La porta d’avorio, Amber S. Hydra | Legilimanzia III

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view post Posted on 3/6/2020, 10:58
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Amber era ferma. Hettie era ferma. Chiunque a parte l'orologio di un tempo immobile, non emetteva un fiato. Se non avesse fatto qualcosa avrebbe passato i cinque minuti più lunghi della sua esistenza a guardare il niente che le veniva concesso. Tornare indietro era difficile quanto andare avanti, ne era sicura. Non aveva mai avuto modo di confrontarsi con un occlumante ed ora doveva farlo con qualcuno che era riuscito a nascondersi perfino dal suo mentore. Come? Era in trappola, finita diritta come una mosca nel miele della pianta carnivora, gettata così in pasto ad un nemico che forse trattava tutti come tali per principio. Si chiese se non fosse colpa di Norwood, se non avesse perfino fatto appositamente leva su di lei per farla finire in un limbo in cui impazzire sembrava una prospettiva tanto bella ed allettante. Il suo cuore, sotto quello di Hettie cedette all'ansia ed ai respiri corti chi sembra non avere tempo di fare nulla. Narici dilatate, pupille enormi. Era ansia pura che le scorreva nelle vene, era l'angoscia di una trappola in cui si era fiondata senza chiedere di più a Timothy ... e poi a lui com'era venuto in mente di farla entrare senza darle una sola indicazione decente? L'aveva lasciata con un imperativo e basta, ma come poteva andare sotto la superficie se nemmeno oltre la prima porta riusciva ad andare? Inspira Amber... si disse prima che un B A S T A a chiare lettere le squarciasse il petto sotto stress. Ora basta. Ora basta.

◫ ◫ ◫

Ora basta Amber, sei esattamente dove devi essere non puoi tornare indietro; devi andare avanti. Trova la strada.
Me lo dico quasi dovessi sussurrarmi una convinzione che inizialmente mi manca. Sono spiazzata per la prima volta dopo tanto tempo, mi sembra di essere in ammollo nella gelatina. Non è piacevole, è tremendo. La staticità non mi scivola addosso, mi si aggrappa come una coperta di pile in piena estate. Ho paura, caspita se ne ho, e mi risale le viscere come sempre quando so di non avere la situazione in pugno. Ma mi guardo attorno, perché un appiglio dovrà pur esserci. Morgana, non può essere che sia davvero tutto qui quello che potrò vedere! La musica aumenta ed in principio ne sono frastornata, provo a riscuotermi e credo di essere finita in un giochino più sadico di quanto dovrebbe. Non mi piace come si sta prospettando questo viaggio ma cambiare le cose sta a me. Non mi oppongo alla canzone che - ripetitiva ormai - mi entra nel cervello e spegne i sensori della ragione, anzi... la respiro perché forse è immedesimandomi che potrò capire come fare ad andare oltre il velo. Forse non mi è concesso essere solo Amber lì dentro, devo essere un po' Hettie, come quando ho piango il ricordo di Nole e del dolore di un destino che le era stato concesso; l'empatia però non basta. O sono io che non ne sto provando abbastanza. Lo so che forse non posso liberare davvero Hettie, ma provarci è la mia missione e non si tratta di semplice buonismo quanto più di cuore, il mio cuore che batte anche quando non dovrebbe e che ho temuto venisse infranto così tante volte da averne perso il conto. Sì lui deve accordarsi al ritmo dell'impazienza che preme in quella Hettie dai ricordi bloccati. Sto giocando una partita che mi hanno detto essere persa in partenza, ma io non ne posso più di arrendermi e basta, di dire addio a tutto anche quanto "tutto" non mi appartiene. Mi alzo, o almeno impongo a quel corpo di farlo, perché non c'è macchia sul pavimento che debbia avere la mia attenzione. Credo mi stia facendo fissare su dettagli che non sono importanti, per distrarmi dall'elefante nella stanza che io ancora non vedo. Ma lo troverò, sono qui per questo. Guardo l'orologio pur immaginando che per lui non sarà cambiato niente, ma cerco anche qualcosa di nuovo; un segno, un motivo per andare avanti. Una porta, ad esempio, perché non è possibile che esista una sala d'attesa senza il luogo verso cui cessare questa attesa. Credo potrebbe essere la stanza di un medico, perché mi sembra una clinica anche se non posso esserne sicura, ed allora è il muro che mi circonda, un po' evanescente che deve diventare il mio obiettivo. Una console, una reception o una porta. Certo un futuro verso cui Hettie deve essersi mossa in passato. Ma non le parlo, voglio che sia la mai intenzione a sfondare la difesa perché a questo punto credo che l'ostinazione sia la conseguenza di un gioco che i due non dovevano fare e per quanto Hettie sia una vittima di se stessa, io non posso permetterle di trasformarmi in un'altra macchia sul pavimento. Andiamo avanti.
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view post Posted on 9/6/2020, 13:55
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A chi si approccia allo studio di arti sottili quali la legilimanzia e l’occlumanzia può apparire che si tratti, in ultima analisi, di uno scontro tra menti, del confronto tra due volontà distinte, tra due forze uguali ed opposte; un approccio, quello, che li avrebbe destinati inesorabilmente —se non al fallimento— almeno alla mediocrità. I più abili e saggi riconoscevano infatti che l’ostacolo maggiore non fosse quello di fronte a loro, bensì quello interno. Un’intuizione che Amber stava avendo modo di provare sulla propria pelle, per così dire.
Il signor Norwood, vigile per tutto il tempo, osservò il panico crepitare sul volto di Amber; nonostante la voglia di immergersi anche lui aveva deciso di rimanere in disparte, ma i minuti passavano ed il respiro della sua nuova pupilla non prometteva nulla di buono. Ancora qualche secondo, si era ripromesso, qualche secondo e poi sarebbe intervenuto; occorreva pazienza, non avrebbe giovato a nessuno una sua intromissione.
In effetti, poco dopo, il tumulto emotivo in cui imperversava la giovane Hydra andò affievolendosi in favore di una maschera determinata e risoluta. In situazioni simili, più spesso che non, era la capacità di non farsi prendere dal panico a determinare il successo o l’insuccesso piuttosto che le competenze specifiche; la difficoltà risiedeva nel ricordare di essere ospiti, e di adattarsi perciò alle caratteristiche contingenti, ma anche nel mantenere la consapevolezza del proprio sé e trovare perciò un giusto equilibrio tra pugno di ferro e guanto di velluto.
Una volta riallineati obiettivi e prerogative fu relativamente facile riconoscere la stanza per quel che era; un costrutto mentale, forse paradossale, ma duttile: si piegava anch’esso a regole implicite, seppur non in assoluto aderenti a quelle del mondo esterno. Cinque minuti, aveva detto l’assistente. E allora dov’era questa benedetta assistente? Dov’era la postazione dalla quale, a rigor di logica, le aveva chiesto di aspettare?
Aut viam inveniam aut faciam, recitava la celebre citazione attribuita al comandante cartaginese Annibale; “troverò una strada, o ne creerò una”, ed Amber pareva intenzionata ad emularne la fermezza d’animo. Stavolta non fu una richiesta gentile bensì l’imposizione di una volontà ferrea e, in risposta, più d’una cosa accadde simultaneamente.
Primo, una porta —che pure in un certo senso era sempre stata lì— comparve incastonata nella parete. Secondo, le lancette dell’orologio scattarono in avanti a segnare le due e quarantadue. Terzo, la gravità nella stanza cambiò. Non fu niente di straordinario, in realtà; Amber teneva ancora entrambi i piedi per terra, ma almeno a livello istintivo sarebbe stato possibile capire che qualcosa oltre quella porta era in grado di alterare gli equilibri della stanza. Nella fisica moderna, la forza di gravità è la conseguenza di una curvatura nello spazio-tempo ad opera di una massa; per effetto della deformazione, i corpi subiscono una forza attrattiva. Similmente, anche se ad un livello sottile —subliminale persino— la strega avrebbe potuto percepire una spinta ad attraversare la soglia.
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view post Posted on 2/7/2020, 15:01
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Non so cosa stia facendo il mio corpo, ho varcato un confine che non prevede alcun retrocedere, né lo consente. Però lo sento lo stesso, in una maniera tanto inaspettata quanto intensa, lo sguardo di Norwood su di me. Immagino stia cercando di vedere oltre il velo che mi permea gli occhi, ma non credo possa. Vorrei dire di non sentirmi sicura in mano sua, perché generalmente non dovrei... eppure non è per il mio corpo che temo qualcosa, ma per la mia mente. Temo per la fragilità con cui sono riuscita a tenermi in piedi tutti questi anni e che ora sembra già demonizzarmi come un'intrusa - che poi è quel che sono - nel silenzio di un ambiente che non conosco. Sento i brividi di una pelle che non mi appartiene e li condivido perché in un modo diverso sono anche io quella che si sta muovendo in una sala d'attesa e fatica a mandare avanti una lancetta. Dipende tutto da me, e devo esserne all'altezza, c'è qualcuno che lì fuori crede in me o almeno nella speranza che io possa fare il passo che altri non sono riusciti a compiere, ma il "come" spetta tutto alla capacità che per anni ho deliberatamente ignorato. Alzarmi è stato faticoso, mantenermi in piedi non è una passeggiata di salute, però almeno una cosa che non mi spaventa la conosco; usare ogni possibile stilla di magia e convinzione che ho in corpo. Sono circondata da vetri di gomma che si stringono nella speranza di non farmi vedere quello che invece nascondono. Hettie non vuole intrusi, e come faccio a non capirla? Sto comunque violando una mente in cui si è rifugiata per così tanto tempo da perderne cognizione, e questo posso solo immaginarlo è che come faccio anche a non chiedermi se anche a me potrà mai succedere qualcosa del genere. Me lo chiedo perché lo so che ci sono portata. E' una fortuna, forse, che l'occlumanzia non mi riesca nemmeno in parte, però ora devo distendere le ali del potere che conservo affinché sfiorino la custode della stanza e le dicano che non ho intenzioni pessime, che vorrei solo avere la possibilità di parlare forse anche per scagionare l'infinita lista di colpe che sto associando da ore a Norwood. Devo muovermi ad intuizioni, che queste siano giuste o sbagliate, perché è chiaro che Hettie non mi dirà nulla che non voglia dirmi e quel che un tempo mi avrebbe fatta retrocedere, ora mi riempie di determinazione e desiderio di rivalsa. Non voglio farle male, ma prenderò un posto nella sua mente in modo da potermi garantire anche una via d'uscita, non voglio soffocare in quello spazio inesistente in attesa di un salvagente che potrebbe non arrivare mai. E' ambizioso ammettere che vorrei essere io il salvagente di quelle donna, perché non posso credere che voglia realmente passare anche il resto dei suoi anni rinchiusa in una gabbia che si è costruita, ma so anche se scoprirò che ci vorrà rimanere, la lascerò dove desidera stare. Poi, uno strappo allo stomaco e la testa si gira vero una porta, nuova, la comparsa di qualcosa che c'è sempre stato. Lo scatto di una lancetta e l'impellenza di rispondere all'appello che mi trascina per le viscere. "Va bene", sussurro al nessuno in ascolto, e forse anche le labbra nella realtà si stringono. Chiedo al corpo di seguire l'indicazione e la appoggio, se ci riesco, la mia mano sulla maniglia. Mi batte il cuore ad una velocità che mi appartiene più di quanto dovrebbe, i respiri sono corti, e sono così abituata a sentirmi che lo so che non potrei vivere mai da sola con me stessa. Aprire la porta è ciò che devo fare per garantirmi un passo oltre la soglia dell'oblio, non può essere già andare in profondità no? Non dovrebbe essere contro l'indicazione che ho ricevuto... anche se quest'ultima si fa sempre più flebile e inconsistente.
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view post Posted on 22/7/2020, 11:22
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È opinione comune che per giungere alla profonda conoscenza di sé, l’individuo debba annullarsi nella meditazione, portare avanti un percorso introspettivo per giungere alla piena consapevolezza del proprio essere. Un obiettivo ambizioso per una creatura gregaria quanto l’uomo, quella di ritagliarsi uno spazio personale per rimanere in compagnia di sé stesso; un obiettivo che non tutti erano in grado di perseguire, forse spaventati all’idea di ciò che avrebbero potuto trovare durante il viaggio.
Eppure, nonostante la sua natura sociale, l’uomo sottovalutava la miniera di informazioni che erano le altre persone. Quanto avrebbe potuto apprendere un individuo su sé stesso, sulle proprie tendenze e debolezze, sui propri punti di forza e desideri, semplicemente osservando l’impatto prodotto sugli altri? Studiando il modo in cui gli altri reagivano a lui?
Similmente, cosa avrebbe potuto dedurre di sé Amber dal modo in cui la mente di Hettie si fletteva e si modellava al suo passaggio? Era un’intrusa, sì, in più di un senso. Era anche — però— una ragazza risoluta, come dimostrava la porta incisa nella parete. Era, infine, un passerotto al primo volo scaraventato nell’occhio del ciclone.
La giovane varcò la soglia senza ulteriori difficoltà, ma da lì in poi avrebbe dovuto dire addio alla fissità di quella sala d’attesa. Il primo scenario, infatti, era stato architettato ad arte e in quanto tale l’immobilità che lo contraddistingueva faceva parte del costrutto; ciò che invece l’aspettava al di là era la mente addestrata di un’occlumante in coma. Aveva oltrepassato la boa, nuotava senza salvagente in mare aperto.
Poiché non si era prefissata una meta precisa, fu il suo inconscio a decidere per lei. La figura del signor Norwood la seguiva come un’ombra che lei desiderava scagionare in qualche modo e influenzò i suoi passi successivi; la sua esperienza pregressa ed il fatto di aver già attinto ai ricordi di Timothy stesso —pur dalla mente degli intermediari a Villa Hydra— la portarono verso lidi familiari.

La navata ti sembra interminabile, nel tuo incedere lento e regale. Stringi le mani intorno al braccio di tuo padre e lasci che sia lui a condurti mentre tenti di schiarirti la vista e rallentare i battiti del cuore. Non sai quale forza di volontà ti impedisce di precipitarti all’altare tra le braccia dell’uomo che ami e che in quel momento —e in tutti quelli che verranno— non ha occhi che per te. Lo vedi sorridere e di nuovo senti l’impulso di slanciarti avanti, attratta da una forza invisibile.
È un attimo prima di accorgerti che non è Timothy, il tuo promesso sposo, a esercitarla.

Quelli che seguono sono spezzoni incomprensibili. Sei in grado di riconoscere il mobilio di una casa che hai già visto tra i ricordi rubati mesi prima, l’odore del caffè permea l’aria e i primi raggi del mattino ti sfiorano la pelle nuda mentre annaffi i gerani sul balcone. Anche se non lo vedi, sai che Timothy si è alzato dal letto e ha spento il fornellino. Come tutte le mattine ti volti e lo sorprendi intento a osservarti adorante mentre beve il suo caffè. Amaro.
La stessa pulsione ti richiama, e i giorni scorrono davanti ai tuoi occhi. Dapprima lenti, poi via via più frenetici. Avanti, sempre più avanti; impossibile afferrare un dettaglio preciso. Le dita scivolano senza aggrapparsi a niente.


La mente di Amber subì una brusca frenata. L’assenza di pioli sui quali fare affidamento fece scattare un vecchio istinto di autoconservazione che funse da battuta d’arresto. Annaspò brevemente in quel mare di stimoli prima di trovare qualcosa di familiare, come degli indizi disseminati per la via col compito di guidarla di nuovo indietro.
“Seconda lezione: predisporre sempre, sempre, una via di ritorno”, si era raccomandato il signor Norwood. Per fortuna, Amber lo aveva preso in parola.
L’uscita forzata interruppe di netto la connessione con Hettie e rispedì la strega nella stanza asettica della clinica. Dopo i brevi istanti necessari a riprendere contatto con la realtà, non avrebbe faticato a notare l’espressione febbrile del mentore.
«L’hai sentito, non è vero?»

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view post Posted on 11/9/2020, 13:46
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Sempre. Mi chiedo sempre dove sia un confine da ritenere per me invalicabile. Me lo sono chiesta quando - ormai anni fa - la mia mente ha varcato le soglie della connessione con Killian e questo ha mandato in frantumi quella parte di noi che a fatica abbiamo saputo ricostruire. Da allora, forse, non ho mai smesso di farlo ed ora credo di capire che sono io a doverlo decidere. Io e basta, perché laddove Norwood ha saputo spingermi, poi interverrò io a frenarmi perché questa cosa che so fare non finisca per farmi creare una mia personale prigione in cui nessuno saprà più trovarmi. Io non voglio sia così, non voglio che a chi amo debba succedere questo, che debba scendere io in profondità al punto da dover violare ogni ricordo pur di trovare la giusta chiave di lettura. Oggi è un esercizio, ed è questa l'unica cosa che so dirmi; è un esercizio. Voglio aiutare quest'uomo che ha deciso di divenire un maestro per me, a fare quello che neppure lui è in grado di fare ed anche se questo dovrebbe inorgoglirmi, alla fine non lo fa fino in fondo. Trattengo un respiro che non mi appartiene quando varco la soglia di una porta che ho dovuto implorare di mostrarsi a me, e lo sento il formicolio che mi prende e mi rivolta lo stomaco e non mi chiedo neppure più se sia mio o di Hettie. Non ho chiesto nulla che non fosse solo una vista, un accesso, qualcosa che avrebbe potuto condurmi ad una comprensione maggiore del problema perché sì, sì penso che Norwood non mi abbia detto proprio tutto quello che c'è da sapere ed inizio a pensare che la sua prima raccomandazione sia più che altro un modo per dirmi di non andare a trovare esattamente quello che non vuole che io veda, più che il timore di un mio non saper rientrare. L'agitazione febbricitante di una sposa mi toglie il fiato e sapere di avere accanto un padre che non è il mio, ma percepire ugualmente quel legame che so far parte anche di me, mi lascia senza parole. Una parte di quello che sto vivendo ha un senso... l'ho vista, ricordo di aver trovato un frammento non troppo diverso lasciato come una briciola di pane di questo addestramento che non capisco. E quindi non è così difficile lasciarmi trasportare dal silenzio che anima solo i battiti di un cuore in fermento. Sento lo slancio che lei ha, che io ho, verso qualcuno che per me ha tutt'altro aspetto e benché il giovane Norwood non sia un pessimo partito, io so bene chi sarebbe per me la persona in piedi alla fine della navata. E' un pensiero che so scacciare altrettanto in fretta perché non è mai stato prioritario nella mia vita, non come sento esserlo nella sua. A fissarsi nella mente, però, è un istinto che spinge verso qualcosa che - a conti fatti - non è un marito pronto ad accogliere lei o me, e quel che succede dopo è un tornado che io fatico a frenare. Come la prima volta, come quando non ho avuto modo di scegliere nulla, ed in un battito di ciglia, quando ho ancora il profumo di caffè che mi avvolge, sono fuori.

◫ ◫ ◫
.
Sì Amber lo sa a cosa si sta riferendo Norwood, eppure per i primi attimo dal suo rientro non dice nulla. Fa scivolare via la mano da quella inerte della vecchia Hettie, e convive a fatica con l'idea di avere di fronte la stessa giovane donna di cui ha rubato i passi e da cui si è lasciata guidare. Poca luce filtra dalle tende, eppure lo sguardo cristallino si fissa lì, tra le rughe dell'età che non lascia scampo a nessuno e scava un terrore più intimo in lei; qualcosa che ora non ha apparentemente senso d'esistere. «Cos'era di preciso..?» Lo chiede come se immaginasse di poter ricevere una vaga risposta, quando ancora in realtà è un'amarezza profonda che le attanaglia la gola. Non può essere distaccata nemmeno nella promessa di un lavoro quasi chirurgico, un compito da assolvere che deve portare avanti, quando l'amore è un argomento così ostico per lei che anche solo sfiorare quello che è successo le spegne ogni pensiero. «Non era normale...» si ritrova a dire questo come se ne avesse il diritto, come se fosse un suo compito spiegare a Norwood, l'uomo che ha amato Hettie così intensamente, che qualcosa non andava fin dall'inizio, da quando la spinta verso di lui non ha mai riguardato lui e basta. E' allora che trova anche il coraggio di guardarlo negli occhi e non lo sa bene quale espressione sia dipinta sul suo volto, ma un po' è screziata da un dispiacere che ha radici profonde.
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view post Posted on 14/10/2020, 20:27
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Si trattava di una sensazione difficile da descrivere a parole, ma laddove i legilimens avevano la capacità di inoltrarsi molto spesso le parole erano superflue.
Timothy era a malapena in grado di contenere la trepidazione che traboccava dagli occhi accesi e resi folli da un’attesa eterna. Non era nelle sue intenzioni investire Amber con una responsabilità tanto grande né intendeva forzare i suoi tempi, ma era maledettamente difficile.
«È il nulla.» Incalzò, grato che la nuova pupilla fosse stata sufficientemente sensibile da intuire ciò di cui stava parlando. «Quello che hai sentito. Una forza di trascinamento che grava verso gli abissi della sua psiche.» Un sacco di paroloni per coprire la verità, ovvero che lui stesso non aveva la benché minima idea di che cosa fosse. «Ho iniziato ad accorgermene qualche tempo dopo che...— la voce si esaurì in un silenzio esplicito prima che l'uomo riprendesse —all'inizio era appena percettibile, credevo di immaginarlo, ma adesso... adesso mi chiedo se non avrei dovuto accorgermene prima. Molto prima.» In tempo. In un momento imprecisato della conversazione unilaterale il suo sguardo si era assentato, ma prima di riprendere a parlare l'attenzione tornò su Amber. «Non è solo questo. Ogni giorno che passa, qualcosa viene perso; ricordi recenti, perlopiù, nessuna informazione vitale, ma sta scomparendo piano piano. È il nulla a prenderseli.» A sentirlo parlare pareva di assistere alle farneticazioni di un uomo corroso dal senso di colpa e dal rimorso, un'impressione che stonava completamente con il mago distinto che l'aveva sfidata e avvicinata al The Lavender. Ciò nonostante era innegabile che quelle informazioni avessero un fondo di verità, d'altronde Amber non si era sognata quella pulsione, no?
«Alzheimer, occlumanzia... le ipotesi si sprecano. Non cambia il fatto che la sua mente è sempre più fragile e i ricordi sempre più labili e disturbati, dopo tutto questo tempo continua a ritirarsi in sé stessa e a trascinare qualsiasi cosa con lei.» Per questo Norwood si era raccomandato con la strega di rimanere in superficie. Lì era al sicuro, lì il Nulla non vantava predominio assoluto, non ancora.
Per un po' non si udì niente a parte il respiro di tre persone, mentre le informazioni vomitate dal Legilimens avevano il tempo di sedimentarsi sulla coscienza di Amber. Ad un certo punto, Timothy si riebbe. «Non sono uno sciocco, so di non poterla portare indietro, ma vorrei almeno garantirle un po' di pace.»
Le spalle s'abbassarono mentre, in un gesto istintivo, le palme delle mani si allargavano un poco. «Da solo non ci riesco, però, non più. Te la senti?»
Avrebbe compreso se la nuova discepola avesse ritenuto troppo pericoloso inoltrarsi ancora una volta nella trappola pronta a scattare che era la testa di Hettie.
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Amber si fermò solo a guardarlo. In parte curiosa, in parte febbricitante per uno spasmo di adrenalina rincorso lungo le vene.
«Il nulla...» ripeté sospirandolo appena, quasi fosse una minaccia da non invocare ad alta voce. Un blocco, qualcosa che cancella ed annienta: come si può superare? Si chiese se quello fosse il punto nodale di tutto, seppur parte della risposta fosse già negli occhi di Norwood.
Colpevole di non aver fatto abbastanza o averlo fatto per tempo, l'uomo le parve all'improvviso più umano. Il nulla potevano essere tante cose. Una malattia, un morbo che si estende e cancella memorie e desideri. Aveva sentito parlare Nonno Costa di un suo amico che di recente aveva smesso di ricordare amici e parenti, vuoti di memoria e momenti di panico si susseguivano giornalmente, al punto che erano arrivati a decidere di farlo ricoverare al San Mungo, così da potergli dare un supporto senza soffrire nel vederlo perdersi in un bicchiere d'acqua.
Fu la bolla dietro cui Amber per un secondo - o due - scomparve; si chiede cosa si potesse provare a stare dell'altra parte. Non da quella di Norwood con cui potrebbe empatizzare anche troppo, così nell'amare qualcuno che non si ricorda di te. Ma dalla parte di Hettie, in quei tentativi forzati di recuperare il bandolo della matassa.
«Crede che lei lo sapesse?» indicò la donna con un cenno del capo, pur lasciando scivolare un attimo via le dita dalla mano inerte. Hettie sapeva di avere alle costole un divoratore di ricordi? Un morbo, una corrosione crescente che pian piano l'avrebbe chiusa in una bolla in cui niente sarebbe più potuto entrare, svuotata di tutto. Lo sapeva? In parte Amber ne aveva il sospetto, seppur nessuna certezza. O forse era una mente che sognava attimi di struggimento maggiore, perché lei stessa, immedesimandosi, non avrebbe detto niente al marito. Anche a costo di scivolare via, così perché non sprecasse minuti e giorni preziosi al pensiero di non riaverli nelle sue memorie, per correre dietro libri ed incantesimi e perdere tempo vitale.
Ma quel ragionamento lo tenne per sé, incastrando di nuovo le iridi di smeraldo negli occhi del suo interlocutore. Non era sicura di essere in grado di fare quello che sperava facesse, ma diavolo se ci avrebbe provato con tutta se stessa. «» rispose di getto, prima ancora che lui finisse la frase, con la convinzione che già sentiva annuire fortemente nell'anima. Allungò una mano verso di lui e l'altra si strinse ancora appena a quella debole di Hettie. Lui da solo non ce l'avrebbe fatta, probabilmente neanche lei: ma insieme era tutt'altra faccenda. «Mi dica come.. cosa stiamo cercando di preciso?»
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Scusa mi ancora per le ere che ho fatto passare,
ed il cambio del punto narrativo.
:<31:
 
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21 replies since 20/3/2020, 19:54   776 views
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