F r i s s o n, ~ Horus Ra Sekhmeth

« Older   Newer »
  Share  
~ Nieve Rigos
view post Posted on 27/2/2024, 19:06 by: ~ Nieve Rigos
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,693

Status:


Continua da Prologo
Role retrodata rispetto all'evento straordinario di Horus
I riferimenti alla corsa in moto tra Nieve e Horus riconducono a Roadgame


– Frisson –
18 yrs – Lust – Himiko's

«Grazie per avermi salvato dalla sua guida di merda.» La frase mi esce di bocca con un accenno di sollievo, ché io e Isabella ci siamo appena lasciate l’appartamento dell’Umanoide alle spalle. «Non so se ha avuto il coraggio di raccontartelo, ma ha tentato di ammazzarmi su quell’affare.»
Il ricordo è così nitido che un brivido mi attraversa la spina dorsale. Mi stringo istintivamente nelle spalle e devo dare l’impressione a Isabella di essere infreddolita, perché quella mi mette in mano una giacca di jeans nella quale potrebbero entrare almeno tre Nieve Rigos.
«Non ho freddo. È solo che—»
Non faccio in tempo a finire. Mi zittisce con un gesto della mano e riprende a parlare, allacciandosi all’argomento principe della conversazione.
«Se ti consola ha tentato di ammazzare anche me una volta, quel disgraziato.» Ride, ogni forma di eventuale rancore lavata via dal bene che è evidente gli voglia. «"Isa mostrami come funziona l’autostrada Babbana” mi fa. E io, cretina, ignara di quanto corre su una scopa figuriamoci su una moto, gli dico “Sì, daje, molla ‘ncasco e si va”. Sto stronzo, appena ha capito e ha imboccato l’autostrada, ha tirato l’acceleratore ed è partito. Per poco me ribalto ma, poooh, ho tirato delle bestemmie che ‘nte dico.»
Non posso trattenermi dal ridere a mia volta. Isabella è incredibilmente teatrale quando si lascia andare nel racconto della disavventura, chiamiamola così. Gesticola per tutto il tempo del resoconto e io finisco per rimanerne affascinata. È proprio la sua spontaneità a cancellare la sensazione di fastidio insorta all’altezza del diaframma: l’amicizia con lei è stata coltivata; la nostra giace sepolta in un passato che mi ostino a non rievocare.
È una fortuna che la pietra sotto la quale abbiamo seppellito il nostro rapporto sia adombrata, ora, dalla compagnia irresistibile della mia interlocutrice.
«Ha fatto la stessa cosa con me, solo che io non avevo idea di cosa fosse quel mezzo e non si è sprecato a dirmi che dovevo sistemare la visiera — arriccio il naso senza rendermene conto — né dove mettere i piedi. Quindi, i moscerini hanno banchettato con i miei occhi e io sono quasi scivolata giù mentre correva come un dannato. E ti dirò di più: mi ha pure fatto la ramanzina quando si è fermato su una specie di piazzale al margine della strada. Una ramanzina urlata come nemmeno Peverell quando usa il Sonorus ai balli della scuola.»
«Ma che troglodita! Quand’è diventato così?!» commenta e la sua è una domanda retorica, ma non la vedo proprio allo stesso modo.
Infatti aggiungo: «Ah! C’era una versione non troglodita?!»
La risata che scuote il corpo di Isabella splende più del sole primaverile di Londra. La temperatura è mite. Sotto la giacca che non ho potuto fare a meno di indossare, si insinua di tanto in tanto solo qualche refolo frizzante.
«Stenterai a crederlo, ma sì! Non lo vedi com’è tutto signorino? Ahhh, e vedrai ora al giapponese!»
Ho già detto che amo il Caso per aver reso possibile il nostro incontro? Isabella mi sta fornendo talmente tanto materiale per infierire sull’Umanoide che non sarebbe bastata una vita intera a studiarlo per raccoglierlo.
«Guai a lasciare qualcosa fuori posto o a spostare un oggetto» le faccio eco. La mente mi restituisce le immagini della volta in cui, in preda all’irritazione, ho buttato giù la cornice — che ora so essere preziosa — posta su un mobiletto del salotto. Il suono del vetro infranto, allora, ha ridotto in pezzi la sua pazienza, ma non è riuscito a distruggere il fuoco divampante della nostra passione. «Anticipami qualcosa! Non posso perdermi l’occasione di sfotterlo e vedergli mettere il muso» la prego, gli occhi brillanti.
Il ghigno che si apre sul viso di Isabella è il segno che la nostra complicità non si è limitata a germogliare: sta crescendo ad una rapidità impressionante. «Vedessi il suo ufficio. Tutti i reperti allineati in perfetto ordine. Il mio archivio è ‘na merda» spiega e io mi domando se sia possibile adorare così tanto qualcuno che si è conosciuto da meno di mezz’ora. «Il signorino beve solo vino bianco con il sushi.»
Oh, Umanoide! Sei un esemplare di essere umano così prezioso per il mio diletto!
«Quindi, prima che arrivi, mi sembra d’obbligo ordinare una birra rossa. Ho capito bene?»
L’espressione sul viso di Isabella si fa pensosa. «Oh mamma! Anche se mi sento male all’idea di mangiare sushi con la birra» commenta, prima di proseguire. «Io comunque per dispetto mi diverto a ficcare la bacchetta nei suoi nigiri. Così!»
La osservo mimare il gesto di un accoltellamento e, che ci crediate o no, comincio a guardare alla serata che mi aspetta con un pizzico di leggerezza in più. Se è vero quel che dice, passeranno più tempo a battibeccare che a concentrare l’attenzione su di me. È con sorpresa, dunque, che mi coglie una riflessione: non avrei problemi a mangiare davanti a Isabella. So, in qualche modo, che saremmo entrambe così impegnate a chiacchierare e a ridere da rendere l’atto del mangiare un elemento superficiale. Con l’Umanoide, invece…
«La ordiniamo per lui, mica per noi» le dico, rassicurandola, non prima di aver mostrato il mio plauso per le sue abilità da assassina di nigiri.
D’improvviso si ferma. Ci troviamo in una zona pedonale in cui la gente passeggia placidamente, godendosi la fortuna di un tempo soleggiato con la consapevolezza che le nubi torneranno presto a posarsi su Londra. La imito, perplessa, ricambiando la fissità del suo sguardo con un’espressione interrogativa.
«Tu mi piaci, ragazza» esclama poi e mi sembra di tirare un sospiro di sollievo. Temevo di aver sconfinato, superando il valico del consentito nei termini del loro rapporto. «Ma, se lo conosco bene, ci guarderà così— e imita in modo talmente perfetto la reazione dell’Umanoide che lascio andare la risata cresciuta nel mio petto — e poi la berrà d’un fiato, tipo shottino. Così, per dispetto. Dopodiché ordinerà una bottiglia di Chardonnay.»
Riesco a immaginare la scena con una nitidezza tale da accrescere il mio riso. «Allora, vada per la birra. E, tipregotipregotiprego, uccidi i suoi nigiri. Lo stiamo facendo solo per lui, del resto.» Il ghigno sulle mie labbra smentisce le parole che ho appena pronunciato. «Così, smussa alcuni lati del suo carattere…»
Isabella tace e scorgo un velo di tenerezza sorgere nei suoi occhi. «Sì, è per questo che lo prendo in giro. Deve imparare a stare meno sulle spine» dice e sospira. «Ma devo dire che, da quando lo conosco, è cambiato tanto. In meglio. Quindi pensa te!»
Un’altra risata di gusto si appropria di Isabella e riprendiamo a camminare.
«Buono a sapersi» mi lascio scappare, sinceramente sorpresa. «E dire che io non riuscirei a immaginare peggio di quello che visto.» Sono onesta. Io e l’Umanoide abbiamo attraversato fasi di tale intensità che immaginarlo più brusco di com’è stato mi riesce impossibile. Eppure, ho intravisto il calore che emerge tutte le volte in cui guarda Isabella e ho avuta conferma del suo affetto per lei quando mi ha fermata sul ciglio della porta, non troppi minuti fa. La stessa tenerezza contagia il mio sguardo. «Ma so quanto ti vuole bene e non faccio fatica a immaginare che si sforzi per essere migliore… anche quando lo mandi fuori di capoccia.»
Perché non ho dubbi che lei ci riesca senza problemi di sorta.
«E io ne voglio a lui, lo adoro. È un bravo ragazzo, credimi. È che… ha dei modi rudi ed è freddo come un ghiacciolo se non lo conosci. Ma quando si scioglie è un pezzettino!»
La descrizione di Isabella dovrebbe provocare una certa perplessità nel mio animo e così è da principio. Poi, rammento il sandwich lasciato sull’isola della cucina, la coperta e il guanciale riposti sul pavimento della cabina armadio, i suoi occhi nel buio della notte…
«Quando non si scioglie ti punge e i suoi modi lo fanno sembrare più stronzo di quanto non sia. Gli ho visto salvare un’Archeologa schiantandola. Sembrava gratuito, ti giuro, noi così — mima lo sconvolgimento provocatole dalla reazione dell’Umanoide con la sua solita espressività — e invece aveva visto una linea a terra che noi non avevamo notato e che lei la stava per calpestare.»
«Se non mi conoscessi abbastanza da sapere che non ho idea di cosa facciano gli archeologi, penserei di essere stata io l’archeologa» mi scappa di bocca.
Isabella reagisce con un altro stop. Evitiamo lo scontro con i due passanti alle nostre spalle solo per la prontezza dei loro riflessi. Le considerazioni al veleno che ci dedicano non bastano a frenare lo sgomento di Isabella.
«Ti ha schiantata???» Batte le palpebre, incapace di accostare l’energumeno che ho appena descritto all’immagine del suo amico. «Ma così… gratuitamente?»
Le mie labbra si arricciano e una pennellata di malizia fa capolino sul bordo dei miei occhi. «Potrei averlo preso a pugni e aver scassinato la serratura di casa sua… ma la mia memoria non è molto affidabile, in effetti» è l’indizio che le fornisco per tracciare un quadro più preciso della situazione.
Potrei infierire sull’Umanoide in questo momento, ma non mi va di mentire a Isabella. È stata — e continua ad essere — così genuina e trasparente che sentirei di farle un torto a mancare di sincerità. Anche laddove lo facessi solo con l’intento di scherzare.
«AH!»» Un secondo di silenzio prima di vederla piegarsi in due, scossa da un divertimento che, di nuovo, contagia anche me. «Okay. Siete veramente fatti l’uno per l’altra, allora» asserisce d’impulso, senza pensarci, e una parte di me si irrigidisce.
Non voglio che si faccia un’idea sbagliata della relazione instauratasi tra me e l’Umanoide, pertanto mi affretto a contraddirla: «Ti assicuro di NO. Facciamo lo sforzo di sopportarci per il tempo necessario. Fine.»
Non la conosco abbastanza da sapere cosa pensi, ma il silenzio che segue e il cipiglio sul suo volto sono indiziari di una perplessità dilagante. Non posso sapere che, tacitamente, Isabella stia riflettendo sulla non credibilità della mia tesi: se fosse vero quello che ho detto, non riesce a spiegarsi perché Sekhmeth mi abbia portato nel suo appartamento. La correggerei ancora nel prendere atto delle sue riflessioni. E forse è per questo che preferisce censurare le proprie tesi. Non ha certo bisogno del mio, del nostro consenso per farsi un’idea sul ginepraio nel quale ci siamo ficcati.

Himiko è affollato come sempre. Un vociare penetrante proviene dalla sala cinese, quella alla sinistra dell’ingresso. È più sommesso, invece, il chiacchiericcio che giunge dalla sala giapponese. Mi dico che non mi dispiace avere un po’ di tranquillità. Allo stesso tempo, mi chiedo se la confusione dell’ambiente dirimpetto non avrebbe potuto facilitare la missione impossibile alla quale mi appropinquo.
Presto, una cameriera si approccia a me e Isabella, che siamo ancora intente a disquisire sulla pericolosità della professione di Magiarcheologo. Provo un fascino infantile nell’ascoltare i racconti delle operazioni che l’hanno vista coinvolta; e, per un attimo, balza alla mia attenzione l’incertezza del mio futuro. Non ho mai pensato a cosa avrei fatto dopo la scuola. Non mi sono posta il problema di diventare qualcuno da grande. Ora che la realtà si avvicina, mi trovo sorpresa nel non riuscire a immaginare un mestiere che faccia al caso mio. I vincoli del Ministero, però, mi starebbero stretti e di questo sono certa.
Prendiamo posto a un tavolo lungo una parete dalle grandi finestre con vista sull’esterno. Non so dire se l’affaccio sia su Londra o se il panorama sia frutto di una magia. La collocazione, ad ogni modo, è intima.
Il sole che proviene dall’esterno bacia i nostri lineamenti. Riesco così a intravedere le sfumature nelle iridi di Isabella, ad apprezzare la forma definita delle treccine, a constatare l’imponenza del suo corpo.
«Sei proprio bella.» Finisco per trasformare in apprezzamento il pensiero che ha fatto appena in tempo a piangere il primo vagito. Dovrei essere imbarazzata dalla sfacciataggine con cui il commento si è manifestato — specie dopo essermi concessa tutto il tempo necessario a studiarla —, ma il mio carattere lo impedisce. L’imbarazzo non è ospite abituale in casa Rigos. «Ma tanto!»
Con la stessa naturalezza, alzo poi la mano verso la cameriera per richiamarla al tavolo. Le sorrido, amabile, sebbene le mie intenzioni siano tutto fuorché tali. «Potrebbe portarci una birra rossa, per favore?»
Ammicco in direzione di Isabella. Diamo inizio alle danze.

–Oh, you're in my veins and I cannot get you out–

Code © HorusDON'T copy



Edited by ~ Nieve Rigos - 27/4/2024, 15:52
 
Top
7 replies since 27/2/2024, 19:06   205 views
  Share