| "Watch your thoughts, for they become words. Watch your words, for they become actions. Watch your actions, for they become habits. Watch your habits, for they become character. Watch your character, for it becomes your destiny." Il senso perdeva ogni traccia di ragionevole significato dell’evolversi degli eventi. Ogni gesto, ogni singolo movimento, ogni misero, fastidioso, imperituro, interminabile secondo appariva figlio illegittimo di un’Eternitŕ che non gli apparteneva per natura. Eppure, l’Istante nel corso del quale tutto prendeva consistenza era cosě simile, discendente dannato dell’Eternitŕ, destinato a morire rapidamente nel suo essere ciclicamente vivo, senza mai raggiungere veramente la fine, poiché pronto a rinascere in successivo secondo, figlio del figlio di un’Eternitŕ implacabile. Le azioni venivano travolte da quella fugace Eternitŕ; esse venivano fagocitate senza pietŕ da secondi avidi e crudeli, privi di interesse per ciň che le umane gesta rivendicavano quale giustizia, raziocinio, coerenza. Non esisteva legge se non quella determinata da un Fato che si lodava della pretesa di essere giudice di quanto poteva essere quantificato o quantificabile. Perverso esecutore di mera oggettivitŕ soggettiva e personale - poiché solo il Nulla č indiscutibile per indole e specie - , il Fato osservava, sminuzzava, sezionava azioni, pensieri ed intenzioni… Come se Egli potesse Tutto comprendere… Come se non fosse previsto alcun margine di errore, soprattutto il Suo… Come se l’imperfetto giudizio di umana sorte fosse falsamente Perfetto! E la via che doveva apparire diritta e spianata per mano di un Giudice di cui si rivendicava correttezza e giustizia, diventava strada dissestata dal libero arbitrio dell’altrui volontŕ, quella dell’essere umano che, dinanzi a difficoltŕ e malasorte, combatteva coraggiosamente e senza sosta per raggiungere un solo obiettivo dal duplice volto, faccia di una medesima medaglia: Vittoria o Supremazia. Da un lato vi erano Coloro che lottavano per vincere il Male, dall'altro vi era quel Male che a sua volta combatteva per prevalere, per il controllo di quel vile mondo che entrambe le fazioni abitavano ma che nessuno realmente possedeva né materialmente, né nell’intima anima della Sua Terra. La Terra, ultima effigie di un ricordo di vera libertŕ, si riduceva ad essere la serva di Chi si celava dietro l’apparenza del bene e del male, seppur consapevole che Bene e Male avevano perso l’assoluto senso della propria essenza primordiale, pura, privata di ogni subordinato significato. Non vi era un uomo votato al puro ed inviolabile Bene capace di soddisfarLo a pieno. Non esisteva creatura sě priva di sentimento da violar l’altrui vita e la propria con medesima crudeltŕ e disinteresse. Nemmeno il Signore Oscuro ripudiava l’umanitŕ a tal punto da non temere la morte… Al contrario, Egli forse amava di un amore sconvolgente sé stesso e la sua esistenza, sino a volere catturare il concetto di infinito e perpetuo essere. Vana guerra dell’una e l’altra parte! La bilancia dell’equilibrio e della misura ora pendeva da un lato, ora dall’altro… Talvolta era in equilibrio. Equilibrio. Ecco. Tanto affaticarsi per raggiungere un equilibrio molto piů stabile dell’instabilitŕ. E paradossalmente, l’equilibrio non č mai la meta voluta. O l’uno o l’altro peso della bilancia. Tanto affaticarsi per l’instabilitŕ, per far pendere la volontŕ del proprio agire da un lato e non dall’altro. Ma questo č il libero arbitrio.
I sotterranei Due studentesse Tassorosso, volenterose ma inesperte della tattica di guerra (come giusto che fosse), richiamata invano l’attenzione delle creature piů creative ma prive di senso di combattimento del mondo magico - gli elfi domestici - decidevano di armarsi di coltelli, mattarelli e di quanto una cucina attrezzata come quella di Hogwarts disponeva, per correre in aiuto ai compagni che, al piano superiore, avrebbero avuto bisogno di un miracolo per uscire da quella situazione tutti incolumi, piuttosto che di forchette e posate. Ma Eloise ed Ophelia erano giovani e non potevano nemmeno immaginare quanto la portata dell’allarme potesse essere ampia. Sole e non seguite dagli elfi domestici, le due fanciulle raggiungevano le scale per arrivare al piano terra. Ma il libero arbitrio - e non il Fato - era stato benevolo. Chi aveva attaccato Hogwarts ed aveva portato a distruzione, al piano terra, l’area d’accesso ai sotterranei, aveva anche inconsapevolmente salvato la vita alle due fanciulle, impedendo loro di “approdare” al piano ove si stava svolgendo la battaglia, quella “attiva” almeno. In effetti, ai piani superiori stava avendo luogo una ben piů insidiosa “guerra” di potere… Fatta di ricerca, di subdole azioni e di brama di informazioni… Ma questa era un’altra storia.
Ophelia, Eloise, per intenderci, non riuscite ad accedere al piano terra poiché il passaggio non č accessibile a causa di quanto avvenuto nei turni precedenti. Potete sentire i rumori, eventuali urla. Ma non riuscite a metter piede al piano terra. Se volete ulteriori dettagli, č ragionevole pensare che l’arresto abbia luogo qualche gradino prima della cima delle scale.
Il Piano Terra (all’interno del Castello - l'ingresso, l'atrio, il corridoio). Le macerie erano il simbolo dell’invasione. Coloro che avevano violato il suolo di Hogwarts erano riusciti a distruggere parzialmente il tempio della conoscenza, il simbolo del Mondo Magico. Ancora una volta, in quell’istante di desolazione, il castello era lo specchio della civiltŕ magica. La discordia non era mai venuta meno... Secoli di guerre e battaglie non avevano placato l’animo guerrafondaio e perennemente insoddisfatto del genere umano. La violenza era ancora una volta il mezzo scelto per raggiungere l’obiettivo. Che triste, ciclico divenire! Le forze eran spiegate. Le scelte eran state fatte: combattere “Per Hogwarts oppure contro Hogwarts”. L'avanzata delle Tenebre, implacabile, procedeva. Buona parte del piccolo ma insidioso esercito godeva ancora del privilegio "salvifico" del Protego Totalus castato, poco prima, dal potente Peredur. A poco sarebbero valsi gli incanti utilizzati contro quella massa informe eppure ben distinta. Vi era da considerare, inoltre, che alcune membra di quell’unico “corpo” si erano allontanate poco prima, avevano preso le distanze per agire insieme ed in maniera mirata, come fossero gambe e braccia di potente e violento mostro. Cosě Vesper (ancora celata dal séocculto), Mosag, Achernarius (ancora celato dall'Illudo) e Rabastan facevano parte di quella scintilla di potere che doveva esser neutralizzata in ogni singola molecola, non essendo piů un tutt’uno con il “corpo” della stella oscura. Come neutralizzare tanto potere? Come potevano studenti, sě valorosi ma meno esperti del nemico, fermare coloro che, per arte e mestiere, “facevano guerra”? Paul, Emily, Zoey ed Arya, situati in corrispondenza dell’ingresso alla Sala Grande, senza tuttavia potervi fare accesso, diventavano speranza di Hogwarts, insieme a Trhesy (celata da mantello magico) in prossimitŕ della scala principale, posta di fronte all’entrata del castello, ad Elhena abbattuta sin dal principio dal nemico, quindi riversa sul pavimento nel bel mezzo del corridoio di fronte alla Sala Grande, e a Lucilla che, giunta dai piani superiori al piano terra, senza tuttavia abbandonare le scale per metter piede ufficialmente al suolo ove si svolgeva la battaglia, celata dal mantello di disillusione, attendeva ed esitava. Due soli incanti furono castati per cercare di arrestare quell’avanzata diabolica che non aveva pietŕ, sebbene dinanzi ad una massa di ragazzini, non di guerrieri spietati… Ma il Male era fatto di crudeltŕ, opportunitŕ, freddezza. Trhesy agiva in fretta, senza doversi coordinare con alcuno e restava, celata, in prossimitŕ delle scale. Tuttavia l'ex Caposcuola Tassorosso, forse sopraffatta dal Tempo Tiranno, posta nelle condizioni di non poter indugiare in calcoli e riflessioni su giusto incanto da utilizzare, scelse incantesimo di terra che non avrebbe potuto avere esito positivo. Il Verdatio permetteva infatti di controllare le piante, non di evocarle. Per potere avere esito positivo, sarebbe stato necessario fosse stata presente una pianta. Invece... Vi era solo pavimento dissestato e rocce. Fu un nulla di fatto. Mentre Peredur invitava a sbarazzarsi di ogni ostacolo come fosse rifiuto non pericoloso da smaltire e mentre Emily cercava, comunicando verbalmente, la collaborazione di Paul per tentare un attacco originale e sinceramente apprezzato dal Fato, per coordinazione con i compagni e volontŕ di rischio benché dinanzi al pericolo, Elhena cercava di liberarsi dall’ostacolo materiale che le impediva di alzarsi (il pesante masso) e di togliersi dall’area di “tiro” del nemico. Purtroppo alla chiamata di Emily, Paul non rispose. L’oppugno a poco valse se non a scagliare qualche masso contro quell’armata protetta dal Protego Totalus. Al contrario, il Neptuno castato da Peredur ed il Defňdio di Mosag vanificarono ogni tentativo di replica degli studenti di Hogwarts. Una massa consistente di acqua trascinň in fondo al corridoio Elhena, Paul, Emily, Arya, Zoey, non senza farli cadere (eccetto Elhena che era giŕ riversa al suolo), sbattere contro la parete qua e lŕ come fossero piccoli esseri privi di massa, e non senza indurli a difficoltŕ di respiro e senso di soffocamento a causa delle considerevoli dimensioni della massa di acqua e l’inevitabile incanalamento della stessa nel corridoio stretto e lungo. Il defodio di Mosag diede consistenza alla volontŕ della Mangiamorte: isolare il piano terra, o meglio impedire che qualcuno potesse accorrere dai piani superiori. Cosě facendo, Trhesy ricadeva tra le macerie della distruzione, insieme a Lucilla. Infine Vesper, mentre Peredur sgombrava la via, castava con successo l’incanto Manor ai danni dello studente Tassorosso che, travolto dalla potenza della massa d’acqua diventava altresě marionetta nelle mani del nemico: duplice violazione della libertŕ di agire.
Paul, Zoey, Emily e Arya venite travolti da un’onda d’acqua alta un metro. Il volume di acqua coinvolto, in quanto massiccio quantitativamente parlando, in pacifico accordo con quanto descritto in Descrizione Incanti, vi travolge e vi spinge in fondo al corridoio. Va da sé che perdita di equilibrio, caduta, “sballottamento” contro le pareti prossime alla vostra iniziale posizione (rasenti muro in prossimitŕ della Sala Grande) siano conseguenze dirette dell’onda d’urto e della collisione con l’onda d’acqua che, ovviamente, andrŕ scemando per intensitŕ e livello, disperdendosi lungo l’intera area del corridoio, sino a raggiungere altezza di una decina di centimetri. Quando ciň accade, voi siete sparpagliati in fondo al corridoio. Perdete 7 ps e 2 pc. Paul, subisci inoltre l’incanto Manor. Sei nelle mani di Vesper. Elhena, anche tu vieni trascinata in fondo al corridoio, ma essendo giŕ riversa a terra, subirai il maggiore “fastidio” della sensazione di affogare, poiché l’acqua ti travolgerŕ interamente. Perdi 14 ps e 6 pc. Trhesy, il tuo incanto ha avuto esito negativo poiché tu sostieni di evocare una pianta atta a soddisfare il tuo desiderio di accerchiare i Mangiamorte e “costringerli ad arrestare o ritardare l’avanzata". Ma il Verdatio NON evoca piante, le manovra, le fa crescere a proprio piacimento. Non le evoca dal nulla. La Descrizione Incanti č molto precisa su tale punto da sempre. Vieni colpita dalle macerie, conseguenza del Defodio di Mosag. Perdi 18 ps e 6 pc. Perdi l’equilibrio, cadi a terra e vieni costretta da massi e macerie con conseguente difficoltŕ di movimento. Discorso simile per Lucilla, che perde 20 ps e 10 pc. Avevate tutti visuale limitata. Ma gli incanti che sono andati a segno sono frutto delle ragionevoli descrizioni che ciascuno degli interessati ha fatto, andando ad eliminare o ridurre l’impedimento visivo con movimenti, avvicinamento, o utilizzando incanti ad ampio raggio.
Il Giardino Se nel cuore del castello si consumava la vera battaglia e prendeva consistenza la ragione ultima di quella violazione (ragione che era a tutti celata indipendentemente da fazione di appartenenza e scelta di fedeltŕ, eccetto al Signore Oscuro, unico vero artefice di quanto stava accadendo, perverso burattinaio degli eventi), all’esterno esisteva ancora una resistenza, fatta di maghi dediti da tutta una vita alla lotta contro quello che poteva esser definito “male”. Fenomeni naturali innaturali si ergevano maestosi e terrificanti. Mostruose creature, violenti eventi, figli di Magia, celati dietro le false spoglie della Natura, diventavano ostacolo per il Capo Auror e difesa per i Mangiamorte. Natura traditrice… Incapace di ribellarsi a ciň che era sbagliato, complice inconsapevole dell’errore! Davanti all’ingresso del Castello si ergeva un mostro, figlio legittimo della Magia Oscura. Dietro di lui, la coda dell’armata delle Tenebre. Davanti a lui, abilmente celato grazie alla fontana, il Capo Auror, apparentemente solo, pronto a fronteggiare il nemico. Ma Rhaegar non era solo. Distante da lui, pronta ad intervenire, Caroline Dalton, scampata alla furia del “vento” prodotto dall'anemos di Ragnarok, si avvicinava al castello, desiderosa di attaccare i Mangiamorte, un Mangiamorte in particolare, forse da lei individuato nella zona del veritas poco prima dell'ergersi del Mostro che, dinanzi all’ingresso, impediva certamente la visuale dettagliata dell’armata oscura. In egual maniera, il Mangiamorte individuato dall’ex Preside, Nathan, decideva di soddisfare il tacito desiderio della donna allo scontro. E mentre quest’ultima si avvicinava al castello e si preparava a castare un incanto offensivo, Nathan, senza perder tempo (individuata Caroline cosě come questa aveva intercettato lui) correva verso di lei. Lo stupeficium castato qualche istante successivo da Caroline, tuttavia, non giunse mai a destinazione ma andň a scalfire, sebbene non in maniera significativa, il fianco della creatura mostruosa che si ergeva dinanzi all’ingresso del castello. Nel frattempo, altre azioni prendevano forma e consistenza, rapide ed efficaci: Ragnarok ordinava alla creatura da lui stesso "eretta" di allontanarsi e dirigersi verso un giovane uomo in avvicinamento dall’area prossima alla Foresta proibita, al Lago, per l’esattezza. L’intenzione era quella di schiacciare James come fosse putrido verme da abbattere. Asterope castava con successo l’incanto magisterium ed i tornado venivano vanificati. Cefeo restava in attesa del minimo, desiderato, bramato passo falso dell’unico nemico degno di esser ritenuto tale: Rhaegar. Tuttavia… Rhaegar, stratega di guerra esattamente come loro, o forse piů di loro, ricorse a ben altra Magia. Una magia piů potente, insidiosa, profonda, faticosa, fatta di volontŕ e spirito, indole e potenza. Elementalista esperto, egli chiedeva aiuto ed ausilio a quel sole capace di donare calore ma anche di infliggere danno con fuoco e distruzione. E la creatura, il mostro fatto di foglie e rami, si accendeva come lampadina in stanza buia, sino a far scintille, destinata a consumarsi rapidamente ed inesorabilmente. La creatura avrebbe obbedito all’ordine di Ragnarok, avrebbe avanzato sino a consumarsi, ma mai avrebbe raggiunto intatto James. Una massa di fuoco e fiamme continuava ad avanzare verso il giovane Grifondoro, ancora sotto il dominio mentale di Ragnarok ma destinata a morire, prima di soddisfare le richieste del proprio padrone.
Se non fosse chiaro, il mostro fatto di rami e foglie prende fuoco mentre sta avanzando contro James. L’intenzione del mostro č quella di attaccare James, seguendo la volontŕ del padrone che lo manovra. Ma la creatura non raggiungerŕ mai integra lo studente Grifondoro che puň ritenersi fortunato, non essendo intervenuto in questo turno. Ovviamente Caroline non vedi assolutamente nessun Voldemort, il quale si trova in una radura a diversi metri (minimo una quarantina) dal limitare della Foresta proibita (non sarŕ il folto, ma neppure campo aperto), da tutt'altra parte rispetto a te (che sei oltretutto impegnata con i primi combattimenti) e in luogo riparato dalla battaglia. Non tollero il metagame. James era l'unico ad avere l'occasione, aguzzando molto la vista in una ben precisa direzione (cosa che avrebbe ovviamente dovuto motivare in on), di intravedere qualcosa nella foresta (Lord Voldemort per l'appunto), ammesso e non concesso che il Signore Oscuro fosse in quel momento in posizione tale da essere scorto: James non č intervenuto né - dunque - ha tentato tale azione, e Lord Voldemort resta personaggio NON visto da nessuno durante questo attacco a Hogwarts.
La Sala Grande Laddove tutto aveva avuto inizio, il cerchio era destinato a chiudersi. Eppure nulla sarebbe piů stato come prima. Cocciutamente nella stanza si continuava a lottare per la posta piů alta: la vita. L’improvviso assalto aveva sě colto di sorpresa docenti ed esaminando, ma non li aveva sconfitti, non aveva spento il fuoco del coraggio, la forza della volontŕ e la determinazione. Persefone si liberava dalle catene che Raven aveva a lei riservato e si poteva alzare. Dall’altra parte del tavolo, il nemico celato - Raven - , evocato il drago vendicatore, decideva di congedarsi per portare a termine quel subdolo ed articolato piano personale che nulla aveva a che vedere con l’invasione di Hogwarts da parte di Voldemort, ma che non era nient’altro che banale diversivo utilizzato dal Signore Oscuro per raggiungere ben altro obiettivo… Ai piani superiori… Raven si smaterializzava laddove aveva desiderato, ovvero al piano terra, in cima alle scale. Ma altro epilogo lo attendeva: il Neptuno castato da Peredur travolgeva il docente di Volo e lo trascinava in fondo al corridoio non senza qualche fastidio e acciacco. Raven non ebbe quindi il tempo di mettere in scena la personale rappresentazione teatrale della caduta, del masso e della ferita. Tuttavia, era stato fortunato. Sebbene ancora occultato, il Mangiamorte avrebbe potuto giustificare la ferita con il trascinamento causato dall’irruente Neptuno. E la reputazione e la maschera della falsitŕ potevan esser salve. Michael, il drago infuocato, avrebbe presto distrutto ogni cosa e chiunque. Primo fra tutti, il Caposcuola Corvonero. La vicinanza alle fiamme, la rapiditŕ delle stesse, avrebbero assicurato la vendetta del Docente di Volo, Mangiamorte potente. E da una prima valutazione delle circostanze, forse razionale, forse corretta del Fato, gli esiti potevano apparire scontati, certi. Come avrebbe potuto Patrick Swan salvarsi da ustione o morte? Egli si trovava nell’oggettivo svantaggio rispetto a tempo e reazione, poichč Michael era giŕ vivo, era giŕ vicino, pronto a divorare la vittima scelta. Tuttavia… Ad ogni azione seguiva una reazione. Le leggi della fisica erano implacabili, nel Male e nel Bene. La reazione di Patrick, lucida, rapida, lo avrebbe salvato. L’uscita di scena con fuga laterale impedirono che Patrick venisse arrostito come polletto Vallespluga. La giusta scelta di incantesimo era stata provvidenziale. Ma l’esecuzione, benché durata pochissimi secondi, aveva richiesto il tempo necessario a Michael a raggiungere il Caposcuola proprio nel momento in cui il ragazzo si allontanava rapidissimo lateralmente grazie all’incanto proiecto. La vita era stata salvata. Il braccio sinistro pagava il prezzo della maledizione del fuoco. Il contatto minimo e fugace, durato solo un instante (prima che Patrick si allontanasse dal pericolo) permetteva al drago di “mangiare" stoffa e tessuto, raggiungere la pelle del braccio, insinuarsi nella carne e dare inizio a putrida e cocente aggressione. L’ustione avrebbe lasciato indelebile ricordo dell’accaduto. Ma avrebbe fatto di piů… Non era un fuoco come gli altri. Era un fuoco maledetto. Patrick aveva salva la vita, ma avrebbe dovuto correre ai ripari nell’immediato. Potente magia occorreva per arrestare quel danno, quell’ustione che si sarebbe propagata sino a divorare l’intero arto. Ma egli era votato alle arti curative. Il rimedio sarebbe stato possibile. Tuttavia il terribile contatto non poteva essere stato piů doloroso: la maledizione stessa del resto altro non poteva fare che andare intensificando i suoi effetti procurando sofferenze sempre maggiori. Il Cave Inimicum, legato alla forza vitale del ragazzo, perdeva di efficacia e veniva meno alla sua ragion d'essere. Tutti i presenti, almeno quelli coscienti, poterono accorgersene nel momento in cui una certa quantitŕ d'acqua faceva il suo ingresso sul pavimento della Sala, residuo della battaglia che ancora si consumava al piano terra, lasciando tra i piedi, o contro i corpi riversi, un velo di pochi centimetri. Nel frattempo, il Ministro castava con successo l’incanto Liquefacio. Sarebbe stato motivo d'orgoglio se solo fosse bastato a neutralizzare un fuoco maledetto di tale portata o anche solo a far risparmiare una dolorosa cancrena al suo pupillo. Per un momento Michael parve rallentare: la sua essenza, fatta di fiamme, sembrň appesantirsi, mutare quasi natura. L'incanto aveva mischiato una nuova componente al fuoco, la terra: cosě, sollevando faticosamente ma ineluttabilmente le sue ali, il drago continuava imperterrito, seppur con nuova maestosa calma, ad avanzare verso la parete di fondo della Sala Grande, colando lava rossa lungo il percorso e aumentando le sue dimensioni. Un problema che lasciava uno spazio di manovra di una manciata di secondi, ma pur sempre una speranza...
Patrick, riesci a salvarti. Il fuoco maledetto, tuttavia, non permette che tu resti illeso. Il braccio sinistro brucia. L’ustione non ti risparmia. Trattandosi di fuoco maledetto, bruciature e conseguenze del fuoco non potranno esser sedate con semplice magia curativa ordinaria. Se non poni rimedio in fretta, il fuoco continuerŕ a divorare la carne del tuo braccio (scusa la “cruditŕ” della mia descrizione), non sarŕ piů possibile la guarigione e l’utilizzo del braccio sarŕ compromesso. Dovrai essere curato al piů presto. Il San Mungo č il luogo adatto. Ma la Medimagia č un’arte che conosci bene. Sono aperto a ogni possibilitŕ. Anche Camille puň essere validissimo aiuto. Puoi stupirmi con effetti speciali. Mi aspetto un team affiatato che cerca di porre rimedio al termine di questa avventura. L’importante č che tu venga curato al piů presto. Perdi 45 ps, 15 pc e 7 pm. Per intenderci, a seguito di tale avvenimento in ON (GUFO), se prima non ti curerai, non potrai fare molto. Insomma, il dolore ed il pericolo di un braccio irrimediabilmente compromesso necessitano di intervento. Aryadne č ancora priva di sensi. E la stessa Chrisalide č a terra. Persefone e Camille siete in piedi. Vive. Raven perdi 7 ps e 2 pc.
Al quartier generale auror tutto era tranquillo. Chi pattugliava, chi si occupava della propria ordinaria mansione, chi rifletteva, chi decideva di mangiare qualcosa per ammazzare il tempo. Non vi erano pericoli da sventare, non c’era prigioniero da condurre ad Azkaban, non vi era battaglia da combattere… Non ancora. E mentre tutto procedeva nella quiete, la Vice Preside di Hogwarts, insieme a giovane traditore privo di coscienza [Vagnard], giungeva al Ministero, disarmava il nemico, rompeva la bacchetta di Vagnard, apriva la porta della stanza dell’ufficio interrogatori del Quartier Generale e chiedeva aiuto. Due giovani donne, auror fedeli, rispondevano all’appello [Aquileia, Lili], insieme a Hughes, Tallhart, Stockworth, Dunsen, Hosteen, navigati alleati di Rhaegar. Essi attendevano Miss Lancaster preparare una passaporta che li conducesse al castello…
Un appunto. Hope, hai davvero effettuato trecentomila azioni “importanti”, non potevo concedere che tu castassi anche il portus nel medesimo turno. Insomma, spezzi la bacchetta di Vagnard, chiedi aiuto (e queste sono giŕ due azioni non da poco, soprattutto la prima). Poi torni indietro, prendi un oggetto lo casti e pretendi di raggiungere l’aula di Difesa… Un pochino troppo.
Al quarto piano. Derek vedeva il finto Custode e lo lasciava passare.
Al quinto piano Quello era il luogo giusto. Quello era il cuore pulsante della macabra cavalleria oscura che, senza conoscere il vero gesto da compiere, senza comprendere la macchinosa e geniale mente dell’Oscuro, eseguiva quanto era stato comandato con vigore, presunzione, forza, tirannia. Quanto avveniva ai piani inferiori non era importante. Un diversivo. Un gioco sanguinario. Uno sfogo di ira necessario e piacevole. Null’altro contava se non la ricerca di qualcosa di indefinito o meglio... Non chiaro. La resistenza che si era trovata lě, forse per caso, forse per intuito, forse semplicemente richiamata da sesto senso capace di sentire il pericolo come fosse sinistro fetore impossibile da non fiutare, aveva avuto la fortuna e sfortuna di imbattersi nell’astuzia di quei nemici oscuri disposti a tutto pur di non deludere Lord Voldemort... Poiché la delusione avrebbe condotto all’ira del padrone; l’ira avrebbe generato distruzione. La distruzione avrebbe divorato la loro stessa vita. La sconfitta significava morte. A questo dovevano essere disposti i fedeli del Male: a morire non solo in nome del proprio Signore, ma anche per mano dello Stesso. Il valoroso Grifondoro, Sirius White, nei pressi delle scale del Quinto piano, al lato opposto dell'arco rispetto ad un'altra coraggiosa studentessa di Hogwarts [Niahndra], dinanzi al visibile nemico, il mostro dell’ombra, la creatura diabolica pronta a distruggerlo, ricorreva all’ausilio di ciondolo magico, capace di arrestare la furia del nemico… Di un solo nemico… Del mostro… Una possibile morte veniva scongiurata. Ma vi era un’avversaria nascosta, subdola, spietata piů della creatura da Lei stessa evocata. Gargantua, a guardia di quel lato del piano che piů di ogni altro luogo necessitava di esser presidiato, protetto dalle bacchette dei figli di Hogwarts, attendeva il momento giusto per bearsi del proprio potere, della potenza magica atta a soddisfare le sue perfide intenzioni. E mentre Sirius, consapevole di non essere al sicuro, decideva di allontanarsi dal mostro e di correre verso il lato opposto del corridoio, Gargantua evocava con successo l’incanto ignimenti. Ed una frusta infuocata avvolgeva busto, bacino e gambe dello studente Rosso-Oro. Dolore. Arresto. Caduta sulle ginocchia. La bacchetta ancora stretta nella mano, ma… Difficile da gestire, poiché, insieme al busto, anche le braccia erano state strette da abbraccio infuocato. Presso la Torre della Preside, si materializzava il fedele alleato dell’Oscuro, Agreas, come a voler controllare, supervisionare l’atto di ricerca di Astaroth che, varcata la soglia dell’ufficio della Bennet, si dedicava ora al vero scopo della missione. Il tutto doveva comunque esser fatto a regola d’arte, intendendo tale una ricerca accurata e non certo attenta a non arrecar scompiglio o rovina. Gli occhi del fedele servo del Male individuavano, tra le cianfrusaglie, la presenza della metropolvere. Questa non poteva mancare laddove l’uscita da Hogwarts era consentita… Come giusto e ragionevole che fosse. Trattavasi dell’ufficio della Preside. Il caminetto non poteva avere solo funzione termica. Ma Astaroth non era certamente giunto in tal luogo per valutare l’accessibilitŕ o l’efficacia delle vie di uscita del castello. Molto probabilmente, la fuga non era contemplabile. Quello che contava era cercare, cercare… Sě, ma… Cosa? Qualche indicazione era stata data. Oggetto lungo, sottile… Importante per Lord Voldemort… E se davvero vi era possibilitŕ che si trovasse a Hogwarts, l’ufficio della Bennet era il luogo giusto nel quale aspettarsi la custodia di manufatto prezioso… Doveva pur esser prezioso per esser tanto bramato dall’Oscuro. Invero, il Mangiamorte non poteva saperlo. Ma la fiducia nel proprio padrone lo portava a non farsi troppe domande e a proseguire rapidamente… Ed infine, solo un messaggio… Una comunicazione della Vice Preside… Due parole fondamentali… Lake District… Al di lŕ della porta dell’ufficio violato della Preside, due nemici si confrontavano con astuzia ed abilitŕ. Che bel combattimento si stava preparando a colpi di magia selezionata ad arte per destabilizzare, confondere, ingannare ed infine irretire la controparte. Il Caposcuola Tassorosso all’angolo della svolta del corridoio, il Mangiamorte acquattato rasente al muro proprio in prossimitŕ della svolta, eseguivano incanto di difesa ed attacco. Il nebula antigravitas castato da Thren andava a creare i giusti presupposti per impedire all’avversario di oltrepassare quella linea di confine “Bene-Male” che avrebbe assicurato tempo prezioso per una eventuale ritirata o piů probabile attacco su quel fronte. D’altro canto, l’efficace dominus terra castato da Horus generava piccola scossa tellurica capace di destabilizzare chiunque avesse calpestato il suolo del corridoio nel raggio di qualche metro, inclusa la zona ove si trovava Thren. Tuttavia il mangiamorte, un po’ per fortuna, un po’ per esperienza di battaglia, si era abbassato poco prima di evocare l’incanto nebula antigravitas. Questo abbassamento permetteva una maggiore stabilitŕ, grazie al baricentro prossimo al suolo. Non che egli non fosse costretto a cadere, seduto sul pavimento! Ma oltre tale inconveniente, nessun danno fisico. Certo, il Caposcuola Tassorosso probabilmente non aveva intenzione di arrecar danno. Voleva piuttosto rendere difficoltoso il movimento, che fosse un movimento volto all'attacco o alla fuga. E cosě sarebbe stato, per un tempo breve, ma forse utile per raggiungere il nemico e magari catturarlo, attaccarlo, sconfiggerlo… Purtroppo Horus non era a conoscenza della presenza del Nebula antigravitas… Magari lo avrebbe presto scoperto, se solo avesse avuto l’intenzione di addentrarsi nell’oscuritŕ… E mentre guerra tattica stava avendo luogo nei secondi che si susseguivano crudeli, la studentessa Corvonero, Jessica, grazie ad incantesimo creativo trasfigurativo, riusciva ad aver salva la vita, trasformando le serpi velenose in grappolo di ciliegie. Veleno e dolore, tuttavia, ancora circolavano nel sangue, nelle membra della coraggiosa fanciulla, riversa sul pavimento.
Sirius, per via dell'attacco e degli eventi collaterali connessi (dolore, caduta, eccetera), perdi 25 ps e 4 pc. Jessica, nuovo turno, nuovo danno inflitto dal veleno (non ancora da te curato), come preannunciato nel masteraggio dell'ultima volta: perdi altri 20 ps e 10 pc.
Alla Torre di Divinazione. Beffarda magia… Crudele figlia di mente magica, incapace di cogliere il sottile confine tra Magia stessa e Malvagitŕ… Colui che aveva dedicato la vita alla protezione di quel mondo invaso da Mangiamorte ed aviditŕ di potere, si trovava ad obbedire senza consenso alle manovre del Signore Oscuro. Il Docente di Cura delle Creature Magiche, imperiato da una alleata fedele dell’Oscuro, si trovava nell’ufficio della vice preside, Hope Lancaster. L’ordine era quello di cercare… Una ricerca necessaria, non voluta, ma inevitabile, irrefrenabile. Un Alohomora ben castato, frutto dell’astuzia di Colei che reggeva i fili del burattino, assicurava un buon paracadute, una scusa “diplomatica” in caso di necessitŕ. Poi… Ecco una lettera… Giŕ aperta… Ancora una volta un luogo veniva citato... Lake District… Sheiva, celato nella maschera del Custode, raggiungeva la torre di divinazione. E' un destino comune ,lo sai: tutto cio' che vive deve morire, passando per via di natura all'eternita'.
Attenzione La seconda parte del post č stata pensata al fine di garantire una chiusura rapida e ragionata del presente evento. A tale scopo, hanno contribuito alla stesura delle sue linee guida entrambi i capi-fazione, oltre a me medesimo. Va da sé quindi che qualunque azione supplementare possa aver compiuto (o non compiuto) il vostro PG alle ultime battute, č frutto di analisi ponderata volta a garantire coerenza non solo rispetto al quadro generale, ma anche rispetto agli intenti da voi stessi manifestati in corso di gioco, evitando forzature sia in un senso sia nell'altro. Il tutto, ovviamente, senza mai sancire il benché minimo squilibrio nelle concessioni e penalitŕ elargite a ciascuna delle due fazioni: non sono stati attribuiti arbitrariamente malus e/o bonus (catture incluse) che non fossero giŕ ampiamente determinati con un certo grado di certezza dallo svolgersi degli eventi; ciň che in assenza di diritto di replica, in virtů delle mie ultime decisioni, avrebbe potuto portare a bonus/malus considerevoli, e che non rientrasse nel normale masteraggio di fine turno, č stato diluito/ragionato in modo da non condizionare la coerenza ON e allo stesso tempo non fornire vantaggi/svantaggi gratuiti. Ogni dettaglio č stato considerato nell'ottica di non svalutare l'operato di nessun giocatore e di garantire i migliori sviluppi post-evento per entrambe le fazioni, oltre che per il background di ciascun personaggio. Alla luce di quanto esposto, NON saranno ammesse disquisizioni con la pretesa di essere piů o meno costruttive in relazione agli esiti di questa avventura. Le mie decisioni sono irrevocabili. Potrete discutere della vostra situazione post-evento con i vostri rispettivi capi-fazione, i quali valuteranno con voi il da farsi. Lŕ dove il testo presentasse sviste dovute a semplice errore umano (un nome al posto di un altro, un conteggio inesatto o simili), sarŕ possibile far pervenire il dubbio al proprio capo-fazione, il quale - se lo riterrŕ opportuno - me ne farŕ menzione ed io stesso, SE riconoscerň il disguido, ratificherň la correzione.~ Sheiva, l'infiltrato, e Cedric, l'imperiato. Corridoio e Ufficio della Vice Preside, Torre di Divinazione.- Nessun posto č piů sicuro di Hogwarts. - La voce rauca, di vecchio, sfuggě maldestra dalle labbra contratte, tese nello sforzo della corsa. Sullo sfondo, infinite sfumature di grida ed esplosioni si gonfiavano per risalire lungo gli squarci nelle mura, elevando un franco monito privo di incertezze. La torre vibrava, e in quei fremiti Sheiva poteva scorgere la bellezza di un piacere violento che risaliva lascivo dal basso, risvegliando sensazioni contrastanti. Il taglio dritto della bocca si incurvň appena, non piů di una piega tremolante verso l'angolo sinistro, e la grottesca parodia di un sorriso sfigurň la simmetria della seria e arida maschera del custode. Nessun posto era piů sicuro di Hogwarts: l'antico detto suonava come una beffa anche senza il suo laconico scherno. Uno sfregio al sangue versato in anni di inefficace difesa. Il corridoio era deserto. Non poteva essere altrimenti, del resto: ormai chiunque avesse avuto abbastanza fegato da combattere doveva essersi fiondato da tempo ai piani inferiori, mentre i restanti codardi si erano rintanati piů a fondo nelle rispettive tane. Le condizioni erano perfette, ma Sheiva non sarebbe stato scelto per il compito piů difficile se non fosse stato maestro di strategia e prudenza. Rallentň il passo avvicinandosi alla porta dell'ufficio della Vice Preside. Aperta o chiusa? Il primo dilemma era semplice, eppure non scontato. La donna era di sotto, gli esami prima e la battaglia poi dovevano averla tenuta impegnata, e ignara. Avvicinň con calma la mano destra alla maniglia. Se vi fosse stata da affrontare una qualche opposizione magica, sarebbe stato meglio scoprirlo subito; ma se nessuna percezione di tal fatta avesse disturbato il suo tentativo, stroncandolo sul nascere e costringendo le sue dita a ritrarsi, non avrebbe tirato fuori la bacchetta invano rischiando spiacevoli imprevisti nel mezzo di un corridoio a libero accesso, dove del resto potevano anche annidarsi nemici occultati: prima si sarebbe assicurato che per accedere non fosse magari semplicemente sufficiente ruotare la maniglia. Solo se chiusa, magicamente o meno, sarebbe ricorso a sistemi piů drastici, rinunciando al travestimento. I polpastrelli sfiorarono il freddo metallo senza conseguenze e giŕ il primo tassello della verifica andň a comporre con ragionevole certezza una nuova parte del quadro. Aveva rischiato, sě, ma con buone ipotesi a carico: i suoi seppur pochi giorni da infiltrato, per di piů nelle vesti di custode, gli avevano giŕ fornito uno schema dei piů comuni usi degli insegnanti in merito alla gestione dei loro uffici. Di sicuro, in tempi di pace, se pure avessero voluto aggiungere un qualche ulteriore presidio alla sicurezza dei loro ambienti privati, dato il contesto scolastico avrebbero preferito porre barriere esterne che impedissero direttamente l'accesso e preservassero integralmente i propri interessi, senza neppure arrivare alla violazione, piuttosto che accettare il rischio dell'ingresso di soggetti indesiderati, quand'anche al suono di una sirena. Un qualcosa che a lungo andare avrebbe potuto rivelarsi fastidioso, per un pomo della discordia comune come poteva essere un registro voti. Certo, vi era sempre un qualche grado di imprevedibilitŕ in ogni predizione, ma il calcolo delle probabilitŕ era da sempre elemento portante della realizzazione di qualsivoglia piano. Ed era la ragione che lo aveva condotto a non sottovalutare quella prova. Ciň nonostante, esitň qualche istante prima di passare alla seconda fase, e scoprire quindi se il classico giro di chiave - o un piů subdolo, non percepito, improbabile ma frazionariamente possibile incantesimo anti intrusi - si frapponeva ancora fra lui e il suo obiettivo. Un lieve rumore. Un fruscio. Forse un passo. Gli echi della battaglia disturbavano il silenzio della torre altresě deserta, ma non poteva ingannarsi su suoni che giungevano - seppur soffocati - da un luogo cosě vicino: l'interno della stanza. Non lui, che non arrivava sicuro del proprio diritto, magari per delega, ma che davanti a quella porta si stava prendendo il suo tempo. Qualcuno si muoveva, senza clamore. Forse chiudeva un cassetto. La Lancaster? Come aveva fatto ad arrivare lě? Perché avrebbe dovuto abbandonare la battaglia? E come avrebbe potuto raggiungere l'ufficio prima di lui, lui che aveva sorvegliato l'ingresso alla Sala Grande fino a pochi istanti prima di prendere la rincorsa per la torre? E se anche in qualche modo fosse stato cosě, come avrebbe potuto muoversi con quella calma sapendo ciň che stava accadendo al castello? Dove erano le sue responsabilitŕ di Vice? No, non era lei. Ma chi poteva avere tanta confidenza da usare il suo ufficio come il proprio? Chi poteva essere di grado tanto elevato da potersi aggirare liberamente per l'ufficio di una docente assente, e allo stesso tempo tanto incurante delle sorti del castello da perdere il suo tempo a nascondersi in una torre lontana dal pericolo? Un incaricato, un codardo... o un alleato? Ruotň la maniglia e spinse. La porta cedette e si aprě docilmente. Se l'era aspettato, data la nuova variabile. Un uomo che riconobbe come il Docente di Cura se ne stava immobile nei pressi della scrivania. Sarebbe sembrata semplicemente una persona in attesa, un ospite bonariamente paziente e tranquillo da chissŕ quanto tempo... se solo Sheiva non si fosse fermato appena pochi secondi prima oltre la soglia ad ascoltare i movimenti sospetti nella stanza. Qualcosa non quadrava. Un codardo ingannava il tempo frugando? Un delegato cercava di fingere di non avere affari impellenti nel luogo in cui era stato inviato, salvo darsi da fare non visto? Se Sheiva fosse arrivato sicuro e di gran carriera non avrebbe mai apprezzato la sottigliezza di quel curioso comportamento: non avrebbe udito nulla, e avrebbe solo trovato qualcuno con l'aria di poterlo giudicare, qualcuno la cui presenza fosse piů legittima della sua. Forse perfino apparentemente inconsapevole del gran disastro in corso. Ma Sheiva sapeva di avere il coltello... o la bacchetta, per meglio dire, dalla parte del manico. Era il suo giudizio quello che contava. Era la sua previdenza che veniva premiata. - Professore! - Il tono affannoso, lievemente sorpreso. Adorava inserire quella nota di panico che rendeva piů autentico il suo personaggio e gli permetteva intimamente di deridere il fatto che apparisse cosa cosě naturale. - Stavo giusto cercando rinforzi. Č in corso un attacco in piena regola! Deve raggiungere gli altri docenti al Piano Terra. - La mano libera dalla ramazza corse al petto, come a calmare il respiro. In realtŕ lě, tra le pieghe della veste, la sottile arma di legno era a un soffio dalle dita allertate. - Davvero?! - L'atteggiamento del docente era il perfetto esempio della prevedibilitŕ: l'irrigidirsi improvviso della postura, il tono preoccupato, lo sgranarsi degli occhi, tutto era come doveva essere, in un momento come quello. - Aspettavo la Professoressa Lancaster al termine dei G.U.F.O, ora capisco... Grazie Argus, vado subito. - Non c'era esitazione. Dopo i primi momenti di sorpresa, e una considerazione quasi tra sé e sé, la decisione era stata presa. Anche questo rientrava esattamente in ciň che ci si sarebbe aspettati da un docente di Hogwarts. Eppure, ancor piů per questo, i pezzi continuavano a non incastrarsi al posto giusto. La ragione era semplice: mentiva. Un altro non avrebbe avuto motivo di origliare, ma Sheiva, l'infiltrato, sě. Black non era rimasto immobile e rispettoso ad aspettare, come si era premurato di dare a vedere, si era appositamente - e con una certa fretta - fatto trovare cosě. E in aggiunta a questo, aveva mentito ad una persona che doveva essere riconosciuta come schierata dalla sua parte, essendo il mangiamorte nelle sembianze del custode. Un nemico dei suoi nemici era dunque un amico? Perché non sapeva nulla di lui? Quando era stato inserito nel piano? Era davvero poi parte del piano? Ma poteva essere una coincidenza averlo trovato proprio lě, ad aggirarsi per l'ufficio della Vice Preside? Perché tagliare la corda innanzi a quella che era evidentemente stata un'interruzione, senza neanche provare a sfruttare fino in fondo l'irripetibile occasione? C'erano ordini o agiva di sua sponte? - Quanta fretta. - Abbassň la mano sinistra, che ancora reggeva la ramazza, e il lungo manico scheggiato sbarrň la soglia mentre il docente stava per varcarla. Comunque stessero le cose, non poteva lasciarlo andare. Troppe incognite rendevano incerta la vittoria, e Sheiva odiava affidarsi al caso. Il suo tono non era piů affannoso o tremolante, pareva anzi quasi aver riacquistato parte del suo timbro originale. La polisucco cominciava forse ad esaurire i suoi effetti... Meglio cosě. In ogni caso, a qualunque punto ci si fosse spinti, quel giorno sarebbe finito tutto. E non solo perché tale era la volontŕ del suo Signore: quel vecchio corpo era diventato una zavorra ormai insostenibile per la sua irrequietezza; inoltre, la mocciosa del piano di sotto [Arya] - che aveva tutta l'aria di essere una possibile traditrice della Causa - aveva visto il suo piccolo travestimento, e nessuna ulteriore permanenza come infiltrato sarebbe stata possibile. Ma non avrebbe perseguito quella via in nessun caso: piuttosto sarebbe andato orgogliosamente incontro ad una onorevole e gloriosa morte. Guardň il docente. Si era fermato, osservava in silenzio il braccio che gli sbarrava la strada. No, non il braccio: la pallida ombra del marchio che riaffiorava come un fantasma del passato su di una pelle sempre meno rugosa. L'assenza di reazioni, che fossero contro o a favore dei suoi intenti, era l'anomalia piů grande. La mano destra scivolň via dal petto stringendo la bacchetta, ma non aveva intenzione di usarla. Non ancora. - Tu sei in conflitto. - Ritirň il braccio sinistro e con esso la ramazza, liberando il passaggio. Ma il docente non si mosse. Sheiva posň l'attrezzo al muro e con la stessa mano chiuse la porta, relegando entrambi all'interno della stanza. - Tu sei imperiato. - La risata proruppe genuina, improvvisa, creando una sonora crepa nella tensione accumulatasi a causa della situazione. Si concesse di allontanarsi dall'uomo, l'uomo che era costretto dall'incantesimo a riconoscere nei mangiamorte i suoi alleati; l'uomo che poteva essere alle dipendenze di un numero di persone cosě ristretto da potersi contare sulle dita di una mano. La lungimiranza dell'Oscuro aveva sempre fatto sě che ognuno dei suoi servitori sapesse solo l'indispensabile, che i compiti piů riservati fossero dominio di pochi cosě che neanche il peggiore degli scenari e l'onta della cattura potessero compromettere la reale missione. Sheiva non era uno sciocco, comprendeva un tale metodo, ma proprio per questo non aveva bisogno di "immaginarselo": il suo acume lo rendeva spesso partecipe delle pieghe piů delicate dei piani del suo Signore, trasformando la sua consapevolezza in una certezza, e la certezza in una diretta partecipazione. Il suo sguardo vagň divertito sulla mobilia dell'ufficio. - Dimmi, amico... L'hai trovato? - Si sarebbe preso gioco di lui, ma senza perdere tempo. La serietŕ del suo compito non era in discussione e quella seppur leggera deviazione dal tracciato poteva rivelarsi un vantaggio o una condanna. Gli aveva anticipato l'onere della ricerca? La risposta poteva risparmiare la vita dei compagni in battaglia, in netta minoranza. Non avrebbero mai potuto conquistare la Scuola, si sapeva: non quando le forze dell'Oscuro necessitavano ancora di tempo per raggiungere una quantitŕ tale di affiliati da potersi chiamare esercito. Erano arrivati in grande pompa, al meglio delle proprie forze, al solo scopo di apparire mille invece di cento; al solo scopo di lanciare un messaggio; al solo scopo di favorire un gioco di voltafaccia; al solo - vero - scopo, soprattutto, di essere un diversivo per lui e gli altri infiltrati. Di fatto, avevano giŕ vinto. Quasi. - No. - Le parole gli costavano, sě: rabbia, forse anche dignitŕ, ma non potevano fare a meno di fluire in meravigliosi sprazzi di incontrollata inconsapevolezza. Cedric c'era, ma era ancora intento a dibattersi nelle profonditŕ piů oscure del suo io, lontano dal piano della realtŕ. Lontano da Sheiva. - Ho guardato ovunque. Non credo neppure sia occultato, avrei percepito alterazioni della Magia. E poi conosco la Lancaster... non l'avrebbe messo qui. Non cosě. - Era plausibile, Sheiva lo sapeva. Non ci aveva davvero sperato, ma quel luogo andava ugualmente violato e visionato: bisognava escluderlo con reale sicurezza. Cosě il suo Signore aveva ordinato. La cosa divertente era che nessuno di loro, nemmeno lo stesso Sheiva, sapeva esattamente cosa stesse cercando, eppure a ciascuno di coloro che erano stati scelti per il compito piů arduo era stata data l'assoluta certezza che, se trovato, l'obiettivo sarebbe stato riconosciuto. Non era una buona notizia da riferire, ma per lo meno nulla di realmente inaspettato. Il lato positivo era che il lavoro sporco era stato giŕ fatto, e questo avrebbe permesso di anticipare la ritirata. - Altro? - Era passato a un tono secco, impaziente, abbandonando ogni facezia. Quell'individuo l'aveva giŕ stancato, e ora fremeva per passare al nuovo punto in programma. Solo fino a che Agreas fosse comparsa... - Sě, ho trovato questa. - Cedric porse a Sheiva la lettera. Gli occhi del mangiamorte scorsero appena qualche rigo prima di richiuderla e mettersela in tasca. Se era importante, non lo diede a vedere: il suo viso impassibile pareva aver esaurito ogni voglia di comunicare. - La porta era solo chiusa a chiave, l'ho aperta per garantirmi un alibi ma sono venuto qui con questo... in caso servisse... - Cedric indicň il fazzoletto bianco ben ripiegato sulla scrivania. Sheiva capě subito che stava parlando di una passaporta. - Gran bel lavoro, amico mio. Gran bel lavoro... - Il nuovo accenno di un sorriso tornň a disegnarsi sul suo volto, il volto di un uomo piů giovane di quello che aveva raggiunto la torre. Nella pelle brunita i denti bianchi si mostravano timidamente come gigli delicati, sbocciando tra le labbra quasi femminee. Gli occhi scuri viravano con decisione alle tonalitŕ piů cupe del marrone, caricandosi di una profonditŕ rassicurante, calma. La distesa liscia delle guance tradiva la freschezza di un'etŕ fin troppo acerba per aver giŕ scelto da che parte schierarsi. Eppure, non c'era esitazione nelle sue parole, o nei suoi gesti. La forma del suo sorriso non scaldava il cuore, e il suo sguardo perdeva ogni dolcezza nella scaltra supponenza delle palpebre crudelmente semichiuse con ostentata noia. - C'č un'ultima cosa che puoi fare per me. - Sheiva sapeva che per lui non restava altro che aspettare. Quanto, dipendeva dai suoi compagni al Quinto Piano. Ma ciň non toglieva che potesse a sua volta avvisarli che era pronto... che tutto sarebbe volto al termine nel momento stesso in cui gli avessero dato il via libera. Chiunque di loro gli avesse mandato il docente, che fosse inteso come dono o piano di riserva, non doveva essersi mosso dalla sua posizione originaria: per ciascuno dei quattro, ogni passo era stato preventivamente studiato con cura meticolosa, ogni compito assegnato con incastro perfetto rispetto a quello degli altri. Ciascuno avrebbe mantenuto la propria posizione fino alla morte, se necessario. Ma chi aveva mandato l'uomo non era morto, o l'imperio si sarebbe spezzato. - Torna dal tuo padrone. Digli che qui abbiamo finito. Se č in difficoltŕ... - Uno sguardo intenso, non serviva altro per farsi capire. Una pedina come lui era sacrificabile, sempre. Cedric mosse appena il capo in un cenno di assenso privo di entusiasmo. La sua anima era lontana secoli. Con sequenza meccanica si riavvicinň alla scrivania e afferrň il fazzoletto. Il riattivarsi della magia fu qualcosa di istantaneo, e presto anche la figura esile di Sheiva che lo osservava con disprezzo fu solo un altro ricordo.~ Astaroth, l'infiltrato, e Agreas, la fenice nera. Quinto piano, Torre della Preside.Astaroth osservň il breve appunto. Non era nulla piů di uno scarabocchio di poche righe su un pezzo di carta straccia, eppure le sue potenzialitŕ erano chiare alla vista di chi vantava la giusta prospettiva di lettura. *Quella volta...* E cosě la Lancaster era stata informata. E l'intromissione era costata cara. I limpidi occhi azzurri erano schegge di vetro dietro le quali la collera si addensava in caliginose volute minacciando tempesta. La fronte cedette ad una ruga profonda che l'adombrň di sfumature scortesi. Il pulsare sgradevole di una vena sulla tempia era il silente monito di emozioni ribollenti appena al di lŕ del circo vuoto delle espressioni. Lentamente sollevň la testa e le liquide iridi si macchiarono di sangue nell'incontrare lo sguardo antico, rosso e affilato di Agreas. La severitŕ di quella esistenza solenne rendeva sciocco il suo fragile impulso umano. Il controllo scivolň nuovamente lungo le fibre del suo corpo e il velo della follia ricadde languidamente in un luogo segreto e nascosto. Un impercettibile segno di diniego: precipitň, senza reazioni, nel silenzio artefatto entro cui i clamori e le passioni della guerra erano solo una tentazione lontana. La fenice inclinň mestamente il capo, con la graziosa accondiscendenza di chi bada poco alle contingenze del mondo. Le palpebre si abbassarono con pesantezza, sospirose come in cerca di un bacio. Eppure non v'era compiacimento in quelle movenze voluttuose, solo arroganza e l'insolente, irritante concessione di un fallimento giŕ atteso. La lunga coda frusciň piano contro il legno del vecchio mobile, parendo un dileggio all'immobilitŕ infruttuosa dell'uomo, di cui solo il lieve tremore della mano tradiva l'impotenza, il senso ancestrale di sgomento. Lo spazio si contorse attorno alla muta figura del volatile, e l'oscuritŕ sul suo corpo si decorň di crudo lucore. Tremolň come la superficie di uno specchio d'argento, quindi avvizzě e si spense in un lampo amaranto. Astaroth indugiň ancora qualche istante sull'angolo ormai vuoto della stanza. Di nuovo solo, si rendeva conto con sorpresa di quanto fosse stato in tensione, nonostante ogni razionalizzazione. Non aveva nulla da recriminarsi, né avrebbe potuto farlo il suo Signore: tutto rientrava perfettamente nei piani. Quel giorno avevano attuato un diversivo nel diversivo: nonostante l'importanza di controllare l'ufficio della Preside, le probabilitŕ maggiori erano sempre state in quello della Vice. Cosě la sua incursione diventava il diversivo di Sheiva, e i restanti al piano terra costituivano a loro volta un diversivo per lui, di modo che l'ultimo anello della catena degli inganni - quanto presumibilmente accadeva nell'ufficio della Vice - sarebbe stato anche il piů difficile da individuare e comprendere. Abbassň il braccio con inaspettata calma, raccogliendo le fila dei pensieri. Con cura ripose nuovamente il biglietto cosě come l'aveva trovato. Non era necessario portarlo via con sé, di sicuro un semplice avviso come quello non celava informazioni nascoste, raccoglierlo avrebbe solo destato sospetti. Diverso sarebbe stato se avesse avuto per le mani ciň che effettivamente doveva aver indotto la Lancaster ad avvisare la Bennet. Richiuse il cassetto. Non era tempo per certe illazioni. Vi avrebbe riflettuto ancora, certo, una volta lontano, una volta al sicuro. Non c'era piů nulla che dovesse o potesse fare in quel luogo. Sbirciň verso la porta e per un momento l'idea di Thren cosě vicino eppure lasciato solo al suo destino lacerň qualcosa nel profondo della sua sicurezza. Poi il quadro della porta fu sostituito dalla visione del camino e l'istintiva, non richiesta compassione morě nell'estasi folle del proprio trionfo. Pochi passi ed era lě, di fronte all'imponente soglia di pietra, spalancata in una voragine di neri resti che si divoravano pian piano l'un l'altro. In fondo lo sapeva: non era importante chi restava indietro. Chi restava indietro evidentemente non contava abbastanza: avrebbe dovuto aspettare, sě, aspettare e magari sperare nella clemenza del Sommo Signore, o usare misericordia su di sé. Lui, di contro, aveva avuto un ruolo... e l'aveva ancora. Era per quello, per quel ruolo, che Thren e Gargantua avevano accettato anche di morire quel giorno. La mano calň nel piccolo cofanetto di porcellana e ne riemerse con un pugnetto di metropolvere di un innaturale verde brillante. Tra le dita era fine e impalpabile come cenere. Alle sue spalle la stanza non mostrava tracce evidenti di cosa fosse stato toccato. Bisognava solo andare, allora, e augurarsi che anche gli altri avessero fatto la loro parte. Un passo avanti, oltre il parascintille in ferro battuto. Gettň ai suoi piedi la metropolvere e fiamme di smeraldo si levarono immediatamente a carezzare il suo corpo, gettando ombre malaticce sulle guance magre. Scandě le parole, scelte con cura. Il fuoco magico l'avrebbe portato ovunque, anche in luoghi indesiderati e sperduti se non fosse stato attento alle sue richieste o avesse pronunciato male qualche parola. Di certo la libertŕ della Preside in tal senso era illimitata, se pure poteva supporre un ragionevole blocco di sicurezza sulle visite in ingresso. Chi altri avrebbe mai potuto immaginare in condizioni ordinarie di beneficiare di quel camino connesso alla rete dei trasporti magici, data l'ubicazione, senza l'esplicito consenso della donna che l'amministrava e in sua assenza? L'ombra dell'ironia aleggiava sulle labbra secche, inaridite. Aveva dovuto individuare un posto non cosě in vista da implicare un reale rischio di cattura al suo arrivo o da permettere al Ministero di risalire con troppa facilitŕ alla dinamica della sua fuga. Sicuramente, se non altro, sapeva che solo il Ministero - ancora per poco! - era in grado di creare quel tipo di allacciamenti, riservato pertanto raramente a zone esterne al mondo magico, e altrettanto certamente quelli del dipartimento dovevano essere in grado, con un po' di impegno, di risalire al percorso legato all'ultimo uso di quel camino. Lui, per parte sua, doveva anche presumere che ad un'analisi accurata dell'ufficio avrebbero trovato le tracce di un impiego recente della metropolvere. Non poteva nascondere i segni del suo passaggio, ma sarebbe ugualmente potuto essere ormai ovunque fino a che i galoppini della Preside avessero rimesso insieme i pezzi e raggiunto la sua attuale meta. - Erebus Emporium, Nocturn Alley. - Il proprietario avrebbe retto il suo gioco, almeno fino a che il suo raziocinio avesse mantenuto salda la consapevolezza delle conseguenze in caso cosě non fosse stato. E poi, Akeldama era un sostenitore della Causa che aveva sempre avuto l'intelligenza di agire nei suoi affari in modo tale da risultare irreprensibile agli occhi della legge. L'avrebbe messo in difficoltŕ, lo sapeva, ma tra tutti era forse colui che piů l'avrebbe saputo coprire apparendo al contempo attendibile agli occhi dei ministeriali che certo prima o poi avrebbero potuto presentarsi alla sua porta. Gli avrebbe fatto guadagnare tempo, e se avesse ceduto... sarebbe stato poi cosě importante? Quell'uomo non avrebbe mai saputo i suoi piani o da dove venisse e dove fosse diretto. Nessuno poteva permettersi di fare domande a un servo alle dirette dipendenze dell'Oscuro. La cieca obbedienza era da sempre la chiave di quello stile di vita, di quel credo, e seguiva una ferrea gerarchia. A quel punto sarebbe stato ormai irrintracciabile, probabilmente giŕ devotamente e bramosamente in ginocchio davanti al suo Signore. ~ Gargantua, l'infiltrata, e Cedric, l'imperiato (comparsa: Sirius, il Grifondoro). Zona scale e corridoio, Quinto piano.- Cosě incauto. - Anche attraverso gli incantesimi di alterazione di cui la maschera la investiva, la sua voce aveva un qualcosa di fluido, sensuale, serafico nei suoi toni bassi, vibranti. Venne avanti con calma, emergendo dalle ombre dell'angusta rientranza, sotto l'egida immobile della creatura ormai completamente formata che con la sua mole ostruiva l'arco ed impediva il passaggio e la visione tra le scale e il corridoio. Vi era ancora qualcuno dall'altra parte? Avrebbe osato avvicinarsi al mostro apparentemente dormiente? Quanto sarebbe durato l'effetto della magia utilizzata dal ragazzino? - Cosě sciocco. - Doveva davvero essere tra i meno dotati della sua classe se aveva pensato di infilarsi nella tana del lupo con solo le proprie gambe a difesa del nemico. Avrebbe avuto maggiori possibilitŕ lavorando in gruppo, ma no, tutti quei bambinetti parevano unicamente intenti a garantirsi di primeggiare anche a costo di annullare a vicenda le proprie mosse. Era un'idea infelice, che lasciava spazio alla commiserazione e un alone di disgusto attorno al sorriso sardonico, fino a togliere ogni mordente alla battaglia. - E cosě ora sei solo. Tra le mie braccia di fiamme. - Si fermň alle spalle del suo prigioniero. Gli occhi scuri scivolarono con ironia lungo il corpo piegato, stretto in una morsa poco lusinghiera. Capě che gli era quasi impossibile muovere le bacchetta, ma non era il momento di correre rischi. Uno scatto, e un calcio frontale dritto tra le scapole. La forza del colpo era quasi sorprendente per la sua corporatura, ma l'imprevedibilitŕ del gesto rese al ragazzo impossibile prepararsi. Cadde in avanti, avvinto dalle funi di fuoco, nulla piů che un giocattolo per la donna che con lui avrebbe potuto farla finita in qualunque momento. Pareva lo schema di un'esecuzione: il sadismo era un gusto dolcissimo sulla lingua, e le donava l'inquietante sicurezza di chi non ha nulla da temere, nč teme nulla. Con calma soave aggirň le gambe ora tese e rigide della sua vittima, gli calpestň con cura la mano della bacchetta e facendo peso sul piede che dolorosamente la schiacciava simulň un accenno di genuflessione, sě che le sue parole fossero un veleno sussurrato goccia a goccia nelle orecchie dell'impotente nemico. - Ti svelo un segreto. - La sua maschera era un mosaico di contrasti su cui la voce roca disegnava impressioni di follia. Lě, in quel momento di stallo, era piů pericolosa e letale che mai. - L'Oscuro č qui. - Fisicamente? Metaforicamente? Qui dove? Non aggiunse altro, ma lasciň che l'enigma delle sue parole investisse di paura l'innocente pedone sacrificale di quella partita tanto piů grande di lui. Era l'ora della fine? Un movimento, colto all'angolo del suo campo visivo. Gargantua si voltň svelta come testa di serpente, ma lě dove fino a poco prima aveva trovato rifugio lei stessa vi era solo il suo servo imperiato. Era tornato, con la passaporta ormai esausta che stringeva ancora in mano, e potevano esserci solo due motivi per cui ciň fosse possibile: o aveva trovato quello che era stato mandato a cercare, o... *Sheiva.* Sheiva doveva aver completato il lavoro. Aveva capito la situazione e l'aveva rispedito da lei come messaggio di rassicurazione. Del resto, volendo fin troppo ottimisticamente considerare la prima ipotesi, il docente pareva non aver nulla da consegnarle: il suo sguardo vitreo non aveva premura, le sue vesti cadevano flosce, i suoi pugni erano vuoti. In ogni caso, qualunque cosa fosse successa, tutto era compiuto. L'eccitazione brillň nei suoi occhi appena per un istante prima di ricordare che non sarebbe stato saggio far intendere il proprio collegamento con l'uomo. Il ragazzo non poteva ancora vederlo, schiacciato a terra col volto rivolto verso l'estremitŕ opposta del corridoio, verso la fuga mai raggiunta, ma se quello avesse aperto bocca avrebbe rivelato la natura di ogni legame. Poteva rendere cosě facile il compito di chi avrebbe indagato sullo strano caso dei livelli superiori? Poteva lasciare che le sue strategie fossero pronunciate a voce alta in un qualche indigesto momento di luciditŕ? Se fosse accaduto non solo lě, col ragazzino ancora vigile, ma in seguito, innanzi ad una giuria o ad esperti medimaghi? Uccidere entrambi? Far ricadere sull'uno le colpe dell'altro? Ma aveva tempo per allestire tutto ciň, se il piano era davvero giunto alla sua conclusione? Il suo Signore l'avrebbe salvata come promesso? Per la modalitŕ concordata, non ce l'avrebbe mai fatta a portare con sč anche solo uno dei due... Non poteva riflettere oltre. Senza esitazioni puntň la bacchetta contro il petto del docente. Lui non reagě: era ancora sotto il suo controllo. Flettč il braccio portandolo verso di sč, per poi distenderlo nuovamente verso la sua vittima, nel medesimo punto che aveva messo a fuoco un istante prima. - Stupeficium. - il tono era perentorio. Doveva badare all'essenziale. Schiantando il docente avrebbe interrotto l'imperio e lui avrebbe perso il ricordo di ogni cosa fatta sin dal momento in cui era stato posto sotto incantesimo. Non poteva rischiare che qualcun altro gli cavasse le informazioni mentre era ancora sotto il suo controllo, per un inaspettato guizzo di ribellione o un controincantesimo potente, ma allo stesso tempo perché uccidere una persona che si era rivelata cosě inetta e malleabile, per di piů in una posizione di spicco nella Scuola, quando per le stesse ragioni e qualitŕ avrebbe potuto tornare ancora utile in futuro? Forse avrebbe perfino potuto ricattarlo per quella stessa storia, di cui era stato innegabilmente fondamentale complice. Il lampo rosso proruppe con malvagia violenza. Vi fu appena un barlume di stupore sul viso di lui mentre ogni luce si spegneva dal suo sguardo e la sua schiena batteva sgraziatamente contro il muro alle sue spalle, sospinto dalla forza dello schiantesimo. La mano violacea del ragazzo sotto il suo stivale ebbe un fremito: paura? Rabbia? Frustrazione? Il ragazzo... non aveva visto da dove l'uomo era arrivato. Poteva essere rimasto svenuto nell'angolo per tutto il tempo. O poteva aver passato il mostro dopo che lo studente l'aveva bloccato. Il fanciullo aveva dimostrato manie di protagonismo, di certo il suo ego gli avrebbe suggerito di prendersi il merito di quel presunto tentativo di soccorso da parte del professore. Perché del resto questo sarebbe parso, agli occhi di tutti, e il ragazzo stesso ingenuamente ne sarebbe stato testimone vivente e diretto. - Stregare la mia creatura non ti č servito a molto, vero? Per voi tutti, dopotutto, c'era una belva ben peggiore al di lŕ di essa. - Rise, tra il corpo scomposto dell'uomo e quello teso e rigido del ragazzo, non meno immobile. Il suggerimento astuto chiariva al prigioniero, ancora schiacciato faccia a terra, come dovevano essere andate le cose. Sicuramente si sarebbe sentito intelligente ad aver colto anche questa piccola rivelazione, che avrebbe poi potuto raccontare a chiunque gli avesse chiesto cosa fosse successo. Era divertente pensare di avergli effettivamente mischiato fino a quel momento bugie e veritŕ, sě che se avesse dubitato di una cosa, avrebbe dovuto dubitare di tutto il resto. Il Signore Oscuro era stato lě? Non era forse vero che il docente fosse venuto dalle scale? A cosa avrebbe preferito credere? Bugie... o mezze veritŕ? Sollevň lo stivale che schiacciava l'estremitŕ ormai esangue dell'arto, e senza ripensamenti gli colpě con forza la testa. Non voleva ucciderlo, ma stordirlo quel tanto che sarebbe bastato ai suoi scopi. Il sangue sgorgava in un denso rivolo ramificato dall'attaccatura dei capelli, accecandolo. Per un momento, rimirando la sua opera, ebbe l'istinto di abbandonarsi al pestaggio. Ma aveva cose piů importanti cui pensare, se non voleva rimanere intrappolata lě. Senza dedicare piů la minima attenzione al campo di battaglia, si voltň verso l'estremitŕ inesplorata del corridoio, verso i suoi alleati, e corse via ridendo.Sirius: i vari "colpi" che hai ricevuto, nonché gli strascichi del precedente incanto, ti sottraggono complessivamente 50 ps, 20 pc e 15 pm. Hai subito tra le altre cose una brutta botta alla testa, per cui si puň dire che versi in stato di semi-incoscienza: sicuramente le tue reazioni sono rallentate e il tuo raziocinio momentaneamente compromesso. Cedric: sei svenuto, le tue statistiche sono azzerate. ~ Sheiva, l'infiltrato, e Agreas, la fenice nera. Ufficio della Vice Preside, Torre di Divinazione.Black aveva fatto un buon lavoro. Aveva riferito di aver guardato ovunque e certo cosě doveva essere stato, dato che sotto l'influsso dell'imperio non avrebbe mai potuto mentire innanzi all'esplicita richiesta di colui che era stato costretto a riconoscere come alleato: eppure nulla appariva fuori posto, ogni passaggio era stato completato con cura e dedizione, proprio come se a svolgere il compito fosse stato lo stesso Sheiva. Chi aveva impartito l'ordine era stato meticoloso, ma del resto, dal ristrettissimo contingente scelto di cui lui stesso faceva parte, non si sarebbe mai aspettato altrimenti. Non c'era nulla da correggere o accomodare, nulla che potesse far capire troppo presto che proprio quella camera era stata violata: il docente era svanito assieme al suo fazzoletto; i cassetti erano chiusi; sedie e bauli giacevano in ordine lě dove presumibilmente erano sempre stati. L'unica differenza era la lettera nella sua tasca. Era probabile che prima o poi la Lancaster si accorgesse comunque della sua assenza, ma era un problema - eventuale, del resto - in lŕ da venire, e un dettaglio per la fazione avversa di non immediata soluzione. Tutti i primi piů ovvi sospetti sarebbero andati a vertere sulla - mille volte piů plateale - violazione dell'ufficio della Preside. Inoltre Sheiva non poteva rischiare di omettere al suo Signore qualche importante indizio, celato magari tra le parole o sulla carta stessa: ora che ci si era spinti cosě oltre, non poteva lasciarsi sfuggire l'originale. Un azzardo, ma che andava accettato. Cosě come si era dovuto accettare l'azzardo di attaccare l'intero castello, quel giorno. Si avvicinň alla porta. Occorreva solo un ultimo colpo di pennello per completare un quadro altresě perfetto. La punta della bacchetta sfiorň con leggerezza il buco della serratura, mentre la mano dell'artista calibrava con scienza angolazione e pressione. Chiuse gli occhi. Non era questione di guardare: era questione di vedere. Il semplice ma ingegnoso meccanismo di chiusura gli si figurň davanti in tutta la sua maniacale precisione e millimetrica bellezza. Era un gioco di incastri e soluzioni, un gioco di strategia e mano ferma. Assolutamente godibile. - Mobiliclaustrum. - Lo sussurrň piano, mentre muoveva lentamente e continuativamente il polso dal basso verso l'alto, in un impercettibile esercizio di autocontrollo. L'oscillazione cominciava e si esauriva nel buio di quel centimetro scarso che era la vera via per il lecito accesso, e la lecita estromissione. Uno ad uno, i bianchi e sottilissimi fili dell'incantesimo si dipanarono dalla lucida estremitŕ del legno di abete per immettersi nell'angusto spazio del buco della serratura: la sinuosa materia luminescente sondava con delicatezza ogni anfratto, scivolando e avvolgendosi tra gli ingranaggi in cerca degli elementi portanti del sistema, pervasa da un'aliena consapevolezza. Sheiva percepiva l'esitazione di quella innanzi ad ogni nuovo elemento, e adattava via via ai nuovi impulsi la propria immagine mentale. Ma solo quando ogni spira fu saldamente al suo posto, la maestria del marionettista fu evidente. Come estensione tangibile del proprio pensiero, le trame pazientemente intessute si mossero all'unisono per concertare il brillante epilogo di quell'opera in due atti: la bacchetta dirigeva il rumoreggiare assorto dei piccoli oggetti di metallo che si sollevavano e ruotavano scandendo un ritmo leggero. Uno scatto. Nessuna forzatura. Sheiva riaprě gli occhi, conscio che la porta fosse di nuovo chiusa come se fosse stato dato un giro di chiave. Nel momento in cui la proprietaria dell'ufficio fosse tornata, ogni cosa sarebbe stata esattamente come l'aveva lasciata, nč avrebbe avuto modo di sospettare un'effrazione: la via d'accesso, in quanto primo e piů evidente presidio nonché biglietto da visita dello studiolo, non avrebbe fatto eccezione. Era tutto tempo fatto guadagnare alla Causa: piů li confondeva, piů il vantaggio restava saldo nelle mani del suo Signore. Piů li depistava, piů la veritŕ si allontanava diluendosi nello scorrere implacabile del tempo. - Agreas. - Un bisbiglio, ma senza ricerca di risposta. Tornň a voltarsi verso il centro della stanza, sfoggiando calma e sicurezza. La grande fenice nera lo osservava in silenzio, gli occhi sgranati e vigili che brillavano d'intelligenza. Con un movimento maestoso, fluido ed elegante, spalancň le nere ali riempiendo la stanza della sua vasta, incontrollata oscuritŕ. Ma Sheiva non ne era intimidito: vi ritrovava anzi una grazia assoluta, struggente. Era come vedere il buio farsi carne e sangue solo per dare prova della veritŕ negli incubi: c'era qualcosa di agrodolce nella sua apparizione, una concretezza severa e malinconica, vera, che rendeva solo piů desiderabile l'inevitabile rincorsa finale di ogni uomo verso l'oblio. E Sheiva vi si gettň incontro senza esitazioni. Per un momento, la fenice parve accoglierlo nella dissacrante emulazione di un abbraccio: le grandi ali si protesero in avanti, scaltre, cercando lo slancio per un volo per il quale non pareva potesse mai esserci abbastanza spazio. Sheiva ebbe solo un istante per sentir scorrere tra le dita il piumaggio lucido, caldo, dell'uccello: il corpo dell'animale si cosparse di crepe laviche incandescenti, rivelando la sua piů intima natura. Poi un bagliore di fuoco, e il nulla.~ Lord Voldemort, il Signore Oscuro, Sheiva, l'infiltrato, Agreas, la fenice nera, e טללא, il demone. Radura, Foresta Proibita.Creature straordinarie, le fenici. La fenice nera, poi, era un essere talmente raro, anzi unico e prezioso, da aver assunto nei secoli i tratti della leggenda. Quando anni addietro i suoi seguaci si erano duramente battuti per conquistargli quel premio, quegli sciocchi non avrebbero mai immaginato quali e quanti encomiabili servigi avrebbe reso alla Causa. Ma i piani dell'Oscuro avevano radici profonde: nessuna guerra veniva combattuta invano. Cosě quel giorno Agreas tornava al suo padrone dal luogo piů inaccessibile del mondo magico, portando con sé la punta di diamante tra i Suoi infiltrati. Estranea alle leggi e ai vincoli magici degli uomini, fungeva ora da messaggera e tramite nel momento piů propizio di sempre. I suoni della guerra erano un crogiuolo di tensioni sfuggenti, armonie scostanti che alternavano il grave, maestoso incedere di una semibreve ai concitati e ansiosi salti di una biscroma. La grande pancia della foresta si gonfiava di echi che danzavano tra i tronchi modulandosi in volteggi irriverenti, vibrando su tonalitŕ sempre piů cupe via via che la loro intensitŕ si scioglieva nell'oscuritŕ che toccava il cuore piů profondo e antico della macchia. Un'ombra. Poi una luce intensa. Per un momento la radura parve la scenografia artefatta di un dramma senza mordente, con i suoi verdi troppo brillanti e l'unico protagonista, il grande sopravvissuto, congelato in un'attesa priva di sviluppi. Ma non fu che la fantasia di un attimo: la mestizia opaca, pulviscolare del sottobosco ricadde sui morbidi riccioli scuri di un giovane uomo, il capo chino appena screziato dalle frastagliate luci del giorno, la mano destra stretta al petto e un ginocchio impegnato a terra. - Mio Signore. - Mormorň con la voce danneggiata che sembrava il suono del vento fra i rami morti. Accanto a lui, una lunga piuma nera si cullava nell'aria densa scivolando dolcemente verso il suolo. La luce vi brillň sopra un istante come sull'orlo di una lama, quindi ricadde innocua ai piedi del ragazzo. - Astaroth non l'ha trovato. - Il segnale di Agreas era inequivocabile. L'Oscuro osservava la scena senza mostrare segni di sorpresa, respirando piano al ritmo della foresta, immobile. - Tu cosa mi porti? - L'aviditŕ consumava la domanda ancor prima che lasciasse le Sue labbra. Non invitň il Suo adepto ad alzarsi, e nel dubbio quello rimase piegato nella scomoda posizione che si era imposto, sottomesso. - Purtroppo non quello che vi aspettavate, mio Sire. - Sheiva levň il viso, privo della consueta ironia fanciullesca. Il collo delicato si tendeva verso l'alto, come un fiore del mattino. Cercň lo sguardo del suo Maestro e trovandolo ne rimase bruciato: l'intero mondo bruciava, in quegli occhi. Incapace di sostenerlo, le palpebre scesero misericordiosamente a coprire la sua vergogna. - Ma ho trovato questa. - Con dita ancora ferme prese dalla tasca la lettera che l'inaspettato alleato gli aveva consegnato solo pochi minuti prima e fece per porgerla rispettosamente al suo padrone. - Spiegherebbe... - Prima ciň che non puň attendere. - La brusca interruzione troncň ogni replica. Sheiva assorbě il colpo in silenzio, con calcolata umiltŕ, sospettando il sedimentarsi di un'ira inaffidabile dietro l'impenetrabile maschera di Lui, dalle sembianze solo vagamente umane. Ma la veritŕ era che Lui, l'Oscuro, non si era mai davvero aspettato nulla di diverso. Poteva mai essere cosě semplice? Se solo quel mentecatto di Darren Gordon non fosse morto quando pareva fosse finalmente pronto a cedere... Se solo Osiris Sekhmeth... Con qualche passo ben equilibrato colmň la distanza che lo separava dall'adepto ancora inginocchiato. Sheiva sapeva cosa voleva e non aspettň che gli fosse chiesto. Sollevň in avanti il braccio sinistro e tirň su la manica esponendo l'incavo vulnerabile dell'arto. Il marchio nero riluceva nella pelle brunita, prezioso come petrolio stillante, vivo. L'Oscuro strinse dolorosamente la carne del suo servo e il lungo indice bianco calň nel mezzo del macabro disegno, che si contorse grottescamente in dolorosi spasmi. Dopo un tempo che parve interminabile, lasciň la presa e la realtŕ si sciolse fiaccamente, stremata dalla tesa allerta. Il cuore di Sheiva batteva ancora rumorosamente e il respiro leggermente affannato tradiva quanto il suo autocontrollo fosse stato messo a dura prova. L'Oscuro perse rapidamente interesse per il Suo servitore. Non gli parlň, non lo guardň. Forse dopo, se tutto si fosse concluso come doveva, la sua lealtŕ e la sua intraprendenza sarebbero state premiate. Ma non ancora. Con andamento preciso e sicuro tornň verso il centro della radura mentre le fragili, pallide dita tiravano su dalle pieghe della veste una comune catenina di acciaio. Alla sua estremitŕ, un medaglione bronzeo, non piů grande del palmo di una mano, recava gli strani simboli di una magia arcana, oscillando gravemente nel silenzio stagnante. I riflessi del sole parvero improvvisamente meno brillanti e la Natura, impaurita, si ritraeva lasciando la sensazione, lŕ nel mezzo della spianata, di un vuoto ben piů vasto. Sheiva, il fiero, fedele, acuto negromante, giaceva ai margini dello spiazzo, avvilito come un mucchio di stracci. L'aria pesante, cinerea, giŕ si caricava di odori luttuosi: la battaglia non era che uno spettro sullo sfondo. L'Oscuro si raccolse nei meandri della Sua mente. I muscoli rispondevano a un istinto atavico, stringendo rigidamente il disco perfetto. Il contatto, prima di tutto... Le incisioni baluginarono dolcemente come fuochi fatui forieri di morte. I sensi, e le percezioni che ne erano la forma, persero di significato. Vagava in una terra senza nome, senza luce, guidato dall'affinitŕ morbosa del Suo spirito per quelle tenebre. E lo sentiva, oh sě, lo sentiva, quel soffio mefitico che si allacciava alle esalazioni della Sua anima, completando i bisogni della Sua inestinguibile sete. טללא... - Daemonis auxilium peto - Dal pugno sfuggivano frammenti di freddi raggi d'ossidiana. Gli alberi ingrigivano, soffocati da vapori sulfurei, incandescenti. La realtŕ parve ripiegarsi su se stessa, sě che per un istante il piano tangibile coincise con quello occulto di forze ribelli e sconosciute. Ne sfuggě una creatura come mai ne erano state vedute, diversa da tutto ciň che era noto: la sua figura era imponente, bestiale, eppure indefinibile; il suo profilo mutava dietro una selva di ombre, e cosě riempiva della sua inconsistenza l'intera radura, presenza incontenibile di pura possanza. Dall'alto del suo immenso corpo, la testa si volse lentamente verso l'Oscuro, in muta domanda. Le orbite cave precipitavano verso abissi che narravano di autentica perdita e promettevano perpetuo oblio. Era fatto di istinti primordiali, di pensieri fugaci, di interrogativi antichi e legami mutevoli. Il demone copriva il cielo con la sua tenebra fumosa, e niente pareva poter vivere sotto di esso senza il suo consenso. Neppure l'uomo che lo sfidava cosě apertamente, proclamandosi suo Signore... se solo non avesse avuto quel sigillo, il sigillo che tra loro si frapponeva come irridente prova di un contratto stipulato con l'inganno ormai molto tempo prima. - Sai cosa voglio. - Non vi erano incertezze nella Sua autoritŕ. I termini del Suo controllo erano chiari e la Sua mente inattaccabile. Un rombo basso, di tuono, scosse la creatura, e con essa la terra. Le forme abbozzate dell'essere si fusero orribilmente e scivolarono rapidamente al suolo in una pozza scura. Agreas, tra le fronde, distese le ali e spalancň il becco in un'unica allarmata nota mentre le ultime tracce del demone si mescolavano alle ombre della foresta, dirigendosi inequivocabilmente verso il castello.~ L'armata. Piano Terra, zona d'ingresso e giardino.[Peredur] - Il sangue e la rovina saranno sě consueti, e diverranno cosě familiari scene d’orrore agli occhi della gente, che le madri dovranno sol sorridere nel mirare i lor bimbi appena nati squartati dagli artigli della guerra, ché l’abitudine alle truci gesta avrŕ spento ogni senso di pietŕ.* - La sentenza cadde come scure sulla marea muta dei difensori, la voce profonda si ingigantiva nel gelido turbine delle acque sconvolte, aggiungendo un qualcosa di teatrale. Il frastuono delle grandi masse incontrollabili si allargava contro la pietra sin quasi a sbriciolarla. La potenza del Neptuno si dispiegava liberatoria come il tonante ruggito d'un dio, e scorreva avida verso le zone piů remote del piano terra. Gli sciocchi resti di un tentativo mal riuscito di Oppugno giacevano irregolari e inerti sul contorno del Protego, innanzi all'armata, quasi ad incoronarla. Gli istanti passavano rapidi senza infliggere perdite ai devoti della Causa, punendo gli inflacciditi nemici per la loro fede sbagliata. Nulla poteva instillare di piů il senso dell'invulnerabilitŕ, della sacra moralitŕ delle loro azioni. Lě, sull'empia soglia di un mondo tutto da ricostruire, erano i nuovi padroni ad un crocevia posto al centro di infinite possibilitŕ. Non sapeva chi aveva colpito, non gli importava: Peredur osservava il mondo creparsi e crollare con la flemma annoiata e feroce del predatore che ha in pugno la preda. Mosag sventrava imperterrita lo scalone d'ingresso e grossi blocchi taglienti precipitavano come monoliti nel fango dei calcinacci e delle polveri infradiciate. Quello che un tempo era stato il maestoso salone d'entrata di uno dei piů antichi castelli d'Europa, era ormai il mosaico d'una faccia mostruosa che lasciava presagire solo un corpo altrettanto mutilato e deforme. Erano tanti, loro, i servi dell'Oscuro, erano potenti. Uno sfoggio quasi pleonastico innanzi a sě palese inettitudine del fronte avverso, che pure godeva dei vantaggi di un luogo ben conosciuto, un luogo abitato da un numero nauseante di maghi - o presunti tali - in ostentato stato di grazia. Come potevano essere lieti delle loro coscienze dormienti? Acquietarsi ogni sera sulle poltrone delle sale comuni come animali da compagnia? Un vago sprezzo aleggiava sui tratti duri del viso, altrimenti impassibili. Non avanzň, non diede ordini: il pavimento accidentato, devastato dalle esplosioni e dalle demolizioni, non avrebbe costituito un terreno di battaglia favorevole; non c'erano nemici nel corto raggio dunque non era richiesta un'immediata offensiva; dagli alleati nessun segnale era giunto come prova della buona riuscita del vero piano, quello piů grande, quello per cui davvero erano lě quel giorno. Doveva essere cauto, evitare perdite, dare battaglia quel tanto che fosse stato necessario senza lasciarsi sopraffare dagli istinti del cacciatore. Tutto era sotto controllo, il piano terra era isolato, il giardino sorvegliato; gli occhi dei nemici erano tutti su di loro. Aveva il tempo di cui aveva bisogno, e la mentalitŕ per mantenere la calma, anche se rimanere indietro voleva dire restare all'oscuro di quanto stava accadendo in fondo al corridoio colpito dal Neptuno. Il tempo che lui guadagnava in stallo, senza vincere ma neppure rischiare premature sconfitte, era il tempo che i compagni infiltrati guadagnavano per portare a termine la propria opera. Avrebbe attaccato ancora, sě, ma al momento opportuno.
* Shakespeare "Giulio Cesare"
[Vesper] Era suo. L'immensa massa d'acqua aveva trascinato via tutti quei ragazzini come formiche, lo scalone continuava a disintegrarsi pericolosamente vicino, ma nonostante le condizioni estreme, il nemico era suo. La bacchetta era calda, vibrante, partecipava del piacere segreto del controllo, che fluiva in ondate di potere lungo il braccio elettrizzando ogni fibra del suo essere. Perfino Achernarius, al suo fianco, era parte necessaria e imprescindibile di quel quadro di gloria che faceva splendere chiara e inevitabile la vittoria. La visuale non era delle migliori, a meno di non volersi esporre di piů oltre i resti della balaustra - cosa sconsigliabile per quanto fosse seoccultata -, ma sufficiente a non perdere il contatto con la vittima designata [Paul], sbattuta in fondo al corridoio oltre la sala grande, dal lato opposto al proprio. Un ragazzo ben piazzato, i capelli bagnati piů scuri di quanto sarebbero apparsi alla luce del sole una volta asciutti. Ma l'avrebbe mai rivista lui quella luce? *Se non ti ucciderň io, lo faranno i tuoi compagni una volta che avrai fatto ciň che ho in serbo per te.* Sorrise levando la bacchetta, e a dispetto delle circostanze e del suo cuore, era un sorriso bellissimo. Perfino la pallida cicatrice sulla sua guancia brillava di fioca, dolce malinconia, perlacea sulla pelle chiarissima, sfumata appena dalle delicate tonalitŕ del rosa. Gli occhi lucidi per la concitazione e le polveri risaltavano come freddi cristalli di acquamarina. E l'ordine fu impartito. Ancora sconvolto e mezzo soffocato, il giovane doveva essere ben poco consapevole di sé mentre una forza estranea lo riportava a galla quel tanto che bastava a farlo gettare sul piů vicino compagno ancora in difficoltŕ [Emily]. Se vi era terrore nel suo sguardo o nella sua gola, Vesper non lo vide e non l'udě: del resto, non vi era modo in cui il giovane avrebbe potuto profondersi in spiegazioni assennate circa quanto gli stava accadendo, non con l'acqua a bloccargli il respiro, non nella concitazione della lotta. Manovrato da abile burattinaia, le sue mani cercavano di infliggere ciň che lui aveva scampato giŕ una volta, ma forse non di nuovo: la morte per annegamento.
Emily, Paul sta cercando di annegarti. Lui č cosciente di cosa č costretto a fare, ma non puň fermarsi in quanto č ridotto a "bambola" nelle mani di Vesper, che manovra il suo corpo a che schiacci il tuo sotto il livello dell'acqua prodotto dal Neptuno. Poco interessa alla DE se sei membro o no della sua stessa fazione: sei dalla parte sbagliata e tanto basta, che ti abbia o meno riconosciuta. Per tua fortuna il livello dell'acqua va scemando, ma perdi altri 25 ps e 6 pc.
[Ragnarok] Al di fuori dell'area del Veritas, il ragazzo che si era unito all'ultimo all'armata [Nathan] era pressoché irrintracciabile. Era stato abbastanza sveglio da portarsi dietro qualche astuto presidio magico che potesse garantirgli una qualche forma di vantaggio, piů che mai utile in quel frangente con un avversario del calibro dell'ex Preside di Hogwarts. Ragnarok non era certo che ne sarebbe stato all'altezza, data la disparitŕ d'esperienza, ma forse era stato proprio il suo trucco di disillusione a destabilizzare la donna e a far sě che lo Stupeficium lanciato dalla Dalton superasse senza ostacoli la zona in cui orientativamente il giovane avrebbe ormai dovuto trovarsi, per impattare invece con una leggera scarica di scintille rosse contro il massiccio corpo della creatura nata dal Nerborio. Un ultimo servizio reso inconsapevolmente dal gigante a difesa dei propri signori e padroni schierati alle sue spalle, prima di dedicarsi all'attacco voltandosi solennemente verso l'individuo in avvicinamento dalle sponde del Lago Nero [James]. Piů non aveva da temere dai venti, nemici della sua composizione naturale, fermati convenientemente da Asterope. Nulla gli avrebbe impedito di annientare l'umano... E poi, d'improvviso, divampň. Le fiamme sbocciarono dapprima come germogli rossi tra i ramoscelli aggrovigliati, gemme brillanti che tremolavano nei confusi riverberi del sole. Poi un nulla, appena sospinto da una brezza leggera, e quelle risaltarono ferocemente contro il verde primaverile col loro cuore incandescente. I loro petali si aprirono sfiorandosi gli un gli altri in languide moine che colavano in rivoli permanenti, appiccicosi, lungo gli sterpi e le foglie piů aride. Un passo, e per un momento il gigante si ritrovň avvinto in una finissima rete di filigrana d'oro, animata da un'indole selvaggia, vivente, propria. L'investitura di quella nuova regalitŕ fece quasi dimenticare l'abominio della sua venuta al mondo, regalando l'illusione di un'immagine di pura gloria. La sorpresa era dipinta negli occhi dei presenti, e i loro sguardi bruciavano nel riflesso vitreo dell'incendio che danzava scarmigliato e indecente sulla retina. *Wilde* Ragnarok contrasse la fronte, perlustrando ancora una volta il giardino innanzi a sé, indugiando sulla fontana. Poteva essere stato solo lui. Il gigante si consumava rapidamente, ma la sua incapacitŕ di provare dolore lo faceva continuare ad avanzare nel cieco proposito di rispettare l'ordine ricevuto. Sicuramente il mangiamorte poteva contare sul fatto che ancora per una generosa manciata di secondi preziosi avrebbe impedito al fanciullo solitario e temerario di raggiungerli, cosa di cui del resto questi avrebbe dovuto essergli grato, poiché data la disparitŕ numerica, e probabilmente di capacitŕ, tutto ciň avrebbe quasi certamente significato una sua molto piů rapida dipartita. Era il momento di preparare una nuova mossa? O di godere del momentaneo stallo? Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto dare apertamente la caccia all'auror, precipitarsi in quel campo e dare sfogo alla propria vena distruttiva. Ma sapeva di non poter disubbidire cosě apertamente ai dettami della formazione e ignorare la tattica imposta: non doveva abbandonarsi ai colpi di testa, separarsi dai compagni, essere vulnerabile bersaglio. Sembravano un esercito perché erano uniti, ispiravano terrore perché erano compatti, ma non doveva dimenticare dov'era, e chi c'era dall'altra parte della barricata. Vi era inoltre uno scopo piů alto, quello era chiaro, e portare ad una prematura disfatta l'intera armata per l'orgoglio di uno solo, per il suo di orgoglio, impedendo cosě il compiersi di quei progetti, era qualcosa che l'Oscuro non avrebbe mai perdonato. Che lui stesso, del resto, non si sarebbe mai perdonato. Cosě, digrignando i denti, capě che ancora per qualche misero ma fondamentale momento, e ancora una volta, l'unica cosa da fare era rimanere all'erta.
[Armata] Una sensazione familiare, eccitante. Come un cane che oda il richiamo che preannuncia la ricompensa dopo il duro lavoro di guardia. Il segnale arrivň silenzioso, ma non meno imperativo. Ad ogni singolo mangiamorte che fosse giŕ degno di questo nome, il braccio bruciň: non come una stretta, non come una morsicatura, bruciň come un'erosione della carne viva, come il passaggio del ferro rovente che sfrigola, consuma, annerisce. Era un dolore puro, abrasivo, totalizzante. Era un male senza tristezza, desiderato, ambito, che segnava inequivocabilmente la differenza tra l'uomo comune, perso nell'infanzia della propria evoluzione, e un nuovo dio. Cosě tutti coloro che erano portatori del nero marchio dell'Oscuro comparteciparono tacitamente di un rito potente quanto le fondamenta della Causa stessa. E nel momento in cui il suo significato brillň con chiarezza dietro la maschera, tutti loro seppero cosa fare. Vesper spezzň il Manor. In altre circostanze avrebbe mostrato palese riluttanza nel lasciare incompiuto un progetto di sabotaggio sě ben avviato, ma non allora: non erano ammesse deroghe a quanto stabilito e lei, ripensando a quel che il suo Signore le aveva detto poco prima dell'attacco, era consapevole che non l'avrebbe mai deluso a costo della vita. Scattň con Achernarius verso destra: avrebbero evitato la zona centrale del salone d'ingresso, ormai devastata dalle macerie, e costeggiando la parete di fianco avrebbero raggiunto piuttosto agevolmente l'uscita dove il grosso dell'armata giŕ si preparava alla ritirata. Gli effetti del Neptuno ormai erano scemati, un mucchio di ragazzini riversi e boccheggianti era tutto quello che si lasciavano alle spalle. Un margine di vantaggio minimo, era vero, ma sarebbe bastato, soprattutto vista la scarsa qualitŕ del fronte di resistenza. L'intero gruppo capitanato da Peredur si ricompattň e tornň in blocco a fronteggiare il giardino. I resti del Nerborio bruciavano negli ultimi spasmi di vita del mostro, tenendo impegnato lo sperduto ragazzo [James] che irragionevolmente era corso solo e sprovveduto da chissŕ quale singolare occupazione. Dovevano solo correre verso la Foresta, avendo cura di evitare gli unici due avversari che potevano realmente costituire un pericolo e rallentare la fuga: Wilde e Dalton. Ma avrebbero mai osato attaccarli vedendoli prorompere come un sol corpo nel mezzo del prato? Avrebbero mai potuto aspettarselo? Avrebbero avvertito il naturale istinto a nascondersi innanzi alla pazza corsa di una mandria di tal ferocia? Non c'era tempo per pensare. A dispetto di qualunque azione ci si potesse attendere da uomini fin troppo determinati e avvantaggiati dall'effetto sorpresa, giunti appositamente per sferrare un grosso attacco ad uno dei principali centri del potere magico del Regno Unito, l'orda nera dei servi dell'Oscuro si riversň nel giardino senza alcuna logica apparente, ma in formazione compatta, abbandonando con noncuranza disarmante la postazione giŕ conquistata e difesa. A turno durante la corsa, prendendo esempio gli uni dagli altri, coloro che occupavano le posizioni piů esterne, in relazione al nucleo in movimento, si affrettavano a compiere tutti gli stessi gesti: gesti semplici, adatti alla concitazione del momento, ma sopratutto giusti per creare quella confusione e quei diversivi che avrebbero coperto la ritirata garantendo un quanto meno non immediato inseguimento. Era tutto ciň che occorreva: null'altro. Un leggero guadagno di una manciata di secondi, e nessuno piů avrebbe ritrovato le loro tracce. Le braccia si stendevano e le bacchette puntavano le cose piů disparate: un albero, un masso, la nuda terra perfino. Ovunque risuonava in concomitanza il - Bombŕrda - che era naturale completamento della gestualitŕ dell'incantesimo. Un fianco della fontana esplose in mille schegge taglienti: Ragnarok si ritrovň a chiedersi se Wilde fosse ancora lě, o fosse - in effetti - anche solo mai stato lě. Aveva capito che attaccare da solo sarebbe stata un'azione suicida? Si nascondeva? O era corso dalla Dalton? E a ben pensarci, e il ragazzo [Nathan]? Il mangiamorte che era comparso all'improvviso... li seguiva? Era tornato da dove era venuto? Sarebbe rimasto come spia? O magari era giŕ caduto sotto i colpi stocastici e folli dei nemici... e degli amici? Dettagli, in fondo. Mentre varcavano il limitare della Foresta Proibita, l'unica consapevolezza che contava era che comunque fossero ormai andate le cose ai diversi livelli del piano, l'armata non avrebbe potuto svolgere la sua parte in modo migliore.
Rhaegar, Caroline, Nathan, siete liberi - come ogni altro PG del resto - di indicare d'esservi mossi come piů ritenete opportuno nel mentre che le azioni si sono svolte come si sono svolte. La narrazione rimane appositamente nebulosa al riguardo, pur indicando possibili soluzioni da cui č a vostra discrezione trarre spunto. Nulla vieta anche, a chi fosse interessato/lo ritenesse nell'indole del pg nonché a suo rischio e pericolo, di provare a seguire/inseguire i DE, tenendo comunque conto del vantaggio sulle tempistiche che si sono procurati, nonché dei vari dissesti strutturali che coinvolgono in particolare piano terra e giardino. Tuttavia č altamente improbabile riuscire a raggiungerli e, dopo un po', addirittura rintracciarne il passaggio, essendosi predisposti apposita e segreta via di fuga di cui si accennerŕ meglio nelle note tecniche finali dell'evento. ~ טללא, il demone, Gargantua e Thren, gli infiltrati. Corridoio, Quinto Piano.Gargantua correva e il marchio bruciava. Aveva anticipato quel segnale solo di poco, grazie alla comparsa del docente. Era davvero l'ultimo atto. In qualunque altro luogo si fosse trovata si sarebbe smaterializzata immediatamente dal suo Signore, ma non lě, non a Hogwarts, dove le magie di protezione erano costantemente rafforzate da una meticolosa opera di secoli, troppo radicate per poter essere spezzate quand'anche dall'Oscuro. Quanto tempo aveva? Gli ultimi tasselli sarebbero andati al loro posto? Sarebbe sopravvissuta a quella giornata di sangue? In pochi minuti avrebbe saputo se per lei vi sarebbe stata ancora una vita al servizio della Causa. In che modo sarebbe avvenuto? Avrebbe fatto male? Sentě attorno a sč le vibrazioni di un'oscuritŕ che non la toccava davvero. Gli effetti dell'incanto Obscurum impregnavano l'aria in quel lato del corridoio. Una mossa astuta, si trovň a considerare, contro potenziali nemici, poiché tutti lo erano in quel luogo ostile e corrotto. Astaroth e Thren dovevano aver combattuto... forse lo scontro era ancora in corso. Che scenario avrebbe trovato? Strinse la bacchetta furiosamente nel caso avesse dovuto prepararsi ad una nuova battaglia, l'ultima. Ma quando giunse nei pressi della torre della Preside, vide solo Thren, accovacciato. L'ingresso della torre era distrutto, di Astaroth nessuna traccia. Ancora non poteva sapere che un incantesimo, solo poco tempo prima, aveva squassato quello stesso pavimento sotto i loro piedi procurando piů di qualche disagio e squilibrio: Thren non si era lasciato intimidire e aveva ripreso rapidamente posizione senza grandi conseguenze. Fortuna? Esperienza? Comunque fosse, tutto in quel momento era anche troppo statico. Ad un cenno dell'uomo, gli si accucciň accanto. - Lui... - Bisbigliň piano, incerta della situazione. Thren si portň l'indice alle labbra, quindi indicň lo squarcio nella parete opposta. Gargantua capě che Astaroth doveva essere ancora nell'ufficio della Preside... in trappola? O, svolto il suo dovere, giŕ altrove dopo aver trovato una qualche via d'uscita privilegiata? In nessuno dei due casi avrebbero ormai potuto farci molto. Tutti loro conoscevano i rischi, tutti loro avrebbero sacrificato se stessi pur di non cadere prigionieri. Ma del resto, se il marchio bruciava, poteva voler dire solo che sia Astaroth sia Sheiva avevano completato l'opera, nel bene o nel male: se il primo non era ancora tornato indietro... o l'imprevisto era sopraggiunto in un secondo momento, quando giŕ l'uomo si era creduto al sicuro; o la torre in quel momento era misericordiosamente vuota. E se era fuggito... lei e Thren avrebbero potuto individuare il suo stesso percorso di ritirata, nel caso tutto fosse andato storto? La mente volň all'incerto quadro che si era lasciata alle spalle, un lavoro grossolano per una come lei, ma la necessitŕ di seguire il piano era stata un'egoistica prioritŕ mascherata da obbedienza. E cosě il barlume di una speranza, di un piano di riserva, luccicň un istante nella sua testa prima di annegare nuovamente nella lucida consapevolezza degli ordini ricevuti. No, se davvero si fosse trattato di una trappola, se la Preside all'insaputa di tutti avesse imposto misure di sicurezza supplementari o predisposto uno sbarramento del suo ufficio dall'interno verso l'esterno, vi sarebbero rimasti invischiati in tre... Astaroth e solo lui era stato scelto per violare quella stanza, ancora una volta nel bene e nel male: muoversi allora sarebbe stata solo trasgressione mista a codardia, uno spreco di risorse nella migliore delle ipotesi, lŕ dove nonostante tutto l'Oscuro aveva promesso salvezza secondo un altro ben preciso schema. Rimanere lě, in attesa, allo scoperto, apparentemente vulnerabile, era la sua migliore possibilitŕ: doveva avere fede. Capiva anche che i nemici dovevano essere vicini, appena dietro l'angolo: la premura di Thren nel tacitarla, il suo modo di fare, la sua posizione, tutto tradiva il fatto che fossero nel mezzo di un appostamento per una guerra di strategia. Erano circondati, per quanto si fossero creati una fragile isola di pace, ciascuno con i propri innominabili peccati ancora freschi sui palmi della mani. E poi, qualsiasi parvenza di ragione si perse in un silenzio improvviso e innaturale. Percepě la presenza della creatura, prima di vederla. Un'ombra si muoveva di fessura in fessura, allargandosi vertiginosamente nella sua sinuosa e irrefrenabile corsa verso di loro. L'oscuritŕ era densa, liquida, bruciava come ghiaccio sui pochi lembi di pelle scoperta. Non aveva nome, non uno che potesse essere pronunciato per bocca mortale: si poteva descrivere solo attraverso i feroci impulsi che scatenava in corpo, come una malevola voce fuori campo, ai margini della coscienza. Non aveva forma, né timbro. Scivolň sotto i due mangiamorte, ed indugiň il tempo di un respiro. Una sconosciuta sensazione di panico li avvolse mentre giŕ molli e inerti si fondevano alle profonditŕ occulte di un buco nero senza storia. Thren era in piedi, accanto a lei, quando si erano alzati? Vide i suoi occhi e capě che il suo terrore era riflesso del proprio. Vederlo dipinto su quei tratti solitamente cosě calmi, rendeva tutto mille volte piů irreale e spaventoso. Il pavimento saliva mentre la carne si scioglieva nel freddo, infinito nulla di un piano onirico inospitale alla vita. Infine divenne solo l'impronta di un'anima in balia di Cerbero, flebilmente ancorata al cosmo dal vago ricordo di un'esistenza terrena appena al di lŕ del velo tra i mondi. Non vide piů, ma viaggiň come mai prima aveva creduto possibile, alla volta - lo sapeva - della Foresta Proibita. Alla volta del suo Signore. "In the end you'll see who's fake, who's true, and who will risk it all for you." La Sala Grande - FUORI! - La voce della Preside proruppe in un ruggito che non ammetteva repliche né esitazioni. Non era il momento di rimanere paralizzati dal terrore, non era il momento di chiedersi chi fosse amico o nemico, non era il momento di elaborare un piano. Era il momento di salvare il salvabile, il momento di agire, approfittando del seppur scarso margine di manovra che Camille aveva assicurato con il suo incantesimo: non aveva annientato Michael, era vero, ma aver rallentato il suo volo poteva ugualmente fare la differenza tra la vita e la morte. Il Ministro si ritrasse appena in tempo: avvicinandosi a Patrick aveva rischiato di rimanere coinvolta a sua volta nell'azione del fuoco maledetto, ma il prezzo pagato dal suo pupillo doveva pur essere valso un tacito, istintivo avvertimento. La professoressa Galloway fu tra i primi ad abbandonare il campo. Meno coraggiosa di quanto il suo ruolo avrebbe richiesto, era rimasta nascosta per gran parte del conflitto. Illesa, dimenticata, non si era lasciata ripetere due volte il segnale di ritirata, arrivando a comprendere subito e senza sforzo che certamente la situazione doveva essere ormai peggiore lě che in qualunque altro luogo. Considerata la sua rapiditŕ di movimento, nessuna conseguenza diretta o indiretta dello scontro doveva averla sfiorata, quello stesso scontro che aveva visto protagonisti i suoi colleghi e perfino uno studente, del quinto anno appena: eppure la donna non si fermň, non si voltň. Attraversate di corsa le porte spalancate della sala grande, quasi scavalcando il corpo esanime dell'esile mangiamorte lě riverso [Chrisalide], sparě presto alla vista. Del resto, non si poteva chiedere a tutti di avere il cuore di leoni. Diversa era l'indole di chi quel giorno aveva scelto consapevolmente di schierarsi in prima linea e di combattere il male nonostante i rischi: se Patrick, tormentato da dolori indicibili, a stento poté raggiungere l'agognata soglia, forte di una volontŕ incrollabile e indipendente, Camille e Persefone a loro volta non vennero meno alla propria integritŕ e alla moralitŕ dei rispettivi principi scegliendo di spendere preziosissimi secondi per portare in salvo anche coloro che, posti innanzi alla stessa scelta, avrebbero lasciato i loro nemici bruciare: la giovane serpeverde svenuta [Aryadne] e il suo misterioso complice esanime, ancora mascherato ma ugualmente immobile [Chrisalide]. L'urlo della Preside non si era ancora spento in gola, che giŕ Camille tornava a chinarsi sul corpo della ragazza di cui aveva poc'anzi rivelato l'identitŕ [Aryadne], e con la forza della disperazione prendeva su di sé quei pur miseri 45 kg fiondandosi alla bell'e meglio verso l'uscita. Persefone stessa puntň il fagotto di stracci neri che altro non era che il fragile nemico miseramente caduto presso l'ingresso [Chrisalide]. Cosě mentre Michael scivolava con ritmo regolare sugli ultimi metri che precedevano l'inevitabile impatto, gli ultimi superstiti di quella trappola mortale sciaguattarono nell'anomalo strato d'acqua che proveniva dal corridoio nel disperato tentativo di battere il fato sul tempo. In un perfetto spirito di gruppo e comunione, che tanto era estraneo ai disgraziati servi dell'Oscuro, tutti loro collaborarono nell'aiutare i piů affaticati o in difficoltŕ a varcare la soglia della grande sala. Patrick e Camille cercavano ancora di richiudere i grandi battenti, ostacolati dai rimasugli del Neptuno, mentre Persefone preparava giŕ la mossa che avrebbe garantito il quanto meno momentaneo contenimento del disastro imminente. Nessuno di loro badň all'assembramento di studenti sconvolti che giaceva in fondo a quello stesso corridoio: loro tre sapevano cosa c'era in ballo, sapevano che vi era un ultimo tiro giocato che poteva ancora costare la vita di tutti. Non importava se vi erano altri mangiamorte lŕ attorno a dare battaglia, non importava quali e quanti cedimenti strutturali fossero in atto: bisognava sigillare quella porta. La Preside puntň il braccio contro il legno massiccio mentre l'ultimo spiraglio centrale si chiudeva sul terribile spettacolo del grande drago di fuoco che impattava con una monumentale esplosione contro la parete di fondo del salone piů grande e rappresentativo della scuola. Volse quindi la bacchetta verso il basso e disegnň una linea retta orizzontale. In seguito la spostň nuovamente verso l'alto. *Occludo Magistre*. Movimenti semplici, rapidi. Immaginň la grande barriera levarsi a rivestire l'intera superficie, una crosta di pura magia impenetrabile. L'incantesimo era potente, un incantesimo difensivo di livello avanzato, ma sarebbe bastato? La veritŕ era che doveva bastare.
Aula di Difesa Contro le Arti Oscure E infine la passaporta fu approntata. Lancaster, Goodheart, Black, Hughes, Tallhart, Stockworth, Dunsen e Hosteen, tutti Auror preparati, raggiungevano l'aula di Difesa Contro le Arti Oscure, materia d'insegnamento della Vice Preside, nel corridoio del secondo piano.
"Indeed, this life is a test. It is a test of many things - of our convictions and priorities, our faith and our faithfulness, our patience and our resilience, and in the end, our ultimate desires."
Attenzione L'evento termina qui, il topic resta chiuso. Lŕ dove voleste continuare a sviluppare il presente scenario, potete aprire tutte le role che desiderate, con chi desiderate (tra coinvolti e non coinvolti), in questa stessa sezione e/o in altre a vostra discrezione, proseguendo tranquillamente il filo conduttore delle vicende qui evolutesi e coerentemente ad esse. In molti casi, anzi, il bisogno di tempestivi interventi, comunicazioni e scambio di informazioni, renderŕ a maggior ragione imprescindibile una fase di role che abbia perfetta continuitŕ spazio-temporale con quanto da me sancito in questa sede. A voi sfruttare le occasioni fornite. Ricordate che non č possibile raggiungere normalmente l'atrio d'ingresso del piano terra dal primo piano (e viceversa naturalmente) perché lo scalone di collegamento č crollato. L'accesso ai sotterranei č ostruito. La Sala Grande č sigillata tramite Occludo Magistre, dentro imperversa il Fuoco Maledetto evocato dal Fyindfyre: ci vorranno misure straordinarie per estinguerlo, e lo stesso sistema di contenimento al momento utilizzato č da considerarsi solo un palliativo. Nei corridoi del piano terra č rimasto un velo d'acqua, l'atrio č devastato da esplosioni e macerie. Il giardino č crivellato di grosse buche e cosparso di rocce fatte deflagrare per un ampio raggio dal castello alla Foresta Proibita; mezza fontana č saltata in aria, del Nerborio non restano che mucchi di legnetti e foglie fumanti. Il Veritas persiste nella zona antistante l'accesso al castello, in cielo campeggia ancora il Marchio Nero che va tuttavia via via sbiadendosi. I DE fanno in modo ovviamente di lasciare meno tracce possibili del loro passaggio nella Foresta, ma non č escluso che si possano in seguito rintracciare indizi a tal proposito data la concitazione della fuga. Al quinto piano, l'Obscurum persiste, il mostro nato dall'Elyfanto e il Nebula scompaiono invece una volta che chi li ha evocati (rispettivamente Gargantua e Thren) viene assorbito da טללא. Una volta eliminato in qualche modo il problema dell'Obscurum (sicuramente non basterŕ un Finite) o piů probabilmente esauritosi l'effetto, si vedrŕ l'ingresso per la Torre della Preside distrutto. All'interno dell'ufficio tuttavia non č chiaro se e cosa sia stato toccato, a prima vista. Nel corridoio vi sono anche i detriti del Colossum. Per quanto riguarda l'ufficio di Hope, anche qui a prima vista č impossibile stabilire se e cosa sia stato toccato: addirittura l'ufficio appare tecnicamente non violato. Per eventuali ulteriori dettagli rifatevi al masteraggio stesso. Per le ultime annotazioni "tecniche" circa posizioni finali, situazioni personali e affini, leggete attentamente i post riassuntivi che seguiranno. Non ogni dettaglio potrebbe infatti essere stato sufficientemente descritto o citato in questo medesimo post, in quanto magari non strettamente rilevante ai fini dell'azione. Abbiate dunque particolare cura di leggere non solo le schede-dati inerenti il vostro PG, ma anche quelle degli altri personaggi in gioco, poiché potrebbero esserci punti di comune interesse - meglio chiariti da una parte piuttosto che dall'altra a seconda del minor o maggior interessamento nella faccenda di un dato individuo rispetto a un altro - nonché spunti per indagini di gruppo.
|