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« At first cock-crow the ghosts must go Back to their quiet graves below..» Qualcosa le sfuggiva. Qualcosa che non aveva compreso a dovere e a cui pensava insistentemente. Quando Emily Rose aveva ricevuto l’invito per una festa privata da parte di un mittente del tutto ignoto, si era detta che, almeno per quella volta, non era costretta a partecipare: non si trattava, come al solito, di un evento organizzato dalla Scuola e volendo, avrebbe anche potuto evitare, restando nel Castello insieme agli sfigati a coloro i quali era stato negato il medesimo invito dall’anonimo F. IV. Ma qualcosa aveva fatto in modo che, nonostante gli ultimi eventi, Emily cambiasse idea e decidesse di seviziare sé stessa partecipando a quella dannata festa di Halloween che non sembrava affatto promettere bene: *Vi piacerà… Da morire*, recitava il biglietto e la Caposcuola era alquanto sicura che tutti, persino i più idioti degli invitati, avrebbero visto in quelle poche parole una minaccia più che un invito a del “sano” divertimento. Si era ritrovata, quindi, nel giro di poche ore, dal maledire il signor F. IV (chiunque esso fosse) e la propria curiosità (che la incitava, inutile a dirlo, a scoprire chi e perché aveva deciso di metter su quell’Evento), a darsi della stupida per non aver rifiutato un secondo invito, quello del presunto collega che le avrebbe fatto da cavaliere (o per meglio dire, supporto) durante quella, a dirsi spiacevole, Festa. Non aveva potuto rifiutare, nonostante le parole del giovane non l’avessero convinta a dovere circa la motivazione riguardante il “perché vorrei mi facessi compagnia durante l’Evento”, e aveva deciso di convincer sé stessa che si trattasse solo e soltanto di pura cortesia, una sorta di comportamento che, volente o nolente, doveva adottare nei confronti di un suo pari. Se ci fosse dell’altro, se le facesse piacere o meno esser in compagnia del ragazzo, erano quesiti irrisolti che Emily aveva deciso di rinchiudere in quella piccola, temporale cornice mistica risalente all’ultimo Evento Scolastico: da allora, aveva deciso di non pensarci e, a dire il vero, le era riuscito piuttosto bene. Allora perché l’idea di trovarsi al suo fianco da un momento all’altro riusciva ad infrangere la sua palpabile difesa di acida indifferenza? *È solo nervosismo: hai deciso di partecipare ad una Festa dal luogo ignoto. L’organizzatore è ignoto. E , nonostante questo tutto ciò a cui sei andata incontro negli ultimi tempi, ti tocca anche chiederti per quale assurdo motivo “lui” ti abbia invitata, come se non bastasse un solo minaccioso invito a farti realizzare che ultimamente non te ne va una buona* Eppure Emily era giunta ad una conclusione: se voleva sapere la ragione di una tale proposta, non poteva far altro che presentarsi al fianco del suo cavaliere. *Cara Rose, avresti potuto semplicemente declinare come hai già fatto. È evidente che, in qualche modo, non ti dispiaccia tanto che lui abbia deciso di invitarti* Ecco lo stava rifacendo, stava cercando risposte che in realtà non voleva trovare mentre stringeva il bustino così tanto da sperare che, in qualche modo, il sangue smettesse di fluirle nel cervello, spegnendo il suo flusso di pensieri. C’era qualcosa di strano, qualcosa che non capiva e che tuttavia, aveva deciso di accantonare nell’angolo delle cose per cui non valeva la pena arrovellarsi il cervello: ormai aveva accettato e non si sarebbe tirata indietro.
Un ultimo sguardo allo specchio decorato di smeraldi e, soddisfatta della propria immagine riflessa, Emily prese tra le mani il famoso-odioso biglietto, dirigendosi verso gli esterni del castello, presso le scalinate, lì dove avrebbe avuto luogo il primo incontro della serata. Il dove-quando-come avrebbe avuto inizio la festa, restava un quesito privo di risposta. Erano le 20.25 quando Emily uscì finalmente dai sotterranei; l’invito, stretto delicatamente tra le esili dita della mano destra sembrava fremere mentre l’orologio s’apprestava a segnare l’ora “X”. Stringendo un lembo del vestito nella sinistra, la Caposcuola Serpeverde fece capolino oltre il possente portone di Pietra, avvertendo lentamente il freddo invaderle le esili membra. 20.29 Lui era di spalle, le sarebbe bastato scendere qualche scalino per raggiungerlo prima che si voltasse. Uno, due, tre… I suoi passi risuonarono appena nel silenzio della notte ma per qualche motivo la fanciulla immaginò ch’Egli potesse udirla. 20.30 Stava per voltarsi? Quell’impercettibile movimento del busto perfetto (come aveva potuto notare durante lo scorso Ballo) stava forse per avvisarla che, presto, avrebbe incontrato quegli occhi dal colore particolarmente sovrannaturale? Emily non lo seppe mai od almeno non in quel momento; qualcosa di sgradevole, reso meno tale in quanto aveva spento quel piccolo fremito d’ansia provato dalla Serpina, le impedì di respirare normalmente portandola a provare la medesima sensazione che aveva provato soltanto pochi mesi prima. Questa volta non fu la soffice spiaggia di sabbia bianca e lucente ai raggi solari ad accoglierla ma il ruvido viale di sassolini dinanzi alla sontuosa Reggia di Versailles. In leggero stato confusionale Emily non si rese nemmeno conto del lieve prurito causato dall’ironico (tale soltanto per il Luminoso Fuco Lindo) cambiamento d’abiti. Davanti a lei, in tutto il suo maestoso splendore, s’ergevano i cancelli dorati dell’antica residenza reale dei Borbone di Francia. *Beh, un ottimo inizio* Pensò, ragionando sul fatto che non aveva fatto poi tanto male ad accettare, alla fine. Inutile dire che quel piccolo momento di apparente calma venne troncato in pochi istanti: prima ancora di voltarsi per constatare se la magia aveva reso inalterata la distanza che la separava dal suo cavaliere, qualcosa la spinse ad abbassare le iridi chiare sul proprio vestito, o per meglio dire su ciò che ne aveva preso il posto. Ma che diam--- No!In cuor suo pregò che nessuno avesse udito la sua imprecazione ma soltanto perché, in tal modo, nessuno avrebbe notato l’ampio strato di urticante paglia color arancio che si apriva dalla vita in giù al posto dell’originale satin verde smeraldo. Un bustino fatto di quel sembrava un comune sacco di patate rattoppato aveva preso il posto dello chiffon nero che le ornava la schiena. Sssss. Ssss. Portandosi la mano al petto come colta da un leggero spavento, la Caposcuola non poté fare a meno di notare, con la coda dell’occhio, qualcosa scivolarle lungo la guancia sinistra. Qualcosa di viscido. Qualcosa di… Vivo. Fu in quel momento che immaginò i suoi lunghi e rossi capelli raccolti sulla spalla, intrecciati ad un serpente che aveva deciso potessero essere una comoda dimora. Un’immagine che solo in parte corrispondeva alla realtà: i serpenti erano almeno cinque, di varie dimensione e colore, dal viola all’arancio (cosa che doveva esser sfuggita al padrone di casa a quanto pare, visto che in qualche modo richiamava il colore del vestito). Ma al peggio sembrò non esservi fine e probabilmente l’arrivo, con le sue modalità, rappresentava soltanto un assaggio di ciò che si nascondeva all’interno della “château de Versailles”. Non era questo l’abito che avevo scelto. Asserì rivolta al suo, almeno per quella sera, compagno prima ancora di poter udire una qualche parola di scherno od una qualche imprecazione sotto forma di domanda. Se prima aveva pensato che, qualora ci fosse stato un concorso per il Re del Ballo, lui avrebbe sicuramente vinto anche quella sera, Emily dovette trattenersi dal sorridere appena, APPENA, divertita. Fortunatamente ci riuscì ma ritenne comunque opportuno volgere lo sguardo altrove e fu in quel momento che notò uno strano “essere” attendere tutti i malcapitati all’entrata della splendente Dimora. Una rapida occhiata a quest’ultimo e la Caposcuola capì chi potesse esser stato l’artefice di quella poco carina trasformazione. Immagino non abbia voluto sentirsi da solo nel suo apparire tanto ridicolo. Proferì ormai rassegnata al fatto che in molti l’avrebbero vista in quelle condizioni. “Abbassa la cresta, figlia mia” fu forse il messaggio indiretto trasmessole dal Padrone di casa quando, Emily ci avrebbe messo la mano sul fuoco, aveva deciso di cambiare il loro look con qualcosa che lui, e lui soltanto, avrebbe ritenuto “chic” ed adatto all’occasione. Non lo avrei mai detto prima ma sembra non esserci altra via di uscita… Andiamo a renderci ridicoli. Asserì con tono affranto. Attendendo che il suo, almeno per quella sera, compagno le porgesse gentilmente il braccio così come aveva fatto tempo addietro, Emily procedette a passo lento verso l’odioso omino sul sui capo s’ergeva una zucca più grande della sua testa[ ( *e del suo cervello*, avrebbe pensato lei). Una volta raggiuntolo, gli avrebbe dunque porto, riluttante, l’invito, annunciando la loro presenza: Emily Claire Rose ed Horus Ra Sekhmet Entrati nell’ampia Sala, la fanciulla non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi intorno che il bizzarro-odioso-ridicolmente (?) raccapricciante padrone (o presunto tale) di casa li invitò ad un brindisi. Alzò appena il calice colmo di una sostanza non identificabile, brindando, silenziosamente, alla propria cattiva sorte. In silenzio prese posto, od almeno ci provò cercando di sfoggiare, nonostante l'incoerenza dettata dal suo nuovo abito, i modi eleganti che le si confacevano e cercando di costringere sé stessa a trattenere ben più di un’imprecazione per: 1) L’abito che al solo tocco, dava vita ad un fastidioso prurito (ma che non superava quello provato al palmo delle mani quando le capitava di intravedere la figura di “F.” IV); 2) I serpenti apparentemente – forse solo apparentemente – innocui sul suo capo che, a contrario suo, sembravano alquanto affamati; 3) Il menù al quale aveva soltanto dato una rapida occhiata prima che il suo stomaco si stringesse, rifiutandosi di ingerire anche solo una di quelle pietanze. Enunciami un solo ma convincente motivo per il quale dovrei restare qui. Sussurrò al giovane alla sua destra.
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