Five O' Clock

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Horus Sekhmeth
view post Posted on 21/2/2015, 21:13 by: Horus Sekhmeth
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Horus R. Sekhmeth

~
BKGhiFR
Forse per un'ennesima volta, le labbra sottili del giovane si stirarono in un freddo sorriso. Horus osservò ed ascoltò con attenzione le parole dell'uomo, mentre in cuor suo percepiva una certa amarezza, al sapor di fiele, che risaliva fino alla punta della lingua. Era così azzardato il termine "Runico" accostato alla parola "Golem"? Probabilmente, agli occhi e alle orecchie di un ignorante qualunque, anche solo l'idea di un essere di pietra che si muove per conto proprio poteva risultare una sciocchezza, quisquilie antiche o semplicemente un Colossum funzionato a dovere (perché del resto, non era il Colossum un vago residuo di quelle arcane magie un tempo conosciute ovunque e che ora erano relegate solo a pochi eletti?). Ma per un uomo della presunta conoscenza di Peverell, beh; quella sua.... negazione suonava assai divertente. Horus non rispose, bensì attese con pazienza che il professore finisse il discorso, seguendo il filo delle sue antecedenti parole, intervenendo qui e là, assaporandone le espressioni non solo idiomatiche, ma anche facciali. Un sorriso, un brillio nei furbi occhi azzurri, un sorso più lungo del solito, una ruga contratta. Era ciò che Horus sapeva fare meglio: studiare l'interlocutore. Ma per quanto la sua abilità fosse stata affinata dagli anni, Horus dovette ammettere che non riusciva bene a comprendere al cento percento la linea ideale dietro alla quale Ignotus si trincerava; bluffava? Davvero ignorava quelle conoscenze?. Il discorso sui colori sfumati, tuttavia, portò alla mente del Tassorosso una lontana conversazione, avuta tempo addietro con Persefone Bennet, Vice-Preside di quegli anni così spensierati, nonostante tutto. Era vero, dovette concordare Horus con un cenno del capo, quando udì le parole di Peverell: colori netti, confini precisi non esistevano e tutto sfumava in un limbo indefinito. Bene, Male, erano forse l'esempio più lampante, nonché banale. Ci fu poi un breve momento di pausa in cui Horus fu distratto per la prima volta da quando aveva messo piede in quell'ufficio: magicamente la finestra alle spalle del docente si spalancò e un meraviglioso animale volò dentro la stanza, posandosi con infinita grazia sul trespolo. Non c'era bisogno di essere esperti di Creature Magiche per comprendere che quel pennuto dalle piume scarlatte era uno splendido esemplare di Fenice. Quando Horus aveva osservato l'ufficio, qualche minuto prima, aveva notato il solitario trespolo, benché non vi avesse prestato troppa attenzione. Aveva immaginato, quasi distrattamente, che fosse il loco di un gufo, o una civetta o pennuti simili. Ma la Fenice, diamine!
Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di resistere alla tentazione di alzarsi e avvicinarsi per osservare la maestosità di quelle piume dai riflessi vermigli, sfumati in abbaglianti gradazioni dorate e rosate, creando suggestivi giochi di luce, come un tramonto perenne ma con un paio di potenti e perfette ali. Le lunghe piume caudali scendevano morbide, lingue di fiamma che accarezzavano l'asta del trespolo, quasi volessero avvolgerlo nel fuoco. Sì, fu uno spettacolo splendido e al contempo una gradevole distrazione, ma non era venuto lì per osservare pennuti mitologici, si riprese Horus. Nel frattempo, come se fosse avvezzo a quell'andirivieni, Peverell aveva continuato il filo del discorso che, per fortuna, Horus seguì comunque dall'inizio. Quando concluse, fu chiara e percepibile una sottile nota amara, nonché malinconica nelle sue parole. E, del resto, Horus non poté dargli torto. Fin da piccolo era stato un grande... ammiratore della Verità e di coloro che la portavano avanti senza troppe paure. Verità poteva significare Conoscenza, ma era un connubio che non sempre andava a braccetto e, anche a proprie spese, il Tassorosso l'aveva imparato. Fu, tuttavia, più sulle domande dell'uomo su cui Horus si soffermò, mentre il docente si alzava e dopo aver chiuso la finestra, dedicava attenzioni alla Fenice. Horus spese quel tempo bevendo l'ultimo, agognato sorso di quel tè ormai troppo freddo per i propri gusti. C'erano tante cose di dire e una matassa fin troppo impicciata da dipanare. Ma l'aveva voluto lui, in fondo. Quando l'ultima goccia scivolò nella sua gola, con calma e tranquillità, Horus poggiò la tazzina sul piattino, appoggiandolo a sua volta, con delicatezza, sul piano antistante. Avrebbe galleggiato quella graziosa tazza, nonostante il suo "ospite" se ne fosse già bello che andato?

« Le vostre domande sono più che lecite professore. » Esordì, col mezzo sorriso ancora dipinto sulle labbra.
« In realtà vi assicuro che il mio Smistamento non è stato, lì per lì, così chiaro e senza sorprese. Ma, sì, trovo che il Tempo aiuta, più che a farci accettare circostanze insostenibile, a capirle. E ho capito cosa ha visto in me il Cappello Parlante. Mi discosto senza dubbio dai pettegolezzi che il buon pensare comune rivolge a Tassorosso. Scarti, disprezzano alcuni; tonti, dicono altri; buoni di cuore, sostengono ancora terzi. Diciamo che ho capito che è una Casata incredibilmente eclettica. Tassorosso ha tutto ciò che serve, racchiudendo tutte le qualità delle altre Casate e molto ancora. E credo che questo sia già un buon compromesso, non trovate? » Sorrise, più apertamente, con molta più sincerità. Tanto tempo addietro, aveva odiato quella Casata, quei colori e quegli stupidi valori. Lealtà? Impegno? Duro lavoro? Baggianate! Ma cosa poteva saperne lui, piccolo undicenne con la testa piena di favole? Ora sì, ora aveva compreso: lealtà verso se stessi e verso i propri ideali, verso i propri cari. Impegno, nel portare avanti i propri obiettivi e farlo a testa bassa, dandosi da fare col duro lavoro, perché era lì, alla fine di una stancante giornata, che si comprendeva quanto si è vivi. Certo, era un concetto un po' pompato, dovette ammettere Horus nel pensarci su, ma era comunque un buon inizio.
« E tra l'altro, una qualità tipica Tassorosso, a quanto pare, è l'ostinazione. Temo, di essere dannatamente testardo quando decido di mettermi in testa qualcosa. E in questo caso, volevo assolutamente parlare con voi. Perché ho scelto di nascondermi, se così vogliamo dire, dietro un'intervista? Volevo fosse diverso, semplicemente. Ero incuriosito dal vostro ruolo, come docente, come giornalista, come studioso, e via discorrendo. L'intervista, le domande, forse a mio errore, avrebbero potuto celare in parte l'arroganza del voler sapere ad ogni costo. Non volevo indagare oltre sulla vostra dipartita poiché, come vede, è stata solo una domanda, una piccola provocazione per giungere a ciò, sebbene io stesso non ne fossi conscio al cento percento di giungere a questo discorso. È stato come affidarmi al sinuoso moto delle onde e del mare, che in fin dei conti son stati rappresentati dalle vostre parole. » Lo disse con tono umile, un umiltà sincera; era stato deluso da quella conversazione? Forse a tratti, ma non del tutto. Non conosceva Ignotus così bene da poter essere così arrogante da definirlo deludente, tutt'altro. Anzi, l'uomo gli dava l'idea di essere un grande iceberg, di cui si potesse scorgerne soltanto la punta. Quanto vasta era non solo la sua conoscenza, ma anche la sua personalità, al di sotto del livello del mare?
« Ho compreso, in questa conversazione, molto di me stesso, ve ne sono davvero grato. Rievocare ricordi della Battaglia di Ottobre è stato più facile, più di quanto io avessi preventivato, ma non meno doloroso. Ma vi assicuro, professor Peverell, che le mie parole erano reali. Ciò che io, no, che tutti abbiamo vissuto, è stato disgraziatamente reale. Penso lo sappiate. » Lo guardò intensamente, sondando gli occhi circondati da sottili rughe dell'uomo. Rimase in silenzio per momenti che sembrarono durare un'eternità, quando in realtà il suo orologio da polso avrebbe scandito qualche secondo.
Con calma, lasciò piuma e taccuino sulle gambe, portando la mano sinistra al collo. Slacciò un bottone, uno solo, per non mostrare la cicatrice che sarebbe stata altrimenti ben visibile. Ma il colletto si scostò abbastanza, da permettere di vedere due collane. Un'Ankh, e una Runa. Con cautela, Horus mostrò quest'ultima all'uomo, prendendola con la punta delle dita. Una sottile pietra di ardesia brillante un glifo inciso che la inquadrava come Hagalaz; non l'avrebbe mai, e poi mai attivata, e questo era chiaro, ma era già qualcosa. Poteva sembrare una runa come le altre, ma l'aura che aveva sempre emanato la
sua Hagalaz, era diversa perché incisa da mani incredibilmente potenti, dotate di poteri arcani.
« Questo era nel petto del Golem antropomorfo che ho affrontato. Era situata a sinistra, lì dove il cuore di un essere umano trova posto. Da esso partivano strane venature di luce che sembravano reagire con il creatore del Golem, lontano svariati metri dalla sua creatura. Quando ho infilato le dita nel varco che mi mostrava la Runa, ebbene, l'ho strappata via. Il Golem, si è semplicemente...spento, immobilizzandosi e poco dopo è andato in pezzi. Era indubbiamente il suo cuore. » Tacque, rimettendo a suo posto il girocollo e chiudendo la camicia, riabbottonandola. Non tolse, in quei momenti, mai gli occhi dal viso dell'uomo, a costo di sembrare sfacciato.
« Voi non c'eravate, è vero, e per questo può sembrarvi strano. Del resto, poi, nessuno, a parte coloro che han conquistato le Rune degli altri Golem, sa cosa sia successo dopo tutto questo e i loro effetti.» *E io, non ho intenzione di dirvelo* « Ma non vi sto dicendo questo per dirvi quanto sono stato bravo e che merito una ricompensa o perché vorrei che tutti qui, dalla tazzina alla vostra Fenice, ascoltaste le mie presunte eroiche gesta, che eroiche non son state così tanto. Vi sto dicendo questo per farvi capire che ciò che io stesso credevo dimenticato, è vivo, da qualche parte, tramandato dalla Storia. E la voglia di sapere cosa si celi nelle pagine del Passato. Magie radicatesi a tal punto da resistere ai tempi moderni, alle credenze attuali, alle distanze delle Ere e anche come voi dite stesso, a quelle geografiche. Nascoste, quasi con gelosia, dai Popoli, ma ancora vive Una piccola pausa, per riprendere fiato, mentre le parole di suo padre ritornavano alla sua mente: quella scoperta sconosciuta, quella Magia ancestrale di cui lui aveva trovato traccia in Egitto e che infine, l'aveva risucchiato nelle sue conoscenze. Faceva tutto parte di un piano, che si intrecciava sinuoso nella mente e nel cuore del ragazzo.
« Voi siete uno Storico, forse uno dei più famosi del Mondo Magico. E non è un'adulazione, è un dato di fatto. Voi siete l'unico che possiede le Memorie giuste, l'unico che può darmi una traccia per permettermi di capire le Magie Arcaiche; Scoprirle, comprenderle, ma non ho certo la presunzione di assorbirle. Capirò, se per esigenze... contrattuali, morali o etiche non vogliate far troppi cenni, né io voglio sforzarvi né ricattarvi, tanto più che non ne ho certo le capacità né l'intenzione. Ma un indizio potrebbe essere un ottimo compromesso per tracciare una mappa, voi non pensate? »
La Conoscenza a volte, e soprattutto in quel caso, andava di pari passo con la Verità. Se fosse stato meglio conoscerla o meno... questo era da vedere.

The Time you enjoy wasting is not wasted time.»

 
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