Ricordava il tepore del contatto leggero, quasi sfiorato, delle dita delle mani sulle corde della sua chitarra; il conseguente suono che produceva, il sorriso a fior di labbra che non mancava di nascere sul proprio volto; la sensazione di essere al posto giusto, al momento giusto, tutto per opera di un singolo strumento, il
suo strumento. Annuì con vigore alla riflessione di Lavender, mai avrebbe potuto dire di essere in disaccordo, non in quel senso e non in quel caso: la musica era la più grande passione del Caposcuola Grifondoro e per nessun motivo al mondo se ne sarebbe privato.
«Suonare il pianoforte mi ha sempre affascinato.» Lo rivelò come un segreto, lo sguardo perso, l'espressione incantata. Le sue cugine Veela sapevano farlo, ne erano in grado; conoscevano quei tasti bianchi e neri come parti della loro stessa figura, in una descrizione che non ammetteva eguali. Non le invidiava, non più di quanto potesse credere, perché era altrettanto certo - da parte sua - di non essere destinato a quell'armonia.
«Temo però che non sia lo strumento adatto per me.» Parlò con gentilezza, il tono pacato, i modi pure. Non c'era rancore in quella confidenza, al contrario era più una porta appena socchiusa, pronta ad essere spalancata per chissà quali memorie di infanzia, passato e presente; lasciò cadere il discorso con un altro sorriso, un'aggiunta, fino ad ammiccare con espressione divertita all'ultima frase della concasata. Dipingere, un'altra passione che avevano in comune, a quanto pareva. Da quanto non riprendeva i pennelli, le tempre, i colori; da quando non si sporcava, non si confondeva con un soffio di rosso sulle gote, l'ocra tra i ciuffi scuri, il verde sui palmi di ambo le mani. Da quando non si lasciava andare.
«Hogwarts ha sempre il necessario, se sai dove cercare.» C'era intesa a quel punto, c'era qualcosa di detto, qualcosa ancor più di non detto. Tempo al tempo, si ripromise.
Si era accorto già di sottecchi di come l'atteggiamento del suo Prefetto fosse mutato: non aveva una padronanza eccelsa con la lettura della mente, né la cercava a ben vedere; Oliver era più abile con le foglie da tè che con i pensieri, in una discussione che avrebbe preso una piega tutt'altro che facile. Ma la vicinanza, emotiva e non solo, che già dal primo giorno lo aveva spinto a credere in Nieve, a donarle la sua stessa preziosa fiducia, era il monito più importante, un campanello d'allarme abile a tal punto da accendere spie, allacciare ricordi, esprimere supposizioni veritiere. Portò alla mente, rapidamente, una delle più sincere conoscenze di un tempo, avrebbe dovuto ammetterlo, più generoso nei loro confronti, nei suoi stessi riguardi in particolare. Si avvicinò di un passo, avanzando senza troppe difficoltà per accostarsi alla studentessa, fino a sussurrarle con dolcezza un'unica frase.
«Andrà tutto bene. Il cibo è così buono che ti farà sentire subito ad agio.» Lo sapeva davvero, a conti fatti? Non era mai stato prima in quel locale, non una volta: l'aveva desiderato, l'aveva sperato, quell'incontro aveva stuzzicato l'idea mai sopita di assaggiare la cucina orientale. Ma per rispondere alla stessa Lavander, non aveva mai avuto il privilegio di ingozzarsi di ravioli al vapore, tanto per dire. Avrebbe rimediato di lì a breve, poco ma sicuro.
«No, Lav, anche per me la prima volta! Aggiudicato allora, parte giapponese e menù di tutti i tipi. Mi scusi, mi scusi!» Corse a quel punto verso il primo cameriere libero, un sorriso già a fare da cornice.
«Ho ordinato a nome di Oliver Brior, siamo cinque in tutto e vorremmo spostarci nella sala giapponese, se possibile. Ordinando però anche cucina cinese, sempre se possibile.» Educato, garbato, cordiale. Era nel suo elemento più divertito, così come divertente.
Attendiamo il nostro bel cameriere :*
Prossima scadenza per noi: 10 Luglio, 23.59