[
Elijah]
Lancillotto mulinò l’aria con la coda in un vortice di peli colorati, entusiasta e grato ad Elijah per avergli concesso un pezzo di quel bocconcino. Non appena vide il pezzo di muffin avvicinarsi con aria invitante, il cane si passò la lingua sul muso, pregustando l’imminente sapore di quella delizia; spalancò le fauci e con delicatezza si richiuse, evitando di azzannare Elijah o sarebbe stato sgridato dal padrone, per poi ringraziare il giovane ospite con delle leccatine sulle dita nella speranza di raccogliere ogni briciola di muffin.
«
Lancillotto!» esclamò Aiden in risposta. «
Anche a volte lo chiamo Biscotto.» Il cane si girò verso il proprio padrone, scodinzolando. Per lui quella parola era magica in tutto e per tutto, come se fosse ben consapevole che cosa fossero. Non era un caso che Lancillotto rispondesse per lo più con il soprannome, ma era ovvio che Aiden volesse evitare di chiamarlo troppo spesso in quel modo o non avrebbe più risposto al vero nome che gli aveva dato. «
No, non credo. Ho una gatta anch’io e si è abituato a lei. Temo sia solo per via dei dolci: il cibo lo fa uscire di testa.» Si protese verso il cane e gli concesse una piccola grattatina dietro l’orecchio, facendolo mugolare.
Il fulvo ridacchiò alle parole di Elijah mentre continuava la razione di coccole a Lancillotto, il quale si era sistemato davanti a lui a pancia in su, scodinzolando e lanciando versi di puro godimento. Era proprio un ruffiano quel cane, ma almeno non stava elemosinando altri muffin. Per un po’ sarebbe sicuramente stato occupato.
Con una mano sola Aiden riuscì in ogni caso a godersi la birra, portandosela alle labbra in una poderosa sorsata: se fosse andato avanti così l’avrebbe finita in pochi minuti ma la sete, dopo tutto quel lavoro, pareva incontrollabile oltre che implacabile. «
Sei? Cielo, per fortuna ne ho soltanto due, così come due fratelli.»
Osservò Elijah provvedere nel reperire i bicchieri con un semplice Incantesimo di Appello e la cosa lo fece sorridere: lo avrebbe fatto lui stesso se solo non avesse entrambe le mani occupate. Da una parte la sete non gli dava tregua, dall’altra Lancillotto che non gli avrebbe permesso di smettere proprio adesso, pena una serie infinita di ringhi d’ammonimento.
«
Non è difficile, vedrai...» disse con una nota divertita. Tagliare la legna era come allacciarsi le scarpe alla mattina, non c’era nulla di più facile nel sistemare un tronco di legno sul ceppo per poi abbatterlo con un colpo d’ascia; forse, pensandoci bene, l’unica cosa davvero essenziale era la mira se non si voleva far finire la lama affilata proprio su uno dei piedi.
Emise un grugnito alle parole di Elijah, annuendo pianissimo. Ricordava sia l’assenza del Serpeverde e di Sophie alla festa di Beltane, sia di aver visto Sophie in compagnia di un’altra persona alla Festa di Fine Anno ad Hogwarts. Dopo svariati mesi dalla rottura con Daphne, Aiden era riuscito a mettersi il cuore in pace, nonostante la scelta di non volerne più sapere dell’amore. Amare qualcuno per lui era impossibile: era giunto alla conclusione che non facesse per lui, che non poteva esserci nessuna donna nel suo cuore tanto da rischiare ogni giorni la possibilità di portare il velo del lutto per una sua morte prematura in missione. La vita dell’Auror era la più dura in assoluto, Aiden era come un soldato e ogni giorni doveva affrontare i rischi del mestiere, avere una famiglia sarebbe stato un impegno gravoso e difficile da rispettare, non sapendo se sarebbe mai riuscito a tornare a casa. Un po’ come suo padre: Charles Weiss, infatti, non aveva mai più fatto ritorno a casa e il mistero della sua morte restava ancora irrisolto.
«
Sono la persona meno adatta con cui discutere di simili argomenti...» mormorò con una nota amara, le labbra distese in una smorfia colma di dolore e tristezza. «
Però posso dirti che è come stare camminare in uno spazio privo di gravità, come se attorno a te non ci sia nulla se non lei. Questo è quello che provai e che ora non proverò mai più. Ho il cuore a pezzi, Elijah, non ritornerà mai integro come prima.» Trasse un lungo sospiro e tracannò il resto della birra, mettendo da parte la bottiglia vuota e afferrando il bicchiere di idromele che il ragazzo gentilmente gli offrì. «
E l’abbandono? Come reputi l’abbandono invece?» Volse lo sguardo sul Serpeverde, gli occhi blu accesi da una scintilla rabbiosa, ma non destinata a lui; no, non era per Sullivan quella rabbia ma per Daphne, per il ricordo che lo aveva spinto con violenza in quella spirale dolorosa che con tanta fatica si era lasciato alle spalle. Aiden era curioso di sapere la prospettiva del suo giovane amico e compagno di bevute su quel dettaglio, sperando di trovarvi una sorta di conforto. Trovava anche quello come qualcosa di imperdonabile quanto il tradimento stesso?
Sentire il nome di Daphne provocò nel fulvo uno spasmo involontario, come se qualcuno si fosse divertito a dargli la scossa elettrica. Dal canto suo, Weiss sembrò voler affogare quella reazione con l’alcol: si portò il bicchiere alle labbra e si scolò alla goccia l’idromele. Il sapore fu dolce e alcolico allo stesso tempo e la cosa gli infuse un certo piacere: trovava conforto nell’alcol anche se era sbagliato, ma era così, lo aiutava a distrarsi e a dimenticare.
«
Molto buono!» disse, per poi riempirsi un secondo bicchiere. Aveva eluso la domanda per qualche minuto, ma sapeva di dover una risposta ad Elijah, anche perché se non avesse risposto affatto sarebbe stato come affermare che non gli era passata affatto. Sospirò. «
Sì. Lei.» mormorò rauco. «
Daphne Woods. Sembra tu la conosca...»
▽▽▽
[
Oliver]
Il fulvo diede l’ultima pennellata di uovo sullo strudel di mele e cannella, per poi ammirare quell’opera d’arte fatta solo ed esclusivamente da lui. Era la prima volta che provava a preparare lo strudel tutto da solo, seguendo la ricetta di zia Clarisse, e non poteva che esserne fiero: aveva un aspetto gradevole, molto simile a quelli che di solito preparava la mano esperta di sua zia, e anche da crudo gli veniva voglia di sbranarselo a morsi. Eppure, nonostante la fame e i respiri pesanti di Lancillotto seduto davanti al forno, si convinse ad infornare in dolce; persino il cane sembrava dell’opinione che lo strudel fosse destinato ad avere un ottimo sapore, ma non osò sbavare sul pavimento o si sarebbe beccato un calcio nel didietro dal proprio padrone.
«
Se non mi avveleno da solo e se fai il bravo, forse un pezzettino te lo concederò. Ma senza panna!»
Il cane emise un suono per nulla convinto, guardando con aria contrita il proprio padrone. Insomma,
seriamente? Senza panna? Se solo avesse avuto l’uso della parola probabilmente avrebbe speso ben volentieri qualche parolina con i suoi caro padrone, ma qualcosa attirò l’attenzione del canide, che si rizzò in piedi con le orecchie tese.
Una civetta candida come la neve si posò sul davanzale della finestra che dava sulla cucina, picchiettando sul vetro con il becco, come se - in un modo molto educato - stesse in un certo senso bussando. Lancillotto scattò per primo mentre Aiden era intento ad infornare il dolce, alzandosi sulle zampe posteriori e fissando il volatile con aria incuriosita; abbaiò contro quell’ammasso di piume bianche, trovandole davvero
attraenti quanto quelle a cui era solito giocarci. Non era un mistero infatti che Lancillotto preferisse acchiappare i corvi piuttosto che i conigli come Aiden voleva che imparasse a fare, ma anche i gufi gli piacevano e Merlino ormai aveva imparato a non volare mai troppo basso: pena la morte istantanea tra il cane e la gatta.
L’Auror scostò il cane e aprì la finestra, per poi invitare la civetta a salirgli sulla mano. «
Guarda un po’ chi abbiamo qui, una cara conoscenza. Ciao Lady! Vieni, sistemati pure vicino a Merlino e fate merenda insieme. Noci per tutti, spero ti piacciano!» Non aveva faticato molto a riconoscere la civetta di Oliver, anche se era da parecchio tempo che non lo andava a trovare per consegnargli la posta del Grifondoro. La fece accomodare sul trespolo vicino alla propria civetta, la quale si appollaiava sulla struttura in rare occasione, possibilmente per mangiare; poi passò alla lettera e la lesse con calma e attenzione. Se Oliver aveva impiegato tanto tempo per scrivergli dopo il loro ultimo incontro, allora dedusse che si trattava di qualcosa di davvero importante, qualcosa che andava ben oltre i consueti scambi postali a nome del Comitato.
Si grattò la barba con aria pensierosa, per poi mordersi un labbro e volgere lo sguardo sul mobile vicino alle scale: lì, in quella vista, giaceva un piccolo specchio ovale, lo stesso tipo di specchio che aveva donato ad Oliver per il suo compleanno e che serviva a mettere in contatto i possessori di tali oggetti. Si domandò dunque perché il Caposcuola non l’avesse usato, temeva forse di vedere il volto stanco e provato dell’Auror?
Con un sospiro profondo il fulvo avrebbe lasciato Lady a rifocillarsi come si deve, mentre lui - con crescente desiderio di voler studiare le espressioni di Oliver, come se si aspettasse in un’anticipazione - andò verso lo specchio e lo afferrò con entrambe le mani, portandoselo all'altezza del viso. «
Oliver, mi ricevi?»