| Accade sovente che le persone si prendano un momento per contemplare i disastri delle loro vite. Si lamentano senza capire e, come insetti che battono sempre contro il medesimo vetro, si inquietano, soffrono, si lagnano, si deprimono e rifiutano qualsiasi situazione porti al cambiamento, non per spirito di autoconservazione ma per semplice ottusità. Dorian, che a stento sopportava la finta maturità di chi si era appena affacciato all’adolescenza, ebbe la certezza definitiva di trovarsi davanti non soltanto ad una torma di ragazzini sfacciati, incuranti dei ruoli e delle regole imposte dall’educazione – com’era stato sottolineato a più riprese – ma soprattutto ad un insieme di persone che non comprendevano – drammaticamente – cosa stesse succedendo e che si atteggiavano con durezza per nascondere la voglia di puntare i piedi e di piangere. Da adulti le prospettive cambiano, si ritrovò a pensare, e di fronte alla mancanza di senso non resta che cercare di anestetizzarsi, per rifuggire il fatto che molto di ciò che capita non si può cambiare e che le cose sono spesso ingiuste e senza perché. Le parole di Brior gli strapparono un sorriso genuino, caldo, confortante, riconfermandogli quanto i limiti anagrafici, impercettibili all'apparenza, in quel momento si ponessero tra loro come una catena di monti insormontabili. Dall’alto dei suoi tre lustri si ergeva a compassionevole padre spirituale, disposto di buon cuore a concedere udienza al popolo, romanticamente proteso a difendere il valore della libera scelta – degli elfi come degli studenti –; croce e delizia della servitù negletta. Non occorreva altro. Ogni cosa procedeva per il meglio. Incontrò lo sguardo di Astaroth e le sorrise; avrebbero scritto un tanka a quattro mani per catturare la solennità di quell’attimo, per eternizzare il valore di quella grazia miracolosa elargita agli apostoli. Dorian gli sorrise – nessuna mente di uomo avrebbe mai potuto concepire un’espressione più rincuorante, più commossa, più simpateticamente e genuinamente compartecipe del suo ardore adolescenziale – e passò oltre. La pelle del viso iniziava a tirare. Ascoltò con rinnovato trasporto la storia del ragazzino che si era innalzato a difensore durante la Battaglia di Hogwarts, che da solo – a fronte della defezione dell’intero castello e della nazione tutta – aveva inghiottito il dolore e la disperazione di chi era sopravvissuto, pronto, come un angelo-bambino, a tramutare la miseria del mondo in un fiume cangiante, a purificare ogni forma di rabbia e di sofferenza. E tutto perché la spilla – diabolico suggello di un cavaliere templare fuggito alle vestigia dei tempi antichi – gli aveva imposto quell’epopea tanto titanica quanto drammatica. Rimase favorevolmente impressionato dal suo studiato egocentrismo, dal modo con cui si atteggiava a superiore – persino davanti a tre auror – depurando il suo racconto di tutti i particolari che avrebbero potuto sminuirlo, abbellendo la realtà che lo riguardava per accendere i riflettori su di sé. Ogni enumerazione, ogni preterizione, ogni velata minaccia, ogni calibrata sospensione del discorso, ogni domanda retorica, ogni parola – eccetto, forse, quel ‘tassini’ – rompeva il silenzio come il singhiozzo straziato di un crociato in fin di vita, che, esanime, volge il cuore al Cristo lontano. Estasiato dalla conclusione, dalla modestia con cui Sekhmeth aveva tirato le fila avocando su di sé la sentenza dello ‘stimato’ Preside, dichiarandosi pronto, in ultima istanza, a versare ancora una volta il suo sangue di martire, Midnight, tirò un sospiro d’estasi, prontamente affogato in un sorso di tè. In quell’occasione eccezionale – di fronte alle gesta di quell’Adone trasformatosi in Atlante che portava il peso del mondo sulle spalle – potendo, si sarebbe concesso addirittura il lusso di sgranocchiare una lingua di gatto croccante, sgarrando alla dottrina alimentare che si era autoimposto con un certo rigore. Al di là della sua grandeur, in cui tanto si rispecchiava, ad Horus – benché immolatosi sull’altare di un mondo in cui tutti i compiti ingrati erano demandati a lui, mentre loro tutti si turavano il naso senza muovere un dito – andava riconosciuto il merito di aver rilanciato la questione della fiducia; da una prospettiva opposta, ça va sans dire, rispetto alla sua. Non poté che domandarsi se i due studenti lì presenti – e con lo sguardo incontrò il volto candido della Rose – sarebbero riusciti, nel tempo, a guadagnarsi la sua approvazione. Per quanto l’assenza di Dorian ed, al contempo, la sua presenza, si sarebbero limitate al gelo e alla distanza, egli non avrebbe cercato in loro né una conflittualità sterile e patetica – in tal caso si sarebbe limitato ad alleggerirli delle spille con un sorriso squisitamente costernato –, né un falso servilismo che, a lungo andare, lo avrebbe annoiato. Almeno all’apparenza si sarebbero rivelate persone intelligenti e assennate – non aveva dubbi –, come il gattino che astutamente elemosina con le fusa il cibo dal padrone severo. La pacatezza di Astaroth, contemporaneamente al suo eloquio sardonico, gli carezzò d’improvviso l’animo con una delicatezza rinfrescante. Il susseguirsi logico della sua confutazione, unito all’eterea leggiadria di chi è perfettamente in grado di sancire la propria superiorità dialettica sull’interlocutore, diede vita ad una chiusa serrata e spettacolare, in cui veniva messa a tacere tutta l’arroganza pretestuosa che gli studenti avevano sfoggiato fino a quel punto. Ogni cosa si riduceva in fine ad un semplice assioma: lui, lei, Christopher e Atena erano stati nominati Capocasa. Era così che gli adulti avevano deciso, ed era così che il Preside aveva disposto. Volenti o nolenti, presto o tardi, tutti avrebbero dovuto imparare a convivere con quella certezza, il resto era superfluo. Dal canto suo, comprendendo definitivamente che non avrebbe potuto esservi scambio alcuno – di certo non quella notte – ritenne utile risparmiare la voce. Iniziava a perdere l’interesse e ad avvertire il pruriginoso bisogno del flûte a lungo promesso. Che si trattasse della Malvazìa? Ai posteri... Non ebbe nemmeno il tempo di perdersi nella fantasticheria che, come nella tragedia più ricca di pathos, si schiuse nuovamente il sipario e fu il turno di Atena. In quella serata, che si era preannunciata come un calvario e si era trasformata in una farsa, venne ripristinato l’ordine ancora una volta. Il fare della collega, molto sobrio, molto chic, molto duro, lo pizzicò come un pungolo languoroso. Gli occhi di Dorian indugiarono segretamente sulle linee purissime del suo viso e sul colletto della camicetta appena sbottonata*. Urgeva una visita alla torretta di astronomia. Anche Toobl – a udire il suo ultimo intervento – non doveva pensarla troppo diversamente. Pur non essendo evidentemente la pallina più brillante dell’albero di Natale – Midnight rise tra sé del suo ennesimo, petulante sproloquio – aveva un bel viso, pulito e cesellato nei lineamenti, diverso dalla testa a forma di papaya di molti adolescenti deformi, e un torace robusto, con spalle larghe e forti. Forse, blandendolo con un pugnetto di caramelle, avrebbero potuto coinvolgerlo in qualche frizzante giochetto. «Il piacere è tutto vostro» rispose alla fine, liquidando Rose con un cenno distratto della mano senza nemmeno sforzarsi di guardarla, mentre Christopher si presentava dubbioso ai suoi studenti. Senza ricamare ulteriormente sulle differenze semantiche, con una certa cortesia, Peverell pose termine alla conversazione, mettendo definitivamente gli ospiti alla porta. Stancamente Dorian si passò una mano tra i capelli lucenti, giocherellando malizioso con le onde leggere delle ciocche. «’Notte ‘notte» flautò, congedandoli divertito, mentre si chiedeva come sarebbe terminata quella sconsiderata follia.
Questo è proprio un post da terribilerrimo professor Midnight. Dico la verità, a rileggerlo morivo: in certi punti è più caustico di una zitella di paese che si scopre orbata del parroco diletto. Eppure mi sono divertito tanto, perché è un gioco e perché abbiamo tutti riso nel backstage (almeno io l'ho fatto [In caso contrario inoltrate insulti ]). VVb: a Tooblone mascalzone (non ti ho ordinato di venire in studio perché stava diventando troppo mainstream, ma hey... ), a Milfordina birichina, a Oliviero-assai fiero, a Digossina glicosidina (), a Emilì-nottedì (), a Horusone stuzzicone e anche a MaikEmmino stuzzichino. E a Sello. Soprattuttissimo a Sello.
* Ti conosco, Lillo, so che per stuzzy e rintuzzy scriverai di indossare il saio di una monachella cilentana, come quell’altra che non metteva le perle. Ma lasciami sognare almeno un po’… :bellonèèèèèèH: Edited by Dorian - 20/8/2018, 07:49
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