Appena oltre la coltre

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view post Posted on 1/3/2015, 21:33
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Serpeverde
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Nell'udire la propria caposcuola mettersi in mezzo nel suo discorso, frneticando teorie più o meno valide, William si concesse il lusso di sorridere, mantenendo il suo sguardo gelido sulla tazza che in quel momento si allontanava dalle sue labbra tiepide. Era - evidentemente - giunto in quell'ufficio con l'erronea convinzione di essere affiancato nella sua idea di scrutare lungo i meandri dell'oscurità celata all'interno della Scuola di Atene dalla sua concasata. In realtà si trattava di un dibattito a tre e la cosa, nonostante la sorpresa, accrebbe in lui un senso di gioia legata al misticismo che una tale situazione poteva generare. Stavano confrontandosi vicendevolmente, ognuno ponendo sulla scrivania della conoscenza la propria modesta opinione. Non si trattava neanche di discorsi su cui vi fosse un ragionamento che potesse, in effetti, portare ad una soluzione univoca, potevano solo esprimeva la sua opinione senza freni, nel mero tentativo di imporre un'idea su un altra, a volte rimanendo invece soggiogati dal pensiero di un terzo. Quella volta, però, Rose non riuscì a soggiogare la mente del giovane prefetto. Sebbene avesse argomentato con una certa perizia il suo pensiero, quella logica era completamente estranea al giovane Black che preferiva approcciarsi al tema del tempo in maniera analitica e matematica, in modo da lasciare meno dubbi possibili alle sue membra curiose.
« E se fare qualcosa fosse esattamente ciò che dovevo fare? » Ripeté sillaba per sillaba, canzonandola. Dal suo tono si intuiva palesemente il suo scetticismo. « Quindi per lei, Rose, è tutto già scritto? Chissà dove, in quale letto siderale, esiste un libro contenente le nostre vicende? Passato, presente e futuro? E' scritto che io e te saremmo venuti qui, quest'oggi, a quest'ora, in questo ufficio a parlare di ciò? E se dunque possiamo viaggiare nel tempo non siamo forse a conoscenza di quanto sia scritto? E se lo siamo, ti prego dimmi, cosa mi impedisce di cambiarlo? O vuoi forse dirmi che il fato, così per come lo conosciamo, è immutabile solo finché non ne siamo a conoscenza? Sarebbe contraddittorio.
Siamo noi a controllare i 752 muscoli del nostro corpo così come siamo noi gli artefici del nostro destino.
»
Si voltò a guardarla solo quando il suo discorso abbandonò il punto di domanda per soffermarsi sulle vere e proprie affermazioni, quelle che servivano a chiarire la sua tesi. Generalmente William non era tipo da mettere un punto fermo alle sue convinzioni, l'elasticità dei suoi pensieri lo aveva reso la persona saggia che riteneva di essere, almeno per un ragazzo della sua età. Quel castello di idee che gli aveva propinato Emily, però, sembrava così colmo di falle da necessitare un solo colpo ben mirato della sua catapulta. In realtà non era il discorso della Serpeverde a presentare dei punti deboli, in altre occasioni Black avrebbe ponderato sulla cosa e - possibilmente - rivisto le sue considerazioni. Era il tema trattato ad aver costretto la sua volontà a non piegarsi a quelle considerazioni. Per lui non vi era spazio alcuno per le manovre del fato, lui e lui soltanto poteva decidere del suo futuro, era un gioco di scelte e possibilità, eventi e macchinazioni. Sarebbe stato lui a scrivere la sua ascesa a figura metafisica nei libri del destino, nessun altro.

Quasi si era dimenticato della presenza di Peverell, tanto che il risuonare della sua voce lo destabilizzò per un istante, portando i suoi occhi smeraldini dalla ragazza al docente di storia. A suo dire entrambe le teorie erano corrette, corrette e per per tanto errate al contempo. Del resto, era questo suo modo enigmatico e filosofico di affrontare ogni discorso ad affascinare il curioso serpeverde che non provò alcun senso di astio nel sentir giudicata la sua teoria corretta e fallace al contempo. Sebbene avesse gradito avere la meglio sull'altezzosa concasata, cedette all'idea che Ignotus - in quel frangente - non era un giudice, bensì un terzo, saggio, interlocutore. Fu proprio lui a mettere chiarezza - o almeno chiaro fu ritenuto dallo studente - sul tipo di viaggio temporale che avrebbero affrontato durante l'attività culturale. Si trattava di un libro, un artefatto in grado di portare loro in una bel delineata frazione del passato. In fondo, il concetto non era tanto diverso da quello di un pensatoio. Perdersi nei meandri del tempo, a quel punto, si sarebbe rivelata una questione ben più spinosa di quanto non avesse immaginato in precedenza e, quando il professore gli pose il suo quesito, William non esitò a rispondere.

« Le mie, professore, sono mere congetture. Eppure, se ho capito bene, si tratta di utilizzare questo libro come tramite per un passato ben definito e delineato. Immagino che - sempre tramite l'utilizzo del suddetto libro - sia possibile viaggiare più e più volte in quella porzione di tempo. Se dunque qualcuno dovesse smarrirvisi all'interno creerebbe un nuovo filone temporale, una linea B. Noi, invece, tramite il libro saremmo solo in grado di ritornare alla linea A, una linea in cui il nostro ipotetico studente smarrito non è mai esistito. »
Era per lui molto più semplice credere a diverse linee temporali, ognuna il frutto delle scelte affrontate. In quello stesso momento il destino di William si stava diramando in molteplici, infinite, vie d'evoluzione. Al contempo esisteva un William che da qui a quel momento avrebbe deciso di alzarsi e gettarsi dalla finestra dell'ufficio, un altro che avrebbe invece preferito afferrare l'ormai vuota tazza di tè e scaraventarla addosso alla sua concasata, un'altra in cui i suoi toni si sarebbero fatti accessi nei confronti del docente e molteplici altri, tra i più bizzarri ai più conformi. Quello che invece William stava vivendo in quel momento, era il semplice rimanere comodamente seduto sulla poltrona, lasciando che i suoi occhi si perdessero ora tra i polverosi libri del docente, ora tra i capelli fiammanti della ragazza seduta al suo fianco, ora alla tazza vuota che ancora reggeva in mano e che solo in quel momento si decise a poggiare sulla superficie di vetro che ricopriva la scrivania. Seguendo questa convinzione William aveva la certezza che da qualche parte, in uno degli infiniti strati del tempo, vi fosse un futuro in cui William Black era asceso alla figura di Dio, troneggiante su un mondo finalmente ripulito dal suo marciume.
Sì, giocare col tempo era una faccenda terribilmente sporca.

 
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