silenzio. L'ambiente rinnovava l'idea di una casa sfumata di aspetti occulti, enigmatici, di certo singolari: dal teschio sul tavolino di passaggio all'arredamento peculiare, e ancor più dalle piante, erbe, forse altre spezie in fasci appesi. Oliver respinse il desiderio di avvicinarsi, di assaporarne la consistenza sotto le dita, e infine di sentirne l'eventuale profumo a pizzicare le narici; non fece nulla del genere, al contrario attese con pazienza. C'era una verità che non poteva passare inosservata: la casa era abitata, ne recava i segni ancor prima del loro ingresso. Aveva continuato a seguire Megan e l'altra figura, non avrebbe voluto allontanarsi dalla prima, in nessun caso. Erano invischiati in quella storia insieme, c'era sempre la questione del veleno e del relativo morso che la collega aveva ricevuto: sperava di capire di più da tutta la situazione. Cercò così l'attenzione di Megan, la bambina nel frattempo lo stava guidando in una zona più distante. «Sono nell'altra stanza.» Seguire la piccola avrebbe potuto fornire maggiori informazioni: uscire di lì, nell'accezione di tutto quel luogo, era un monito che il Caposcuola non aveva dimenticato. Tentò un cenno d'intesa nei riguardi della Corvonero, intenzionato a non sparire. Qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe tornato. Poco dopo, la battuta della bambina in merito ai suoi occhiali tanto vistosi si pose come anticipatrice. Li tolse, così da liberare di nuovo il volto, e regalò un sorriso divertito in direzione della più piccola. A passi svelti si inoltrò dove indicato e provò a restare in un punto che gli permettesse di vedere tanto Megan più lontana quanto la bambina ben più prossima. Era concentrato sulla postazione migliore, senza mostrarsi titubante verso Hanne, ma il commento di quest'ultima gli si presentò come un fulmine a ciel sereno. Aveva ancora gli occhialini stretti nella mano e la pressione sulla plastica di cui erano rivestiti aumentò di scatto, le nocche così sbiancarono altrettanto rapidamente. Non poteva ignorare quanto ascoltato, e ancor più non poteva fingere di non aver colto il riferimento. Intimamente, si scoprì preda di più sensazioni e non gli fu chiaro se a prevalere fosse la sorpresa, la reticenza oppure altro di ben più complesso, ben più indefinito. Si scoprì soltanto più riservato, i sensi già in allerta; la mano destra, con gli occhialini, si strinse attorno la borsa e la portò più vicina al corpo, come tesoro prezioso. La bambina non aveva potuto scorgere il suo contenuto, non avrebbe potuto sapere con precisione quanto invece comunicato; Oliver pensò di esserne sconcertato, perfino meravigliato, e di certo in parte lo era. Tuttavia, era ben più incuriosito di quanto potesse ammettere. Il cipiglio sul volto lasciò spazio ad un'espressione più delicata, mentre sceglieva con cura le successive parole. Non chiese se Emma fosse sorella o madre per la bambina, collegò però il suo nome all'altra figura lì nella casa, come prima supposizione. Non chiese neanche in che modo Hanne sapesse del manufatto che portava con sé, lì in segreto. Quando aprì bocca, il suo tono parve tranquillo, tradito da una scintilla stizzita.
«Non si gioca.» Non riuscì ad aggiungere altro, il prosieguo morì a fior di labbra. Non si gioca, non si gioca con nulla di tutto quello, avrebbe voluto dire. Indugiò invece sul volto della bambina, sulla voce atona dell'altra, e infine sulla lepre brillante sul tavolo. Uno sguardo veloce alle sue spalle e avanzò ancora di un passo. Cercò di aprire la borsa di pelle, di infilare in un lato gli occhialini ancora tra le dita e di recuperare così tra libri e astucci l'involucro rotondo, perfettamente coperto da un fazzoletto color indaco. Quando la sfera di cristallo poté essere sul palmo di entrambe le sue mani, a coppa, la borsa scivolò di nuovo in basso, retta dalla cinta alla spalla. Sentì la gola più secca, mentre si interrogava su una e più eventualità. Poteva, poteva davvero essere come immaginava? Quella domanda, quell'unica domanda in testa alle altre, quella domanda che avrebbe fatto la differenza. Si premurò di tenere la sfera di cristallo più in alto dalla bambina. Un lembo del fazzoletto poté cadere via, e un altro subito dopo, fino a liberare tutta la superficie. La pelle della mano non sfiorava il Cristallo, coperto dal tessuto sul palmo. Abbassò la voce per sussurrare qualcosa soltanto per lei, come a condividere un segreto. «Però hai ragione, sono oggetti molto speciali.» Alla fine, sorrise. Incerto, turbato, attratto, l'una e l'altra sensazione insieme. La lettura della sfera di cristallo era una pratica avanzata per chi studiava la Divinazione, perfino ad Hogwarts era programma scolastico del settimo, ultimo anno. Lui stesso si era apprestato al consulto dopo anni dal segno d'esordio del suo Dono, ne era stato dapprima intimorito e inesperto. Ma quando vi era riuscito per la prima volta, quando il cristallo si era rivelato in forme, figure e più versatili simbologie, tutto era cambiato. Non c'era stato privilegio maggiore, non c'era stato intreccio più completo. La sfera era per lui pregio di pazienza, e favore di un tempo divino. Se la bambina poteva conoscerne il valore, se ne aveva già potuto sindacare i misteri, allora quel pensiero, quel primo pensiero evinceva una verità indiretta. «Dimmi, Hanne.» Un passo, ancora un passo. La sfera, sul palmo della mano destra, si avvicinò a sua volta. Oliver si scoprì preda di un desiderio, ancor prima di una scoperta.
«Come funziona il tuo gioco?»
Lasciò che l'ultima domanda si tingesse di vibrante, potente aspettativa. Con gli occhi cercò il volto della bambina. Perché poteva, forse poteva davvero. In quel luogo dimenticato, in quel bosco, in quella casa di primo acchito spettrale; in quello sguardo, in quell'identità, poteva aver incontrato per la prima volta qualcuno come lui. Hanne, quel nome. Perché poteva, forse poteva davvero.


statistiche / inventario
salute 315/315 corpo 285/285 mana 343/343 exp 59.5

incanti
I, II, III, IV Classe completa
V Classe » Claudo, Nebula Demitto, Plutonis, Patronus
VI Classe » Perstringo
Chiari » Stupeficium, Rituale Perfetto

abilità
Divinatore Esperto, Maridese, Materializzazione

inventario
bacchetta magica, galeone ES, spilla C.r.e.p.a., bracciale di damocle, libri di Divinazione, sfera di cristallo, rune sacre con gessetto, occhialini ghostbuster, macchina fotografica

in breve
Da vicino, la casa rievoca ricordi fiabeschi di quando Oliver era bambino, con nostalgia. Al suo interno cerca di non perdere di vista Megan e quando segue la bambina, dietro indicazione, si ripromette di non dividersi in definitiva. L'intreccio con Hanne acquisisce per lui il senso di una rivelazione, è in preda a più sensazioni e tenta di interrogarsi con attenzione. Alla fine, desidera così scoprirne di più: tenta di recuperare la sfera di cristallo, stretta e distante, mentre prosegue con la conversazione.
 
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view post Posted on 18/9/2020, 18:11
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Un passo a superare la soglia e Megan fu invasa dall’odore insolito. La sensazione di disagio, come se due mani stringessero il suo collo impedendole di respirare. Aprì le labbra provando a prendere più aria possibile, gli occhi a sondare ogni oggetto visibile illuminato dalle lampade, cui luce faceva fatica a mostrare l’intero perimetro. Dove erano finiti? La giovane studentessa si sentì del tutto indifesa in quella circostanza, la tensione accumulata le giocava brutti scherzi lasciando il cuore battere furioso.
La sagoma della donna – cui nome era ancora sconosciuto – ergeva poco distante da Megan, al centro della stanza, con una candela in mano che mostrava in maniera più chiara i lineamenti severi, scoprendo per la prima volta il volto che fino a prima era stato celato dall’oscurità. Non era facile capire dietro alla rigidità dello sguardo cosa si celasse, Megan era certa che non vi fosse tranquillità incrociando le iridi cristalline; erano in due a sposare quello stato psicofisico, probabilmente.
«Vieni, puoi sederti di qui. Io torno subito.»
L’invito che la figura le rivolse lasciò scorrere un fremito lungo la spina dorsale, che non le consentì di sentire il bruciore della fiamma del moccolo quando la donna le passò accanto. Gli occhi cobalto della Caposcuola cercarono Oliver, trovarono la calma in quei secondi, dove le parole rassicuranti del Grifondoro mostravano l’intenzione di una mano ben tesa, pronta ad aiutarla in caso di necessità.
«Sono nell'altra stanza» le aveva detto e Megan aveva rivolto lui un cenno del capo, avviandosi dove le era stato consigliato di attendere.
Qualche passo in direzione della stanza, passando affianco allo scaffale che divideva gli ambienti, e una volta dentro non poté che soffermarsi sulle scartoffie poggiate lungo la superficie lignea di un tavolino ai piedi di uno dei due letti. La Corvonero individuò nella scrittura, che ricopriva i spazi bianchi dei fogli, qualcosa di familiare, qualcosa che aveva solleticato il proprio interesse. Così, approfittando di quel momento, lontana da probabili occhi estranei, si sarebbe avvicinata allungando la mano sinistra a sfiorare la carta. Le iridi avrebbero messo a fuoco ogni carattere, cercando di individuarne il significato o qualcosa che le avrebbe dato la possibilità di capirne di più. Un movimento rapido che l’avrebbe vista all’azione solo per qualche secondo, poi si sarebbe seduta ai piedi del letto in attesa. Non voleva rischiare, voleva vedere se poteva trovare un altro modo per arrivare a capire cosa stesse succedendo in quella realtà. In fine, le dita avrebbero sfiorato la ferita avvertendo la pelle indolenzita sotto i polpastrelli. Era cosciente del fatto che s’era presa il rischio di mettere in pericolo la propria vita evitando di curarsi dopo gli avvertimenti che le erano stati rivolti, trovando una cura in un aiuto, fatta di erbe curative, che le era stato gentilmente offerto. Il dubbio che non avrebbe comunque allontanato il pericolo c’era ma Megan, nella decisione presa, cercava una via d’uscita e l’unica soluzione in mezzo all’ignoto poteva, con probabilità, trovarla in quelle due figure sconosciute. Avrebbe preteso risposte, indagato a sufficienza e tentato la qualunque per tornare al castello sana e salva.

▲ Attivo & Conoscenze

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▼ Riassunto & Danni

Megan entra nella casa. Dopo la breve interazione con Oliver segue l'invito della donna e va nella camera da letto. Vedendo le scartoffie presenti sul piccolo tavolino – ai piedi di uno dei due giacigli – è curiosa e così si avvicina provando a definirne la scrittura, che le pare familiare. Qualche secondo, il tempo di un'occhiata, poi si siede sul letto come le era stato chiesto.

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Lieve morso di serpente caviglia sinistra.


PS 208/209 ∆ PC 160/160 ∆ PM 167/167 ∆ EXP 21

 
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Il Fato

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Nel gruppo così stranamente assortito dei tre giovani e della bambina, stava nascendo una flebile intesa tra quest'ultima ed il Grifondoro. Gesti e parole gentili da parte di quest'ultimo, che avrebbero rischiato di apparire vuoti in assenza di radici profonde, venivano invece rafforzati dall'esistenza stessa della lepre di cristallo. Con l'intuitività tipica dei bambini, Hanne aveva scorto in Oliver una partecipazione profonda che, pur rimanendole oscura nei suoi termini specifici, era abbastanza rassicurante da invitarla ad avvicinarsi, seppur con cautela. Non si prodigava certo in sorrisi, però; anzi, quando il ragazzo si tolse gli occhiali e mostrò di nuovo il volto nella sua sua interezza, Hanne si rabbuiò ulteriormente. La piccola si avvicinò ancora di più allo sgabello su cui aveva poggiato la lepre, perdendo la visuale sulla postazione isolata di Megan; al contrario, Oliver poteva intravvedere la figura della Corvonero – e lei la sua –, in un contatto ricercato che avrebbe potuto rassicurarli nell'ambiente sconosciuto. Non erano del tutto soli, per quanto le circostanze li stessero impegnando in aspetti diversi dell'inaspettata avventura.
La prima sorpresa, per Oliver, fu di scoprire che Hanne possedeva almeno un'informazione a cui non avrebbe potuto avere accesso. Qualunque fossero i suoi mezzi, la bambina sapeva dell'oggetto incantato così legato alla natura di Divinatore, e non le piacque come venne accolta la sua richiesta a proposito di esso. Non si gioca: nell'udirlo, la bambina parve trincerarsi nuovamente nell'iniziale diffidenza, e lo sguardo, che negli ultimi momenti si era azzardata ad alzare fino ad incontrare quello del ragazzo, tornò a schivarlo. La vista della sfera di cristallo, però, suscitò il suo interesse abbastanza da farla proseguire nel suo gioco.
«Mettiamo tutti e due la mano sulla sfera, insieme» spiegò, la voce appiattita in una mortale serietà che chiariva quanto prendesse sul serio i suoi giochi. «E guardiamo. Alla fine vince chi vede più cose, ma devi giurare che non bari. I serpenti morsicano i piedi a chi bara.» C'era uno strano miscuglio di infantilismo e solennità in Hanne, mentre faceva capire ad Oliver le regole della casa. Non lo guardò in viso, ma si fissò sulla luminosità della sfera di cristallo, tanto simile a quella della lepre. Poi si arrampicò su uno sgabello, appoggiando le piccole manine sul tavolo. In attesa di giocare.

In contemporanea allo scambio tra Oliver e la bambina, Megan si trovava sola, in attesa del ritorno della maggiore delle ospiti. Emma si era assentata per qualche attimo, scomparendo all'esterno della porta d'ingresso, ma sarebbe potuta rientrare in qualsiasi momento. L'inquietudine sembrava farsi strada con maggiore decisione nella Corvonero che nel suo compagno e, d'altronde, era lei quella che stava correndo il rischio peggiore. Un indolenzimento appena percettibile, là dove era stata sfregiata dai denti avvelenati del serpente, sembrava contenere la sua condanna, così com'era stata sancita dalla sconosciuta. Seppure in dubbio sulla veridicità delle sue parole, Megan non aveva avuto altra scelta se non quella di affidarsi al giudizio di qualcuno di cui non si fidava, in un luogo ostile che poneva lei e Oliver, gli estranei, in una situazione di insopportabile impotenza.
Quando le venne offerta la possibilità di carpire qualche informazione riguardo alle due abitanti della casa, Megan non se la fece sfuggire. Attirato dalla familiarità della scrittura, il suo sguardo vi indugiò sopra fino a riconoscere gli stessi simboli runici che deturpavano la foresta. Il loro senso restava misterioso, tuttavia poté accorgersi di alcune brevi inserzioni in normale inglese. Capeggiavano a paragrafi più o meno estesi dell'alfabeto sconosciuto, a guisa di titolo, in diciture quali velocizzare la risposta dei serpenti e tenere alla larga gli indesiderati. Megan scorse tutto ciò in pochi secondi, prima di prendere posto sul letto come le era stato chiesto. Ebbe qualche attimo ancora per riflettere sulla funzione delle incisioni che aveva visto sugli alberi, così come essa veniva suggerita da quegli indizi, prima che le venisse offerta la possibilità di un confronto diretto.
La sconosciuta tornò, infatti, muovendosi silenziosa sulle vecchie assi del pavimento, apparentemente senza fare caso alcuno a quanto stava succedendo nell'altra parte della casa. Le sue attenzioni erano tutte per Megan, cui si accostò con espressione indecifrabile. In una mano reggeva la candela, che posò sul tavolino più vicino, mentre nell'altra aveva una piccola ciotola il cui contenuto pastoso rilasciava un forte odore di erbe.
«Fammi vedere la ferita, Selene.» Non c'erano dubbi che si stesse rivolgendo alla Corvonero, a dispetto dell'appellativo errato e pronunciato distrattamente, senza accordargli importanza. Qualsiasi fossero state le domande che Megan voleva porle, era quella l'occasione che attendeva.



Oliver
PS: 315/315
PC: 285/285
PM: 343/343
PE: 59.5

Megan
PS: 208/209
PC: 160/160
PM: 167/167
PE: 21

Prossima scadenza: 8 ottobre, 23:59

 
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Oliver Brior • Caposcuola Grifondoro
Sul palmo della mano, la pressione imposta dalla sfera di cristallo si faceva sempre più greve, vinta com'era dal battito incessante al petto del Veggente. Sentiva, sentiva vivamente il dinamico approssimarsi degli eventi, il cambiamento che soltanto una rivelazione come quella avrebbe potuto portare con sé; sentiva le pulsazioni del cuore solleticare il resto della sua figura, mutare in materia costante, attingere al richiamo segreto del sangue. Era lì, fin sottopelle, e scivolava in una dolcezza infinita, la più pericolosa e la più seducente. Era un invito, quello, cui non avrebbe mai potuto sottrarsi, e tuttavia una parte di sé si opponeva. Un tempo non sarebbe stato così, ne era certo. Un tempo si sarebbe gettato a capofitto, in quella e in tante altre sfide: Oliver ricercava l'ignoto, ne era attratto come un timido amante, e si affacciava al suo mistero fino a rendersene osservatore, spettatore, partecipante. Quello che la superficie più lucida avrebbe potuto mostrargli, quello che avrebbe potuto offrigli, tutto era verità. Per lui, perlomeno, lo era sempre. Le trame del divenire erano lusinghiere, lo erano state fino dal primo momento. Svestivano enigmi che in pochi avrebbero potuto afferrare, e ricamavano in quel modo promesse che in molti avrebbero desiderato, e che invece celavano antichi compromessi. Le trame del divenire, ancora, custodivano l'orrore e la bellezza, entrambe primordiali, che soltanto l'Occhio avrebbe potuto scorgere. Chi ne era benedetto, nel corso della propria esperienza, avrebbe compreso di esserne stato parimenti maledetto, e nel paradosso si districavano uno e più confini, ripetutamente, e senza fine. In passato, Oliver ne era stato stuzzicato a tal punto da scendere a patti con se stesso, a porsi in prima linea nella scoperta di quella che difatti altro non era che la sua più preziosa identità; aveva porto l'orecchio al bisbiglio del giorno, e al grido della notte, perché - inesperto com'era, agli esordi - era nel sonno che i sensi allentavano i freni in un risveglio che aveva sempre, sempre un prezzo. Quelli che erano apparsi come incubi confusionari si erano rivelati così come premonizioni, e quelle che erano state premonizioni si erano svelate come visioni, e il passo dall'una all'altra fase era stato più rapido di quanto immaginato. La comprensione, gli aveva detto sua nonna nell'unico incontro che avevano avuto al riguardo della loro comune eredità, non era sufficiente; né lo era l'accettazione, da sola. Quello che ogni Veggente avrebbe dovuto considerare, insisteva Adeline Brior, era il coinvolgimento. In un modo o nell'altro, e in esiti altrettanto inaspettati, la Vista avrebbe condizionato, si sarebbe imposta, non sarebbe stata annullata così facilmente. Si assisteva ad un contatto, ed era irreversibile: ne imprimeva la sua presenza, si realizzava come costante di una vita, e diveniva parte di sé. Sua nonna ne parlava con titubanza, ne aveva tuttora timore a distanza di così tante decadi. Quello che non sapeva, e che forse mai avrebbe saputo per davvero, riguardava la percezione del nipote: Oliver, infatti, non era mai stato come lei; quando le Visioni si erano poste profetiche, quando avevano tratteggiato i volti di chi amava, e perfino quando si erano cristallizzate su di lui, esattamente su di lui, in quelle circostanze non avrebbe potuto negare di esserne stato preoccupato. Ma intimamente, l'aveva sempre saputo, non ne era mai stato disgustato, non ne era mai stato sgomento. Per lui, la Vista era il risveglio per eccellenza, ed era identità. Mentre la bambina poneva la sua richiesta, Oliver sentiva il tempo spostarsi lentamente, tutto intorno, come tangibile. Attendeva, la pazienza come virtù eterna, e altro non chiedeva che essere colto, e accolto. Chiuse gli occhi, di scatto. In altre occasioni, non avrebbe perso un altro istante, e si sarebbe lasciato andare anche soltanto per curiosità, avrebbe permesso così all'incognita maggiore di scivolargli lungo la pelle, lungo la fronte, lungo ogni percezione. Qualcosa era cambiato, e si esprimeva come una cautela che mal s'addiceva a quel potere: la Vista, l'aveva vissuto da sé, non ammetteva schemi né gabbie, e si imponeva fino alla fine dei tempi. E lui, Oliver, non l'avrebbe rinnegata, non una volta, non dopo averla persa per davvero. Era la sensazione di esserne privo a consumarlo, fin da quando aveva lasciato il letto d'Infermeria ormai quasi un anno prima; per lunghi mesi ne era stato isolato, per lunghi mesi ne era stato disprezzato, e non uno scorcio visionario aveva fatto breccia in lui. Le spesse bende che coprivano gli occhi feriti, dopo quanto accaduto al ballo scolastico di fine anno, sembravano aver oscurato anche la Vista. Ne era cieco, ne era impossibilitato, e intimamente si era sentito sbagliato, fuori posto, malato. Quando si era ripristinata, aveva tratto un sospiro di sollievo, e per la prima volta aveva creduto di poter tornare a sentirsi vivo, tornare a sentire. Ad oggi impazziva all'idea di replicare una simile situazione, e ogni volta che attingeva al Divenire, era come se una parte di lui immaginasse di averne fatto spreco, di averne abusato, di aver danneggiato perfino se stesso. Hanne, lì di fronte, assumeva il senso di una vera e propria prova. Per lui, per chi era, per chi sempre avrebbe voluto essere.
Hanne, lì di fronte, era presente.
«Ci sto.» Sulla bocca, la voce parve un gemito, appena un sussurro. Si accorse solo in quel momento di aver trattenuto il respiro, e quando piegò le ginocchia per raggiungere più da vicino la postazione della bambina, sfumò in lui quella familiare sensazione di aspettativa, di segreti, di curiosità profonda. Da quando si era approssimato alle pratiche più versatili della Divinazione, si era ritrovato affine ad alcune in particolare: i tarocchi, il fumo, il cristallo. Le carte erano compagne fedeli, scintillavano negli orpelli artistici di una fitta simbologia - le lune, i soli, i mondi, gli angeli, i demoni, e tutti gli arcani misteri che custodivano preziosamente; la capnomanzia, invece, era il rischio al quale aveva saputo concedersi, e tuttora vi stava perfezionando l'intromissione senza compromettere la propria salute; il cristallo, il cristallo era una forma avanzata, ancor più delle prime, e soltanto il sacrificio del tempo aveva ripagato i suoi sforzi. La sfera di cristallo era con lui da più anni, fin da quando l'aveva ricevuta in regalo dal suo migliore amico; e per altri anni era stata riposta al sicuro, sul fondo del proprio baule, avvolta da quello stesso fazzoletto color indaco dai ricami arabeschi. Aveva atteso a lungo prima di recuperarla, e aveva atteso ancora per consultarla. Il Cristallo sembrava essere stato paziente a sua volta, e il suo risveglio - allo sguardo del Veggente - era stato versatile: il primo scorcio era stato in figure delicate, in piedi e alcune in altalena, e nel ritmico dondolio le catene si erano manifestate come corde, e l'Appeso era stato profetico - per lui, e per altri.
«Al tuo tre, Hanne.» La sfera brillava, ora libera. Il fazzoletto impreziosiva di lampi violetti la sua superficie, e negli sprazzi di indaco, violetto e porpora, parve che il turbinio incontrasse e sferzasse la nebulosa presenza dell'interno. Non una sola volta Oliver l'aveva sfiorata, non una sola volta. Cercò così di poggiarla sul tavolino dove la bambina si era sistemata, e anche lui - sulle ginocchia, semplicemente - si portò alla stessa altezza. Di fronte, ora che aveva le mani spoglie, soppesò ancora il volto di Hanne. Quello che aveva detto fino ad allora, quello che aveva sottinteso, quello che tuttora nascondeva, tutto era un invito a porsi oltre, a scoprirne. Il suo stesso tono di voce si era reso più pacato, Oliver respingeva in quel modo il timore di lasciarsi andare, e parimenti quello di permettere alla bambina di toccare la sua sfera di cristallo. Concesse a lei quello che difatti, per lui, restava un privilegio. A nessun altro avrebbe avvicinato quel manufatto, a nessun altro. Nessun altro, si disse, che non potesse essere come lui. Hanne era preziosa, e sentiva la stessa affinità che il Cristallo gli stava trasmettendo. Alla fine, sorrise. Genuino, delicato, sul volto screziato dalla ruvida reazione di poco prima; non chiuse gli occhi, non una volta, e lasciò alle mani il compito di porsi come guida d'origine. Sollevò entrambe, i palmi scoperti, e gli parve di assistere ad un rituale, ad una preghiera, ad un'antica, infinita preghiera. Calmava il cuore, ne controllava l'assalto del tempo, e l'esperienza si rendeva propizia in un incontro cui aveva sperato, non avrebbe potuto più negarlo. Desiderava, desiderava quel momento da tempo; e sapeva di non aver sfiorato la sfera di cristallo neanche una volta, dopo averne catturato il sacrilegio della tragedia di Hogsmeade, e dell'esito di Jasdel Brior. Ma era lì, era ancora lì. Era lì, di nuovo, e la lepre di cristallo poco distante gli parve come un incastro perfetto. Hanne, ad un tratto, gli ricordò Loras. Quello che erano stati, quello che avrebbero potuto essere. Perché se fosse stato ancora vivo, Oliver avrebbe vissuto lo stesso con lui, e quel tavolino sarebbe stato ovunque, in ogni momento.
Hanne era passato, in immaginario ricordo. Ed era presente, in quel contesto.
Ma per lui, per lui, Hanne poteva essere perfino futuro. Al suo invito, le mani del Divinatore avrebbero sfiorato il Cristallo - decise, sicure, piene, e senza titubanza. Mai più. Il gemito del suo dolore, il gemito della sua estasi - mutò in voce, e divenne canto. «Mostrati»


statistiche / inventario
salute 315/315 corpo 285/285 mana 343/343 exp 59.5

incanti
I, II, III, IV Classe completa
V Classe » Claudo, Nebula Demitto, Plutonis, Patronus
VI Classe » Perstringo
Chiari » Stupeficium, Rituale Perfetto

abilità
Divinatore Esperto, Maridese, Materializzazione

inventario
bacchetta magica, galeone ES, spilla C.r.e.p.a., bracciale di damocle, libri di Divinazione, sfera di cristallo, rune sacre con gessetto, occhialini ghostbuster, macchina fotografica

in breve
Le parole di Hanne attecchiscono più fertili che mai, e conducono Oliver ad una riflessione mai dimentica, mai allontanata. Quello che è stato, quello che è, quello che sarà, è tutto lì, nel senso dell'incontro con la bambina. La lunga digressione, nei termini pratici di pochi istanti, è per Oliver preludio di quello che decide. Soltanto alla fine acconsente alla richiesta, e quando poggia la sfera di cristallo sul tavolino, attinge così pienamente alla Vista.
 
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view post Posted on 8/10/2020, 21:34
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Toccava la pelle, le dita fredde sfioravano la carne. Un movimento circolare attorno al morso, volto ad alleviare il bruciore che ancora le procurava; le sembrava ad ogni minuto sempre più insopportabile, o era la mente a farle percepire quella sensazione?
Nel mentre, poche parole comprensibili sopra ad alcuni fogli che aveva smosso poc’anzi, viaggiavano nella propria testa trovando una probabile spiegazione. Una frase in particolare l’aveva colpita: Velocizzare la risposta dei serpenti e tenere alla larga gli indesiderati.
Il pensiero che tutto ciò che le era accaduto fosse per mano della sconosciuta che ora avrebbe tentato di curarla la terrorizzò. Megan tornò con la schiena dritta, gli occhi indugiarono oltre la porta dove riusciva a scorgere Oliver poco lontano. Più guardava il ragazzo, più avvertiva il senso di preoccupazione invaderla. Un leggero brivido le attraversò la spina dorsale e per alcuni istanti chiuse gli occhi; lucidità, doveva trovarla in quegli attimi in cui il cuore non cessava di tamburellare impazzito. Se quelle carte erano una guida per attivare le Spiree – addirittura velocizzandone la risposta – come protezione del luogo, era probabile che le due figure che avevano accolto lei e il Grifondoro fossero complici di qualcuno, se non artefici di tutto ciò che avevano visto e subito fino a quel momento. Perché? Non potevano essere semplici vittime? Megan non lo credeva affatto. C’era qualcosa. Le incisioni sugli alberi proiettavano simboli a lei sconosciuti e ora v’era il pensiero fisso che fossero collegati fra di loro, usati per la creazione di un cerchio magico, uno scudo; al di fuori di quest’ultimo i Serpenti. Quando erano stati scortati dalle due figure, Megan aveva potuto notare che nessuna Spira aveva più disturbato il loro cammino. Poteva essere un caso? Probabile, ma occorreva fare le giuste domande e trovare le risposte esatte.
Non appena i passi della sconosciuta si fecero più vicini, la Corvonero provò a rilassare il volto in un’espressione neutra e impassibile. Incrociò il suo sguardo indecifrabile, si concentrò sui gesti che seguirono: con una mano la donna posò la candela sul tavolo vicino, nell’altra stringeva una ciotola cui odore di erbe costrinse Megan a storcere leggermente il naso.
Quando ella parlò chiamandola con un nome che le era sconosciuto e non le apparteneva la Corvonero non disse nulla, decise di dare importanza ad altro e di rimandare quel piccolo appunto.
«Da chi stai proteggendo questo posto?» chiese; il tono di voce era calmo. «I Serpenti sono un’arma di difesa e quelle incisioni sugli alberi delimitano un confine. Non è forse così?» azzardò. «Qualunque cosa possiamo aiutarvi… Consideratelo uno scambio di cortesie. Almeno da parte mia» si sfiorò la guancia sinistra per portare via una ciocca fastidiosa, «per quello che stai facendo» concluse sorridendo appena; un chiaro riferimento al gesto che la donna si sarebbe apprestata a fare prendendosi cura di lei.
Megan non sapeva a cosa stava andando incontro ma aveva tentato di capire di più. Le sue intuizioni avrebbero potuto essere del tutto fuori strada ma era pur sempre un punto da cui partire. Se avesse dovuto spingersi oltre per ottenere ciò che voleva lo avrebbe fatto. Il cobalto dei suoi occhi, ora, indagava quelli della giovane, v'erano solo alcuni battiti di ciglia ad intervallare quella connessione.

▲ Attivo & Conoscenze

Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida
Tracolla in pelle nera
Amuleto Oscuro
Anello Difensivo(Medio sx)
Effetti: : protegge da danni fisici e incantesimi. Anche da Avada Kedavra, ma poi si spezza. [Usabile 1 volta per Quest.]
▸ Anello + Zaffiro “Trillon” (Anulare dx)
1 Nanosticca
Effetto: permette di assumere dimensioni di 30 cm.
Filtro Sonno Leggero

––


Occlumante Apprendista
Essendo apprendista, il pg riuscirà a chiudere la mente solo a legilimens apprendisti. Nulla però potrà, nel caso si trovi di fronte a legilimens esperti. Non sempre riesce a combattere le proprie emozioni, che sono per lui il problema principale.

I, II, III Classe completa.
Eccetto: Orcolevitas e Fattoriam.

▼ Riassunto & Danni

Megan si interroga su quanto letto fra i fogli sparsi sul tavolo. Attende la donna e le rivolge delle domande vaghe dalle quali spera di avere una risposta per intuire qualcosa, o di ricevere delle informazioni in più.

––


Lieve morso di serpente caviglia sinistra.


PS 208/209 ∆ PC 160/160 ∆ PM 167/167 ∆ EXP 21

 
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Hanne non mostrò sorpresa quando Oliver accettò le sue condizioni, ma ciò che non si aspettava era che il ragazzo si ponesse, letteralmente, al suo medesimo livello. I loro volti erano ora alla stessa altezza, così la bambina accettò nuovamente di incrociare il suo sguardo. Un legame venne sancito in quel momento, davanti al grosso occhio privo d'orbita della sfera di cristallo. Un abisso intero li separava, ragazzo e bambina; eppure, tra tanti segreti, uno solo, condiviso, creava il ponte necessario ad una comunicazione non scontata. Il dono della Veggenza li accomunava.
Hanne, che intuiva tutto ciò, dondolò le gambe in un moto di impazienza. «Uno...» Sollevò le manine davanti a sé. «Due...» Il suo sguardo si fece sfrontato. «Tre!» Insieme, guardarono.
***Le sensazioni di Oliver vennero interamente assorbite dalla Divinazione. Ebbe l'impressione di venire lanciato contro ad un muro d'oscurità illuminato da indefiniti bagliori arancioni, e mentre udiva un crepitio di fiamme trasformarsi in ruggito sentì che la pelle del viso si tendeva a contatto con un calore crescente. Bastò la violenza di quelle percezioni per riconoscere il fuoco famelico, fuori controllo, crudele.
Vide un'enorme casa in fiamme, le lingue mostruose dell'incendio si innalzavano a tagliare il cielo. Le mura e il tetto scoprivano i loro scheletri nello sparire in fumo, una nube così densa da oscurare perfino la luna e rendere assoluta la notte. Di fronte a quello spettacolo terribile, Oliver si sentì pervadere da emozioni che non gli appartenevano, in un coinvolgimento inedito. Capì che l'incendio non era una minaccia, non per lui; che, anzi, stava uccidendo i suoi mostri peggiori. Lo seppe con la semplicità intuitiva dei bambini, e, anche se il fumo gli stava facendo lacrimare gli occhi, lui lo accoglieva con sollievo.
«Non piangere.» Emma stava eretta accanto a lui, doveva guardarla dal basso in alto. Lei stava ammirando le fiamme, che donavano colore alle sue guance e si riflettevano nei suoi occhi da bambola in una luce trionfante. «Erano malvagi, se lo meritavano.»
Oliver si sentì annuire. Non gli era chiaro come, ma sapeva che Emma stava parlando di mamma e papà. «Sentono dolore?» La voce di Hanne parlò nell'esatto istante in cui i suoi pensieri stavano formulando la stessa domanda, ma la bambina non si vedeva da nessuna parte.
«No. Il veleno li tiene addormentati.» C'era una strana nota metallica nel tono di Emma, la stessa di quando prometteva che la prossima volta avrebbero preso insieme il treno per quella sua scuola lontana, e avrebbero lasciato la casa malvagia. Non era mai successo, nemmeno una volta.

***La visione si interruppe bruscamente, e Oliver riprese coscienza della stanza intorno a lui. Passò qualche secondo prima che riuscisse a mettere del tutto a fuoco Hanne, che aveva staccato le mani dal cristallo e ora se le teneva in grembo, stringendole forte tra di loro. Aveva gli occhi lucidi – non di fumo. «Dovete andare via.» Le tremava la voce, sembrava spaventata. «Dovete entrare nel muro e andare via da qui.»


Megan, nel frattempo, doveva confrontarsi a sua volta con ciò che aveva scoperto. Le poche parole appena lette avevano attecchito tra i suoi pensieri e questi, agili, elaboravano una riflessione dai risvolti inquietanti. Ormai, sentirsi al sicuro tra le quattro mura della catapecchia sembrava una follia: esse costituivano, sì, un isolamento dal bosco, ma ora le veniva suggerita la possibilità che fossero anche il cuore stesso del pericolo. Non sembrava un caso che due figure così indifese – come all'apparenza erano la ragazza e la bambina – vivessero circondate dagli orrori della vegetazione contorta e delle creature velenose.
Qualsiasi fossero i suoi segreti, la maggiore delle abitanti del bosco non li stava ancora lasciando trapelare. La sua espressione era illeggibile tanto quanto quella di Megan, che scelse di nascondere i propri sospetti in favore di un'investigazione meno diretta.
Tuttavia, a dispetto del tono conciliante che la Corvonero aveva dato alle sue parole, fu evidente l'effetto che esse produssero sull'altra. Emma si congelò in un'immobilità improvvisa, la pelle bianchissima come un'illusione di marmo. Immediatamente, fu chiaro che Megan aveva colto nel segno, togliendo all'altra la sicurezza di avere la situazione interamente nelle proprie mani.
Per qualche istante, i due sguardi si specchiarono uno nell'altro – un osservatore esterno avrebbe potuto notare, tra di essi, una somiglianza in forma e colore tale da rendere particolarmente calzante la metafora. Ma Megan avrebbe faticato a riconoscersi negli occhi dell'altra, che divennero stralunati, facendo apparire la ragazza ad un tempo distante e concretamente minacciosa. Divenne uno sguardo che metteva i brividi, mentre i muscoli del volto guizzarono un momento in conseguenza ad una brutta smorfia che le deformò la bocca.
«Ti credi tanto furba, non è vero?» Il contegno di Emma si frantumò definitivamente, come era stato sul punto di fare fin dall'inizio. Senza l'impegno per controllarlo, il suo tono si fece sferzante, velenoso fendeva l'aria per investire Megan di una rabbia che, apparentemente, la studentessa non avrebbe mai potuto suscitare. «A fare la finta tonta, come se non sapessi da chi sto proteggendo me e Hanne. Da chi ho dovuto proteggerci per tutta la vita. Perché non ci chiami col nostro nome, Selene? Forse che le streghe maledette non se lo meritano, anche se sono tue figlie?» Stringeva con forza la ciotola del medicamento, la rabbia le faceva tremare le mani. Pur non vantando una corporatura massiccia appariva alta, torreggiante quasi, e nell'affollamento ingombrante di mobili ed oggetti sembrava che l'intera abitazione si protendesse verso di lei, che ne costituiva il centro fremente. Come se fosse pregna delle emozioni di lei, e ricettiva ai suoi mutamenti d'umore, la casa si animò di furia. Non era solo un'impressione dettata dalla peculiarità del luogo. Megan non si stava inventando i suoni striscianti che ora provenivano da sotto il letto, quasi che le assi stesse del pavimento si fossero animate; o che, più probabilmente, qualcosa di addormentato si fosse risvegliato e avesse preso a muoversi a contatto col legno.


Perdonate il ritardo. Avete adesso le prime rivelazioni veramente importanti: i fatti stanno avvenendo in contemporanea, naturalmente. State raccogliendo frammenti complementari della stessa storia, ma, anche senza le informazioni dell'altro, dovrebbe comunque essere chiaro ad entrambi qual è il vero pericolo.
Continuate così!

Oliver
PS: 315/315
PC: 285/285
PM: 343/343
PE: 59.5

Megan
PS: 208/209
PC: 160/160
PM: 167/167
PE: 21

Prossima scadenza: 17 novembre, 23:59

 
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Gli attimi di calma apparente furono disturbati dal gelo che si propagò nella stanza tra Megan e la giovane donna. Quest’ultima all’udire di quelle domande fu colta da una sorpresa inaspettata e dinanzi alla Corvonero, trattenne le emozioni pronte ad esplodere da un momento all’altro. In quei brevi istanti, prima dell’inizio del caos, Megan percepì il pericolo avanzare come un’onda improvvisa in un mare calmo. Aveva tentato di navigare le acque, sfiorarne la superficie per sondarne le profondità ma si era ritrovata a sprofondare negli abissi, sentendone il peso su di sé. Non era in una casa accogliente di un villaggio della Scozia, non guardava quelle mura colorate e crogiolava nel fascino di un arredamento delizioso. Era in mezzo al nulla, circondata dal grigiore di quella dimora fetida, all’interno del cuore della minaccia che aveva colto lei è Oliver fin dagli inizi di quell’improvviso viaggio.
Un pugno sulla bocca dello stomaco, questo avvertì Megan alla reazione della donna, alle parole e ai gesti chiari in uno stato di impeto e rabbia. Sembrò una vendetta quella messa in atto e Megan fu costretta a scegliere: doveva stare al “gioco” o fuggire via? In entrambe le situazioni avrebbe dovuto agire subendo tutte le conseguenze del caso.
Costretta a trattenere il respiro dopo le parole d’accusa che le erano state rivolte, Megan ispirò ed espirò profondamente mascherando l’improvviso guizzò di tensione che l’aveva avvolta. Chi è Selene? Si chiese. Doveva fingersi qualcuno che non era o dire alla giovane che si stava sbagliando?
L’Improvviso tremare della casa lasciò aumentare il terrore e la tensione dentro di lei. Quando sentì il frusciare sotto le proprie gambe d’istinto le ritrasse ma solamente sollevando i piedi a qualche centimetro dal pavimento, in avanti. Non si alzò, rimase seduta sul letto. Il terrore nel suo cuore avanzò incontrollato, permettendo alla propulsione del motore spingere sul petto con forza. Sentì il respiro mancare ma non frenò le parole che di getto di getto uscirono dalle proprie labbra. «Non so di chi tu stia parlando. Non sono Selene, non so chi sia. Siamo capitati qui per caso, vogliamo andarcene» Il tono venne tradito dalla tensione che in quel momento permeava intorno a lei, la paura provata si riflesse nelle iridi cobalto; le palpebre si spalancarono e le sopracciglia si incurvarono in un espressione sincera.
«Possiamo aiutarci a vicenda. Hanne è tua sorella?» Abbassò lo sguardo e lentamente tornò ad appoggiare i talloni a terra in un movimento attento. Stava tentando di calmare la tempesta, di vedere cosa celasse al suo interno e provare ad attraversarla. «Io sono Megan. Tu come ti chiami?» domandò.
Il rischio che le cose sarebbero potute precipitare era elevato ma avrebbe cercato di mantenere la calma. Le pareti che vibravano attorno a lei e il frusciare agitato delle Spire sotto i suoi piedi, non smettevano di tormentarla. Avrebbe voluto affrontare quella situazione di petto ma s’era resa conto che prendere quella strada sarebbe stato troppo pericoloso. Così, in cerca di equilibrio, aveva provato a farsi avanti in un altro modo. L’apparente controllo lasciava affiorare brevi attimi di nervosismo, Megan sarebbe stata pronta a ogni conseguenza.
«Chi è Selene?»



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Megan reagisce a ciò che accade attorno a lei e tenta di provare a calmare la donna.


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Lieve morso di serpente caviglia sinistra.

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view post Posted on 18/11/2020, 13:00
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Oliver Brior • Caposcuola Grifondoro
Era come lui. Ne ottenne consapevolezza ben prima del contatto delle mani sul cristallo. Come una rivelazione che aveva atteso a lungo, come un incontro già scritto, il Divenire tesseva la sua trama maestra. Era lei, era proprio lei. La più piccola tra i presenti, il germoglio nascente di un'eredità che li accomunava e che rendeva lui, perfino lui meno solo. Chiunque la bambina fosse stata per davvero, non aveva più importanza. La sua età, le sue origini, la sua storia, tutto passava paradossalmente in secondo piano di fronte il suo sguardo, le sue sensazioni, le sue abilità. Perché era lei, era lei fin dal principio. Fin da quando la Stamberga Strillante aveva fagocitato la sua figura, fin da quando lo aveva catturato in un grembo che di materno, a conti fatti, perdeva valore. Era lei, Hanne. Con la lepre morta tra le braccia, con l'apatia di un volto che Oliver aveva imparato ad osservare, e aveva cercato per molto di allontanare nel riflesso del suo stesso specchio da parete; con la diffidenza di una mancata conoscenza, e con la gentilezza che ne tradiva complicità, in un'empatia che ancora una volta poneva differenza. Era lei, Hanne. La bambina, l'assente prodigio dei molti, il privilegio dei pochi. Per lui, per lui era come ritrovarsi. Come vedere, e come vedersi.
Al di là dei confini, al di là delle epoche, quello era un punto fisso. Mentre la superficie della sfera di cristallo brillava argentea, la Vista spezzava i cardini del momento. Le fittizie, temporalesche nubi al suo interno si resero portatrici di promesse appena sussurrate, e le voci tremarono le une verso le altre. Un singhiozzo, impercettibile com'era, bagnò la gola e la bocca, e non ne pretese suono alcuno. Era una percezione, quella, che Oliver Brior viveva da tempo, viveva nel tempo. Ed aveva il senso della nostalgia, di quello che aveva perso e di quello che aveva acquisito; aveva il senso di una costante, tra quello che era cambiato e quello che invece era nascosto; ed aveva il senso primario, e ogni altro senso. Di una bambina, di un ragazzo. Di una catapecchia incastonata maldestramente in un bosco, unica superstite di velenose presenze. Il senso di un ritrovo, e di un déjà-vu. Di una coppia di Veggenti, e del loro dono più prezioso.

Inspirò l'ebbrezza del Divenire, ne accolse la più incauta testimonianza. Le spoglie mortali, nella loro miseria, vacillarono all'ospitalità che via via andavano considerando. Il passato, il presente, il futuro - viverne l'esito era una possibilità, ma contenere l'uno e l'altro era una condanna. Mentre la cornea brillava di candore, le iridi smeraldo sbiadirono fino a dare l'impressione di spegnersi; il respiro parve cristallizzarsi nell'ultimo soffio, il petto che lento già si abbassava; e il cuore, in frenesia eccelsa, spinse sangue in battiti cadenzati, in un ritmo che avrebbe spaventato chiunque e che in lui invece concedeva consenso. Non ne ebbe paura, non come una volta. Il suo corpo, a fatica, si era abituato: la Vista ne sferzava la pelle, giungeva talvolta a scuoterlo, a spossarlo fino alla perdita di conoscenza. Ma al risveglio era lui, era ancora lui. Quello che vedeva, quello che era, tutto era identità vera e propria. La pelle vibrava di aspettativa, e lo sguardo infine poneva a fuoco quello che era già stato, quello che sempre sarebbe stato. Il Cristallo, tra tutti, gli offriva un ponte, un porto d'approdo, una certezza. Quando i contorni sfumarono nella rappresentazione di un altro ambiente, Oliver percepì la dolcezza del suo dono - così come l'aveva accolto, ora veniva accolto. Sotto di sé, il terriccio sfrigolava al tormento di una scena che mai avrebbe voluto avvolgere; e il cielo, zampillante d'orrore, si macchiava di sfumature che non gli s'addicevano, e che screziavano la più pacata notte. Il fuoco era demonio assoluto, andava insinuandosi sulle pareti, sulle travi, sui confini di un'abitazione che Oliver giurava di conoscere. Non vi era mai stato, non prima. Allo stesso tempo, era familiare. Guizzò in lui la memoria di chi era stato, e di chi era in quel momento. Le fiamme, ardenti nella loro furia vendicatrice, erano ormai libere e danzavano così sulla struttura di fronte; il senso di costrizione di un elemento che rinnegava fin nel profondo ebbe modo di stringere il petto in una morsa - quello che il fuoco aveva rappresentato per lui, quello che gli aveva causato, tutto era vibrante; le ustioni che avevano bruciato le sue braccia, il marchio mefistofelico che avevano lasciato nitidamente, tutto riecheggiava in screzi che non avrebbero mai taciuto. Si convinse di tremare, ancora una volta; si convinse di non abbassare lo sguardo, perché nell'orrenda verità che gli si stagliava intorno, la distruzione di una casa era più sopportabile della distruzione di se stesso. Deglutì a fatica, la bocca ad un tratto asciutta - non poteva negare di essere intimorito dal fuoco, ma c'era qualcosa di più soggettivo, qualcosa di più pericoloso. Il fuoco, per lui, era morte.
«Non piangere Gli parve di socchiudere gli occhi, e di aprirli di nuovo. Alla cenere, al fumo, alla consumazione dei mondi. Accanto a sé ritrovò una figura che sentiva di conoscere, e negli estratti di percezioni che avrebbe dovuto meglio distinguere, Oliver non ebbe più paura. Non in modo viscerale, perlomeno, perché per la prima volta scoprì nel fuoco una certezza, quella di non esserne di nuovo pienamente travolto. Nella lontananza cui era costretto, come una delle creature infernali che l'Ardemonio aveva concretizzato nel suo tempo, il fuoco dava l'impressione di essere in trappola. Una preda ghiotta, la Casa, era tra le sue grinfie. E forse gli altri erano scintille che non gli appartenevano, che non gli interessavano. Per lui, allora, il fuoco si rivelava in una veste che mai aveva saputo ricamare al suo sguardo - una veste impeccabile, i ricami dell'oro sciogliendosi, la dissolvenza di spirali verso i cieli. Il buio si colorava, il tempo si scriveva. Ne catturò l'armonia di un epilogo, la consapevolezza di essere illeso.
«Sentono dolore La domanda giaceva a sua volta, moriva sulla bocca. Una parte di sé ne conosceva la risposta, in qualche modo. Un'altra parte... ne era come incuriosita. Quando la Visione si infranse, sottopelle il cristallo gli offrì un distacco delicato. La sfera non scottava come in passato, e nel rispetto che Oliver le concedeva, sentiva di esserne stato parimenti ripagato. Cercò il volto di Hanne. Era lei, era sempre lei. Mentre le pupille ripristinavano accuratezza, il Caposcuola comprendeva di non essere mai stato fuori fase, di non mancare di equilibrio. Negli istanti precedenti il recupero, e già prima che la bambina gli parlasse, comprese come entrambi avessero visto esattamente gli stessi scorci. Tuttavia, se per lui aprivano dubbi e riflessioni pericolose, per Hanne avevano il peso del presente, e di quanto di persona già vissuto. Lasciò che la mano sinistra scivolasse, gentile, oltre il fazzoletto indaco della sfera. Non pretese il contatto di quella dell'altra, non lo cercò: il palmo però si aprì, le dita pure, e l'accoglienza ebbe il messaggio di un'offerta. Stringi la mia mano, sussurrava. In attesa, ancora una volta - perché la Vista, lo sentiva, gli aveva insegnato ad essere paziente ben prima di ogni altra etichetta, ben prima di ogni altra empatia. Ad ora sentiva un'affinità maggiore nei riguardi di Hanne, e tutto il resto scomparve impercettibilmente. Era in pericolo, erano in pericolo, e l'altra ragazza celava un rischio che fino a quel punto aveva soltanto sfiorato le sue sensazioni. Non giudicò, non una volta - quello che era stato compiuto, quello che scandiva nelle sue conseguenze, tutto era vivido tra pensieri, ricordi, riflessioni. E tutto attendeva, e tutto taceva. Non giudicò, non una volta. Cercava invece, in fretta, le parole migliori. Non quelle giuste, non quelle perfette, semplicemente le migliori. La differenza era sostanziale, e lì si inseriva in una fiducia che poteva spezzarsi, mai nascente com'era stata. La mano sinistra era ancora aperta, in attesa. Quando dischiuse le labbra, si rivolse alla bambina in un filo di voce.
«Hanne, tu sei preziosa.»

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Non poteva credere che il suo migliore amico fosse lì dentro, non gli sembrava giusto. Le travi di legno si stringevano le une sulle altre, rivelavano un senso di costrizione: non un soffio d'aria, non un bagliore di luce. Si cullavano di un dolore che non apparteneva loro, che non mostrava una vera accoglienza. Non gli sembrava giusto, continuava a dirsi. Per lui, invece, aveva immaginato uno scrigno di un tesoro, un forziere che celava un passaggio verso altri regni, verso altre avventure; aveva immaginato un armadio, pieno di maglioni di lana, così anche avanzando con difficoltà sarebbe stato come ricevere una carezza, e un'altra, e un'altra ancora; aveva immaginato un luogo aperto, senza alcun dubbio: magari un prato in festa, forse un campo di girasoli, o di fiori gialli, luminosi, brillanti. Quando il Sacerdote aveva sciorinato ricordi, preghiere e canti di misericordia, gli era parsa più una cantilena, quasi una filastrocca. E no, neanche quello era stato giusto. Aveva creduto che la terra mutasse in grembo materno, proprio come avevano detto tutti gli altri, ma che lo facesse in modo... più delicato, sì, più delicato. Invece.
Invece era stato rumoroso, sgraziato, per nulla elegante. Un tonfo affievolito soltanto dal tremolio di una campanella, e dall'armonia di cinguettii tra gli alberi sempreverde. Forse il bosco era stato materno, almeno in parte, e almeno verso la fine. Comunque, a lui non era sembrato giusto. Non una volta, non un momento. Quando la nonna gli aveva stretto la mano, tutto quello che aveva pensato era come lei, Adeline Brior, mai fosse stata così affettuosa con lui. E no, neanche quello gli era sembrato giusto. Abbassando gli occhi sull'intreccio delle loro mani, gli era sembrato... forse, sì, forse gli era sembrato un peccato. I segni del tempo sulla pelle piena di rughe della nonna, e quelli dell'assenza sulla pelle liscia della sua mano. Gli era sembrato curioso, e poi interessante, e poi di nuovo inutile, e di nuovo così sbagliato. Quando l'ultima calendula aveva bagnato d'oro quella cassetta in legno, che non era né uno scrigno del tesoro né un armadio incantato, gli avevano chiesto qualcosa. Forse di proseguire, forse di raggiungere il legno e chissà, forse offrire una carezza. Un'ultima carezza. Ma non c'è spazio, credeva di rispondere. Non c'è spazio, è così stretto. Il mio amico, diceva. Il mio amico non può muoversi. Questa cassetta è stretta, insisteva. Non può uscire, non può correre nel prato con la nostra lepre. Non può vedere il sole, gridava. Non può vedere il sole, quello era il prezzo peggiore. Non poteva vedere il sole. Ma lui, lui l'aveva visto - nel riflesso di una crisalide, nel contrasto sulla pietra del pozzo nel quale l'amico era scivolato, e anche sull'amico. Lui aveva visto il sole tra i suoi riccioli, una prima volta, un'ultima volta. Nonna, aveva chiesto. La stretta leggera delle loro mani. Nonna, perché ho visto il sole tra i suoi capelli. Nonna, perché ho visto il sole quando era notte. E la stretta, allora, si era fatta più vigorosa. E il tempo si era fermato, e la bara in nocciolo era caduta. E il tonfo, il tonfo, il tonfo. Non era elegante, non lo era. Il tonfo, il tonfo, il tonfo. Un botto, un diniego, la terra che si apriva in una voragine. Nonna... Nonna, perché. «Perché sei prezioso, bambino mio.»
No, non era vero. Perché lui sapeva, lo sapeva prima di tutti gli altri. E per colpa sua, si diceva. Per colpa sua, Loras non poteva più vedere il sole. Nonna... Andavano via, via dalla chiesetta.
Nonna, perché. Non lo chiese più, mai più. Ma la risposta sarebbe stata sempre vivida. Perché sei prezioso, gli aveva detto.
Sei prezioso, Oliver. E no, non gli era sembrato giusto.

«Sei preziosa, Hanne.»
Lo ripeté, un sussurro. Poteva aprirsi una voragine sotto di loro, potevano ardere tra le spire del fuoco più indomito, e perfino i serpenti - all'esterno, ovunque fossero stati - potevano tornare in quel momento. Ma non avrebbe rimandato ancora, non di nuovo. Il tempo si fermava - per lui, e per lei. Ed erano soli, in quella casupola. Nel grembo di un legno, nel bagliore di un cristallo. Non c'era sole, neanche quella volta. Hanne, tu sei preziosa. Il palmo della mano sinistra aperta, la gentilezza sul suo volto. Non chiese altro, non pretese di sapere altro sul passato della bambina. Non era il momento, non gli sembrava giusto. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì tornò sull'altra. Erano preziosi.
«Il muro, Hanne. Portaci al muro.»
Nelle nubi del Cristallo ebbe come l'impressione di scorgere un profilo, un paio di orecchie lunghe, e un musetto più scuro. «Vuoi venire via con noi?»


statistiche / inventario
salute 315/315 corpo 285/285 mana 343/343 exp 59.5

incanti
I, II, III, IV Classe completa
V Classe » Claudo, Nebula Demitto, Plutonis, Patronus
VI Classe » Perstringo
Chiari » Stupeficium, Rituale Perfetto

abilità
Divinatore Esperto, Maridese, Materializzazione

inventario
bacchetta magica, galeone ES, spilla C.r.e.p.a., bracciale di damocle, libri di Divinazione, sfera di cristallo, rune sacre con gessetto, occhialini ghostbuster, macchina fotografica

in breve
Quello che Hanne rappresenta per Oliver ha già ora un valore infinito: è un'identità che si ritrova e che si congiunge, da lì la breve parentesi sul passato come punto di contatto. Oliver vede sé in Hanne, quello che ha vissuto è sottopelle, è nel profondo. La visione ne ha rafforzato l'esito, la conclusione è volutamente paziente: chiede ad Hanne del muro e di andare via con lui. Teme infatti possa essere in pericolo, come loro.
 
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view post Posted on 26/11/2020, 10:24
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Il Fato

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[Megan]
A dispetto della paura, gli sforzi con cui Megan controllò le proprie reazioni sortirono l'effetto desiderato: tennero insieme i frammenti sfilacciati dell'emotività di Emma, almeno per il momento. Era chiaro che quest'ultima voleva esplodere, urlare e ritorcere ogni asse, ogni mattone della sua misera abitazione contro ai due studenti, ma si lasciò convincere a proseguire il dialogo.
«Certo che Hanne è mia sorella. Emma e Hanne, Hanne ed Emma, inseparabili, che voi avete torturato perché diverse, non normali. Per tutta la vita, fino alla fine della vita... E poi? Questo non è bastato, evidentemente, dovevate tornare. Ma ora siamo forti, avete visto il bosco? È tutto nostro, ora che quella casa orribile non c'è più.» Non parve fare caso alla presentazione di Megan, raccoglieva dalle sue parole solo ciò che le interessava.
«Chi è Selene?», le fece eco poco dopo, una nota pericolosa che si insinuava nella voce. Vi fu un tonfo, quando schiacciò con forza la ciotola dei medicamenti contro al tavolino accanto al letto e Megan sentì una zaffata del suo odore amaro. Emma le dette le spalle, ma solo per i pochi istanti necessari a rovistare tra alcuni scaffali. Immediatamente, lanciò qualcosa a Megan: era una fotografia, che le finì in grembo. Vecchia e sgualcita, mostrava una piccola famiglia: l'uomo e la donna, piuttosto giovani, guardavano l'obiettivo con espressioni severe, mentre poggiavano ciascuno una mano sulla spalla di una bambina sui cinque anni. Sullo sfondo si intravvedeva una bella villa, un'automobile scura parcheggiata davanti al cancello. Anche se erano passati molti anni, nella bambina si riconosceva ancora Emma; Selene, allora, non poteva che essere sua madre, la donna dai lunghi capelli corvini e i grandi occhi azzurri, simili in taglio e colore a quelli di Megan. Anche il padre poteva avere qualcosa di familiare, con la chioma scura e ricciuta e il volto squadrato dalla bocca sottile. Non erano somiglianze che colpissero particolarmente, soprattutto ad uno sguardo attento; ma, a giudicare dall'espressione attuale di Emma, la realtà le interessava molto meno dei suoi personali fantasmi.
«Non ve ne andrete» annunciò cupamente. Megan dovette aguzzare l'udito per poterla sentire: i serpenti si contorcevano più che mai, e i primi cominciarono ad uscire da sotto il letto, lunghe dita d'ombra che strisciavano verso di Emma, senza badare, per il momento, alla Corvonero. Avrebbe potuto contarne quattro, poi cinque. «Hanne aveva visto che ci avreste provato, ma, no, non ve lo permetteremo.»

[Oliver]
Da una parte della catapecchia attendeva il conflitto, come una bestia acquattata e pronta a balzare da un momento all'altro; dall'altra parte, nasceva un ponte tanto inaspettato quanto semplice nella sua spontaneità. La sensibilità di Oliver non passava inosservata agli occhi di Hanne, che, come tutti i bambini, era particolarmente ricettiva a quel genere di segnali; le parole del ragazzo erano buone e sincere, e, fatto ancor più importante, lo erano i suoi occhi. Così, quando il Grifondoro aprì la mano e la lasciò in attesa, in un gesto discreto ma significativo, ciò apparì come la concretizzazione di un legame già esistente, già prezioso come lui suggeriva.
C'erano, tuttavia, troppe questioni in gioco perché la bambina accettasse senza remore l'amicizia che l'altro le proponeva – non lo avrebbe fatto così direttamente, e di certo non se ciò significava tradire la sorella. Infatti, se in un primo momento la minuscola mano di Hanne si sollevò fino al bordo del tavolo, e l'incertezza le fece storcere la bocca in un broncio infantile, la bambina si ritrasse non appena Oliver accennò alla possibilità che andasse via anche lei.
Lasciò cadere la mano nuovamente in grembo, scuotendo la testa. «Non posso lasciare Emma» disse con fermezza e semplicità, come si potrebbe affermare che l'albero non può sollevare le sue radici in aria e piantare i rami sottoterra.
Si lasciò cadere dalla sedia, ma non, come si sarebbe potuto pensare, per correre dalla sorella. «Il muro che vuoi tu. Veloce.»
Era semplice a dirsi, tuttavia Oliver si accorse che nessuna parete era sgombera da credenze o scaffali, al punto che l'intonaco si scorgeva solo in angusti spazi tra un mobile e l'altro. Se sarebbero dovuti entrare nel muro, come si era espressa la bambina, avrebbero prima dovuto farsi spazio. Gli scaffali sembravano tutti piuttosto sbilenchi, fatti di legno grezzo e straripanti di ampolle, barattoli, cesti carichi di erbe e radici, dal pavimento fin sopra alla sua testa.

[Entrambi]
Mentre Oliver aveva il tempo di decidere il da farsi, Hanne corse fino a raggiungere un basso tavolino in un angolo della stanza. Lì frugò per qualche momento e, nella foga, fece cadere un contenitore di vetro che si infranse a terra con gran fracasso. Tutti, nella casa, poterono udire.
Il rumore fece trasalire Emma, nella camera dei letti. I suoi occhi si spalancarono in allarme e, velocemente, si mosse per affacciarsi sull'altro ambiente. Megan, a quel punto, guardava la schiena della giovane, verso cui si mossero i quattro o cinque serpenti, sibilando agitati. Era, questa, un'occasione che forse non le si sarebbe più presentata.
«Che cosa sta succedendo?» domandò Emma, allarmata, volgendo lo sguardo a cercare sua sorella ed Oliver, che avrebbe potuto vederla a sua volta.
Hanne non rispose, la sua voce fu per il ragazzo: «Prendi». Gli lanciò allora un gessetto, rossiccio e tozzo, che volò appena verso la sinistra del ragazzo: gli sarebbe bastato allungarsi con una certa prontezza per afferrarlo. Gli indizi, a quel punto, erano completi, e il recente ricordo di come tutto era iniziato avrebbe potuto costituire il giusto collegamento tra di essi.


Per comodità e chiarezza, ho suddiviso il testo in tre parti. L'ultima vi riguarda entrambi, e anche i due PNG: anche se vivete gli eventi da due punti di vista differenti, avete la possibilità di collaborare. Siamo agli sgoccioli, ormai la necessità più immediata sembra essere quella di andarvene.

Oliver
PS: 315/315
PC: 285/285
PM: 343/343
PE: 59.5

Megan
PS: 208/209
PC: 160/160
PM: 167/167
PE: 21

Prossima scadenza: 6 dicembre, 23:59

 
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view post Posted on 6/12/2020, 21:07
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Oliver Brior • Caposcuola Grifondoro
Sperava fin nel profondo in un lieto fine. Come in un racconto, già immaginava di scappare via dal casolare abbandonato, di correre a perdifiato verso la direzione dalla quale era arrivato, e così facendo portare via in salvo la bambina che era lì con lui. Quel pensiero germogliava piacevole, cullava il battito del cuore in tumulto e gli permetteva rapidamente di trarre un sospiro, e un altro, e un altro. Il sollievo che avrebbe provato ad uscire dall'abitazione solitaria non era nulla in confronto al desiderio di non perdere la compagnia di Hanne. Chiunque fosse stata, quella era una relazione punta dalle trame del Divenire. Un incontro già scritto, avrebbe detto qualcuno. Un incontro previsto, avrebbe confermato anche lui. Ora che la mano della piccola tentennava al segno di un ritrovo, alla stretta impossibile di chi come lui, come Oliver, le stesse infine offrendo fiducia, vedeva tutto con maggiore chiarezza. Nel tempo, fuorviato e sospinto dal dono in eredità, aveva imparato a non sottovalutare quei semplici, timidi dettagli. Non avrebbe potuto, non più. Nell'attesa del momento, il Cristallo sfumava via paziente nelle promesse, negli auspici e nelle terrificanti scoperte che aveva mostrato; le nubi di un culto mistico, così riservato, si addensavano fino a disperdersi, e lente si prosciugavano l'una dopo l'altra. La sfera non poteva tornare utile, non più di quanto non avesse già fatto. Era lì, Oliver. Nel presente, nel punto fisso dell'avvicinarsi tra lui ed Hanne. Il ricordo della percezione e di tutto quello che era stato posto in risalto all'Occhio, durante la lezione di quel giorno, ripristinava consapevolezza vera e propria. Così intangibili, le spire di serpenti erano infine apparse, e uno forse aveva stillato una goccia di veleno in carne innocente - il pensiero, fulmineo, andava continuamente alla Corvonero lì con lui; erano insieme, si erano ritrovati, in un viaggio che nessuno dei due aveva saputo prevedere. Dapprima in colpa, Oliver aveva in seguito compreso di non esserne l'unico artefice: Megan l'aveva seguito, ma era stata sua la scelta. Così l'Albero, il profilo imponente che aveva individuato nel Cristallo, era stato il varco necessario, in apertura. Il principio di un approssimarsi, quello tra lui e Megan, così come quello tra lui e Hanne. Indugiava tuttora in quelle riflessioni, chiedendosi in che modo il tempo si stesse scrivendo, e in che modo il futuro già si stesse riscrivendo. Non poteva essere una casualità, non poteva essere neanche una coincidenza. Oliver si fidava delle possibilità, abituato com'era a non dare nulla per scontato. Se era lì, era per una ragione, forse più di una: di quello, perlomeno, era fermamente convinto. Lo sguardo si affievolì nel bagliore di un'empatia che si tingeva di nostalgia, e di una scintilla di pura malinconia. Per quello che era stato, e ancor più per quello che non era stato: il Platano Picchiatore era lì da secoli, ogni libro relativo ai confini della Scuola di Hogwarts ne era testimonianza; la voce di un passaggio segreto, e quella di antichi misteri nella Stamberga Strillante cui conduceva, parimenti era qualcosa che aveva sentito da lungo andare. Qualcosa che aveva vissuto in prima linea, che aveva rappresentato spesso argomenti di conversazione, storie dell'orrore davanti al caminetto sempiterno della Sala Comune Grifondoro, e per molte, molte altre circostanze. Ma per lui, in effetti, era la prima volta. Non vi aveva dato peso, non vi aveva dato neanche adito. Non provava rimorso per non aver assecondato l'innata curiosità del suo cuore, ma viveva risentimento vero e proprio per non aver incontrato prima Hanne, lì con lui. Forse, si disse. Forse, se fosse arrivato prima, non sarebbe stato troppo tardi. Non demorse, allora, quando la bambina infine discostò la mano. Era presto, l'aveva compreso: quello che Hanne aveva trascorso, quello che aveva subito sulla sua pelle, non era di poco conto. Il fuoco che aveva distrutto quella che all'apparenza, dalle visioni, Oliver aveva interpretato come propria casa; quello stesso fuoco non perdonava, bruciava con sé ricordi e sensazioni. Era un fuoco che estingueva il passato, ne lasciava scottature che non potevano più spegnersi. Era un fuoco che gli era familiare, in circostanze diverse, ma con le stesse incaute conseguenze. Allora soffermò lo sguardo sulla mano aperta, così solitaria, per un istante: il palmo attendeva, prometteva una via di fuga, ma come avrebbe potuto pretendere l'assoluta fiducia di Hanne? Più di quella, come avrebbe potuto chiederle di andare via, dimentica di Emma? Chiunque fosse stata anche l'altra, era evidente si trattasse di una figura fondamentale per la bambina. Erano soltanto loro, all'apparenza. C'erano soltanto loro. Poteva immaginare come fosse quel loro legame, stretto com'era al punto da spingere Hanne a restare, a dispetto di quanto affrontato. Sapeva, sapeva che fosse stata Emma ad appiccare l'incendio, Hanne lo sapeva. Dalle Visioni di pochi attimi prima, Oliver aveva visto tutto con gli occhi vividi della piccola: era stato lei, e in qualche modo sentiva di esserlo ancora. Annuì, mentre la mano si chiudeva a pugno. Stringeva l'assenza di un intreccio, e la promessa di fare di meglio. Non posso lasciare Emma, aveva detto Hanne. No, non poteva. Cercò di raccogliere tempo, altro tempo; non avrebbe lasciato quella casa, non quando c'era tanto in sospeso. Si affrettò a coprire la sfera di cristallo con i lembi vicini del fazzoletto color indaco, non avrebbe impiegato troppo, attento parimenti a non sfiorarne la superficie una seconda volta. Quello era presente, era il momento: il cambiamento vibrava della frenesia di un pericolo, lo sentiva fin sottopelle. Cercò di riporre la sfera di nuovo nella borsa a tracolla, recuperata di scatto. In piedi, inseguiva Hanne con occhi spenti, in parte velati di tristezza. Erano attenti, però, lo erano sempre.
«Hanne.» Chiamò il suo nome, e gli parve un sussurro carezzevole sulla bocca. Non era pronta, non lo era. Né lo era lui, ne era consapevole. Collegò quanto appena detto dalla bambina, la rivelazione si rese fertile come una riflessione, e poi una necessità vera e propria. Il muro, si appuntò; il muro era la strada principale, e quando sollevò per istinto la mano sinistra - favorito dai riflessi da Cercatore - colse parimenti di fretta il gessetto che l'altra gli aveva lanciato. La memoria più recente si inasprì di dolore, mentre zampillavano nitidamente le stesse rifiniture più accentuate, più bianche della cornice che aveva attirato la sua attenzione all'interno della Stamberga Strillante. Così com'era entrato, così sarebbe uscito. Relegò fiducia verso quell'ultima consapevolezza, stringendo così il gessetto nella mano sinistra. La borsa scivolava sulla spalla, come all'inizio, mentre la destra cercava la certezza dell'Abete. Il vetro in frantumi aveva spinto i sensi in allerta, ancor prima delle frasi concitate della bambina e del suo spostarsi da un punto all'altro. Rimase fermo, impassibile. Impavida, un'altra memoria si insinuò rapidissima, fino alla morsa del cuore.

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«Shà, Kàlha.»
Argentea, la voce infine coglieva l'armonia di un Canto. Scopriva così una delicatezza che non aveva confronto, si esprimeva come un privilegio di pochi, così pochi. Negli abissi del Lago Nero, l'acqua mutava in mulinelli concentrici, e come tentacoli trascinava verso il fondale, sempre più energicamente. Il corpo di un uomo, in luoghi occulti come quelli, non riceveva misericordia di alcun genere. Quei regni non gli spettavano, quei confini non potevano essere violati - sembrava che le stesse onde gridassero oltraggio, mentre lentamente sospingevano via tutto quel che era, e tutto quello che aveva potuto essere fino ad allora. Ma lei, lei era lì. Le tempere oscure le vestivano squame di smeraldo, i riflessi adamantini di una creatura che custodiva in sé il senso del divino; la coda si poneva come ostacolo, e come libertà così piena. Accoglieva i flutti del lago in tempesta, ne spezzava cardini dinamici di ogni assalto, così permetteva all'unico uomo degli abissi di restare, e restare, e restare ancora. Le pareti della grotta marina brillavano di rischio, riflettevano così l'incedere ormai prossimo di Maridi agguerriti. Perché era lì, anche lui lo era, e se anche la Sirena aveva accettato la sua presenza, la sua vicinanza, per tutti gli altri della sua specie cesellava un'eccezione giunta ad estinguersi. E lui, il Ragazzo. Lui doveva scappare, prima che potesse essere troppo tardi. Con i rudimenti di un Canto che avrebbe accolto in sé, fin nel profondo, alla fine aveva compreso. Kàlha voleva che andasse, chiedeva che andasse via. In fretta, gridava. In fretta. Non c'era tempo, i tridenti zampillavano di una furia vendicativa. Non c'era tempo, non per lui. Non per loro. «Oriveh. Shà, tornare
La mano, sospinta dalle onde, batteva il petto. Pacata, senza tremito. La delicatezza della voce d'incanto placava ogni timore. Così scattò via, attraverso una fessura nella grotta. Scappò via, e nuotò, nuotò veloce, in bracciate scattanti. Nuotò via, verso l'alto, privo di grazia. Perché mentre si allontanava dalla Sirena, tornava ad essere uomo, soltanto uomo. La distanza spezzava la malìa degli abissi. E lui, Oliver, fuggiva via con la promessa di tornare.

«Non di nuovo, no Era qualcosa che aveva già vissuto, era un prezzo che aveva già pagato. Quanti, come Kàlha, erano stati abbandonati. Egoisticamente aveva creduto a lungo di essere stato posto alle strette, di non aver mai sperimentato la scelta di chi andava via, di chi mai si guardava indietro. Ma lui, lui era presente. Credeva nel ritorno, credeva nelle promesse che aveva compiuto. Era lì, Hanne. Era lì, in quel momento. Non aveva più visto la Sirena da quell'incontro, non era sicuro di poter rivederla. Ma lì non avrebbe fatto lo stesso errore. Si portò pochi passi avanti. Cercò lei prima che la situazione degenerasse.
«Ti prego, Hanne, ascoltami.» Anche se affrettata, la voce non perdeva tratti gentili. Si tingeva, invece, di genuina preoccupazione.
«Emma ha fatto del male ai tuoi genitori, non è così? A te, Hanne.»
Provò a portarsi al suo fianco, di nuovo vicino. «A te ha mai fatto qualcosa? Io... »
Sollevò lo sguardo, l'espressione allarmata. La bacchetta era proprio di fronte a sé, a protezione eventuale. Se avesse avuto modo di scorgere Megan, il suo volto sarebbe stato limpido nella certezza che vi fosse altro, che non potesse andare via. «Noi possiamo aiutarvi.»
Alzò il tono, e si rivolse così ad Hanne e ad Emma, insieme.
Non poteva scappare. Non più.
L'aveva promesso.


statistiche / inventario
salute 315/315 corpo 285/285 mana 343/343 exp 59.5

incanti
I, II, III, IV Classe completa
V Classe » Claudo, Nebula Demitto, Plutonis, Patronus
VI Classe » Perstringo
Chiari » Stupeficium, Rituale Perfetto

abilità
Divinatore Esperto, Maridese, Materializzazione

inventario
bacchetta magica, galeone ES, spilla C.r.e.p.a., bracciale di damocle, libri di Divinazione, sfera di cristallo, rune sacre con gessetto, occhialini ghostbuster, macchina fotografica

in breve
Comprende pienamente la reazione di Hanne, vede in lei il peso di una decisione come quella che le ha chiesto. Non può abbandonarla, la consapevolezza si rafforza ad un'altra memoria fugace, così recupera in fretta il gessetto e lo collega al varco della Stamberga, la riflessione si estende al muro per le parole della bambina. Cerca di porsi al centro tra le camere, così da poter rivolgersi ad Hanne e subito dopo a lei ed Emma insieme.
 
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view post Posted on 6/12/2020, 23:51
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Ocean eyes.

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In un primo momento i battiti di Megan smisero di agitarsi nel petto. Il respiro rallentò nell’attesa di una reazione da parte della donna e le labbra si schiusero lentamente. Le Spire sotto di sé sibilavano ma dentro di lei quel suono arrivava lontano in quei secondi di tensione. Il silenzio fu breve, la durata di un semplice battito di ciglia e un respiro profondo; quando la donna parlò, Megan ebbe modo di accertarsi, almeno per quell’istante, che era riuscita a calmarla. Rimase a guardare, confusa dal suono di quelle parole che riflettevano su lei sconosciute, prive di alcun significato. Capiva, però, di essere finita in una situazione pericolosa. Comprendeva di essere stata confusa con qualcun altro e pagare le conseguenze di un passato che non le apparteneva, lasciava cadere su di lei il terrore. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi né come ne sarebbe uscita. Il cuore tornò a pulsare in un ritmo crescente, fino a esplodere nuovamente quando la ciotola venne sbattuta contro il tavolo in legno. Un sussulto abbracciò il proprio corpo, lei non poté frenare l’impulso di stringere le dita sui palmi. La carne risentì di quella pressione sempre più insistente, il rossore ne fu il primo segnale, mentre gli occhi non si staccarono mai da Emma. Anche quando la donna le diede le spalle, lei rimase immobile. Nella mente v’era il caos di domande a cui non poteva in alcun modo sottrarsi; tuttavia, la speranza non smetteva di indurla a cercare altro per salvare la propria vita.
Quando Emma tornò a guardarla, Megan non incrociò più i suoi occhi; bensì, posò lo sguardo sulle mani della giovane donna per un breve istante, il tempo di vedersi lanciare contro una foto. Quando l’immagine si posò sulle sue gambe vi porse la giusta attenzione. L’afferrò, il cobalto studiò velocemente i tratti di quel ricordo e si ritrovò totalmente stupita nello scorgere le figure al suo interno. Un uomo e una donna con un’espressione severa tenevano stretta la loro bambina, ciascuno con una mano sulla spalla di lei. Selene, si disse mentre il pollice sfiorò la superficie dove ella era raffigurata, è vostra madre. I tratti così simili ai suoi e inevitabilmente così simili a quelli di Eloise, Megan non riusciva quasi a crederci.
«Io non son...» aveva tentato di dire quando il bisbiglio della donna risuonò a tratti chiaro alle proprie orecchie. Non andrete. Poté udire due semplici ma altrettanto chiare parole; in quel momento si accorse delle Spire strisciare lungo i piedi, sfiorandola, solo quando le ultime due si diressero verso Emma. Megan prese fiato e si sollevò sulle proprie gambe con un movimento attento a non turbare il pericolo sotto di lei. Allungò la foto verso la donna, pronta ad analizzare una situazione che non le interessava affatto. Eppure, voleva uscirne ad ogni costo e quella in un primo momento parve la giusta strada da fare.
Nell’istante in cui le labbra si schiusero, pronte a finire quanto poco prima aveva solamente accennato, venne interrotta dal brusco rumore proveniente dall’altra stanza. Rimase immobile, il tempo di comprendere come riuscire a cavarsela da quella che parve un’opportunità; Emma, infatti, le aveva dato nuovamente le spalle. Ci fu un solo singolo secondo in cui la giovane Corvonero venne avvolta dal pensiero di colpire la donna mandandola a terra, chiamare Oliver e scappare via. Tuttavia, le Spiree rappresentavano un problema, si legavano a Emma e sarebbe stato incosciente agire in quel modo; indubbiamente sarebbero stati attaccati.
Megan si morse le labbra in evidente tensione, mentre vedeva la donna concederle un vantaggio. Afferrò la bacchetta e con decisione la puntò verso la donna non credendo di avere altre alternative. Avrebbe cercato di intrappolare Emma in un vortice di luci psichedeliche, con l’intento di confonderla e non darle modo di avere alcun controllo. In quel caso, forse lei e Oliver sarebbero potuti fuggire via. Il braccio, così, si tese verso l’obiettivo con il polso leggermente alzato e la bacchetta in direzione del capo della donna. Megan avrebbe cercato di visualizzare chiaramente il vortice di luce avvolgere la figura, di alterare la sfera senso-percettiva e lo stato della sua coscienza. «Lucis Ambitus!» enunciò. La voce sarebbe risultata sottile ma tagliente, colma di forte decisione. Avrebbe voluto fare in modo che la donna non avesse più alcun controllo sulla situazione, su di loro e sulle bestie che abitavano quel dannato luogo. Confonderla, impedire di comprendere cosa attorno a lei sarebbe successo.
Solo se tutto fosse andato come sperato, Megan avrebbe cercato e raggiunto Oliver pronta ad andarsene in qualunque modo e in fretta.


▲ Attivo & Conoscenze

Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida
Tracolla in pelle nera
Amuleto Oscuro
Anello Difensivo(Medio sx)
Effetti: : protegge da danni fisici e incantesimi. Anche da Avada Kedavra, ma poi si spezza. [Usabile 1 volta per Quest.]
▸ Anello + Zaffiro “Trillon” (Anulare dx)
1 Nanosticca
Effetto: permette di assumere dimensioni di 30 cm.
Filtro Sonno Leggero

––


Occlumante Apprendista
Essendo apprendista, il pg riuscirà a chiudere la mente solo a legilimens apprendisti. Nulla però potrà, nel caso si trovi di fronte a legilimens esperti. Non sempre riesce a combattere le proprie emozioni, che sono per lui il problema principale.

I, II, III Classe completa.
Eccetto: Orcolevitas e Fattoriam.

▼ Riassunto & Danni

Megan in un primo momento prova a seguire la stessa strada adottata in precedenza con Emma ma la donna le fornisce un vantaggio e lei ne coglie ogni minimo dettaglio. Usa il Lucis Ambitus, sembrano chiari i suoi intenti.
Master consentendo.

––


Lieve morso di serpente caviglia sinistra.


PS 208/209 ∆ PC 160/160 ∆ PM 167/167 ∆ EXP 21


 
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view post Posted on 22/12/2020, 17:38
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Il Fato

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Un dettaglio dopo l'altro, la storia delle due sorelle era andata ricomponendosi per Megan e Oliver. Disponevano ciascuno di parti diverse del racconto – il Grifondoro non aveva idea dell'identità attribuita loro dalle streghe del bosco, così come Megan non poteva immaginare l'incendio che aveva divorato la carne viva di Selene e suo marito. Ognuno dei frammenti sparpagliati per quella notte carica di nero era nondimeno tagliente, acuminato al pari dei cocci di vetro di cui era costellato il pavimento in seguito ai movimenti bruschi di Hanne. Il Grifondoro e la Corvonero si muovevano in due linee parallele nella loro risposta alla tragedia che potevano intuire – erano uno la ricerca dell'empatia più profonda, l'altra il semplice e disimpegnato istinto di conservazione. Entrambe reazioni legittime ed entrambe riconducibili, infine, alla freddezza annichilente della distanza. Non erano che due estranei, due intrusi che, senza nessuna volontà di farlo, avevano incrociato due vite intrise di un veleno che scorreva a profondità viscerali corrodendo tutto ciò con cui entrava in contatto.
Fino ad allora poteva essere sopravvissuta la speranza che Hanne, almeno Hanne avesse mantenuto intatta l'umanità da cui una bambina non avrebbe mai dovuto essere separata. Emma appariva marcia nel cuore e nella testa, corrosa all'osso come la casa lo era dall'umidità, e altrettanto oscenamente deformata in ogni espressione del suo viso, in ogni graffio della sua voce; ma Hanne era solo una bambina, l'odio non poteva averla distorta allo stesso modo. Così, almeno, era sembrato fino a quel momento, quando l'insinuazione di Oliver – A te ha mai fatto qualcosa? – cambiò definitivamente le carte in tavola.
Sul viso della bambina calò un'ombra gelida, mentre il rifiuto definitivo si concretizzava nei passi con cui indietreggiò quando Oliver provò ad avvicinarsi. Le intenzioni migliori e più sincere andavano così a scontrarsi con un'intera vita trascorsa in simbiosi con la sorella che, inevitabilmente, era finita per diventare tutto il suo mondo – un mondo malato e oscuro e marcio, ma nondimeno suo, di Hanne. «Emma» sussurrò la bambina. «Emma, falli andare via.»
Ma Emma non poté fare nulla: quando tutti udirono la voce tagliente di Megan, per la giovane donna era ormai troppo tardi per potersi difendere. Aveva peccato nel pensarsi onnipotente, là nel cuore profondo del suo regno, e ciò aveva dato alla Corvonero l'opportunità di cui aveva bisogno. Una spirale di luce avvolse Emma, e in quella catapecchia cupa apparve quasi accecante. Il leggero fastidio provato dagli altri, però, non fu nulla in confronto alla vera e propria esplosione che abbagliò del tutto le pupille della donna (-10PS, -4PC). Emma barcollò e, sbilanciandosi all'indietro, urtò l'ennesimo mobile, facendo cadere a terra una serie di contenitori di vetro e coccio che si infransero sul pavimento. Il resto avvenne in fretta: Hanne cacciò un urlo raggelante, precipitandosi a sostenere la sorella. Era troppo debole per impedirle di cadere, ed entrambe crollarono sul pavimento ricoperto del vetro infranto. Quando Emma si puntellò su un palmo, le schegge che le trafissero la carne le strapparono un grido (-2PC), e lasciò una striscia di sangue scarlatto sulle sue guance quando si portò le mani agli occhi: «Non vedo... Sono cieca! Sono cieca, Hanne!»
Posseduta da una rabbia feroce, Hanne prese a gridare contro agli intrusi: «Emma non è cattiva, voi siete cattivi! Io vi odio, vi odio, siete come loro, ci fate male come facevano loro. Emma li ha uccisi, e ucciderà anche voi». C'era qualcosa di sinistro in quella bambina mentre urlava, qualcosa che gelava il sangue: l'odio era reale. Non si trattava solo della rabbia disperata in un momento di spavento, ma autentico veleno colava dalle sue parole, che sembravano – ed era questo che realmente colpiva con una stretta gelida alle viscere –, sembravano proprio venate da una sorta di desiderio che ciò che annunciavano si avverasse. Dov'era, allora, il ponte per cui Oliver aveva fatto così tanti sforzi? Per quanto avesse sentito vicina Hanne, e nonostante lui avesse adottato le sue emozioni e i suoi stessi ricordi, non aveva visto che una porzione minuscola di ciò che era quella bambina – la comprensione si fermava nella sottilissima lama di luce proiettata dal buco di serratura da cui aveva osato sbirciare una vita che non gli apparteneva.
Non era solo la voce stridula di Hanne a rompere il silenzio della casa: gli angoli più bui presero vita nell'inconfondibile grattare di ventri velenosi contro al pavimento di legno. Precedute dalla fuga disordinata dei neri insetti che avevano disturbato, decine di serpenti cominciarono ad uscire dai loro nascondigli di muffa e polvere – da sotto i mobili, dalle voragini delle assi mancanti –, tramutando entrambi gli ambienti in un labirinto di scaglie fumose. Tanto Oliver quanto Megan se ne videro circondati, ma gli animali sembravano confusi al pari della loro padrona, tanto che si aggiravano senza meta, sibilando in preda ad una mancanza frustrante di punti di riferimento. Nessuno attaccò, per il momento, ma era una buona idea muoversi con cautela. I due ragazzi potevano vedersi, ma erano ancora separati: la via di Megan era bloccata dalle due sorelle, Emma accasciata disordinatamente contro il muro, Hanne accovacciata accanto alla sorella.


Megan, il tuo incanto ha avuto successo: per questo turno Emma è completamente fuorigioco, ma si riprenderà parzialmente già dal prossimo. Non hai ancora raggiunto Oliver, dato che le due sorelle si trovano esattamente davanti allo stretto passaggio tra le due camere, bloccandoti la strada. Ricordo, ad ogni modo, che gli ambienti non sono separati da un vero e proprio muro, ma solo da uno scaffale enorme (e piuttosto sbilenco, come tutto il resto).
Oliver, dalla tua posizione riesci a vedere Megan oltre il passaggio. Hai recuperato la sfera di cristallo e anche il gessetto che potrebbe portarvi fuori da tutto questo.
Vi chiedo gli ultimi sforzi e attenti a dove mettete i piedi.

Oliver
PS: 315/315
PC: 285/285
PM: 343/343
PE: 59.5

Megan
PS: 208/209
PC: 160/160
PM: 167/167
PE: 21

Emma (PNG)
PS: 135/145
PC: 74/80
PM: 80/80

Hanne (PNG)
PS: 90/90
PC: 40/40
PM: 40/40


Considerando il periodo festivo, la prossima scadenza è fissata per il 3 gennaio, 23:59. Per ogni dubbio o necessità potete mandarmi un MP.

 
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view post Posted on 6/1/2021, 23:25
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Il caos si propagò all’interno della dimora. La tensione esplose e infranse ogni barriera. Megan provò il gelo tagliarle la pelle, lederla fino a creare l’illusione del sangue fuoriuscire dalle ferite. Aveva caldo, il sudore bagnava il collo, gli arti sotto le vesti; eppure, tremava per il freddo che impregnava le luride pareti di quella casa, brividi intensi scorrevano incessanti.
Emma urlò, vittima dell’incanto subito. Un vortice di luci psichedeliche accecarono il suo sguardo, Hanne al suo fianco a farle da scudo. La studentessa trasalì quando la bambina, pronunciò quelle parole e una breve scossa la costrinse a schiudere le labbra in cerca d’aria. In quegli istanti l’ambiente mutò. Il pericolo avanzava lungo le mura e sotto alle assi del pavimento; veniva allo scoperto, minacciando di intrappolare lei ed Oliver per sempre in quel luogo.
Lo sguardo si mosse in velocità verso i suoni che provenivano da ogni lato dell’abitazione. La testa si mosse di scatto, prima a destra e poi a sinistra, e si trovò a evitare un nugolo di insetti in volo. Ai propri piedi le Spire si animavano confuse, dando modo a Megan di comprendere quanto il proprio incantesimo avesse sortito a pieno l’effetto che aveva desiderato. Il tempo, ora, prendeva posto in mezzo a quella scena. Scorreva veloce e ticchettava nel suo petto.
«Emma, io non sono vostra madre» parlò finalmente. Il tono risultò calmo ma ostico allo stesso tempo. Finalmente pronunciò quelle parole che aveva tentato di dire poco prima. «Ascoltami, ti prego, ti stai sbagliando. Non sono Selene. Non c’è bisogno di altra sofferenza. È abbastanza per te, per tua sorella» aggiunse, poi. Quelle parole erano state dettate dall’istinto, tentava di portare la situazione a suo vantaggio senza agire con un’ulteriore attacco. Aveva voluto avvertirla in precedenza e ora le dava una possibilità, forse l’ultima. Così, attendeva una reazione mentre la mente cercava di comprendere come avrebbe dovuto muoversi di lì a breve. Veloce. Prima ancora che la donna tornasse in sé.
Incrociò lo sguardo di Oliver dall’altra parte della stanza. Le sopracciglia s’incurvarono e la preoccupazione si rivelò sul proprio volto. Il grande scaffale sbilenco che li separava, oltre alle due figure a terra, rappresentava un ostacolo che di certo avrebbe dovuto superare. Fece un cenno con la testa al ragazzo, invitandolo a spostarsi non appena la bacchetta venne puntata in direzione dell’oggetto di legno. «Mobili Loculamentum» enunciò flebile mentre il polso, dal basso verso l’altro, si trascinava in un moto continuo.
Se avesse funzionato Megan avrebbe voluto vedere lo scaffale librarsi di pochi centimetri e spostarsi in avanti, muovendosi nella direzione opposta. Camminare lungo lo stretto corridoio fino a superarlo, scontrandosi con la parete poco lontana. La Corvonero si sarebbe concentrata a tal punto da poter immaginare, prima ancora della loro probabile comparsa, i fili bianchi avvolgere le assi, sostenerle con forza e sollevare l’oggetto trasportandolo, senza farlo cadere a terra.
In fine, qualche passo verso Oliver se le fosse stato concesso; attento, inavvertibile. Con la speranza di non subire un altro morso da i rettili, cercando di non calpestarli lungo il legno sotto i propri piedi. Si sarebbe avvicinata.
▲ Attivo & Conoscenze

Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida
Tracolla in pelle nera
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Effetti: : protegge da danni fisici e incantesimi. Anche da Avada Kedavra, ma poi si spezza. [Usabile 1 volta per Quest.]
▸ Anello + Zaffiro “Trillon” (Anulare dx)
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Effetto: permette di assumere dimensioni di 30 cm.
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Occlumante Apprendista
Essendo apprendista, il pg riuscirà a chiudere la mente solo a legilimens apprendisti. Nulla però potrà, nel caso si trovi di fronte a legilimens esperti. Non sempre riesce a combattere le proprie emozioni, che sono per lui il problema principale.

I, II, III Classe completa.
Eccetto: Orcolevitas e Fattoriam.

▼ Riassunto & Danni

L'ambiente muta e con esso anche le emozioni che Megan prova. Di fronte a quella scena lei tenta di parlare con Emma e finalmente le dice ciò che avrebbe voluto dirle poco prima. Trovandosi alle strette, la studentessa prova a darle un'altra possibilità, cercando di far ragionare la donna con il fine ultimo di uscire sana e salva da quella dimora con Oliver. Successivamente, tenta di farsi ulteriore spazio cercando di spostare lo scaffale di fronte a lei, che la separa dal compagno. Evoca il Mobili, sperando che l'oggetto risponda al richiamo della magia e che si muovi verso la direzione sperata: in avanti, verso Oliver, contro la parete sulla parte opposta.

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Lieve morso di serpente caviglia sinistra.


PS 208/209 ∆ PC 160/160 ∆ PM 167/167 ∆ EXP 21


 
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