Five O' Clock

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Horus Sekhmeth
view post Posted on 8/2/2015, 21:23 by: Horus Sekhmeth
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Horus R. Sekhmeth

~
BKGhiFR
Era un'analisi reciproca, quella che in fin dei conti entrambi stavano compiendo. Professore e Studente, Intervistatore ed Intervistato; ruoli, certo, decisamente labili, eppure in un certo senso, dislocati dalle consuete "catene" ideali che dovevano per forza rispettare per rientrare in quelle identità. In fondo, sì, potevano sforare entro quei certi limiti che lo stesso Peverell andava delineando, con più o mena cortesia. Horus lo ascoltò, immobile, serio, eppure in quelle sue labbra sottili e delicate c'era il velo di un sorriso, qualcosa che non si irradiava fino ai suoi occhi, freddi, e puntati verso l'anziano uomo. Una caduta di stile, questo Horus reputò, quella sottile, ma ben percepibile minaccia, a proposito di... come aveva detto?
*Esser pronti a qualsiasi azione, anche di natura legale, huh?*
Certo, certo, il tono era tranquillo e il viso rilassato e pacato, niente di diverso dal solito. Ma la tazza era stata addirittura posata sul tavolo, quasi a voler porre paletti ben più sicuri, più consoni all'uomo, quel confine era stato varcato? Ignotus era stato piccato, da quelle domande forse davvero un pizzico irriverenti? Cosa si aspettava, da quell'intervista? Classiche domande del tipo: "Perché studia la Storia?" o "Le piace insegnare?" e via discorrendo? Figurarsi; Horus non era il tipo. A dirla tutta, non era neanche il tipo da assumere un atteggiamento così... ambiguo, nei confronti di una persona che non solo rispettava, ma che era anche un suo superiore. Eppure, era più forte di lui: benché ponderate, le sue mosse e le sue domande erano anche un filino spinte da quell'Istinto che poteva salvarlo da situazioni ostiche e, al contempo, lasciarlo ad impelagarsi in bei pasticci. Poteva quella essere una disfatta, anziché un connubio di informazioni? Perché allora si sentiva così divertito dalla vicenda? E non era certo, uno sfottò, nossignori. Era qualcosa di diverso, difficile da poter descrivere con i normali aggettivi.
Horus rimase in silenzio, senza aggiungere altro al chiaro discorso dell'uomo. Era, anzi, incuriosito dal proseguire della vicenda, interrogandosi se l'avrebbe cacciato con falsa cortesia, bollandolo altresì come una persona idiota e superficiale. Invece, l'uomo decise di proseguire, il ché divertì il ragazzo ancor di più —e questo, non s'azzardò certamente a darlo a vedere. Un piccolo cenno d'assenso, fu la risposta a quel commento, nulla più. Una montagna non s'inchina, solo perché il vento soffia.
Bisognava solo vedere, chi dei due era la montagna.
In ogni caso, ciò che seguì, portò l'attenzione di Horus ad un livello assai più alto, ogni parola dell'uomo era accolta con interesse, con vaghi appunti sulla carta. Si ritrovò a chiedersi dove Ignotus nascondesse quelle armi bianche di cui andava parlando, e sentì la bramosia di volerle vedere. Per quanto non potesse definirsi un esperto, Horus aveva cominciato a trovare incredibilmente affascinanti quel tipo di strumenti di guerra e di difesa —galeotto fu il magnifico Pugnale Normanno comprato all'Ars Arcana e da cui non si separava mai—, meravigliosamente onorevoli, in confronto a quelle sciocche pistole principalmente Babbane. Che c'era d'onore e d'orgoglio, di coraggio e rispetto, nel premer un grilletto, piuttosto che affidar la propria vita ad una splendida lama e al proprio valore? Il Caposcuola trattenne un sospiro, tornando presente al discorso. Quando furono nominati i Golem, ecco: quella sì, che poteva essere la perfetta sublimazione della sua attenzione! E del divertimento. Certo, che lo seguiva. Horus trattenne a stento la mano destra, intenzionata a correre al colletto della camicia, perfettamente abbottonata, in un paranoico tentativo di celare ancora meglio il girocollo con la Runa che portava. Ah, sì: aveva una qual certa idea, di quanto fosse complicato combattere contro un Golem, forse non con l'esperienza e le conoscenze di Peverell, ma se non altro con una certa dose di dolore fisico e impegno; gli era costata una cicatrice che squarciava il suo petto dalla clavicola all'inguine, un post-lotta doloroso fisicamente e psicologicamente, durato mesi, e un coma di svariati giorni, ma del resto, lo Storico non poteva saperlo. Lo avrebbe saputo? Forse.
Il discorso terminò e la voce dell'uomo si spense; ben presto, la sua gola fu allietata dal suo beneamato tè e lo stesso Horus decise di lasciare un altro po' di silenzio, a separarli, concedendosi anch'esso un generoso sorso dalla sua tazza fino a quel momento, ignorata. Dopo aver assaporato l'aroma sulla lingua e palato, inghiottì. Per la prima volta, dal suo ingresso, Horus distolse lo sguardo dall'uomo per posarlo sul trespolo dorato vicino la finestra, vuoto. Sorrise, ancora una volta, quando i suoi occhi tornarono su di lui.

« Capisco. » Fu l'unica, enigmatica parola che finalmente prese vita sulle labbra del giovane. Il Tassorosso, senza fretta, portò ancora una volta alla bocca la tazza di porcellana, sorseggiando la bevanda ora tiepida. Quando la riabbassò, il tè era ormai più che dimezzato.
« In primo luogo, professore, concedetemi di spezzare una lancia in mio favore. Io non giudico. E non mi interessa farlo. Forse si può dire che io tenda ad analizzare, più che a giudicare. » E confidava che l'uomo, sicuramente, capisse la differenza. La fondamentale, differenza.
« Quindi, sono conscio dei limiti, ma ciò che vi chiedo non è niente che possa ledere la vostra persona. Questo perché vi rispetto, professore. Ma rispettate, vi prego, le mie domande e non credete che le mie impressioni siano così maligne nei vostri confronti o in quelli della vostra onorevole Casata. » Un pungolo, travestito da umile scusa. Ma era dovuto, del resto era stato Peverell a giudicare, ancor prima che potesse farlo lui, fraintendendo qualche... semplice domanda.
« Tornando al precedente discorso, sono, purtroppo, tristemente a conoscenza di non esser l'unico ad aver perso amici o colleghi. Anzi, a dirla tutta, devo ammettere che non ho davvero perso fisicamente qualcuno, di coloro che amavo. » Il suo tono fu molto più morbido del previsto; avrebbe voluto dirgli di non renderlo così banale e scontato, di smetterla di ostinarsi a volerlo dipingere come uno stupido studentello, di tanti che ne aveva avuti, un borioso come chissà chi altro, eppure tutto quel pensiero sfumò in un nulla di fatto. Era inutile e del resto, non ce n'era neanche bisogno. Era meglio, quella pacata risposta. Non c'era niente, in lui, che Peverell potesse carpire della sua malsopportazione per quell'atteggiamento. A meno che non fosse veggente, ma Horus dubitava seriamente che lo fosse.
« Ma vede, la cosa è un pizzico diversa, perché anche io so quanto è difficile combattere con i Golem. Forse non lo sapete, ma io ho combattuto contro di loro. Contro una moltitudine di loro. Io e altri tre compagni, due dei quali... ahimè, scomparsi. Dietro di noi, c'era una folla di studenti del primo anno, spaventati e irrequieti e solo noi, a far loro da scudo. Le Passaporte non funzionavano e gli Auror che dovevano coordinarci, non arrivarono mai. In compenso... arrivarono loro. » Tacque un istante, riappellando l'orrido ricordo di quell'orda grottesca e informe di creature nate dalla terra e dalla mente malata di un ragazzino deviato dal dolore e dalla follia. Hagalaz e Isa, celati tra di essi. « Erano tanti, e abbiamo fatto il possibile per combatterli. Finché i due Golem Runici, non sono emersi. Finché uno, permettete l'arroganza, non mi ha scelto come suo avversario. » No, si erano scelti a vicenda. Dal momento in cui aveva visto quelle macabre sembianze di fanciullo di roccia, dal momento in cui il freddo gli aveva mozzato il respiro e l'aria, così compatta, lo aveva martoriato, Horus sapeva che lui e quel Golem erano stati Destinati.
« Siamo rimasti solo io e lui, alla fine. Ed ero davvero, pronto a morire. Bacchetta e alabarde, infine, erano davvero inutili, non posso darvi torto. Quando posò la sua mano tozza e gelida sulla mia testa, pronto a perforarla, c'era solo una cosa che potevo ancora fare. » Era stato preso dalla forza dei ricordi, dal racconto. Tante cose aveva celato all'uomo, che, d'altro canto, poteva non credere a quella storia o crederci e reputarla, come classico atteggiamento dei vecchi incapaci di stupirsi ancora, banale e scontata. Eppure Horus lo guardò intensamente, con profondità. « Gli ho strappato il cuore runico con le mie stesse mani. » Ricordava ancora, sulla pelle, il battere ritmico di Hagalaz e quella forza d'urto gigantesca quando, pieno di sangue dalla testa ai piedi, era stato sbalzato via; ma la Runa, stretta nelle dita. Da quel momento, solo sua.

Ci fu del silenzio, in cui Horus sorseggiò ancora il suo tè, incerto sul pensiero dell'uomo, ma del tutto indifferente alla sua natura. Si era arreso, e non aveva intenzione di sembrare migliore di quel che era, ai suoi occhi.

« Sinceramente, professore e non me ne vogliate, ma l'intervista è sempre stata una scusa. » Ecco qua, aveva sganciato la bomba.
« Voi avete una Conoscenza che ben pochi hanno. E io, purtroppo, sono avido di sapere. E in questo caso, volevo comprendere il vostro punto di vista, riguardo questa faccenda, saperne di più su quei Golem che io stesso ho combattuto, ma di cui ancora, so veramente poco e niente, se non vaghe leggende antiche, tramandate, ma confuse. Una Magia Antica in possesso... di un bambino. Chi mai poteva rispondere ad un argomento spesso considerato tabù per le vittime che ha comportato? "È inutile pensarci ora", così spesso mi son sentito rispondere. "È tutto finito". Ma no, finché questo rimane nei miei ricordi, sulla mia pelle, io non posso bollarlo come qualcosa da censurare. Devo sapere, devo capire. Avrei potuto dirvi la vera natura della mia visita, eppure, ho deciso per una strada più contorta, forse perché io stesso volevo mettermi alla prova. Mi avete sempre incuriosito, da quando tempo addietro, venni Smistato con mia sorpresa a Tassorosso. Scriverò, perché l'impegno fu preso, ma rimarrò fedele a quel labile confine di cosa va detto o meno. In ogni caso, ecco, ho preferito confidarvi la Verità. » Concluse, infine. Horus si stupì di aver rivelato, in parte, le sue intenzioni. Fu tentato di chinare il capo, ma lo tenne alto: non c'era spazio per l'autocommiserazione. Si convinse che era la mossa più giusta e coerente da fare e non perché si sentisse in trappola, quanto più per la speranza di sradicare una volta per tutte quei paletti. O forse, era solo un'altra prova, per entrambi. Che pomeriggio difficile, in fin dei conti, quello.

The Time you enjoy wasting is not wasted time.»

 
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