| × Off-Game × × LegendaNarrazione°Pensieri°«Dialoghi»Cos'è che quei tipi dietro al tavolo non avevano compreso della semplice frase che Raven aveva pronunciato? Sempre a combattere, sempre a non obbedire. Quei tipi non facevano altro che creare situazioni di scontro tra le due fazioni, e poi si lamentavano se qualcuno muoriva, crepava, diventava fantasma. Era così difficile semplicemente stendersi a faccia in giù, affinché la bellissima Sala Grande e Patrick Swan (il più debole tra i prossimi ostaggi di Raven) non subissero gravi danni? Raven sospirò, preparandosi ad affrontare una lunga battaglia. O forse no? Da tempo stava pensando a quella che in uno scontro poteva essere la soluzione finale. Certo, una soluzione un po' drastica, ma a chi importava? Quello che importava era non permettere a quei falsi luridi vermi di tenere ancora in possesso il castello. Quello che importava davvero era stabilire la Pace. Una Pace che durasse per sempre, in eterno, sotto il segno dell'Oscuro Dio, e con le sue leggi e le sue regole. E a chi importava dell'equilibrio? L'universo insegnava: il Male doveva retrocedere dopo le sue malefatte nella scuola, e doveva arrivare il Bene. Il Vero Bene: accessibile a pochi, e da pochi compreso. Da pochi... ma da buoni. Il gruppo che aveva fatto irruzione nella Sala Grande era stato accuratamente scelto in ogni sua singola parte e particella; era un gruppo d'elité, che forse non era ancora abbastanza cresciuto per quanto riguarda la conoscenza degli incantesimi e delle azioni, della potenza magica e della difesa, ma che, per quanto riguarda le idee, lo spirito di battaglia e le intenzioni era assolutamente imbattibile. Nessuno di loro avrebbe mai ceduto di un solo passo; nessuno sarebbe scappato, nessuno si sarebbe arresto. Erano un gruppo di leoni affamati, e le loro pecore erano dinnanzi, a pochi passi. Non dovevano fare altro che avvicinarsi e afferrare. Ognuno di loro aveva attaccato l'avversario a loro più congeniale; quello, che Vedeva, di cui sentiva il respiro, il sangue, e le cui mosse poteva prevedere. E Raven aveva scelto la sua vittima. La aveva scelta ancora molto tempo addietro, al duello. Poi non aveva fatto altro che indossare una maschera, come tanti, come tutti, e recitare... Scacco alla Regina! - Pensò Raven, osservando la sua preda dimenarsi, complice delle catene, delle spine sulla catena, e dei bruschi movimenti di quella donna. Non si era portata appresso una bacchetta magica? Hogwarts non era più un posto sicuro per questi falsari! Hogwarts presto sarebbe stato il centro. Il Centro di una nuova Pace. Il centro di una nuova Luce. Da lì, e non da altrove sarebbe partita l'onda che avrebbe pulito il mondo. Da lì sarebbe partito l'Ordine, che avrebbe sottomesso il mondo intero al volere di un unico Dio: il Dio della Pace. Dovevano solo obbedire, dovevano solo piegarsi, e molti ragazzi sarebbero rimasti in vita. Molti padri avrebbero abbracciato i propri figli – maghi o babbani che fossero -, e l'umanità avrebbe finamente trovato il riposto che meritava. Era proprio in quello, era proprio nella propria superbia, nella propria convinzione di essere "quelli buoni", e di lottare per una giusta causa che decretava la morte dei maghi. Ma conoscevano, loro, - la Bennet, il ministro Pompadour -, quante vite potrebbero salvare solo alzando bandiera bianca sopra Hogwarts? Quante famiglie si riunirebbero? Quanti sorrisi si stamperebbero sui visi delle madri e padri, alla vista dei propri figli intatti? No. L'umanità, quel mondo magico, quelle persone, - forse senza maschere argentee fissate al volto, ma con un altro tipo di maschere: maschere di pelle e di comportamento -, non sapevano dialogare. Chi pecca di sperbia non può che venire castigato. Chi si crede sopraelevato, chi pensa e si convince di fare del bene, mentre ha il Male attaccato alle spalle, non può vivere in eterno. Egli deve percepire il Dolore. Egli deve conoscerlo. Deve conoscerlo abbastanza per capire quanto stupido è stato fino ad allora. Per comprendere i propri errori e non commetterli: deve cambiare sé stesso, perché il vecchio Sé è vecchio e arrugginito. E Raven, - sì! ne era certo! -, avrebbe aiutato ognuno di loro a diventare una persona migliore. Con il Dolore, o con l'Amore... Poco importava.
La scena che si aprì agli occhi un-po'-mandorla del giapponese, era una scena che gli piacque: la Bennet – paladina di Libertà, ma non della Giustizia -, era strisciante a terra nel miglior ruolo che gli si addiceva: il ruolo del verme; il ministro Pompadour invece era riuscita ad evocare uno scudo semplice e lineare, che aveva scagliato l'incantesimo di qualcuno all'indietro: Raven vide solo come una figura dai lineamenti umani (era forse Arya?), sbalzava indietro, colpita dal suo stesso incantesimo. Certo, facile duellare contro un studente se sei il ministro Pompadour (una leggenda quindi...). Vagnard – la sua missione e il suo obiettivo lo avevano concordato prima della missione con il giapponese -, aveva adempito al suo dovere: la professoressa di Difesa – una nuova, Raven non la conosceva, ma da quanto successo, non sembrava per niente in gamba -, aveva provato a fare qualcosa, evocare un qualche incanto, ma invece di difendersi, era caduta a terra priva di forze, o della capacità di azione alcuna. Doveva offrirgli da bere a quel ragazzo... O insegnargli qualcosa. Se non era talento quello... Era un fiore che bisognava sviluppare! Raven sorrise. Poi guardò Patrick: era l'unico a cui non avevano prestato attenzione, e quel tipo non sembrava volere prendersela con calma. Puntata la bacchetta verso i ragazzi nelle maschere, Raven pensò, d'istinto, di sapere già cosa quel ragazzino avrebbe fatto. Fu per quello che cercò di piegarsi per evitare le scaglie, ma fu troppo tardi: l'incantesimo arrivò tutto d'un tratto verso il terreno, e fece sbalzare via la sua intera squadra. Poi il tutto esplose in un unico tratto: sogni, speranze, idee. Raven si ritrovò a terra, forse sommerso di scaglie e detriti, forse cercando di nascondersi, forse tramando qualcosa... Riprese conoscenza in pochi attimi, e sorrise. Aveva cercato di chiedere loro la Pace in maniera del tutto indolore; aveva provato a far sì, che, Bennet a parte, nessuno di loro subisse danni gravi al cervello o agli organi interni. Aveva provato a lasciare intatta quella bellissima Sala, e le sue mure. Ma a quanto pareva, loro volevano la guerra. "Mi hai fatto il solletico, Swan." - Pensò Raven, alzandosi rapidamente in ginocchio, e poggiando la gamba sinistra, dolorante, a terra: appoggiarsi ad essa, fare in modo che sostenesse il peso del suo corpo, era un errore. Il dolore era suo nemico in quel caso, ma presto sarebbe stato suo alleato! Dopo l'esplosione anche Patrick stesso si era ribaltato all'indietro; molti forse erano ancora storditi, la Pompadour – l'unica speranza del Buio in quel turno -, doveva essere immediatamente neutralizzata. Poi un'altra presenza fece sua comparsa nella Sala. Aryadne? Era venuta? Le aveva inviato una lettera. La aveva pregato di farsi vedere. Di venire, di supportare la Causa di un Bene superiore. Era la sua riserva, era la sua speranza... Poi percepì la sua voce e immediatamente agì, chiudendo gli occhi per concentrarsi, e disegnando nella propria immaginazione tre copie del tutto uguali e perfetto di Sè stesso. Erano effimere, non avevano vita, non avevano speranze di esistere. Si concetrò ancora, e infuse in ognuna delle copie una sicntilla vitale: fece sì che le riempisse, che tramandasse il calore del proprio corpo; creò dei nervi, delle linee-tratto da lui verso ognuna delle copie. Erano parti integranti di lui; erano suoi fratelli, e li percepiva come tali all'interno della sua mente. Erano reali, e avevano dei nomi. Sì, ognuna delle copie aveva un nome. Ogni copia Era. Ogni copia Esisteva. Ogni copia poteva fare ciò che Raven le comandava; ogni copia poteva agire in continuazione con la volontà del proprio creatore e padrone. Poi sospirò, cercando di trovare un equilibrio psicofisico decente. Sì: esistevano. Nella sua mente. Doveva solo fare come aveva fatto al campo, e fare in modo di visualizzarle nella Sala. Cercò di farlo nella propria mente. Ne mise una dinnanzi a sé, a 3 metri di distanza dal proprio corpo. Un'altra la misa alla propria sinistra, su di un tavolo, a 15 metri circa dal Ministro Pompadour. Infine, la terza, nella propria mente la cercò di mettere alla propria destra, a 15 metri dalla Pompadour. Quindi, effettuato ancora un sospiro per trovare la tranquillità necessaria, Raven eliinò qualsiasi altro suono, odore o rumore, che non appartenesse al suo mondo e al mondo delle copie, per poi agire. Un rapido movimento con la bacchetta avrebbe tracciato una linea orizzontale, parallela al terreno, da destra verso sinistra, iniziando in contempo a scandire nella propria mente la formula magica dell'incantesimo. Sarebbe stato un gesto in contempo veloce e bruale, ma fluido e concentrato: non poteva sbagliare, e ogni sua fibra muscolare, non poteva che aiutargli in questo. Quindi, finito il movimento, Raven avrebbe tracciato 3 linee verticali laddove prima ne era una sola orizzontale, in contempo finendo di scandire la formula magica in mondo non-verbale. "Superioris!" - Avrebbe pronunciato il giapponese con tono deciso, facendo sì, che la parola coprisse tutta l'esecuzione dell'incantesimo. Poi avrebbe atteso. E sussussato qualcosa, solo nel caso in cui le copie sarebbero comparse, e quindi l'incantesimo riuscito. «Io sono la Pace!» – Avrebbe sussurrato Raven a dentri stretto, ancora piegato su un ginocchio. - «Deponete le bacchette, e avrete salva la vita.» "No, anzi. La vita la avrete salva comunque. Ma sarete come noi. Vi curerò dai vostri mali."
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