Train(ing)toHell, Apprendimento Occlumanzia

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view post Posted on 28/4/2015, 17:59
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«And the only solution was to stand and fight» Merlino ballerino!

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"Santo cielo, Brendan. Sono sfinita...lasciami almeno riprendere fiato!"
La ragazza si accasciò sulla sedia lignea poco dietro di lei.

"Lo sai che loro non ti darebbero tregua. Resta concentrata, tieni duro". Il giovane si chinò davanti a lei, la destra stretta sulla sua bacchetta di cipresso. "Forza, continuiamo. Ti ricordi cosa ti ho spiegato?".
"Sì, lo ricordo. Sono solo... solo stanca". La luce gialla della lampada illuminava il suo viso segnato dalla fatica. "...ho paura, Brendan.".
"Lo so. Per questo devi imparare a difenderti". La mano di lui le si poggiò sul braccio. "Coraggio, alzati. Ricordati cosa ti ho detto: sii conscia delle tue emozioni. Mente elastica. Metti a fuoco i ricordi, e cerca di trattenerne solo uno, quello che vuoi far loro vedere, usandolo come schermo".
La ragazza si rialzò, riprendendo tra le dita il suo alloro. Un profondo sospiro. "Spero di non dover mai avere bisogno di tutto questo".
Gli occhi verdi di lui incontrarono i suoi.
"Anche io".

Curioso come la Sorte non smentisse mai la propria ironia cambiando le carte in tavola, fu il pensiero che accompagnò quel ricordo. Brendan non era lì, ora. Ogni incantesimo difensivo, senza bacchetta, era una via irrimediabilmente preclusa. Soffocò un altro accesso di tosse, mentre prendeva fiato fissando negli occhi il suo carceriere. Era sola, e non poteva fare altro se non lottare con le sue forze. *Ma com'è vero il cielo, stai sicuro che lo farò*.
L'ultima immagine reale che riuscì a percepire fu il sorriso del mangiamorte, che esplose contro di lei strappandole un lamento che le fu impossibile udire. Il dolore era sparito, così come ogni sua percezione. I ricordi iniziarono a materializzarsi in un flusso inarrestabile, come plasmati da una forza invisibile e potentissima, che le graffiava la mente con una violenza che mai prima di allora aveva sperimentato. Una casa lignea, con un grande giardino, e una bimba bionda poco più grande di lei che la prendeva per mano si mischiavano all'immagine di una stanza poco illuminata, piena di calderoni e di studenti intenti a sminuzzare ingredienti, per poi dissolversi e ricomporsi nella sensazione mozzafiato di un volo su di una scopa, mentre il sibilo di un bolide riempiva le sue orecchie, trasformandosi nel canto suadente di uno fwooper in quella che sembrava una foresta tropicale. La ragazza cercava di arpionare e trattenere ogni singola immagine, ma ogni volta le briglie della sua mente fallivano il tentativo. La forza di quel legilimens che scavava senza ritegno nel suo cervello era ben lontana dalla misurata insistenza che aveva sperimentato nei suoi addestramenti con Brendan. Qui, di misurato non c'era nulla. Era una vera e propria tortura.
La testa si scosse vigorosamente, come per liberarsi da quella presa mentale, senza riuscirci. In quel momento, il sorriso del mangiamorte la colpì nuovamente come un coltello, affondando profondamente nel suo cervello, e riuscendo ad arrivare alla serie di ricordi che lei, con tutte le sue forze, tentava di tenere nascosta.

Davanti ai suoi occhi prese forma il salone di una squallida e buia taverna di periferia, in una cupa notte autunnale. Poco distante da lei, appoggiato ad un consunto e sporco tavolo illuminato da una sola candela, Brendan impugnava la vecchia pergamena sgualcita che conteneva la vana richiesta di aiuto di Caleb. La sua voce le giunse alle orecchie dura e sprezzante. «...lo sai che non posso dimenticare. Dopo questa missione, si fideranno completamente di me... quei mangiamorte hanno le ore contate». Davanti al ragazzo, un'angosciata lei stessa si protendeva verso di lui con voce tremante, nel vano tentativo di farlo desistere da quei propositi di vendetta. Aquileia riconobbe quell'incontro. Di lì a poche sere, si sarebbe ritrovata davanti ad un Brendan che aveva il preciso compito di farla fuori, ma che però non avrebbe mosso un dito. E anzi, avrebbe accettato di scappare con lei. La ragazza inquadrò, in quel momento, il mantello nero del mangiamorte, poco lontano dal tavolo. Fece per correre ed avventarsi contro di lui, ma il ricordo si dissolse nuovamente prima che lei potesse raggiungerlo, con la rapidità e la violenza di una frustata. Sulla sedia, il suo corpo prese a divincolarsi, nel tentativo di domare quella forza sovrumana e liberarsi dalla sua presa crudele.

L'immagine si riformò in pochi istanti. Un camino riscaldava una piccola stanza, in cui lei era intenta a leggere le poche righe di un biglietto scritto in caratteri sottili e frettolosi. Era la scrittura della sua ex-istruttrice, Hazel.

E' tutto pronto, Alacerva sarà lì ad aspettarvi. Troverete in una bisaccia tutto ciò che mi hai chiesto.
Buona fortuna, ragazzina.
H

Hazel e il suo ippogrifo. Il modo a cui avevano pensato per muoversi fino alla Sezione Obliviatori di Oslo, senza rischiare di essere rintracciati.
«Che cosa dice?» la voce di lui le arrivò da dietro, come da un limbo. Sentì la propria voce rispondere autonomamente, bassa e incrinata. «Ha procurato ciò che ci serve...potremo muoverci senza lasciare tracce». «Bene». Il rumore del becco di un altro gufo contro la finestra riempì il silenzio teso che si era creato. L'animale entrò e ripose il suo messaggio in mano al ragazzo, per poi dileguarsi nuovamente nella notte. «Altre notizie». Il secondo biglietto conteneva poche semplici parole: Ogni cosa è pronta al suo posto. L'Aquileia del presente ebbe un tuffo al cuore. Si riferiva alla passaporta che Iridia aveva procurato per loro, e che avrebbe permesso la loro fuga verso Durmstrang. Entrambi i biglietti sparirono pochi secondi dopo, dissolti da un Evanesco di Brendan. «Abbiamo finito, qui. Ti manderò un biglietto domani con le ultime istruzioni. Tu preparati... forza, Chichi. Fra pochi giorni ne saremo completamente fuori».
La ragazza voltò di scatto il viso verso destra, trovandosi nuovamente di fianco la maschera bianca del mangiamorte. Stavolta, riusciva chiaramente a vedere i suoi occhi, piccoli spilli pungenti e spietati. Se fosse riuscito a penetrare oltre, avrebbe scoperto - e capito - il resto. Doveva fermarlo, o ora, o mai più.
*Ha detto che ne saremmo usciti...e lo faremo!!!* «Concentrati sul ricordo e rendilo uno schermo» le aveva sempre detto Brendan. E tentò. Conosceva quella scena fin troppo bene per non saperne a memoria i dettagli: le pergamene, una gialla e una bianca, che sparivano; il fuoco tenue ma caldo del camino, la finestrella da cui filtrava la debole luce della luna, i loro passi agitati che spezzavano quel silenzio teso, le mani di lei che continuamente si posavano nervose sulla sua bacchetta, lo sguardo di lui, consapevole ma intrepido, e le sue mani sulle proprie, quel contatto caldo, rassicurante, vero, certo, insostituibile, che era l'unica ragione per cui avevano scelto di salvare le loro vite. Si concentrò con tutte le sue forze su ogni dettaglio di quel momento, non un istante prima né un istante dopo, per imbrigliarlo, memorizzarlo, impiantarlo nella sua testa, in modo che l'invasore non potesse vedere altro che quell'istante, qualunque cosa cercasse. Doveva farcela. Doveva assolutamente riuscirci. E quando le sarebbe sembrato che fosse abbastanza, quando le sarebbe sembrato che quel ricordo fosse ormai consolidato e fosse uno schermo abbastanza forte, allora avrebbe fissato i suoi occhi in quelli della figura nera, e protendendo le mani verso il mangiamorte, in un gesto di arresto, avrebbe cercato di rovesciargli addosso il primo urlo mentale, chiaramente udibile anche alle sue inconsistenti orecchie, come se provenisse da ogni angolo, ogni dettaglio, ogni sfumatura, ogni oggetto di quel ricordo: *VATTENE!!!!!!!!!*.


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view post Posted on 9/5/2015, 20:53
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Il Fato

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Graffiante, aggressiva, violenta, la mano del mangiamorte era penetrata senza ostacoli nella mente di Aquileia; scavava, affondava la mano come una ruspa nei ricordi e portava via ciò che trovava, destinandoli ad un cernita successiva. Così ogni manciata di memoria che se ne andavano provocava un dolore, una ferita nel cuore, il trauma di essere stati violati. Il sorriso dell'uomo, il finto solco scolpito nella maschera che ne copriva il volto vigliacco, ricompariva ogni tanto, così reale che la ragazza non poteva capire se fosse realtà o ricordo. «Brutto bastardo!» La voce dell'uomo quasi tuonò, il sapore della sua rabbia era divenuto quasi palpabile, cancellava a momenti l'odore di muffa nello stanzino. Aquileia finì a terra di lato, scaraventata insieme alla sedia sulla quale era legata dopo essere stata colpita con violenza sul volto dal mangiamorte (-10 PS, - 5 PC). Immobile, costretta in una posizione scomoda e dolente, la ragazza poteva solo arrendersi al dolore e alla sofferenza, violata nel corpo e nello spirito, mentre un rigolo di sangue colava da entrambi le narici. Medea sussultò, quasi spaventata dalla reazione inaspettata di Sigfrid. «Quel vigliacco stava cercando di ucciderci... povero illuso, sperava poi di farla franca dandosela a gambe con questa sgualdrina.» Sigfrid era cambiato, l'idea di essere stato preso in giro lo aveva reso quasi un mostro. «Nulla di nuovo, Sigfrid. Tutto qui quello che sai fare?» Commentò poi la mangiamorte, quasi divertita dal comportamento del collega. In effetti non aveva torto: anche se non l'aveva dato a notare, il Legilimens aveva dovuto interrompersi pochè bloccatosi in loop nello stesso ricordo da cui non riusciva a proseguire ulteriormente... che la giovane conoscesse il modo di difendersi?
Riprovò, questa volta chinandosi verso la ragazza, afferrandone con forza il viso tra le dita. «LEGILIMENS!»

Continuiamo, allo stesso modo.

SALUTE: 81/161
CORPO: 117/122
MANA: 122/122

 
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view post Posted on 4/6/2015, 16:14
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La già labile difesa della ragazza fu completamente disintegrata dall'urlo rabbioso di Sigfrid. Aquileia non ebbe possibilità di rendersi conto che il mangiamorte era uscito dalla sua testa, che un violentissimo schiaffo sul viso la scaraventò a terra. Un dolore lancinante si irradiò dalla sua spalla fino al collo dopo la caduta, il braccio compresso dal peso del suo corpo e dal bordo della sedia. La sensazione del sangue sulla sua pelle fu completamente inghiottita dal dolore e dal panico, da quello squarcio nella sua testa e nella sua anima che il mangiamorte stava riuscendo ad aprirsi. Come nell'aria si poteva percepire il sapore della rabbia di Sigfrid, nel respiro veloce e convulso della ragazza si poteva chiaramente percepire il suono del terrore. Gli occhi serrati e le labbra distorte in una smorfia di dolore, Aquileia cercava di muoversi, ma senza riuscirci. Niente, niente era come se lo era aspettato. Brendan l'aveva messa in guardia riguardo a quella forza assassina, ma nessun avviso, nessuna descrizione, e nemmeno nessun allenamento per quanto stancante fosse, si avvicinavano anche solo lontanamente a ciò che Sigfrid le stava facendo ora, al modo in cui le stava invadendo e strappando la mente. La voce dell'uomo, se così lo si poteva ancora chiamare, era talmente cupa da farle vibrare il petto, e per un momento, nella mente di Aquileia si delineò chiaramente, quasi come un'ancora di salvezza, l'idea della resa. Per un momento, tutto quel dolore, quella sofferenza, quel panico, quel terrore, le suggerirono tutti insieme che forse Sigfrid e Medea avevano ragione. Che forse, se avesse parlato, sarebbe stato più facile, meno doloroso. Che li avrebbero lasciati andare, che comunque lei e Brendan si sarebbero salvati. Che non avrebbero infierito ulteriormente su altri innocenti. Che non avrebbero infierito ancora *su di me*. Sigfrid stava già intuendo quale fosse il loro piano, già una volta era riuscito a carpire le informazioni che gli servivano. A cosa valeva resistere?
E ad un tratto, la voce di Medea, paradossalmente, la riscosse, fornendole l'appiglio per riprendere il controllo di sé. «Nulla di nuovo, Sigfrid. Tutto qui quello che sai fare?».
Il respiro le si fermò per un momento, e sul volto di Aquileia, ancora rivolto al suolo, si disegnò un accennato sorriso.

*E così, nemmeno tu sei infallibile*.
Aveva funzionato. Era riuscita ad intrappolarlo nel suo ricordo, impedendogli di proseguire. Quella certezza, pur senza dissimulare completamente il terrore, bastò per restituirle il minimo controllo necessario per sostenere ancora una volta quella lotta. Non sapeva quanto avrebbe retto ancora, soprattutto in quelle condizioni, ma ora sapeva, di per certo, di poter dare filo da torcere a quel bastardo.
Il mangiamorte si avventò di nuovo verso il suo viso sporco di sangue, e le sue iridi chiaroscure si fissarono in quelle di spillo di lui. Vicini, troppo vicini; praticamente impossibile sfuggire al loro sguardo. Aquileia costrinse i suoi muscoli a fermare gli spasmi e si aggrappò con tutte le sue forze alla certezza di quel precedente tentativo riuscito, prima che la biglietteria si dissolvesse nuovamente, inghiottita dal nero di quello sguardo.

E la corrente di ricordi riprendeva, come un fiume. Nuovamente, la ragazza tentava di imbrigliare le immagini, di trattenerle, di arrestarle per fermare quella folle corsa, cercando di focalizzare e mantenere l'attenzione su di un solo ricordo, uno qualsiasi, per frapporlo tra la sua mente e la spietata irruzione di quell'uomo, usandolo come barriera. Il suo respiro si era fatto nuovamente affannoso, e il suo corpo fremeva sotto il peso dello sforzo, che intensificava il già presente dolore. Stavolta, la rabbia del mangiamorte faceva da catalizzatore al suo incanto, rendendolo più potente, forte e spietato, iniziando già a compromettere, senza che lei potesse ancora accorgersene, i suoi già miseri tentativi di difesa. I suoi occhi si chiusero di nuovo, mentre cercava di ridisegnare l'immagine del ricordo che aveva usato poco prima per fermare Sigfrid.
*Concentrati, concentrati, resisti, ragazza, forza!!!!!*. Il camino, la notte, il silenzio, la tensione... ma ora era così difficile, così lontano, così sfocato, quella rabbia era così forte e crudele, e quello sguardo così penetrante da esserle visibile anche nella sua mente, che nuovamente, gli sforzi della ragazza non valsero a trattenere la morsa di Sigfrid, e l'ultima immagine a cui si aggrappò fu la pergamena bianca di sua sorella, prima che proprio quel particolare conducesse Sigfrid verso un altro, pericoloso, ricordo.

Intorno a lei prese forma un salotto, piccolo ma arredato con molto gusto. Sul divanetto rosso sedeva una ragazza, il viso pensieroso coperto dai lunghi capelli biondi. Sul tavolino, una tazza di tè, ormai freddo. «E' una cosa più grande di voi, lo sai, vero?». Le iridi chiaroscure di Aquileia, in piedi, nervosa, si posarono in quelle di ghiaccio della sorella. «E cosa dovremmo fare, secondo te? Io sono ancora viva, mentre loro credono il contrario. Questo basta per garantirgli un funerale. Non abbiamo scelta». Iridia guardò la sorella senza rispondere, per poi alzarsi. «Vi costruir----»
La ragazza scosse la testa, cercando di dissolvere dalla sua mente l'immagine di quel ricordo. Non doveva, non poteva lasciarlo proseguire. Si sforzò di cancellare quelle immagini dalla sua testa, si sforzò di concentrarsi su qualcos'altro, qualunque cosa, per portare via il mangiamorte da quel ricordo. Ma la forza di quell'uomo era ben maggiore di quel tentativo così misero, e la stanza, dopo pochi istanti in cui sembrò sparire, si riformò di nuovo, più nitida di prima, vanificando tutti i suoi sforzi per tenere nascoste quelle informazioni.
«...costruirò una passaporta. Farò in modo che sia di sola andata e che si disattivi subito dopo il primo viaggio. In questo modo, se mai la trovassero, non potranno seguirvi. Dimmi...che oggetto vuoi». La lei stessa del ricordo si accomodò su di una poltrona, apparentemente più calma di prima. «...sceglilo tu. Un oggetto che io possa riconoscere immediatamente, ma non dirmi qual è. Se mi prendessero...lo scoprirebbero subito». Iridia guardò verso la porta del ripostiglio, tristemente pensierosa. «D'accordo. Avrai quello che mi chiedi. Farò sapere a Brendan dove sarà, ma solo tu saprai riconoscerla. Leia...vedi di... restare viva.».
Aquileia guardò la lei stessa del passato sorridere amaramente e riprendere la mantella. Sapeva dove si sarebbe diretta: da Hazel, per concordare l'altra parte del piano. In quel momento, vicino a lei, percepì chiaramente una presenza estranea a quel ricordo; una figura che, in qualche modo, sembrava stringerle il collo, anche se non riusciva a percepirne chiaramente le mani. Si voltò, trovandosi di fronte, di nuovo, al sorriso assassino del mangiamorte. Ci era riuscito, era davanti a lei, che si prendeva gioco della sua debolezza, e che già pregustava il piacere della prossima frustata, come se lui stesso fosse stato padrone indiscusso di quei ricordi.
Davanti a quel sorriso, qualcosa cambiò dentro di lei. Il dolore e la paura iniziarono a lasciare il posto a qualcos'altro, qualcosa di cui proprio il mangiamorte si stava servendo. «Focalizza quello che senti e usalo come un'arma». E quello che lei sentiva in quel momento, era furore. Furore allo stato puro. Un furore tale da distruggere tutto ciò che le fosse capitato tra le mani; una forza distruttiva che avrebbe usato per disintegrare le immagini di quel ricordo. Le sue braccia inconsistenti scattarono verso il collo altrettanto inconsistente del mangiamorte, tentando di afferrarlo e stringerlo in una morsa feroce, mentre lei si concentrava su ciò che voleva vedere: la stanza intorno a loro che crollava, si disfaceva, esplodeva sotto l'effetto di quella rabbia assassina, che lei cercava di rendere ancora più forte di quella del mangiamorte, riversandogliela addosso senza pietà, e che piano piano si trasformava in odio allo stato puro. Un odio che al momento giusto, lei scaraventò addosso a quella figura, attraverso le sue braccia e il suo sguardo, per cacciarlo di nuovo fuori dalla sua testa.


SALUTE: 81/161
CORPO: 117/122
MANA: 122/122

Chiedo scusa per l'immenso ritardo! Sono tornata, più attiva che mai ^_^
 
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view post Posted on 12/6/2015, 23:02
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Il Fato

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Furore: era quasi ironico come entrambi, cacciatore e preda, si facessero travolgere dallo stesso sentimento. Rabbia, fastidio, quasi dolore, era così potente quel fiume in piena che difficilmente poteva essere fermato. Vi erano Sigfrid e Aquileia, impegnati nella loro battaglia mentale, e poi vi era Medea, cinicamente ipnotizzata dalla scena, spettatrice con giubilo dell'inaspettato duello. «Quella ragazzina gli sta dando del filo da torcere. Questo non va bene.» Sussurrò fredda e razionale senza che nessuno la sentisse. Tuttavia, ella conosceva il suo compagno, dopo anni fianco a fianco nelle più disparate missioni, aveva imparato a riconoscere in lui la decisione e l'esitazione. Era quasi preoccupata, non voleva intervenire a suo modo.
***
«Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. Vedi di... restare viva. » Un altro urlo si levo nel piccolo cubicolo, facendone tremare quasi le pareti. Impossibile, bloccato nel ricordo della sua vittima questa volta, Sigfrid non potè fare altro che gridare per esprimere quell'odio frutto della sofferenza. Possibile che la giovane mente fosse così forte da contrastare lui che era solito divorare i cervelli dei moscerini come lei? Non solo l'aveva respinto per la seconda volta, ma ora l'aveva afferrato, bloccato in quel ricordo che si stava ripetendo in loop, asfissiato da quella voce che pareva ora trapanargli le orecchie. Strinse le dita sul viso della ragazza, cercando di incanalare il furore nelle sue mene. Premette più che potè fino a che il dolore (-10 PS) non costrinse Aquileia a mollare.
Era libero ma ferito, dilaniato nell'orgoglio, irato nello spirito. Sigfrid sollevò la sua vittima di forza afferrandone i capelli (-5 PS) fin quando gli occhi di questa non giunsero allo stesso livello dei suoi; erano vuoti, il suo animo era rotto, stremata da quella battaglia che non aveva scelto di combattere. «LEGILIMENS!» Era diventata una lotta all'ultimo sangue e Sigfrid non avrebbe mollato, a costo di ucciderla avrebbe avuto il suo ricordo. Sarebbero morti, in ogni caso.

Continuiamo, allo stesso modo.

SALUTE: 66/161
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«And the only solution was to stand and fight» Merlino ballerino!

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L'urlo che iniziò a propagarsi nella sua testa la scosse fin nel profondo, strappandola da quelle immagini e riportandola lì dov'era, legata a quella sedia e riversa per terra. Mentre il mondo reale tornava a fuoco e i suoi occhi si fissavano in quelli di Sigfrid imprigionandolo nei suoi ricordi, realizzò che quell'urlo era reale. Era vero, era del magiamorte, ed esprimeva odio e frustrazione. Per un momento, un'espressione di perfido disprezzo increspò le labbra insanguinate della ragazza, mentre continuava a trattenerlo con lo sguardo. Ma in quell'istante sentì una nuova fisica morsa stringerle il viso. Il dolore, insopportabile, iniziò a indebolirla velocemente, trasformando la sua espressione in una smorfia di sofferenza finché quella stretta non riuscì a farla capitolare, costringendola a cedere e a lasciar andare il mangiamorte mollando la presa.
Rilasciò il capo sul sudicio pavimento, completamente sfinita. Ci era riuscita di nuovo, ma quello sforzo le era costato più di quanto aveva preventivato. E ora era stremata, debole e quasi del tutto senza difese. Lo sguardo, per la prima volta impaurito in tutto quell'infernale colloquio
*tortura*, cercò lui, cercò Brendan.
Aquileia non ebbe nemmeno il tempo di riprendere fiato, che si sentì afferrare per i capelli con uno strattone forte. Sigfrid la sollevò da terra, strappandole quello che forse in altre condizioni sarebbe stato un grido, ma che ora, così, era solo un lamento di dolore. Il peso del corpo e della sedia, gravosi in quella posizione, bastarono per annullare quasi del tutto i suoi tentativi di fermare il mangiamorte, permettendo al suo incanto di arrivare con facilità al ricordo che prima aveva cercato di raggiungere.

Si trovava in un vecchio ufficio, polveroso e dismesso, riconoscibile come tale da quella che molto tempo prima doveva essere stata una scrivania e che ora, tutta tarlata, stava su di un lato di una parete. Faceva molto freddo, le vecchie e ormai sgangherate finestre non bastavano a proteggere l'ambiente dagli spifferi. Poco distante da lei, una donna, inginocchiata a terra, frugava freneticamente in un grosso baule marrone, con tutta l'aria di chi stesse cercando qualcosa che doveva salvare la vita a qualcuno.
«Lui lo sa?».
«No, non lo sa. Non deve sapere niente di questa parte del piano, non possiamo rischiare».
Hazel si voltò per un momento verso la sua ex allieva, squadrandola dall'alto in basso. «Siete certi che basterà, questa precauzione?». Aquileia ricambiò, rassegnata, lo sguardo della donna. «C'è forse qualcosa di cui possiamo essere certi, in questo stato di cose?».
Il silenzio della sua istruttrice era la perfetta risposta per quella domanda retorica, pensò l'Aquileia del presente. Hazel riprese a cercare nel baule, e dopo pochi istanti ne trasse fuori due fiale. Si rialzò senza parlare, muovendosi verso una delle ampie finestre che dava sul recinto delle creature magiche della Scuola di Durmstrang. «Arriverete laggiù. Senza esitare, vi avvicinerete a lei». Indicò con la mano una grande femmina grigia di ippogrifo. «Alacerva» la riconobbe Aquileia. Hazel annuì. «La userete per spostarvi, così da evitare la smaterializzazione e non lasciare tracce. Io penserò agli incanti di dissimulazione». Aquileia guardò le due fiale di pozione dell'invisibilità che Hazel le stava porgendo. «Mi serviranno anche due mantelli della disillusione, nel caso la tua pozione si esaurisse». La donna riportò le mani, ormai vuote, lungo il corpo. «Ti farò trovare tutto ciò che ti serve, non preoccuparti».
In quel momento, qualcosa nell'immagine del suo ricordo iniziò a cambiare. L'ambiente sembrò farsi più scuro e ancora più freddo, la luce già scarsa sembrò quasi soffocare, come sotto un velo nero. L'Aquileia del passato rimase ignara e indifferente, cosa che invece quella del presente non riuscì a fare. Dov'era? Sapeva che era lui, Sigfrid, ma per quanto continuasse a voltarsi da ogni parte, non lo vedeva. Eppure, lo sentiva, sentiva di nuovo quella morsa, quell'oppressione sul suo collo e sulla sua testa. Le ombre di quella stanza sembrarono farsi più buie, sinistre, minacciose. E lei, ora sì, aveva realmente paura. In quell'istante comprese: Sigfrid stava facendo molto più che affondare la sua mano nei suoi ricordi. Stava cercando di farla letteralmente impazzire. Ciò che lei sentiva arrivarle addosso era un misto di ira, sorpresa, orgoglio ferito e odio, tutti sotto quell'unico velo nero che permeava il suo ricordo. I suoi tentativi precedenti avevano funzionato, ma lui era innegabilmente più forte e in condizioni migliori di lei, e aveva deciso di fargliela pagare cara.
La ragazza, praticamente appesa per i capelli sotto la stretta crudele di Sigfrid, cercò debolmente di divincolarsi ancora una volta. Uno strattone debole e completamente inutile. Il fiato era corto, le costole le pulsavano e la testa non era da meno. Guardò negli occhi del suo carceriere, cercando, come prima, di focalizzarsi su ciò che sentiva in quel momento, ma quella Paura e la sua debolezza le impedivano di controllarsi come avrebbe dovuto. Il suono del suo ricordo le arrivò leggermente più cupo.
«E così, li vuoi den---» scosse la testa. No, non voleva, non poteva lasciarlo vincere. Non poteva lasciarlo arrivare a lui.

*D'accordo, Sigfrid. Se vuoi sentire il mio dolore, allora avrai quello che vuoi*.
Raccolse tutte le forze che riuscì a trovare nella sua mente e iniziò a concentrarsi. Non tanto sul ricordo, quanto sulle proprie sensazioni: la violenza inaudita di quegli schiaffi che l'avevano atterrata, le fitte simili a coltellate che ad ogni istante si facevano sempre più intense nel suo torace, la testa che le esplodeva, l'urto contro la barriera, il percepire quella presa addosso a lei; tutto questo fu richiamato dalla sua volontà nella sua stessa mente. Ma non le bastava; non si sarebbe mai accontentata di un mero per quanto intenso dolore fisico. Oh no, Sigfrid andava trattato come si conveniva; a lui piaceva giocare bene, all'ultimo sangue, ed era esattamente il tipo di gioco che avrebbe avuto. Cercando di tenere strette tutte le sensazioni che era riuscita a richiamare, liberò tutto ciò che c'era dietro ad ognuna di esse. Dietro all'urto su quella barriera, la paura abissale di perdere Brendan, vedendolo sparire nel buio di quella notte; dietro gli schiaffi, l'umiliazione della debolezza e la desolazione dell'impotenza, davanti ad un nemico spietato che sembra troppo forte; dietro quella presa sui suoi capelli, la crudele disperazione dell'essere prigionieri; dietro l'esplosione nella sua testa, il gelido terrore dell'ignoto e dell'incubo; dietro le fitte nelle sue costole, e dietro ogni minuto di quella notte, la nera profondità che era portata solo dalla paura di morire. Tutto questo, glielo avrebbe scagliato contro, senza remore nè pietà, così come prima gli aveva scagliato addosso il suo odio e la sua rabbia.
Riaprì gli occhi nel suo ricordo mentre stringeva i suoi pugni; fissò la grande finestra, ormai diventata nera diero quel velo, e lo vide. Corse senza esitare, e si avventò di nuovo su di lui, arpionandogli gli occhi con le dita e premendo selvaggiamente, per riversagli addosso ogni grammo, ogni goccia di quella Sofferenza, di quel Terrore, e di quel Dolore, che proprio lui in una sola notte era stato in grado di procurarle.


SALUTE: 66/161
CORPO: 117/122
MANA: 122/122


Ho spezzato l'ultima frase non per autoconclusività, ma semplicemente per lasciar posto al tentativo; nel caso non andasse a buon fine proseguo ovviamente nel prossimo post ^_^
 
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view post Posted on 27/6/2015, 18:55
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Aquileia di avventò su Sigfrid, stringendone il volto con le mani, oltre la finestra. Le sue dita premevano sui suoi occhi, con dolore, con rabbia, con la forza di chi lottava per amore. E mentre le sue unghie penetravano sempre di più nelle orbite, la voce del Mangiamorte si faceva sempre più chiara e forte, un lamento intriso di ira e frustrazione, il grido della sconfitta che, nel ricordo di Aquileia così come nella realtà, era chiaro segnale di chi in quello scontro stava emergendo come vincitore.
Accadde all'improvviso il graduale mutamento degli eventi, più Aquileia premeva, il sangue che fuoriusciva dagli occhi del suo torturatore andava a ricoprire le parenti immaginarie del suo ricordo, creando nuove figure, nuovi oggetti, nuove persone. Così Sigfrid pareva svuotarsi della sua esperienza, della sua maturità e tornava bambino. La maschera che fino ad allora copriva il suo volto ora si era dissolta in fumo, mostrando la pelle chiara e i boccoli dorati di un inerme fanciullo. Attorno a loro, solo morte. I corpi dilanianti in un lago di sangue erano l'unica decorazione in quella stanza scarlatta: la sua famiglia sterminata nella sua cameretta. Aquileia lo sapeva, ora era lei a possedere la mente di Sigfrid.

***
«Avada Kedavra! »Un lampo verde riportò la giovane maga alla realtà, alla maschera di Sigfrid che giaceva davanti a suoi occhi, coprendo il volto di un corpo senza più vita. Una rapida occhiata le avrebbe permesso di scorgere l'altra mangiamorte intrappolata nelle macerie e Brendan, ancora con la bacchetta puntata contro il mago, ancora in affanno.


SALUTE: 66/161
CORPO: 117/122
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view post Posted on 2/7/2015, 16:52
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«And the only solution was to stand and fight» Merlino ballerino!

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Quel tocco bruciava. I suoi pollici premevano impietosi nelle orbite dell'uomo, solo un'ombra nella sua mente, eppure quel contatto ardeva come il fuoco, aumentando di potenza insieme alla voce dell'assassino. Nella nuova oscurità di quel ricordo, gli inconsistenti muscoli della ragazza si tesero, nutrendosi di quel grido. Sì, era quello, che lei voleva vedere: l'odio, la perdizione, il rancore, la rabbia fondersi con la sofferenza e il terrore, portandosi con sé l'animo nero del mangiamorte. Le dita affondarono ancora, e al culmine dell'urlo di Sigfrid, il sangue iniziò a scorrere, cupo e brillante, dalle sue orbite. La ragazza lo guardava estendersi attraverso la stanza, in ogni angolo, avviluppandola del suo colore, scalzando l'oscurità e inghiottendo il vecchio ufficio, lei, Hazel, e anche loro due. Ancora una spinta, spietata, dentro quel cranio, e davati ai suoi occhi la maschera di quell'assassino scomparve, svanendo in volute di fumo nero come il suo mantello, rivelando il volto di Sigfrid. Un istante soltanto, la ragazza chiuse gli occhi, per poi riaprirli di nuovo: le sue mani erano pulite, tornate lungo il suo corpo, e davanti a lei, c'era un ragazzino. Boccoli d'oro, pelle di porcellana, ma lo sguardo pieno di incubo e di una troppo grande disperazione. Tra lei e il fanciullo, vi erano due corpi orribilmente riversi in una pozza scarlatta, di quello stesso sangue che avvolgeva le pareti di quel ricordo, che, ora lo vedeva, non era più suo, ma di quell'assassino.
«P-papà...Mam...ma?!»
Consapevole di sapere, muta, gli occhi sbarrati, mosse un passo verso i due corpi, mentre il fanciullo tendeva una mano verso quella pozza vischiosa e cupa che avvolgeva i suoi genitori, verso quel sangue che, forse da quel momento in poi, sarebbe stato il tributo che Sigfrid avrebbe chiesto a chiunque si sarebbe messo sulla sua strada. Nell'ultimo istante di quel ricordo, guardò i suoi occhi e riconobbe, dentro di loro, la nascita della Vendetta, prima che un lampo dissolvesse ogni particolare, riportandola indietro.

Un urlo, un'esplosione verde, e la presa sui suoi capelli che si allentava di colpo, lasciandola ricadere. Il cuore le schiatava il petto, il respiro le ardeva la gola; i suoi occhi, ancora pieni di quella nuova consapevolezza, inquadrarono esterrefatti Sigfrid, a terra, immobile. Morto.
*Chi...?*. Si voltò, concitatamente, percorrendo con sguardo impaurito la sudicia biglietteria, cercando l'altra mangiamorte, col terrore di essere il su prossimo bersaglio. I suoi occhi si posarono infine su di un cumulo di macerie, che prima non c'era, sotto cui le sembrava spuntasse il braccio di Medea. Di fianco, i muscoli ancora tesi dopo l'attacco, c'era lui. Brendan. Vivo.
Aquileia trattenne a stento la scarica di panico e pianto che sentiva salirle al petto, mentre istintivamente il busto si protendeva verso il suo amato, il dolore completamente cancellato dal vederlo lì, salvo e ancora vivo.
«Brendan... sei... lei è..?... ha la mia bacchetta!... ma io... io ho visto... lui... sono riuscita a fermarlo...» proruppe, frastornata e fortemente scossa, guardando prima lui, poi Medea sotto le macerie, poi il corpo senza vita di Sigfrid, prima di riprendere quel minimo di lucidità necessaria per tornare a guardare Brendan nei suoi occhi verdi. Ancora uno strattone verso di lui, le mani che cercavano disperatamente di liberarsi dalle funi che le legavano. Il particolare che era stato lui ad uccidere Sigfrid, che anche lui, di fatto, ora, era un assassino, venne istantaneamente relegato nel più profondo cassetto della sua mente ed ivi rinchiuso, destinato a non ricomparire mai più. «Andiamocene, andiamo alla passaporta, andiamocene da questo inferno!!!».
Non le importava di essere allo stremo delle forze; voleva solo liberarsi di quelle corde, stringere la sua mano, avere la certezza che era davvero vivo e che non era un miraggio, correre fuori da quella stazione e sparire, via, lontano.


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Il Fato

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Il silenzio che nuovamente era calato nello stanzino aveva ora un altro sapore, un sapore quasi piacevole, così dolce da far sparire quello del sangue nella bocca di Aquileia. Ora il dolore ritornava non più alleviato dall'adrenalina, oramai esaurita, ma, nello stesso tempo, esso aveva ben poca importanza quando il suo sguardo si incontrava con quello coraggioso e fiero di Brendan. «Perdonami se ci ho messo così tanto, ma non potevo rischiare di perdere l'effetto sorpresa...» Sussurrò quest'ultimo mentre era impegnato a slegare la maga. Doleva, il sangue che circolava di nuovo nei suoi piedi e nelle sue mani era bollente, la pelle pulsava laddove prima le corde la tenevano stretta. «...sono fiero di te Aquileia. Sapevo quello che avrebbero potuto farti, ho sperato fino all'ultimo che tu potessi farcela. Sono un sciocco, non avrei mai dovuto dubitare delle tue capacità.» Rimase poi in silenzio, per alcuni istanti, mentre Aquileia poteva finalmente riprendere fiato e ricomporsi. Brendan si retrasse leggermente e solo uno sguardo acuto avrebbe potuto cogliere quella lacrima che ora gli rigava il viso. « Io non sono tanto diverso da loro.» Esclamò a bassa voce. «Sono un assassino! Io ho... ucciso. Ho ucciso quell'uomo.» La voce tremante fece tremare anche il suo corpo, per quanto coraggioso poteva sembrare ai più, l'animo del giovane mago era tormentato e crepato, le piccole ferite di guerra si erano unite in un grande squarcio. Se era vero che l'animo si spaccava quando portando via una vita, allora era quello il sentimento che Brendan stava provando.


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Non c'era sensazione sufficientemente adeguata per descrivere ciò che provava nel vederlo di nuovo davanti a lei, nel sentire di nuovo la sua voce, nel percepire di nuovo i suoi movimenti e la sua presenza, nel sapere che si era salvato. Niente, né il dolore, né la fatica, né la paura che per quelle brevi e lunghissime ore l'aveva attanagliata, erano così forti da coprire la gioia, il sollievo e la speranza che ora sentiva, nell'averlo lì, di nuovo accanto a lei. «Non ho mollato neanche per un secondo la certezza che saresti tornato». Nemmeno per un secondo. Lo sapeva, l'aveva sempre saputo, anche nel momento in cui lui aveva cercato di tenerla fuori da tutta quella storia, all'inizio di quella notte; anche quando nei loro incontri c'era quel tacito silenzio permeato dalla paura di lui per la sorte di lei; anche quando si erano promessi, poche notti prima, di dare il tutto per tutto, fino all'ultimo sangue, pur di uscire da quell'incubo. Mai, mai, si sarebbero abbandonati. Era questo, che l'aveva resa forte, davanti a quel mangiamorte: la Fiducia, la Dedizione, l'Amore per lui e per tutto ciò che avevano insieme. Sollevò lo sguardo stanco in quello profondo di lui, mentre si massaggiava i polsi, formicolanti del sangue che ricominciava a scorrere e a pulsare attraverso la rete di capillari delle sue dita sbiancate. I segni sui polsi erano destinati a sparire, a differenza dei ricordi di quella notte. «Non avrei voluto deluderti per niente al mondo. Meno che mai... con Sigfrid». Pronunciò quel nome con tono più cupo e tremante, guardando il corpo ormai senza vita del mangiamorte senza riuscire a evitare di indetreggiare di un passo malfermo, ancora scossa da ciò a cui l'aveva sottoposta. Quanto ci sarebbe voluto, per lavare via quella cicatrice che le aveva messo a ferro e fuoco l'anima? Sentire il suo fiato a un millimetro dalla sua faccia, la sua voce plumbea che urlava nella sua testa, il suo grido disperato e infine quella visione... e poi... il vederlo accasciarsi al suolo, ormai annientato.
La voce di Brendan le trafisse i pensieri come una freccia, leggendoglieli senza saperlo, come aveva sempre saputo fare. La ragazza si voltò di scatto verso di lui, mentre la sua affermazione cadeva in quel silenzio, rendendolo teso ed elettrico. Il cassettino della sua mente dentro cui aveva prepotentemente relegato quello stato di cose andò completamente in frantumi. Era la verità. Legalmente, era la verità. Chiunque utilizzasse una maledizione senza perdono, chiunque uccidesse un uomo, aveva un solo destino, e quel destino si chiamava Azkaban. «Ci sono gli Auror per farsi giustizia, Brendan!» gli aveva detto, quella sera di quasi un anno prima, quando lui le aveva confessato di essere diventato uno di loro. E gli Auror non si facevano scrupoli, a rinchiudere ad Azkaban un assassino. Un brivido gelido le percorse la schiena, facendola tremare come tremava Brendan. Se l'erano preso. Paradossalmente, quei bastardi parassiti di Voldemort l'avevano infine condotto a compiere l'azione più crudele e letale per l'anima, seppur contro loro stessi. L'avevano portato a uccidere. No, non poteva permettere loro di averla vinta, non così, non con lui. Tese le mani verso le sue, afferrandogliele e stringendole nelle proprie, mentre avvicinava il proprio volto al suo, fissandolo con determinazione in quegli occhi verdi che rappresentavano tutto per lei.
«Brendan, guardami... Nemmeno davanti all'entrata dell'Inferno lascerei le tue mani. E non le lascerò davanti a questo». "Nella gioia e nel dolore", recitava la promessa per cui, prima che quell'incubo investisse la loro vita, avevano iniziato a prepararsi. Sollevò il pollice destro verso quella lacrima sottile che gli rigava il viso, per poi avvicinarsi ancora e sfiorare le sue labbra con un bacio. Avrebbero dimenticato? Quasi sicuramente no. Ma lei avrebbe diviso con lui anche quello squarcio, anche quel dolore, come aveva diviso con lui ogni altra cosa, dalla fuga di Caleb fino ad arrivare a quella notte. «Coraggio. Andiamo via da qui».
Si sarebbe mossa cautamente di un passo, a quel punto, tenendo d'occhio le macerie sotto cui era sepolta Medea e senza lasciare la mano di Brendan. Si sarebbe concessa al massimo cinque secondi per cercare con gli occhi la propria bacchetta, sperando che non fosse sepolta chissà dove, guardandosi bene dall'avvicinarsi alle macerie più del necessario. Non avrebbe atteso oltre per cercare di uscire da quella biglietteria, smaniosa di lasciarsi quella notte alle spalle - ma consapevole, nel profondo del suo essere, che non ci sarebbe mai riuscita.


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view post Posted on 23/7/2015, 00:34
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Il Fato

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Lentamente, nel giro di pochi secondi, la vicenda stava riacquistando normali ritmi. Di fronte al suo compagno, Aquileia sembrava trovare nuovo rifugio dalla sofferenza fisica e fisiologica di cui era stata vittima; la sua capacità di reagire non era altro che la conferma di essere arrivata al punto limite. L'aveva oltrepassato, in cuor suo sapeva bene che nulla sarebbe stato come prima. Per lo meno, ella credeva nel futuro, nella possibilità di fuggire con Brendan e iniziare una nuova vita lontana dai tormenti che li stavano perseguitando; le premesse c'erano tutte. Uno sguardo, un cenno remissivo con la testa del mago era il segnale che la giovane stava aspettando, era dunque il momento di andare. rispose a quella domanda: erano molto lontani, qualcuno forse quella luce non l'avrebbe mai vista. «Aquileia...» Spirò Brendan, accasciandosi sulle ginocchia dando alla maga appena il tempo di girarsi. «...la tua bacchetta è nella mia cintura, corri. » Cadde in avanti, sbattendo il viso di lato sul freddo pavimento e solo allora, quando mostrò la schiena, il pugnale che aveva penetrato la sua pelle a livello della scapola sinistra divenne visibile, mentre il sangue si spargeva velocemente attorno alla sua figura. Solo alzando lo sguardo, Aquileia avrebbe potuto notare che nel braccio che spuntava dalle macerie c'era ancora vita: Medea, non era morta, era ancora in grado di strappare alla donna l'unica certezza e probabilmente così era stato.


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view post Posted on 24/8/2015, 20:26
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«Coraggio, andiamo via da qui».
La mano della ragazza teneva ben salda quella del mago, mentre lei muoveva i primi passi cauti verso il muro ormai sbrecciato della sudicia biglietteria. Era sfinita e debole; sentiva il dolore pulsare in tutto il corpo, eppure la smania di uscire da quell'inferno era talmente forte da ridurne la percezione. Ben poche volte era stata così lucida e presente alla realtà. La sua mano si strinse istintivamente ancora di più intorno a quella di lui; mai, del resto, aveva sperimentato sulla sua pelle il terrore di essere a un passo dalla fine.
*Non siete ancora fuori pericolo, ragazzina*.
Lo sguardo cadde sul cumulo di macerie, da dove il braccio di Medea spuntava abbandonato mollemente sui detriti. Un brivido le corse su per la schiena nell'osservare quella stessa mano che, solo poco prima, la minacciava con la propria bacchetta. E la sua, di bacchetta? Nessuna traccia. I cinque infruttuosi secondi che si concesse per esaminare il pavimento intorno alle macerie si risolsero nella convizione che, per la propria vita e per quella di Brendan, una bacchetta non era di sicuro un pegno troppo alto da pagare. *Non dopo lo sguardo di Sigfrid*.
Senza voltarsi, procedendo molto cautamente, Leia si mosse iniziando ad oltrepassare il cumulo, senza poter evitare di costeggiarlo, quasi alla portata del braccio inerte della mangiamorte. Istintivamente, mentre oltrepassava i detriti, cercò di scorgere il volto - *no, la maschera* - della donna, uno sguardo dettato più dalla paura che dall'istinto di protezione. Un passo, un altro passo, la maschera che le sembrava spuntare poco più in alto del braccio, ma ormai lei era già oltre il mucchio di detriti, la mano ancora stretta su quella di Brendan. Si mosse ancora verso il corridoio, gli occhi sbarrati verso di esso che cercavano una qualunque via d'uscita. In fondo, una luce. Possibile che fosse già giorno?
*Qualunque cosa sia, non c'è nessuno che vi ostacola. Esci da qui, ragazzina*.
L'istinto prevalse, e in un altro passo, i muscoli sfibrati della ragazza si tesero per scattare. «Laggiù! Corri!» proferì al giovane, senza voltarsi, prima di scattare in avanti in quello che, più che una corsa, voleva essere un volo verso l'uscita.
Un peso, inaspettato e improvviso, frenò il suo scatto sul nascere.
«Aquileia...».
La giovane si voltò verso Brendan, il fiato corto nel sentire la sua voce stranamente roca, e quando lo vide cadere in ginocchio gli occhi le si riempirono di paura. Istintivamente si abbassò verso di lui.
«B-Brendan...?».
«...la tua bacchetta è nella mia cintura, corri.»
«Cosa...?». Non continuò. Il giovane cadde in avanti, le mani della ragazza troppo deboli e tremanti non le permisero di reggere il peso di quel corpo. Davanti agli occhi terrorizzati della ragazza, si mostrò la schiena del giovane. Dalla scapola sinistra, all'altezza del cuore, spuntava il manico di un pugnale.
Aquileia perse immediatamente il contatto con la realtà. Il sangue di Brendan sgorgava dalla ferita, iniziando ad allargarsi in una pozza scura sul lurido pavimento del corridoio. Le mani della giovane si mossero, quasi impazzite, dal manico del pugnale, alle spalle del mago, nel tentativo di rigirarne il corpo, poi al suo volto, per poi tornare di nuovo all'arma. La sua mente si chiuse, rifiutando di interpretare correttamente quello che i suoi occhi le stavano mostrando. No, non era vero. Non poteva essere vero. Sigfrid l'aveva quasi fatta impazzire, e quello doveva essere uno scherzo della sua mente
(
*eppure lo senti, il caldo del suo sangue*)
un'allucinazione. Le lacrime le rigavano il volto, e i singhiozzi iniziavano a tagliarle il respiro. Terrorizzata, alzò lo sguardo, e in quel momento le si gelò il cuore.
Dalle macerie, il braccio di Medea ora si muoveva, lento, con il movimento sicuro di chi ha appena colpito un obiettivo.
Davanti alla crudeltà profonda di Sigfrid, la rabbia e la paura che la ragazza aveva opposto e usato per difendersi dalla presa erano state le sue armi migliori. Ma la reazione di Aquileia alla vista del braccio di Medea, ancora viva, fu completamente diversa; non un istinto di difesa, ma una contrazione, una smania che le si concentrò nel ventre ma sembrava in realtà provenire da ogni recesso del suo corpo e della sua mente, un grido disarticolato
(
*UCCIDILA*)
che poco aveva a che fare con il suo cervello. Le mani si mossero da sole lungo la cintura di Brendan, ritrovando dopo brevi attimi l'alloro della propria bacchetta, e il braccio scattò in avanti. Qualunque cosa vedessero i suoi occhi, il suo cuore vedeva sangue e carne da macello.

«AVADAAAAAA....»
«Io... ho ucciso. Ho ucciso quell'uomo». La voce di Brendan, come solo poco prima, si fece strada tra i suoi pensieri in quell'istante, isieme a un caleidoscopio di immagini in poce frazioni di secondo.
«Non avrei mai pensato che sarebbero arrivati a te» ... «Forza, Chichi, tra pochi giorni ne saremo fuori» ... «Lo sai che loro non ti darebbero tregua, tieni duro» ... «Sono... sono un assassino!» ... «Ci sono gli Auror per farsi giustizia, Brendan!».
La bacchetta le cadde dalla mano, scossa da tremiti incontrollabili, e quel grido che si era impadronito di lei si spense davanti alla realtà che quell'ultimo pensiero le aveva nuovamente mostrato davanti agli occhi. La seconda parte di quella terribile maledizione le si fermò in gola, mentre il peso di ciò che stava per fare la investiva completamente, sconvolgendola ancora.
*Ucciderla...* - *No. Lui non è come loro. Tu non sei come loro. Tu non sei come loro*.
Frastornata, si chinò a raccogliere la bacchetta e si voltò, come in trance, di nuovo verso il corpo ormai senza vita del suo amato. I suoi stivaletti neri produssero un ciak sonoro, quando passarono nella pozza scura in cui il corpo del giovane era riverso. L'alienante confusione che provava non bastò per fermare i singhiozzi, e le lacrime che ripresero a scorrere sul suo viso, davanti a quello spettacolo. Lei era lì, ma contemporaneamente non lo era. Avrebbe potuto essere uno dei ricordi che aveva visto negli occhi di Sigfrid, ma era troppo vivido e troppo concreto. Nel suo inconscio, iniziò a formarsi l'immagine di tutti gli incubi che da quel momento in poi l'avrebbero tormentata. Un barlume di istintiva lucidità le fece portare le mani verso le tasche di Brendan e lungo la sua cintura, in cerca della sua bacchetta di cipresso, sperando di trovarla. *La donna è viva. Non devi lasciarle altre armi*. Se l'avesse trovata, l'avrebbe afferrata con entrambe le mani e avrebbe cercato di fletterla fino a spezzarla. *Se c'è ancora qualcuno, non avrà la sua bacchetta*. Dopodiché, l'avrebbe presa con sé, nascondendola in tasca per portarla via. E per non far rivelare a nessun Prior Incantatio che, quell'Avada Kedavra, era di Brendan. *Lui non è come loro*. Il suo sguardo si posò un'ultima volta sui lineamenti delicati di lui, su quei ricci neri ora sporchi di sangue e su quegli occhi ora senza vita. Prima di alzarsi e correre senza più voltarsi verso la luce in fondo al corridoio, Aquileia ebbe un solo, unico, lucido pensiero:
*Ti ritroverò, Medea*.


Rieccomi dopo le ferie!!

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view post Posted on 6/9/2015, 19:05
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Le parole di Brendan, pronunciate quando ancora inconsapevole che le sue colpe non sarebbero durate per molto, furono l'unica spiaggia sicura di Aquileia. Percorrendo quelle frasi, sillaba per sillaba, lettera dopo lettera, comprese che la cruda vendetta non avrebbe portato riportare il mago da lei. Avrebbe sporcato le sue mani di sangue, per sempre, probabilmente spezzando un'anima che era già troppo fragile.
Scossa e disperata, la donna fece cadere la bacchetta che rotolò sotto le macerie, a nulla sarebbe servito il tentativo di recuperarla. Decisa ad andarsene, si diresse verso l'uscita di quei tunnel maledetti. Afferrò di fretta la bacchetta di Brendan cercando di spezzarla ma forse per l'estrema debolezza non riuscì a spezzarla. Ironico come, ad una bacchetta persa corrispondeva una bacchetta ritrovata. Nello stesso tempo, il rumore delle macerie attirò l'attenzione della donna: in un secondo, Medea sparì nel nulla, materializzandosi chissà dove.

Nonostante presto Aquileia avrebbe visto la luce, probabilmente il suo cuore non la avrebbe mai rincontrata, oscurato dalla fredda sensazione di essere stata violata nell'animo e nel corpo, di aver perso l'unica cosa che per lei contava, l'unica ragione che l'aveva condotta a combattere in quell'inferno. Stava alla maga decidere cosa fare del dolore e del rancore, che fosse stata così forte da farne ragione di un nuovo inizio?

Molto bene Aquileia. Siamo giunti alla fine di questo bellissimo apprendimento.
Sei stata molto brava e seguirti è stato per me come vivere una quest in prima persona.
Apprendi:
» OCCLUMANTE APPRENDISTA [10 punti EXP]
Essendo apprendista, il pg riuscirà a chiudere la mente solo a legilimens apprendisti. Nulla però potrà, nel caso si trovi di fronte a legilimens esperti. Non sempre riesce a combattere le proprie emozioni, che sono per lui il problema principale.

Inoltre data la tua bravura guadagni: 1 EXP.

Hai perso la tua bacchetta, ma puoi utilizzare quella di Brendan, ci vorrà del tempo prima che divenga la tua arma ma puoi tranquillamente inserire nel tuo BG che riesci a gestirla nel giro di alcuni mesi.

Inoltre il tuo Patronus, se prima ne avevi uno, è cambiato. Ora è quello di Brendan.

 
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