| × Off-Game × × LegendaNarrazione"Pensieri" «Dialoghi»Confondeva le ere passate con quelle attuali? Che cosa vana e sciocca! Le ere non erano delle etichette a sé stanti, dei sistemi al di fuori dagli individui: le ere erano fatte dagli individui stessi. Il tempo e lo spazio era riempito di persone che vi si muovevano, quasi come pedine su di una scacchiera. Nessuna partita ci sarebbe stata se nessuna pedina si sarebbe mossa e non avesse mangiato un'altra pedina. Certo! Certo! Invece della barbarie era più conveniente la non-barbarie: un grande, eterno, profondo silenzio che non etichettava chiunque voleva andare controvento come un inutile rivoluzionario le cui idee non lo avrebbero portato da nessun'altra parte, se non verso al barbarie stessa. Ma dove, esattamente, vi era il barlume della ragione nelle sue parole? Laddove le persone soffrivano, le guerre continuavano; laddove l'uomo continuava a preferire i soldi alla crescita personale; laddove lo spirito e la spiritualità assumevano sempre meno importanza e le persone si attaccavano ai concetti come il piacere carnale, come i soldi, come i beni materiali, non solo si aveva bisogno di una voce che rompesse il senzio: si aveva bisogno di un'anima che accendesse la luce in mezzo alle tenebre. In quel silenzio, in quel macabro stato di accettazione delle cose, chi restava in disparte a crogiolarsi nella diplomazia o, peggio ancora, nella filosofia, non poteva più dirsi innocente: era il collaboratore e l'associato del più grande dei Mali: l'indifferenza. Mille volte per mille avrebbe preferito un auror, che pur camminando su di una strada sbagliata, almeno camminava, piuttosto che una persona qualsiasi la quale cercava d'illudersi e d'illudere gli altri che la passività, il fermo, il silenzio fossero le strade migliori. - «Sarà, ma io torno a dire che....» - si schiarì la voce, - «le ere dipendono da noi. Siamo noi a dipingere le ere con i colori che vogliamo. E siamo noi a dare il significato alle parole. Per me, per esempio, siamo già in un'era barbara e barbarica poiché non so come altro si può definire un'era in cui delle persone vengono lasciate in camere stanze, fredde e oscure, al di fuori di ogni felicità, a desiderarsi la morte ogni giorno e ogni istante. Lei parla di giustizia istituzionale? Lei si illude: è solo un buon sognatore, un utopista. Non esiste alcuna Giustizia istituzionale che non venisse decisa dagli uomini al potere per gli uomini senza il potere. Non esiste alcuna Giusizia, a parte quella della Provvidenza, che non sia solo un mero punto di vista creato e realizzato in base alle proprie visioni personali di tanti uomini messi assieme. Lei lo chiama Giustizia? Bene: io lo chiamo dittatura militare. Le dice che non si può condannare chi ha scelto di vivere una vita tranquilla e pacifica quando qualcuno più in la muore di fame, qualcun altro di malattie e qualcuno d'amore? Io dico che gli egoisti i quali vorrebbero chiudere gli occhi sui mali del mondo e far finta che niente accada, siano il peggiore di tutti i mali e che proprio a loro siano riservati i cerchi infernali più profondi. » - Disse con il tono deciso e ferreo, senza lasciare alcuna possibilità di dubbio sulla sua intonazione. Era estremamente sicuro di quel che stava dicendo e lo avrebbero potuto mettere con le spalle al muro, schiacciarlo e ucciderlo, ma non avrebbe mai fatto un passo indietro. No. - «Chi vuole vivere in un mondo in fiamme, guerre, malattie, carestie senza preoccuparsi del Dolore dell'Altro, senza aprire gli occhi sui guai vicini, senza ascoltare le assidua grida dei feriti e dei morenti è soltanto uno sciocco, non un saggio, né un diplomatico. Non puoi vivere in una tranquilla casa di pietra quando la terra trema e fuori s'infiamma uno tsunami di fiamme e sangue.» - Ascoltò la citazione di Mishima con un'espressione di grigia passività. Le aveva fatte sue da moltissimo tempo. Aveva fatto anche altre citazioni perfettamente sue. Aveva attinto da quei maestri di vita e ora si ritrovava in quel che era, nella sua veste, con la sua maschera. Maschera, sotto alla quale, però, vi era un Volto e non soltanto un'altra maschera. Era libero: di non nascondersi, di non celarsi, di non partecipare ai complotti e agli intrighi. Libero di essere, di vivere e di combattere. Di morire. - «Al nulla, dice Lei? Nessuno ha captato il messaggio, dice Lei? Non mi dica che è davvero così cieco e sciocco come cerca di farmi vedere. Tutt'oggi in Giappone ci sono strade con il suo nome, ci sono monumenti a lui dedicati e club privati che portano il suo nome. Alla figura del poeta-guerriero sono dedicati premi e club letterari e la sua impronta è ancora così vasta e luminosa, che anche il più cieco potrebbe vederla. Tutt'oggi il suo nome viene rievocato e risuonato come un fulmine laddove si dice che il Jietai debbai riprendere le sue forze: essere ed esistere, per la Gloria del Giappone e per l'Altissimo Imperatore. Yukio Mishima, una figura del passato, vive nei fatti, nel Presente, più di quanto lo facciano miliardi di persona: lui illumina, lui ispira, lui motiva, lui spinge. Il mondo ha nuove fondamenta? Sono delle fondamenta sbagliate e io le rigetto completamente. Un mondo che poggia sulle idee moderne, è un mondo errato, un mondo destinato all'oblìo e un mondo il cui egoismo sarà causa e fine. Se è quello il mondo in cui viviamo, io gli dichiaro guerra: un'eterna ribellione contro i suoi valori sbagliati, contro le sue virtù malandate e contro le sue fondamenta del tutto prive di arte, di poetica e di anima. La missione di ogni uomo che si rispetti e che sente, vede e percepisce il Dolore delle persone vicine è solo una: epurare le fondamenta sbagliate di un mondo errato con la più rovente delle fiamme, perché niente rimanesse in piedi di quelle fondamenta e restasse solo ed unicamente la cenere. E Yukio Mishima aiuta moltissimo in tutto questo: laddove molti esistono, lui vive!» - Poggiò i gomiti sul tavolo in un fare calmo e tranquillo: di queli che andassero alquanto in contrasto con le sue parole e quell'animo di fuoco che straboccava dai vasi. - «La pace di un popolo non rappresenta alcuna giustificazione per la guerra di un altro popolo. La sazietà di una persona non rappresenta la giustificazione per la fame di una persona: non siamo né stupidi, né egosti e abbiamo il dovere morale di condividere il pezzo di pane con il prossimo, qualora lo necessitasse. Lei dice che non è la paura, quella? Io invece le ripeto: è paura, è codardìa, è infamia. Poiché un sogno per il saggio è inutile, esattamente come una commedia per il ricco e un gioco per lo stupido: solo la tragedia del povero ha importanza, perché mentre gli altri vivono, lui sopravvive. E mentre gli altri parlano usando la loro dialettica, ci sono quelli che agiscono. Quelli la cui unica dialetta è la dialettica dell'azione: si parla poco, si parla quando occorre e si dice quanto occorre dire. L'unica oratoria plausibile è l'oratoria dell'azione: tutto il resto sono delle mere parole gettate al vento. Invece di parlare, meglio operare: si lascia che siano i potenti a parlare e si lascia che siano gli umili ad agire. Agire per il bene di quella Rivoluzione che molti rigettano, ma che deve manifestarsi, ma che deve esserci, che deve avvenire e le cui basi teoriche sono molte di più rispetto a quelle pratiche... al di la della volontà di molti di vivere la propria vita tranquilla e spensierata, senza fare un cazzo e senza nemmeno vivere per davvero. » - Sospirò. Si stava facendo difficile, quel dialogo... per non estrarre la spada e non continuare la sua lotta più che mai, ancora più intensamente, in ogni luogo, in ogni zona in ogni tempo. Eppure aveva già fatto il suo: ora doveva calmarsi. Del resto, anche il più grande dei dialoghi non sarebbe stato che semplicemente una partita a tennis tra coloro che avevano personalità diametralmente opposte e si volevano convincere, di pari grado, di avere entrambi ragione. Né aveva avute di quelle partite di tennis: non una, ma molte. E sapeva che lo schema di botta e risposta non avrebbe portato la pallina a fare il punto, ma soltanto venir respinta con più violenza e forza. - «Non è la vita, ma gli uomini,» - disse, - «E sa perché nessuno fa niente? Per la vita pacifica e tranquilla che Lei ha ha prima specificato. E' etica? No: è stupidità, mancanza d'anima e di cuore, profondo egoismo, nient'altro. Perché aiutare il prossimo, patendo la fame, il freddo, la stanchezza e l'insonnia, se ci si può semplicemente sdraiare vicino al camino e bere del cognac francese con il mignolino alzato? Io rispetto la vita, signor Merlino. Io la capisco. Come capisco la Morte. Ma la Vita per me, esattamente come per i sudditi dell'Imperatore, non è il Bene Supremo: è solo una possibilità, un modo, non il fine, ma lo strumento. La mia vita è la mia strada per evolvere il mio spirito e la mia anima imparando a lottare, a studiare, a conoscere e ad amare. L'unica cosa che io rispetto per davvero è l'Amore, il Bene Supremo. Quel Bene, che l'Aristocrazia non ha raggiunto, fallendo. Oggigiorno abbiamo bisogna di un'altra artistocrazia, un'aristocrazia spirituale: non più l'aristocrazia del mignolo alzato parlano delle disgrazie altrui, ma l'aristocrazia dell'estremo interventisimo, dell'estrema azione e della profonda passione.» - Sorrise quindi, lievemente. - «Non mi piace l'eco che torna indietro, dice? Eh no. Mi piace. Mi piace come la sinfonia di Beethoven, come il canto del cigno di Mozart, come le lacrime di pioggia sul pianoforte di Chopin. In un mondo in cui le persone dicono ciò che non pensano e in cui portano le maschere per celare la veritù, io ho il piacere di dire ciò che mi infiamma, ciò che mi piace, ciò che mi spinge a migliorare e a camminare in una strada che non sarà MAI in discesa e il vento mi soffierà sempre contro e mai alle spalle. Ogni scontro per me è un scalino; ogni dolore - una possibilità. La sofferenza, per me, non è altro che un strumento. Ogni taglio, ogni ferita, ogni notte insonne e ogni ora affamata per me è un modo per schernirsi del mio corpo e di quella società che posa su quelle basi che io rigetto: laddove tutti nuotano sospinti dalla corrente, io nuoto controcorrente. Quando tutti si attaccano alla vita come al Bene più grande, ma io ho l'accortezza di considerarla per quel che è davvero: non un fine, ma un mezzo. » - Arrivò quindi il tempo delle Confessioni di una Maschera, un must immancabile durante un qualsiasi dialogo che verteva su Mishima. Alcune opere contraddistinguevano i loro creatori per sempre: il quadrato nero di Malevich, il Maestro e Margherita di Bulgakov, Uno, nessuno e 100.000 di Pirandello, la Divina Commedia di Dante e, ovviamente, Le Confessioni di una Maschera, di Yukio Mishima. - «No, signor Merlino,» - disse Raven. - «Non mi creo falsi idoli, ma rispetto le persone di valore, come lo era Yukio. La maschera? E' soltanto un'idea. E la mia è soltanto una confessione... di una maschera. » - Si schiarì la voce, chiedendo un bicchiere di acqua con una cannuccia alla cameriera. - «Mi può portare un bicchiere di acqua liscia, per favore?» - chiese alla donna. Ne avrebbe fatto un sorso, forse due. Non tantissimi, ma il necessario per eliminare la secchezza alla gola. - «Mi sembra un filo-ghandiano, signor Merlino.» - Disse l'Akuma. - «Uno di quelli che vorrebbe mantenere la pace sempre e a qualsiasi costo, nonostante la pace non ci sia più da un po' e non siano nemmeno così tanto desiderata, né bramata, né possibile. Mi sbaglio?» - Chiese, salvo girarsi verso l'erede al trono di Kamelot. - «Inutile?» - chiese. - «Mi dica: è stato inutile il gesto di Jan Palach? E quello di Yeshivat da Nazareth? E quello di Corneliu Zelea Codreanu? Ed è stato inutile anche il gesto di Bobby Sands? E di Goffredo da Buglione? Quanti altri gesti "inutili" che gettano delle grandi luci sulla nostra epoca, Lei ha conosciuto?» Tuttavia era anche l'ora di smettere quella partita a ping-pong: per quanto gli potesse piacere, era anche chiaro che non avrebbe portato da nessuna parte. Forse la pallina si sarebbe spezzata, prima o poi: non sarebbero andati oltre. Ascoltata o meno la risposta dei due kamelotiani, Shinretsu Raven si sarebbe alzato finendo di bere la sua acqua in pochi sorsi. «E' stata una piacevole chiacchierata,» - disse, notando che era già trascorso del tempo dall'inizio della stessa. - «ma al di la delle nostre età, dei nostri punti di vista e del dinamico movimento, vi sono anche degli impegni che ci costringono ad abbandonare il tavolo d'incontro con nemici e alleati per continuare a camminare sulle strade di sempre.» - Abbassò il capo in segno di rispetto e si preparò a uscire per continuare il suo viaggio dopo quella sosta.
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