O Ermione. Odi?

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view post Posted on 15/2/2019, 00:24     +5   +1   -1
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entropia.

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PREMESSApremessissima (e vi suggerisco di tenerla bene a mente): da quasi un mese ho iniziato un percorso da tirocinante in tribunale e sono stata assegnata a un magistrato buonissimo, dolcissimo, garbatissimo. Ed è un dono perché il mondo è pieno di medde e io sono quel genere di persona che va trattata coi guanti: se mi tratti bene, hai una chance ma, se per caso mi tratti male, uno shottino di acqua santa e 30 Ave Maria e Cristo ti perdona prima.
Ecco, dopo il primo giorno di tirocinio, parte il totocommento.

"Niè, ma a parte tutto... il tuo magistrato oggi balbettava? Lo sentivo dal mio ufficio!"
"Oh, povero cuore! Sì! Moltissimo! A una certa s'è proprio ingolfato. Volevo aiutarlo, ma non sapevo come fare e, nel dubbio, mi sono nascosta dietro un fascicolo."
"Ma sai che è strano? Sono qui da due mesi e non l'avevo mai sentito balbettare."
"Magari, oggi era nervoso? O stanco? O tutt'e due?"
"Secondo me, sei tu che lo metti in soggezione e lo fai balbettare!"
Io, OVVIAMENTE, ridissimo perché mi sta prendendo per il culo. Invece...
"No, no, sono seria. Secondo me, la tua aria da polaretto austero lo mette in soggezione."
"Tu ti droghi! Figurati se il problema sono io!"

* * *


Ebbene, oggi è successo che ho avuto un'epifania. Come se qualcuno mi avesse improvvisamente allungato un fotogramma a colori di una vecchissima diapositiva di cui non m'ero mai accorta; o il puzzle ben assemblato di cui io avevo visto a malapena i pezzi sparsi; o il ritratto di un pittore dalla tecnica accuratissima. Insomma, mi sono vista.

Ecco, io sono - tra le tante cose :3 - una persona tendenzialmente schiva. Non come quelle che "sono troppo fiqo per questo mondo, l'hai da sudà", ma come quelle che lo sono e basta; e vorrebbero pure smettere ma... voi lo sapete come si fa?! Io no. E diciamo che il dubbio mi avesse anche vagamente colta, un giorno di Settembre che parlavo con mia cugina. Le stavo dicendo che a me le persone silenziose fanno paura perché "non sai mai come interpretare i loro silenzi". E ne parlavo proprio convintissima. Solo che mi accorgo che la mia interlocutrice sogghigna e la mia arringa è costretta a una pausa.

"Che ridi?"
"Rido perché... Lo sai di rientrare nella categoria, vero?"
Io morta.
"È inutile che fai quella faccia! Tu sei una persona silenziosa, se sei in presenza di sconosciuti o presunti tali. E, se non mi credi, sappi che 3/4 dei miei amici, subito dopo averti conosciuta, pensavano di starti sul coolo."
"Chi?" le chiedo e suona chiaramente come un voglio-i-nomi.
"Tutti quelli con cui non hai avuto una specie di imprinting. Loro sono salvi. Per dire, Matteo dice a tutti di essere il tuo preferito tra i miei amici. Mica lo sa che hai una mezza cotta per lui!"
Annuisco sommessamente. Quel ragazzo è così bello che mi fanno male gli occhi solo a guardarlo. E mi sta simpatico, e mi tratta super bene, e mi porta sempre le bottiglie di Chianti a casa, e non compra i porcini e i formaggi affumicati se andiamo tutti a cena da lui perché sa che non mi piacciono, e mi dice che sono bella pure con il turbante post-shampoo. Già che è bello come il sole. Non prendersi una sbandata è praticamente impossibile, se sta lì a sprecarsi. Ed è bello. L'ho già detto che è bello? Ecco, lo è moltissimo! Tipo quei tipi fiqissimi di Instagram che tu dici "sono fintiIiIiIi!", sennonché io ce l'ho a casa tipo 3 volte a settimane e NON È FINTO MANCO PER NIENTE, GRAZIE AL CIELO. Comunque...
"Quindi, accettalo: sei silenziosa e schiva."
"No, no e no. Sono solo... oculata nel partecipare alle conversazioni. Come diceva Nonno Libero, ci sono situazioni in cui una parola è troppa e due sono poche. :sotutto:"

Ma la verità è che l'informazione mi ha talmente colpita che continua a macinare in background, come tutti quei pensieri che so di dover elaborare meglio ma per i quali non mi sento pronta. E io sono onesta quando dico che non me ne fossi mai accorta. Cioè, sapevo di non essere la più estroversa del gruppo a meno di sentirmi a mio agio - e capita veramente di rado che succeda sa subito! -, perché io ho bisogno dei miei tempi e faccio come i gatti che rizzano il pelo per farsi più grossi di quello che sono solo perché la miglior difesa è l'attacco e non sai mai chi ti può capitare davanti. Però, appunto, non ero pronta.

Oggi, schiaffi in faccia come se piovesse per la sottoscritta.
Nelle tre settimane da tirocinante, io e il mio magistrato abbiamo raggiunto un equilibrio di disagio tutto nostro, dovuto al fatto che lui sia un uomo molto garbato e timido: io entro in ufficio e lui commenta il meteo; io faccio di tutto per trattenermi - perché lo sanno tutti che si parla del tempo solo quando non sai che dire - e ribattere con disinvoltura; commentiamo i casi e li decidiamo; lui mi assegna pile di fascicoli che esco dall'ufficio col cervello liquido e solo i colori del tramonto su Ponte di Mezzo (click) riescono a ridarmi un tono; io non manco un appuntamento e faccio tutte le mie ricerchine per decidere in modo assennato i casi che mi lascia completamente in mano; lui mi porta in udienza e io fingo che la sedia del potere non mi dia alla testa come il sangiovese dello scorso post. Ah sì! E lui balbetta molto meno, quasi niente. Insomma, equilibrio.
Oggi, esordisce d'improvviso con una profferta.

"S-Sai, la collega mi ha lasciato due pe-ezzetti di torta fatti da lei. Ti va di assaggiarli?"
Fingo scioltezza come la versione albina di Viola Davis in tribunale. Ma interiormente sono scioccata perché è un momento di svolta nel nostro rapporto fatto di "freddino oggi, eh?" "Oh, molto! Gelavo per la via!". Medello si diverte un sacco ad avere i resoconti.
"Oh! Sul serio? Con piacere! Grazie!"
"P-Prego! Ho pensato che potesse farti piacere."
Gli sorrido. È il massimo che posso concedergli? No, fai uno sforzo.
"È così!" Menghia, più Nieve meno Rigos! "È stato molto gentile!"
Lui s'imbarazza e, con la scusa di portare un fascicolo in cancelleria, lascia l'ufficio.

Ecco, come dicevo prima, oggi è successo che mi sono vista. C'è voluto l'imbarazzo di un uomo di più di 50 anni con una carriera più che ventennale alle spalle, per farmi scoprire la portata della mia ritrosia e dell'effetto che ha sugli altri. E lo so che non dovrei ridere, ma mi fa così ridere perché sapevo di essere pigna, ma questo è tutto un altro livello. E torno a casa e...

"RAGAZZI! Non potete capire cos'ho scoperto: il problema del rapporto tra me e il magy sono IO."
"Potrei fingere che la cosa sia sorprendente..."
"... ma lo sapevamo tutti."
Rido. In effetti, me lo avevano anche detto.
"I primi giorni del tuo tirocinio saranno stati i più lunghi della sua vita."
"Ma fermi, FERMI! Non è tutto! Ho capito che la cosa è più grossa di così. Non è solo il magistrato. In generale, il fatto che le persone non riescano ad avvicinarmi è... È COLPA MIA!"
"E anche questo non mi sorprende."
"Già già. Cosa si prova?"
Rido ancora perché sapessero.
"Hai pensato di rifiutare la torta, vero?"
E, invece, sanno. Annuisco.
"Però, non l'hai fatto. È già qualcosa!"
È vero. Baby steps, gurl. Baby steps! Sennonché, d'improvviso, un dubbio m'assale.
"Ma... non è che ora si aspetta che io faccia qualcosa, vero? Perché non... :fix:"
"Io vi shippo!"

Enniente. Questa giornata me la segno perché mi assegno il premio pigna dell'anno, perché mi sono resa conto di quanto sia fortunata ad avere incontrato persone che hanno visto oltre lo strato di ghiaccio e hanno aspettato che sbrinassi (conosco persone super pazienti, è così!), perché penso che non si possa essere davvero così sceme, perché so che lo rileggerò fra sei mesi e me la riderò tantissimo e magari mi spronerà a migliorare (o sarò già migliorata! :ue:). Ma, soprattutto, per dirmelo. Per accettarlo. Per fare chiarezza. Perché è la verità.

Il problema sono io, altroché.



S-s-s-scu-u-u-usate!
 
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view post Posted on 21/4/2019, 22:27     +1   -1
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I'm shattered porcelain,
glued back together again.



Edited by ~ Nieve Rigos - 17/5/2019, 15:13
 
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Sei mesi fa avrei pianto per il modo in cui mi hai parlato ieri sera.
Per il modo in cui — inconsapevolmente, lo so — hai tentato di sminuirmi.
Per i sentimenti che ti ho visto dipinti in volto, simbolo di un'ingratitudine che non mi merito.
Avrei pianto anche quattro, tre, due mesi fa. Forse perfino uno.
Ma non ieri, non oggi.

Se avessi anche solo vagamente idea di quello che ho passato e sto passando a fasi alterne, non avresti reagito così. O forse sì e, allora, poco importa. Ma non lo sai perché io ti ho protetta con l'ostinazione che solo io so dimostrare; perché ho finto per alleggerire i tuoi affanni e, da ultimo, mi sono anche schierata davanti a te per pararti dagli ultimi colpi della vita. Lo rifarei infinite altre volte, pur sapendo a cosa andrei incontro; pur avendo piena cognizione della brutalità dell'urto e, soprattutto, del dolore che viene col frantumarsi quando sei già a pezzi. Ma non piangerò più, sentendomi delusa dalla tua incapacità di rispettare, prima ancora che capire, questa parte di me.
L'unico momento in cui mi si è stretta la gola non lo imputo a te. È stato sentire Danilo prendere le mie difese a farmi vacillare, in preda alla commozione. "Forse tu non te lo ricordi, ma quella sera la frase che ho ripetuto più spesso è stata 'Dov'è Erika?' perché continuava a sparire durante la cena" ha detto e potrei piangere perfino adesso solo a pensarci, se non mi mordessi il labbro così forte per trattenermi. Mentre avevo di fronte un muro di rabbiosa incomprensione — tu, che provi rabbia verso di me, è l'emblema di un'irriconoscenza che non voglio rinfacciarti, perché non sono quel genere di persona; perché mi farebbe male vederti stare male; perché il rancore è un diserbante che uccide ciò che è vivo e nutre le erbacce e io non voglio che calcifichi nel mio cuore — e provavo a farti capire come stessi con una flemma che non so nemmeno spiegarmi, Danilo esprimeva per l'ennesima volta il suo supporto senza farmelo notare. E mi ripeteva, a modo suo, quello che già gli ho sentito confessarmi: "Io non ti capisco sempre, perché non ho passato quello che hai passato tu, ma ci voglio provare lo stesso".
L'ho ricacciato giù, il nodo, e ho continuato con la stessa pacatezza.
Ho cercato il tuo sguardo non per scagliarti contro il Kraken, che mi ha lasciata condurre il gioco ora che, poco alla volta, stiamo imparando a parlarci e a capirci; a fare lo sforzo di non pretendere dall'altro qualcosa che non può darci e di dirci la verità, anche urlando di disappunto se necessario.
L'ho cercato perché volevo che vedessi chi sono diventata, adesso che sto riscoprendo la tempra che per almeno due anni ho smarrito nell'oblio del tormento. Volevo che scorgessi nei miei occhi la risolutezza che mi ha concesso di raggiungere un risultato dopo l'altro, pur nella baraonda della battaglia coi miei demoni e nell'assoluta assenza di punti cardinali.
Soprattutto, volevo che ti rendessi conto di quanto fiera sia di me stessa.
Perché lo sono, tantissimo.
Quindi, di ieri sera, è questo che voglio portarmi dentro e ricordare: la consapevolezza che ci sia qualcuno disposto a vedermi e capirmi, anche quando la faccio difficile senza volerlo o controllarlo; e la certezza di essere sulla giusta via. Poco importa che abbia le ginocchia e i gomiti sbucciati, le scarpe mezzo rotte e le giunture che dolgono. Ci vorrà più tempo, ma arriverò alla meta. E il rancore e la delusione li voglio lasciare sul ciglio della strada dove ci siamo incontrate ieri sera, sperando di rincontrarti più avanti e di ottenere da te qualcosa di diverso; qualcosa che renda il mio viaggio più semplice e la sosta piacevole.
Intanto, nel silenzio che ci stiamo scagliando addosso, spero che tu lo senta.

Che sono fiera di me e che sto imparando a volermi di nuovo bene.
 
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view post Posted on 21/12/2019, 12:29     +6   +1   -1
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È da un pezzo che questo post mi frulla in testa, ma ho continuato a rimandare finché i giorni si sono fatti settimane e le settimane mesi — un po’ per pudore, un po’ per quella dose di (mal)sano scetticismo che mi porto dietro da una buona fetta di vita, un po’ perché sì.
Ma la valanga d’amore che ho ricevuto in uno dei periodi più complessi della mia esistenza si merita uno spazio. Come il resto di questo blog, è probabile che io non ci ritorni mai più perché espormi mi mette vergogna — vergognissima! — e il desiderio di cancellarlo sarebbe così forte da stressarmi. Per pigna dura che sia, tuttavia, sento il bisogno di fissarlo per non scordarmene più, per non scordarmene mai. E sono tante le cose che voglio ricordare a futura memoria.

○ Le domande, quelle genuine, fatte solo per capire senza nessuna pretesa di giudicare.
○ Le frasi gentili, genuine, scritte e pronunciate nei momenti più opportuni: “Vorrei morire qui e ora, ma continuerò pur di vederti ridere come stai facendo adesso”; “Mi manchi così tanto. Non vedo l’ora di vederti, a Febbraio, perché mi mancano le nostre chiacchierate e ne abbiamo di cose da dirci, ora in particolare”; “Ti preparo un te, vuoi?”; “Ma per noi sei bella così come sei, diglielo anche tu a mamma, Sid”; “Ieri sera non ho bevuto vino per solidarietà”; “Sei una donna molto, molto intelligente, credimi”; “Non me ne sarei andato mai finché non ti fosse passata, finché non ti fossi calmata e addormentata, anche se mi avessi chiesto di lasciarti da sola”; “Spiegami perché voglio esserci”; “Io ci sarò sempre per te, dovunque saremo, e correrò da te tutte le volte che me lo chiederai”; “Io sarò seeeeeempre qui!”.
○ I gesti d’affetto, quelli spontanei, come coprirmi con un plaid, chiamarmi alle dieci di sera perché “stavo pensando a quella cosa che mi hai detto un paio di settimane fa e di cui non mi sono scordato, domani che fai ché ci lavoriamo?”, i vocali luuuunghissimi per dirmi che va bene o strapparmi un sorriso o quelli per raccontarmi e farmi compagnia durante il tragitto casa-lavoro che iniziano sempre con un “buoooongiorno, bimba”, i regali di Natale piazzati prima del tempo perché “ne hai chiaramente bisogno adesso” e anche quelli che per ora non posso usare — rido! — ma che non vedo l’ora di poter usare.
○ Le chiamate degli amici quando la mia gattina è stata male e io sono quasi ammattita e gli sforzi di chi era disposto a fare di tutto per aiutarmi a distanza — “Ora, vado a parlare coi miei professori di veterinaria e mi informo su tutto. Ti chiamo stasera!” — sapendo quanto lei sia importante per me.
○ Le videochiamate per vedere proprio lei, la bimba, che sente la mia voce e cerca di capire dove io sia; e lancia un miagolio come a dirmi “ti sento, mami”. Mi trema il cuore!
○ La comprensione e, Dio, la pazienza — “Tu sei come Lessie: sparisci per un po', ma poi torni sempre. Magari, ti si fa una fischiata ché ti viene il dubbio che ci siamo presi un Labrador nel frattempo!”. Rido.
○ I Sabato sera, quelli trasgressivi, trascorsi a bere camomilla e parlare fino alle due e mezzo di notte con un amico che “Aspetta, tu non puoi sganciarmi una bomba così e pretendere che me ne vada: ora mi spieghi bene finché non mi capacito.”
○ I sacrifici, quelli piccini ma belli, che non passano inosservati e mi strappano un sorriso — “Io lo odio ‘sto film, ma, se vuoi vederlo, lo vediamo. Tanto, sola non ti ci lascio!”
○ I complimenti, quelli che non mi aspetterei mai nella vita, fatti in modo così sincero da rendermi impossibile dubitare della loro veridicità; quelli che leniscono e strappano uno sfarfallio di piacere piccolo piccolo.

Quale che siano le cose che ho fatto per meritarmi di avere una tale rete di supporto tutt’intorno, mi sento così profondamente grata per avervi che non saprei esprimerlo mai a voce — ma mai, mai, mai, mai — nel modo opportuno. Però, siete importanti, siete speciali, siete delle persone bellissime e non vi cambierei con nulla al mondo.

Siete le mie lucine di Natale. ♥


 
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view post Posted on 19/5/2020, 19:24     +8   +1   -1
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“... è un continuo, spaventoso succedersi di detonazioni. Siamo sotto attacco. La visibilità è scarsa, l’udito compromesso, la carne lacera per le schegge. Respirare è impossibile: troppe, troppe polveri.
Avanziamo alla cieca: a volte, la facciamo franca; altre, causiamo un’esplosione ancora e rimaniamo incastrati in uno spaziotempo che si muove al rallenti.
L’esercito è prostrato. Servono rinforzi.
Non trovo i miei compagni — ne ho mai avuti?
Mi rannicchio sul terreno, accanto al corpo trivellato di un soldato caduto — ha il mio stesso viso, noto con orrore.
Chiudo gli occhi. Non voglio guardare.
Passerà. Sta finendo. È solo questione di tempo, mi dico. Uno stupido, maledettissimo incubo.
Ci si può svegliare anche se si hanno gli occhi aperti?
Signorsì, signore. Dev’essere così. Lo è per forza. Si alzi.
Più codardo di un disertore: ecco cosa sono. Almeno, quello ha avuto il coraggio di filarsela prima che la situazione peggiorasse. Io, dal canto mio, non me ne sono accorto per tempo. Che la guerra stesse per scatenarsi, intendo. Se l’avessi capito, sarei fuggito, no? Chi non lo farebbe?
Bugiardo. Non solo cagasotto. Pure bugiardo. Si vergogni, soldato.
Sono rimasto. Sono qui, adesso.
A palpebre serrate, copro la bocca per trattenere i lamenti. Se non lo facessi, attirerei le mitraglie e i fucili nemici — hanno il mio volto anche quelli?
Poi, d’improvviso, un’altra mina esplode sotto di me.
Dentro di me.
Silenzio.
Finalmente.
... o forse no.

Soldato semplice
E.G.”



Scenario bellico — Rapporto dal fronte
Stanzetta entrando a sinistra, lettino con la trapunta a righe colorate
Pisa, 19/05/2020

 
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view post Posted on 14/5/2021, 08:18     +12   +1   -1
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Ho passato una vita d'inferno e realizzarlo, poche settimane fa, mi ha quasi fatto piangere. Mi ero sempre convinta che solo gli ultimi 3/4 anni fossero stati molto difficili, che avessi avuto un'infanzia perfetta, che i miei problemi fossero di 'recente acquisizione'. Invece, scavando e guardandomi dentro, ho scoperto di aver iniziato a stare male molto prima di quanto credessi. Perfino prima dei miei 8 anni e mezzo.
Dirlo (scriverlo) mi fa battere forte il cuore: per la rabbia, per la frustrazione, per la tenerezza. Ero così tanto piccola e così tanto, tanto sola.

Gli ultimi 3 anni, per me, sono stati una giostra che continuava ad andare verso il basso, finché non sono stata attorniata dal buio più fitto. Non c'erano alti. Era sono un grande, lungo, insopportabile basso.
E, a Maggio dell'anno scorso, mi sono spezzata. Così forte che ho sentito un crack sordo annunciarmi che avevo smesso di tenere duro. Non è che io, il fondo, l'ho solo toccato. L'ho scavato e raschiato e ci ho strisciato sopra finché di me non sono rimasti che brandelli di carne e ossa esposte. E tutto bruciava fortissimo.

Io, che per una vita mi ero vantata della mia capacità di farcela sempre e comunque, non ce l'ho fatta più.

Fast forward to oggi, dove non credevo sarei mai arrivata. A dicembre 2020, tutta acciaccata e spaventata, tutta tremante, capisco di dover cambiare la mia vita professionale. Sento che merito di essere felice e che la sola cosa che mi abbia mai reso tale - perfino quando ero una bambina triste e sola - è la scrittura. E continua ad esserlo.

È questo che voglio fare nella vita, realizzo: scrivere.
Prendere consapevolezza del mio desiderio, però, mi annichilisce. Significa mettere da parte anni di studio universitario, ricominciare a formarsi, andare incontro a un'incognita così grande da avere i contorni di un salto nel vuoto. E se non ci riuscissi? E se mi beccassi plurime porte in faccia? E se mi venisse detto che scrivo male? So che ne morirei e che non saprei cosa farne di me.

Ma io, in quel vuoto buio, ci ho vissuto per tutta la vita. Se devo saltare, dopo tutto quello che ho passato, mi dico: "salta, Erika, cazzo! Salta e basta!"

E salto. Mi ci rituffo nell'ignoto, ancora claudicante per gli effetti sconvolgenti di 6 mesi di pura agonia con il corpo e il cervello sottosopra. Salto e basta, cazzo.

E succede che, dopo solo 4 mesi di studio matto e disperatissimo per perseguire il mio sogno di una vita, vengo contattata da due aziende.
E succede che una delle due mi assume e mi fa firmare il contratto proprio ieri.
E succede che, in quell'ambiente di lavoro, trovo una mamma tutor che somiglia a Lady Cocca di Robin Hood e che adoro. E che trovo un capo che mi dice "Alla fine dei 6 mesi, io ti voglio assumere a indeterminato".
Io, cinica: "Andrea, non mi conosci nemmeno. Vedi come lavoro prima ché magari faccio danno e te ne penti."
E lui: "Impossibile. Farò di tutto per farti rimanere."

E succede anche che apro un profilo Instagram dove faccio divulgazione, e che apro un blog e lancio un podcast di cui vado fierissima, e che le persone mi contattano per dirmi quanto le abbia aiutate, e che stringo nuove amicizie e ne recupero di vecchie e conosco persone bellissime che mi fanno sentire voluta bene e consolano quella piccola bimba che vive ancora in me e scappa sempre dagli altri per paura di essere abbandonata - "ti lascio prima io così non puoi lasciarmi tu" è sempre stata la mia filosofia di vita. E mi esplode il cuore di gioia perché, forse, sto imparando a non scappare più dalle persone cui voglio bene.

Soprattutto, succede una cosa che non pensavo potesse succedere così "presto". Smetto di vergognarmi di me e rivelo al mondo di soffrire di disturbi mentali. Mi ca'o malissimo e ringrazio gli antidepressivi e le benzodiazepine perché, altrimenti, avrei avuto un attacco di cuore. Ma lo faccio perché, diamine, non ho nulla di cui vergognarmi. E non voglio che gli altri si sentano soli nello stare male. Voglio che sappiano che stare male non debba essere motivo di imbarazzo e che una diagnosi non è tutta te. C'è molto di più in me, in te, in tutti di un'etichetta.

C'ho ancora l'ansia, eh. E tutti gli altri sintomi demmé che mi fanno stare rannicchiata sotto le coperte, o venire la nausea, o flashbackare malissimo, o avere paure assurde sul rifiuto e l'abbandono, o dissociarmi, o non sentirmi mai all'altezza, o altre migliaia di cose che ve faccio crescere la barba se continuo a elencarle.
Ma ho anche degli amiki bellissimi (nuovi e vecchi) che mi stanno vicino, un lavoro che mi piace, scrivo per vivere, sorrido molto di più, bacio gattini e canini per pet therapy, aiuto gli altri a stare meglio e mi voglio un po' più bene.

Enniente.
Sono Erika.
Soffro di disturbi mentali.
Mi sono fatta biondo platino.
Faccio la copywriter!!!!
E ti dico che può andare male malissimo per un po', ma può andare anche bene benissimo se resisti.
E chiama un cazzo di psicoterapeuta se stai male, ché la tua salute mentale è importante, scemin*.
O, al limite, scrivimi e ti aiuto io (a trovarne uno, obv).
Cià. ❤️
 
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view post Posted on 13/5/2023, 10:25     +4   +1   -1
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”Avrei voluto abbracciarti di più”

Risveglio post-traumatico, 13/05/2023.
Mi manchi.
 
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view post Posted on 16/8/2023, 14:40     +2   +1   -1
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”Erika, le sedute aggiuntive di agosto sono pensate per continuare l’elaborazione del ricordo. Quindi, se non riesce a venire, rimandiamo alla prossima volta.”

Il percorso da casa mia a Cascina si fa in 12/15 minuti in macchina. Non se vado a 120 km/h. In quel caso riesco a farlo in 6/7 minuti.
C’è una spinta ipomaniacale che mi chiede adrenalina. Che alza il volume della radio finché non sento neppure il sussurro fastidioso dei miei pensieri e tutto quello che vedo è la strada. La macchina trema un po’, ma io sono solida -una statua di pietra con lo sguardo di marmo fisso sull’asfalto. Non perdo mai la concentrazione. Mi aggrappo alla realtà e allo stimolo di correre.

Sto scappando, credo. Dai fantasmi, dagli incubi, dall’insonnia, dalle emicranie, dai flashback, dall’ansia, dal panico, dal pensiero ossessivo di questi ultimi mesi -“Un giorno, la mia vita sarà normale?”.
Lo so che il concetto di normalità è fuggevole e storpio, ma per una persona come me è un idillio. Forse dovrei parlare di semplicità o forse non dovrei dargli una connotazione. Quello che intendo dire è “un giorno la mia vita smetterà di essere com’è ora?”. Passerò, ad esempio, un ferragosto senza mal di testa perché con il caldo gli psicofarmaci funzionano di meno? O senza mal di pancia perché li ho presi a stomaco vuoto, dimenticando di non aver fatto colazione? O andrò a fare la spesa senza aggirarmi tra le corsie sbattendo contro i carrelli della gente e tornando a casa piena di lividi perché vado in iperventilazione tutte le cazzo di volte?

“Ale, stanotte mi hai detto di stare tranquilla? Di stare tranquilla perché c’eri tu con me? Ho questo ricordo, ma non so se l’ho sognato o meno.”
“Sì. Hai cominciato a tremare e a piangere come se ti stessero facendo del male. Allora ti ho abbracciata e rassicurata.”


Quindi, scusa se ho paura di scavare, Desirèe. Lo so che fai il tuo lavoro e che tenti di aiutarmi con l’EMDR. Che probabilmente andare avanti mi farebbe stare meno peggio. Ma ho una paura così fottuta che non so dirtelo. Non so dirlo nemmeno a me stessa. Ce lo dice il mio corpo con le occhiaie, la stanchezza, il pallore, i segni dello skin picking, i lividi, la tristezza, le lacrime sempre sull’orlo delle ciglia quando ci vediamo e tu non mi hai ancora chiesto “come sta oggi, Erika?” perché io lo so dove andremo a parare dopo i convenevoli. E la mia mente vede già le immagini e sente tutto quel dolore e riesco solo a piegarmi sulla sedia e a coprirmi il viso con le mani.

“Quando ti decidi a scendere, magari…”

Mamma lo ripete continuamente. C’è quella sottile nota di rimprovero, quasi che non mi stessi impegnando abbastanza. Del resto, sono 5 anni che vado dalla psicoterapeuta. Vaglielo a spiegare che mi porto dietro 20 anni di traumi. Quando provo a farglielo notare, la sua risposta è “eh lo so… ma prima o poi bisogna fare i conti con il proprio vissuto e andare avanti perché la vita è così”. GRAZIE AL CAZZO, MAMMA.
Dillo alla versione di me bambina e adolescente che hai fatto sentire invisibile prima e prematuramente adultizzata poi. È di loro che mi sto prendendo cura io. È dei ricordi che le tormentano e con cui hanno dovuto convivere che stiamo pagando le conseguenze.

“Ehi, stai bene? Posso fare qualcosa per te?”

Sto piangendo, rannicchiata, su un gradino a Piazza Guerrazzi. È morta anche lei, che mi ha cresciuta. L’ultimo messaggio che le ho scritto -e a cui lei non ha avuto il coraggio di rispondere, perché so quanto male le avrebbe fatto- è stato “Ti voglio tanto bene”. Allora mi accascio in pieno giorno sotto lo sguardo dei passanti.
È una signora insieme a degli amici a fermarsi, ma io le dico che va tutto bene e la mando via. Per pudore. C’è pudore nel dolore? Se sì, perché?

“Soffri di PTSD nella sua versione Complex.”

Sono sempre in stato di allerta. Questo vuol dire che se tu esci a fare la spesa, io temo che nel tragitto possa succederti qualcosa; per questo non ritardare mai senza avvisarmi. Significa che da 5 giorni Ania non sta bene e io vivo con un’angoscia che mi fa mancare l’aria, pensando ad ogni scenario negativo possibile. Soprattutto il peggiore. Soprattutto dandomi la colpa.
Significa anche che ho Sid a casa e mi sento una merda all’idea di non dargli abbastanza attenzioni. Sono una cattiva madre? Si sente abbandonato? Quando sto con lui, è Ania a sentirsi abbandonata? È questo che la fa stare peggio? E se anche a Sid succedesse qualcosa a causa mia?

130 km/h

Non voglio tornare a casa. Voglio continuare a guidare finché non dimentico come mi chiamo e quale cazzo di svolta ho preso.
 
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view post Posted on 11/9/2023, 20:26     +5   +1   -1
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Il mio migliore amico delle superiori si è sposato esattamente due mesi fa.

Fa strano parlare di lui - pensare a lui - dopo tanto dall'ultima volta che ci siamo sentiti. Eppure, non riesco a smettere di farlo da settimane. Lo vedo sorridere nel video del matrimonio e il cuore mi si riempie di gioia. La sua felicità è la mia, come se gli anni non fossero passati e le nostre strade non si fossero separate. E quasi non me ne rendo conto, ma sorrido insieme a lui tutte le volte che lo visualizzo fare altrettanto in quei pochi secondi condivisi su un social media.

Il suo sorriso è sempre lo stesso. Lo sono anche i suoi occhi buoni.

Angelo è una delle persone cui ho voluto più bene in vita mia. Mi lega a lui quel genere di sentimento che ti prende le viscere e non te le lascia più andare. Una specie di corda che puoi provare a strattonare, bruciare, recidere: rimane sempre lì, le estremità legate a me e lui, anche quando non vorremmo. E ce ne sono state di occasioni in cui avremmo voluto rinnegarci. O, forse, abbiamo solo finto per orgoglio. Voglio bene così soltanto a un'altra persona.

Non riuscirò mai a essergli indifferente e lui non riuscirà mai ad essere indifferente a me.

Sono anni che non torno in Sicilia. I miei problemi di salute mentale me lo impediscono, al momento. So con certezza, però, come andrebbe se ci vedessimo. L'istinto ci porterebbe a ignorarci, guidati dall'imbarazzo di un silenzio così lungo; magari anche dalla paura del rifiuto. Sorrido mentre scrivo perché so anche che lui farebbe l'idiota per attirare la mia attenzione. Questo mi lusingherebbe e riderei perché idiota lo è davvero.
Se tornassi, vorrei avere il coraggio di rompere il muro di paura che mi tiene prigioniera. Vorrei sfiorargli un braccio e dirgli "Ehi" e guardarci lottare inutilmente contro le lacrime per tutte le parole che non siamo riusciti a dire e che non saremo in grado di far salire in superficie.

Mi mancano i tuoi abbracci.

Mi hanno confortata in alcuni dei momenti peggiori della mia vita. Fuori dalla chiesa, dopo la morte di mio nonno, quando sarei voluta crollare. Lì, quando non riuscivo a comprendere se il mondo attorno a me fosse reale o se lo stessi solo immaginando. Mi hai preso il viso tra le mani e lo hai baciato, ogni porzione di pelle. Hai asciugato le lacrime con le labbra, poi mi hai stretta forte. Piangevi anche tu. Piangevi per me, per il dolore che leggevi nei miei occhi, perché non riuscivi ad essere indifferente a tutta la sofferenza che mi avevi visto patire nei 5 anni passati insieme.

Ti ho mai ringraziato per questo? Per l'amore che mi hai dato?

Giocheresti con Ania. La faresti impazzire al punto che ti salterebbe addosso, adorandoti. E il mio cuore esploderebbe perché ti vedrei riversare un altro pezzettino di quell'amore nella mia vita. Come quando mi tenevi le mani di nascosto, di notte, nella macchina di Sciò. Come quando, quella sera nella macchina sotto la pioggia scrosciante, ho impedito che la nostra amicizia sconfinasse. Non è quello il genere d'amore che ci lega. Lo so che può confondere, che è forte e travolgente, ma non doveva andare in quel modo e io l'ho capito, pur avendo dubitato. Come te.

Hai sposato la fidanzatina delle superiori. La love story delle commedie romantiche.

A me lei non è mai piaciuta. È dolce, una bravissima ragazza e ti ama senza riserve - lo ha sempre fatto. Eppure, non è brillante come te. Non possiede la tua intelligenza dinamica, le tue abilità di argomentazione, le tue capacità di studioso. Oggi mi rendo conto che non importa, che ti ha sempre reso felice e che lo fa ancora adesso. E lo sono anch'io per voi due, felice intendo. Sono felice che tu non l'abbia lasciata per me. Sono felice di non averlo permesso. Sono anche felice - egoisticamente - delle sere che hai preferito lasciarla a casa e uscire con me dopo il calcetto; delle volte che siamo stati chiusi in macchina a parlare fino a tarda notte senza che lei lo sapesse; delle volte che nell'ombra hai cercato le mie mani, incurante del fatto che gli altri potessero notarlo. Lo sono perché ogni gesto nutriva di nuova linfa la corda, placando il bisogno reciproco di sentirci vicini.

Siamo persone diverse con vite diverse.

Rimane questa realtà. Quindi, non vorrei che le cose cambiassero. Non spererei di tornare ai vecchi tempi - non fosse altro che per rispetto di tua moglie e del mio ragazzo. Ci siamo allontanati perché troppo diversi, per aver preso scelte differenti ed essere diventati persone agli antipodi. Questo rimane e mi va bene. La distanza deve rimanere. Nessun mescolamento di carte.
Però... mi piacerebbe sapere come stai ogni tanto. Poterti vedere quando torno in Sicilia o quando vado a Torino, dove so che sei andato a vivere - quanto sono felice per questo tuo altro risultato! Bravo, amico mio! Mi piacerebbe prendere un drink con te, ridere con te (Dio, se mi manca!), accapigliarmi buffamente con te per determinare chi sia più stupido dell'altro, rievocare il passato e darci reciprocamente la colpa delle litigate tra una risata e l'altra.

La verità è che mi manchi. Anzi, che ti voglio bene. Tanto.

Quando non puoi smettere di volere bene, provi sentimenti contrastanti. Come me che sono felice per Angelo e ognuna delle sue conquiste, ma sento una grande malinconia. "Contattalo e fagli gli auguri per il matrimonio" suggerisce mamma. "Avevate un così bel rapporto. Vi volevate davvero bene, voi due". Eh, mamma, lo so! Ci vogliamo bene ancora. È questa la fregatura. 8 anni e sono ancora qua a scrivere di lui, a immaginare di tornare nella città dove risiedono tutti i miei traumi e beccarlo casualmente in un bar.

Mi immagino coraggiosa nelle fantasie, ma so che sarei codarda nella realtà.

Non sarei capace di dirgli tutto quello che penso e provo, tipo che gli voglio bene e che sono fiera di lui. Che mi dispiace aver mancato di rispetto a tutto quello che avevamo costruito, lasciando che il silenzio lo sommergesse. Che non ho dimenticato quel giorno fuori dalla chiesa. Non ne sarei in grado perché, come Nieve, mi hanno insegnato a reprimere quello che sento.
Avete presente quando viene il singhiozzo e si trattiene il respiro per farlo passare? Ecco, da bambina e adolescente io dovevo fare così ogni qualvolta provavo un'emozione. Bocca chiusa e denti serrati.
Ecco perché non direi nulla ad Angelo. Forse, non lo fermerei neppure al bar, non mi prenderei neppure l'abbraccio che tanto mi manca, poggiando la guancia sulla sua spalla. E mi tormenterebbe il rimpianto di non aver provato, la certezza che lui avrebbe capito perfino il mio silenzio, che avrebbe preso un altro pezzetto del mio dolore per farlo suo.

La verità è che tutto questo non è importante.

Fintantoché è felice, i miei sentimenti non importano. Finché il suo lavoro lo entusiasma, la sua vita lo soddisfa, il suo matrimonio va a gonfie vele, va tutto bene. E spero tanto che la vita gli riservi delle sorprese meravigliose ad ogni svolta, che possa sorridere ogni giorno, che incontri persone belle come lui che gli donino lo stesso affetto spassionato di cui lui è capace.

Se doveste incontrarlo, trattatelo bene. È il mio migliore amico.
 
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view post Posted on 14/9/2023, 22:56     +2   +1   -1
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entropia.

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Angelo è diventato parte di un ricordo che sto elaborando. O, meglio, lo è sempre stato.

Quando inizi un lavoro di elaborazione dei vissuti traumatici, lo fai perché il tuo cervello ha conservato intatte solo le memorie terribili che non è riuscito a immagazzinare come ricordi. E il lavoro di esplorazione è doloroso.
È come immergere la testa nell’acqua bollente ed essere toccato da qualcosa di cui non sai distinguere la natura. Fa male, tantissimo, e paura.

Ma Angelo no. Lui è un pezzetto di bellezza nel mezzo del delirio.

Oggi, la mia psicoterapeuta mi ha detto che è parte del percorso di elaborazione l’aver ripescato questo ricordo. Significa aver aperto lo sguardo ad altro che non fossero i momenti più terribili di quei giorni. Significa che quel gesto d’amore, davanti alla chiesa, mentre ero disancorata dalla realtà e avevo il cuore in pezzi, mi ha salvata. Un po’, solo un po’. Ma lo ha fatto. E l’idea che un rapporto per me così importante mi stia salvando a distanza di tanti anni mi commuove a una profondità che non so spiegare.

È banale, ma “Dopo tutto questo tempo? Sempre.”

Te lo dirò, un giorno. Seduti a un tavolo, ti guarderò gli occhi buoni e ti dirò che mi hai salvata, allora come ora, con l’immensità disinteressata del tuo amore. E ti ringrazierò per questo con la voce rotta per la gratitudine e l’imbarazzo di chi non è proprio abituato a esprimere le emozioni a voce, ma inizia a fare qualche tentativo. Mi abbraccerai, piangeremo tantissimo e poi mi rimprovererai simbolicamente di averti fatto piangere così tanto. E io risponderò che mi piacciono le entrate in grande stile, specie dopo essere mancata per tanto. E tu mi guarderai con immutata tenerezza negli occhi come a dire che non sono cambiata affatto.

”Hai pensato di contattarlo, Eri?” chiede mio fratello in macchina, oggi pomeriggio.

Potrei, ma non voglio. Non è così che deve accadere. Non voglio i messaggi. Non voglio un cellulare davanti a me. Non voglio che i toni si fraintendano, che tu possa perderti anche solo un frammento minuscolo del bene che ancora resiste dentro di me. Devi vederlo, tutto.
Tu non lo sai che io mi aggrappo a noi, proprio adesso, per il mio percorso di terapia. Che mi hai regalato un sospiro di sollievo, il primo da tanti anni. Che mi è sembrato di vedere uno spiraglio di luce in un tunnel lungo e buio. E ti ringrazio.

A presto.


Edited by ~ Nieve Rigos - 16/9/2023, 19:21
 
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view post Posted on 20/3/2024, 19:42     +1   -1
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entropia.

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Oggi sono stanca, ma stanca davvero. Non che mi stupisca, in effetti. Sono un paio di settimane che dormo male, dopo aver toccato — anzi, sfiorato — quel ricordo in terapia. E ho passato la giornata fuori per realizzare delle interviste, poi per prendermi cura di Ania. Quindi, in fin dei conti ci sta.

Solo che…

Ho ripreso in mano tante file della mia vita, da quando ci siamo separati. E sono fiera di me, davvero tanto, perché non mi sono smentita: io vado avanti come i muli — non importa il peso che porto in groppa, chino la testa e continuo a tirare avanti baracca e burattini. Mi sono riappropriata della mia tenacia, anche del mio volermi bene un pochino di più.

Solo che, oggi, riuscivo a pensare solo a te. Al fatto che sarei voluta tornare a casa e trovare ristoro in un tuo abbraccio, dopo averti trascinato in giardino perché “questo è lo scenario giusto, me lo sono immaginata tutto il giorno”. Tu avresti ridacchiato, mi avresti stretta e avresti detto ”Sei buffa”.
Pensavo, mentre parcheggiavo la macchina in giardino, al fatto che avrei desiderato chiudere la porta di casa, mettere su un film e stare abbracciata a te sul divano — in silenzio. Sarei stata in pace.
So che, a un certo punto, ti avrei parlato di quel ricordo — solo a te, a nessun altro — e lo avrei buttato fuori questo cazzo di peso che chiude la mia testa in un cerchio e stringe, stringe, stringe.

Ma tu non ci sei. E mi manchi moltissimo.

È così sbagliato?
 
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