È opinione comune che per giungere alla profonda conoscenza di sé, l’individuo debba annullarsi nella meditazione, portare avanti un percorso introspettivo per giungere alla piena consapevolezza del proprio essere. Un obiettivo ambizioso per una creatura gregaria quanto l’uomo, quella di ritagliarsi uno spazio personale per rimanere in compagnia di sé stesso; un obiettivo che non tutti erano in grado di perseguire, forse spaventati all’idea di ciò che avrebbero potuto trovare durante il viaggio.
Eppure, nonostante la sua natura sociale, l’uomo sottovalutava la miniera di informazioni che erano le altre persone. Quanto avrebbe potuto apprendere un individuo su sé stesso, sulle proprie tendenze e debolezze, sui propri punti di forza e desideri, semplicemente osservando l’impatto prodotto sugli altri? Studiando il modo in cui gli altri
reagivano a lui?
Similmente, cosa avrebbe potuto dedurre di sé Amber dal modo in cui la mente di Hettie si fletteva e si modellava al suo passaggio? Era un’intrusa, sì, in più di un senso. Era anche — però— una ragazza risoluta, come dimostrava la porta incisa nella parete. Era, infine, un passerotto al primo volo scaraventato nell’occhio del ciclone.
La giovane varcò la soglia senza ulteriori difficoltà, ma da lì in poi avrebbe dovuto dire addio alla fissità di quella sala d’attesa. Il primo scenario, infatti, era stato architettato ad arte e in quanto tale l’immobilità che lo contraddistingueva faceva parte del costrutto; ciò che invece l’aspettava al di là era la mente addestrata di un’occlumante in coma. Aveva oltrepassato la boa, nuotava senza salvagente in mare aperto.
Poiché non si era prefissata una meta precisa, fu il suo inconscio a decidere per lei. La figura del signor Norwood la seguiva come un’ombra che lei desiderava scagionare in qualche modo e influenzò i suoi passi successivi; la sua esperienza pregressa ed il fatto di aver già attinto ai ricordi di Timothy stesso —pur dalla mente degli intermediari a Villa Hydra— la portarono verso lidi familiari.
La navata ti sembra interminabile, nel tuo incedere lento e regale. Stringi le mani intorno al braccio di tuo padre e lasci che sia lui a condurti mentre tenti di schiarirti la vista e rallentare i battiti del cuore. Non sai quale forza di volontà ti impedisce di precipitarti all’altare tra le braccia dell’uomo che ami e che in quel momento —e in tutti quelli che verranno— non ha occhi che per te. Lo vedi sorridere e di nuovo senti l’impulso di slanciarti avanti, attratta da una forza invisibile.
È un attimo prima di accorgerti che non è Timothy, il tuo promesso sposo, a esercitarla.
Quelli che seguono sono spezzoni incomprensibili. Sei in grado di riconoscere il mobilio di una casa che hai già visto tra i ricordi rubati mesi prima, l’odore del caffè permea l’aria e i primi raggi del mattino ti sfiorano la pelle nuda mentre annaffi i gerani sul balcone. Anche se non lo vedi, sai che Timothy si è alzato dal letto e ha spento il fornellino. Come tutte le mattine ti volti e lo sorprendi intento a osservarti adorante mentre beve il suo caffè. Amaro.
La stessa pulsione ti richiama, e i giorni scorrono davanti ai tuoi occhi. Dapprima lenti, poi via via più frenetici. Avanti, sempre più avanti; impossibile afferrare un dettaglio preciso. Le dita scivolano senza aggrapparsi a niente.
La mente di Amber subì una brusca frenata. L’assenza di pioli sui quali fare affidamento fece scattare un vecchio istinto di autoconservazione che funse da battuta d’arresto. Annaspò brevemente in quel mare di stimoli prima di trovare qualcosa di familiare, come degli indizi disseminati per la via col compito di guidarla di nuovo indietro.
“Seconda lezione: predisporre sempre, sempre
, una via di ritorno”, si era raccomandato il signor Norwood. Per fortuna, Amber lo aveva preso in parola.
L’uscita forzata interruppe di netto la connessione con Hettie e rispedì la strega nella stanza asettica della clinica. Dopo i brevi istanti necessari a riprendere contatto con la realtà, non avrebbe faticato a notare l’espressione febbrile del mentore.
«
L’hai sentito, non è vero?»