Knock my chest, emptiness
Sound of death and loneliness
All this walls crush my head
Sound of broken bones and death
La tetraggine che ha avvolto la mia vita — il mio spirito — continua a incombere su di me. La presenza di Casey, però, rischiara una porzione del mio io e mi aiuta prendere fiato. C’è un velo di letargia che annebbia le mie percezioni, ora intensificandole esponenzialmente ora assopendole. Ciononostante, Casey è riuscita a riportarmi alla coscienza — a ripescare la Nieve derelitta che ho costretto all’oblio. Per la prima volta, la guardo per quello che è diventata nei mesi trascorsi: una ragazza e non più una bambina da salvare e da guidare.
Nel cogliere il suo imbarazzo, sorrido e ricambio l’occhiolino. Poi, le lascio le mani dolcemente, facendo scivolare le sue dita poco alla volta tra le mia. Non voglio che pensi di avermi offesa. Non voglio che si senta inadeguata. Riesco a vedere sul suo viso la stessa inesperienza — solo più tormentata — che dominava me prima che conoscessi Astaroth. Ricordo quel momento con un sospiro malinconico, ma annuisco per scacciare la nostalgia e dare seguito alla proposta di Casey.
Da quando mi sono trasferita, ho mangiato così poco che Tilly ha quasi dovuto costringermi… per quanto sia possibile a un elfo domestico imporre la propria volontà sul padrone. E la mia alimentazione è cambiata, passando a un registro di gran lunga più raffinato. I Morgenstern — e Astaroth su tutti — hanno sempre amato, sostenuto e brandito il concetto di eleganza. La mia mentore era in se stessa l’incarnazione dell’ideale edonista del vivere la vita. Spaghetti al sugo e patatine è una proposta molto distante distante dalla latifondista che sono diventata, eppure così vicina alla bambina che sono stata. La stessa che rubava il cibo ai cani randagi per non morire di fame.
Passo il tempo con Casey piacevolmente. Sbocconcello il cibo — o, forse, dovrei dire che lo tocco appena — e provo a distrarla con qualche racconto sopra le righe, io che ne ho accumulati parecchi vivendo la mia vita ben oltre i limiti. Eludo qualsiasi riferimento possa portarmi a dare spiegazioni in merito alla mia sparizione, ai motivi che vi stanno dietro, a quando e se mai tornerò a scuola. Sono i miei occhi e i miei capelli ad avvisarmi del rischio, trasmettendomi una sensazione di dolore sordo tutte le volte che l’oggetto della conversazione rischia di vertere su un terreno scosceso.
Di tanto in tanto, le sfioro una mano per assicurarmi che sia qui con me, che sia vera e non frutto di un’allucinazione psicotropa. Una volta, decido di prenderle le dita tra le mie e di baciarle una ad una, teneramente, nel silenzio denso della casa. Quando le iridi di luna tornano a fissarla, trovo un leggero rossore sui suoi zigomi e mi concedo un accenno di risata. Poi, la invito a dormire, adducendo una stanchezza che non mi appartiene davvero.
Chi, come me, combatte una lotta con demoni tanto potenti non corre il rischio di addormentarsi. A me, non è dato il lusso di prendere sonno facilmente e, se accade, gli incubi che trovo oltre la soglia dell’incoscienza sono talmente vividi e sconvolgenti da farmi preferire la veglia.
Casey mi stringe a sé tra le lenzuola. Lo fa con la stessa dolcezza che mi ha avviluppato il cuore durante il primo abbraccio, un paio di istanti dopo averla invitata a farmi del male. Il contatto con il suo corpo è inedito e caldo, ma non nel modo in cui sono abituata ad avvinghiarmi agli altri. La pansessualità ti rende libera dai pregiudizi e ti apre le porte per provare esperienze che mai avresti immaginato di fare. Per me, la scoperta della mia sessualità è avvenuta con naturalezza in questa fase di sordida follia.
Io, però, ho sempre fatto un sesso selvatico senza provare nulla per la persona a cui mi sono data. Non mi sono mai lasciata avvolgere dalle braccia di qualcuno. Non ho mai smesso di seguire la prima regola aurea che Astaroth mi ha insegnato: “Devi divertirti, ma quando hai finito devi essere la prima a scappare”.
L’abbraccio di Casey non pretende nulla da me. Non mi sta chiedendo di farla godere, di trasformare il suo corpo in una mappa e di scoprire dove si trovi il suo tesoro. Non desidera fare contorcere me per portarmi all’acme. Spera soltanto che resti con lei, che rimanga al sicuro e, per un po’, decido di concederglielo.
La luna è ancora alta nel cielo e i suoi raggi d’argento rilucono, nonostante tutto, nel cubicolo sporco che Casey chiama casa. Il respiro di lei, ancora accoccolata a me, è ora più pesante. Riesco a sentirlo a poca distanza dal mio orecchio smuovere piano un paio di ciocche bianche e solleticarmi la pelle del collo. Sorrido senza celare il velo di amarezza, stavolta. È giunto il momento di andare, di dire addio a… Be’, a qualsiasi cosa abbia significato questo frammento di incontro tra noi!
«Non posso metterti in pericolo» le sussurro, accarezzandole il viso, ora seduta sul bordo del letto. La guardo dormire profondamente e mi coglie il desiderio di restare — non per un tempo determinato ma per sempre. Di fermare le lancette dell’orologio. «Io porto solo guai e tu… Ho bisogno che tu stia bene. Che resti viva».
Mi chino per darle un bacio sulla guancia e indugio più che posso. Per lei, per me, per entrambe. So che non posso lasciare nessun altro segno del mio passaggio, altrimenti si ricorderebbe di questo momento. Invece, deve dimenticarlo. Deve pensare di averlo sognato. Deve tornare a vivere la sua vita come se io non fossi mai accaduta — lasciare che il tempo sbiadisca il mio ricordo e mi cancelli dal suo cuore, come farà con tutti gli altri.
«Ti voglio bene, Casey!»
La luce aranciata del sole sfiora Casey Bell, imprigionata in una spirale fatta di sogni e lenzuola. Quando apre gli occhi, di Nieve Rigos è rimasta soltanto una traccia di profumo sul cuscino e sui vestiti che indossa; e un lungo capello d’argento che gioca a rimandarle riflessi argentati dal pavimento sotto il tavolo della cucina.