Gran Ballo di Fine Anno

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Horus Sekhmeth
view post Posted on 28/7/2014, 00:26 by: Horus Sekhmeth
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Horus Ra Sekhmeth ♦ » » Schedule » Outfit » Details
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*Qualcuno mi spieghi cosa cavolo ci faccio qui.*
Un tiepido vento accarezzò Horus, facendogli venire la pelle d'oca su petto e schiena, completamente scoperti, mentre il ragazzo rimaneva impalato di fronte il curioso altarino che spiccava in mezzo al giardino di Hogwarts. Cosa ci faceva lì, sia l'altarino, che Horus, erano più o meno ovvi in quel periodo estivo: l'immancabile Ballo di Fine Anno aveva aperto le sue porte ed il ragazzo, come Caposcuola, aveva il dovere di presenziare, volente, nolente, narcotizzato o meno. E alla fine, visto che c'era, aveva anche dovuto prepararsi un abito adatto da indossare per quella che una serata a tema "estivo", spiaggia, o quel che era, arraffando quelli da cerimonia che indossava in alcune celebrazioni del suo Credo, quand'era a Luxor per onorare le sue Divinità. La scelta dell'abito, in ogni caso, aveva fatto storcere il naso ai nonni, che con un grazioso biglietto recante la scritta: "Guai se te li rimetti per tornare al tempio a venerare gli Dei, blasfemo di un nipote!" avevano spedito il tutto con un affaticatissimo astore. Ed era sembrata davvero una buona idea, lì per lì, quella di arrangiare qualcosa con i vestiti da cerimonia in sostituzione di un completo a tema, che mai avrebbe fatto in tempo ad esser confezionato. Ma quando si era specchiato con quegli abiti addosso, da solo nel dormitorio, il Tassorosso avrebbe voluto scavarsi una fossa e ficcarci la testa dentro, come gli struzzi, per non uscire mai più. Era diverso, vedersi indossare gli abiti tradizionali nella sua terra, in un contesto preciso, piuttosto che lì, tra i baldacchini della Sala Comune e la divisa piegata sulla sedia. Inoltre, il collare copriva a malapena il simbolo di Hagalaz sul petto, mentre la cicatrice che percorreva il torace di Horus da parte a parte, fino all'inguine, era comunque in bella vista, nonostante il ragazzo avesse tentato di coprirla con qualche vago incanto di camuffamento. Si era sentito a disagio per la prima volta, in quei panni, e si era tolto tutto in gran fretta, maledicendosi per la sua stupidità. Salvo poi, rivestirsi, innervosito, mandando a quel paese lo specchio ed uscendo dalla stanza senza neanche più guardarsi.
Ma i dubbi, in ogni caso, non l'avevano abbandonato, nonostante il Caposcuola fosse riuscito a prepararsi e ad uscire. Horus sospirò, mordendosi un labbro, indeciso ancora sul da farsi, la mano a mezz'aria sopra una conchiglia che aveva la funzione di Passaporta. In fin dei conti, i Balli erano sempre stati un'incognita gigantesca per lui: il primo, con Sivra, aveva fatto nascere i semi di nuovi sentimenti, estranei per quella che era la sua giovane età; il secondo, invece, con la scomparsa della Corvonero che gravava sulle sue spalle come un peso, avevano portato Horus a presenziarvi soltanto di sfuggita ed il ragazzo ricordava davvero poco e niente, di quell'orrida serata; il terzo... come poteva non ricordarlo? Con una stretta al cuore, la mente di Horus lo riportò alla rabbia di quella sera, nel vedere Random e Mya stretti in un ballo lento, per poi ricordare con una fitta ancor più dolorosa, quando lui e Mya si erano rincontrati sulla Torre, lì ove le loro Maschere erano calate. E via, altri balli, altre feste, altri brevi, fugaci incontri e nuove domande, nuove risposte, nuovi pensieri e nuovi volti conosciuti o meno.
Se non altro, dovette convenire il giovane rifacendo un riepilogo dei precedenti Balli, non si era mai annoiato.
Un'altra folata di vento —che sembrò quasi l'intervento divino che gli gridava nelle orecchie: muoviti a decidere, imbecille!— gli provocò un violento brivido lungo la spina dorsale ed Horus, con un ultimo sospiro, pose infine la mano sopra la conchiglia. In un lampo, il giovane, sentendo l'ormai famigliare strappo all'ombelico a seguito della rapida e brusca partenza, dopo un susseguirsi, rapido, di un confuso vortice di colori, atterrò su qualcosa di morbido, ritrovandosi com'era d'uopo, in un luogo completamente diverso, ma non per questo meno magico. Prima ancora che la mente si ristabilisse da quel brevissimo, ma fastidioso viaggio,
*Devo. Imparare. A. Smaterializzarmi. Urgh. fu il corpo a beneficiare del cambio di località. Un piacevole calore avvolse Horus, placando i brividi; l'odore salmastro del mare gli solleticò le narici, mentre sotto i suoi piedi v'era morbida sabbia. Horus sapeva che il Ballo si sarebbe tenuto fuori Hogwarts così come era a conoscenza che il tema riguardava la spiaggia, ma non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi in un autentico angolo di paradiso costiero; persino lui, che la spiaggia mal sopportava, dovette ammettere che quel luogo, con il mare illuminato dai raggi lunari all'orizzonte, la fine sabbia bianca, le tenui lanterne, insieme alle bianche tende accuratamente piantate tra una palma e l'altra, facevano la loro bella parte per rendere il tutto ancor più accogliente. Rinfrancato, se non nello spirito, almeno nel corpo, Horus avanzò; l'ampio spazio di cui disponeva la spiaggia gli permetteva di girare con straordinaria comodità, rispetto ai precedenti balli nella Sala Grande, incontrando sporadici gruppi di ragazzi chiacchierini, i soliti amanti del buffet, gli idioti patentati, e via discorrendo, ma tutti a distanza —fortunatamente per lui— di sicurezza. *Dovrebbero farle più spesso 'ste cose.*
Con il vento che smuoveva le lunghe maniche del suo abito, accarezzando dolcemente la pelle scoperta, e l'idea di un posto tranquillo da poter raggiungere con facilità, Horus si avviò verso la riva, lanciando, mentre camminava, rapide occhiate qui e là giusto per potersi dire, a fine serata: io ho controllato, ho fatto il mio dovere, non osate venire a rompermi le scatole, cià.
Man a mano che si avvicinava al mare, il ragazzo si accorse che le acque erano state incantate in modo che risplendessero di un tenue, cristallino bagliore, quasi come se fosse stata disciolta in esse della polvere di stelle, creando un suggestivo gioco di luci e ombre e fornendo un'atmosfera ancor più magica all'ambiente. Una volta raggiunto il bagno-asciuga, Horus si arrestò, rimanendo a fissare vacuo l'orizzonte. Nonostante fosse lì da pochi minuti, nonostante la beltà del luogo e l'impegno che i docenti avevano infuso in quel Ballo, Horus sentì nuovamente il desiderio di andarsene. Senza Mya, non aveva senso, ammise, stringendo forte i pugni. Era passato del tempo, da allora, eppure... erano lontani, come mai lo erano stati. Il solo avvicinarsi a lei, lo spaventava, se non addirittura, lo irritava. E la paura di sapere cosa significassero, quelle sensazioni che si erano sovrapposte all'amore e al desiderio, con vile prepotenza, lo spingeva a evitare la ragazza come non mai. Il terrore, di quel giorno, di quello che sarebbe potuto accadere se la sua mano avesse avuto un tremito; se al posto di quei cadaveri...

« ... Basta... » Mormorò con disperazione, a mezza voce, chinando lentamente il capo, mentre la sua richiesta veniva trasportata via dal vento, apparentemente lontana. D'improvviso, la voce della Preside, che si era imposta su tutti gli altri suoni circostanti, lo costrinse ad abbandonare quei dolorosi pensieri, ed il ragazzo alzò il viso in direzione del palchetto allestito verso il centro della spiaggia. Non c'era bisogno di essere dei Divinatori, per sapere che, di lì a poco, sarebbero stati annunciati i vincitori della Coppa delle Case. Felice di aver la mente occupata da altro —ed impegnandosi come non mai a far finta che niente fosse accaduto fino a quel momento—, Horus si avvicinò ancor di più al palco, il cuore che faceva un buffo balzo nel petto. Aveva avuto modo di vedere, più e più volte nel corso di quei mesi, i punti della clessidra di Tassorosso salire e brillare come oro puro, superando talvolta le altre Case. Nell'ultimo periodo, tuttavia, il distacco con Corvonero era stato troppo blando ed il ragazzo aveva temuto che i bronzo-blu potessero soffiare la Coppa ai Tassi, per quell'anno. Ma quel dubbio venne prontamente spazzato via, come la sabbia faceva sotto la brezza marina, quando il nome di Tassorosso venne annunciato con allegria dalla Preside come i vincitori della Coppa delle Case. Un largo sorriso si aprì sul volto di Horus, illuminandolo, mentre si avviava verso il palco per ritirare, ancora una volta, il premio. Sentiva un gran calore nel petto, che niente aveva a che fare con il clima della spiaggia, e tutto con l'orgoglio che provava per quella Casata. Era incredibile quante soddisfazioni riuscisse a dargli: Coppa delle Case, del Quidditch, vittoria nelle partite, nelle lezioni. Poteva dire di esser fiero di ogni studente che Tassorosso annoverava tra le sue file e sorrise ancor di più, tra sé e sé, nel pensare quanto la sua Casata godesse di cattiva fama, al di fuori —e talvolta dentro— la Scuola. Con attenzione, il Caposcuola salì i gradini, sentendo il familiare groppo in gola e l'agitazione stringerlo, che sovvenivano ogni qualvolta egli dovesse parlare in pubblico. Salutò la Preside, ringraziandola, e prese la Coppa tra le mani, tra gli applausi dei presenti. A loro, Horus si rivolse, con un sorrisetto sghembo, l'ambito trofeo stretto tra le mani. Dall'alto, poté vedere quanto, rispetto agli anni passati, il gruppo di partecipanti fosse minore; tra loro, però, era impossibile non notare la figura di un palombaro che spiccava come non mai tra i vari abiti eleganti, e che per poco fece sbottare a ridere il Tassorosso, condannandolo ad una figuraccia e alla nomea di povero pazzo. *Date un premio a quel genio! Avrebbe voluto gridare.
« Sapete... » Disse, invece, ai presenti e lanciando una fugace occhiata alla superficie brillante della Coppa. « È fantastico come ogni volta Tassorosso, la Casata che molti, ne sono certo, pensino sia piena di... » *Idioti* « Studenti incapaci, senza doti particolari, senza coraggio, astuzia o intelligenza, riesca ogni volta a stupirci. Siamo evidentemente la dimostrazione che la testardaggine nel voler migliorare, l'impegno e la collaborazione tra di noi, vincono sempre su ogni pregiudizio. » *I miei per primi...* Pensò, ricordando con vergogna l'iniziale scontento che aveva provato per esser stato assegnato alla Casa di Tosca « Anno dopo anno mi rendo conto, che niente deve essere sottovalutato, a partire dalle capacità altrui. Perché questo è il risultato. » Ridacchiò, divertito, ma tranquillamente, senza sarcasmo o cinismo, alzando appena la Coppa affinché i presenti potessero vederla. [color=darkslategrey]« Per questo motivo, io stesso non voglio sottovalutare le altre Casate, e mi congratulo con loro per il lavoro svolto. Ma a Tassorosso, ai suoi studenti, vecchi e nuovi che hanno contribuito ancora una volta ad una splendida vittoria, dico grazie! Grazie per il vostro impegno e per la vostra tenacia! Sono fiero di essere il vostro Caposcuola. » Chinò leggermente il capo, come ringraziamento, sorridendo affabilmente. Aveva bevuto? Forse. Probabilmente era ebbro di quella momentanea euforia, o magari qualcuno aveva messo qualcosa di strano nell'acqua marina e quella non era magia, ma chissà che strana polverina, e i suoi effluvi lo costringevano ad essere più sincero del dovuto. In ogni caso, era fatta. L'adrenalina dell'agitazione stava ormai scemando, il tempo limite da passare esposti al pubblico ludibrio era terminato ed Horus si voltò, pronto per scendere e ritornare all'anonimato. In quel frangente, proprio poco un attimo prima di dare le spalle al pubblico, in un angolo della riva leggermente più avanti, i suoi occhi vennero attirati da una figura eterea che, illuminata dalla luce lunare, fece per un attimo credere ad Horus di trovarsi di fronte un'autentica Sirena; e non di certo le Selkie del Lago Nero. Fu però lo sguardo di lei, e il senso di déjà vu che gli comunicò, ancor prima dei suoi lineamenti, a far capire ad Horus chi fosse in realtà. Colpito da un'improvvisa voglia di approfondire, si affrettò a scendere dal palco, appoggiando poi la Coppa nella sua teca che sarebbe stata portata a breve in Sala Comune Tassorosso.
Mentre si allontanava dalla struttura, tuttavia, Horus fu preso da pensieri contrastanti che lo costrinsero a camminare e fermarsi di botto più volte nel giro di pochi metri, portando come conseguenza numerosi scontri con poveri disgraziati che avevano avuto la sfortuna di camminargli dietro.
Ripensando alla ragazza che aveva notato sul palco, Horus aveva voluto credere, un misero istante prima di incrociare lo sguardo di lei, che fosse Aryadne Cavendish, che al Ballo precedente era stato sicuro di aver visto, ma che poi aveva scoperto —con sua enorme delusione— che non era stata che una fugace presenza, prima della sua rinnovata e misteriosa dipartita. I segreti che la Serpeverde celava nella sua famiglia, erano ancora top secret, così come la veridicità del suo racconto; un pensiero che provocava, in Horus, un profondo, fastidioso senso di frustrazione ogni qualvolta gli capitava di rimuginarci su. Tuttavia, poi, quando infine si eran guardati negli occhi, fu facile, per il Tassino, far ricondurre quello sguardo a Emily
*Claire* Rose. Da quella notte, non si erano scambiati che poche battute, incontrandosi raramente nell'Ufficio dei Caposcuola; soltanto all'ultimo ballo si erano parlati più del solito, ma entrambi sempre lontani dall'argomento che li aveva fatti conoscere. Horus, però, aveva scoperto che il nome di quella ragazzina infreddolita sulle rive del Lago Nero non era quello principale, e che in poco tempo la Serpina aveva fatto una gran carriera, mentre, a quanto si diceva, la freddezza che aveva protetto Emily come una corazza si era rinsaldata ancor di più. Tutto questo, più il senso di enorme déjà vu che aveva sentito nel guardarla su quella riva, vestita a quel modo, lo avevano spinto ad avanzare verso di lei, mentre la ragione lo costringeva a fermarsi, ricordandogli che non era bene, ritirare in ballo quella situazione e che lui stesso sarebbe potuto andare incontro a scomode domande, se qualcuno fosse venuto a sapere di quella sera.
In ogni caso, malgrado le ottime motivazioni a suo favore, la Ragione perse ed Horus si avvicinò, infine, verso Emily; la lunga gonna acquamarina che indossava, smossa dal vento, sembrava un'impalpabile pinna, mentre la le squame variopinte sulle spalle nude di lei brillavano cangianti ai riflessi del mare e della luna. Il trucco sui toni dell'azzurro metteva straordinariamente in risalto, più che gli occhi, il colore ramato dei capelli, morbidi e fluenti, raccolti in una ciocca da una vistosa, quanto teatrale stella marina. Nel guardarla Horus dovette ammettere che la ragazza aveva avuto una cura di particolari che nessuno aveva raggiunto quella sera; e che, senza dubbio, il tutto le donava, rendendola assai graziosa.
« Toh, guarda. » Esordì, con una punta di ironia, il Caposcuola, fermandosi a qualche passo da lei, piegando leggermente il capo. Nel movimento, la lunga ciocca di capelli che aveva acconciato scivolò fuori dalla stoffa del copricapo di stoffa nera, solleticandogli lo zigomo. « A quanto pare ci avevo azzeccato, quella sera, indovinando la tua vera identità. » Affermò, con tono enigmatico, un sottile sorriso sghembo dipinto sul volto. Il riferimento era chiaro, se lei avesse ricordato a che figura lui l'aveva paragonata nella sottile metafora di congedo.
*Avrò indovinato anche la tua fine, Claire Rose?*

« I'm not strong enough to pay this ransom. One more monster crawled inside, but I swear I saw it die. Can you save me from the nothing I've become? »

 
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