F r i s s o n, ~ Horus Ra Sekhmeth

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Horus Sekhmeth
view post Posted on 10/3/2024, 18:07 by: Horus Sekhmeth
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Trantor - Settore Imperiale

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– Frisson –
|| London || March ||

Evening
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Mentre l’acqua mi scorre lungo il collo e scivola lungo la schiena, chiudo gli occhi e ripercorro mentalmente questi ultimi venti minuti. Una variopinta serie di improperi mi sale a fior di labbra e le freno poggiando i palmi delle mani e la fronte alle mattonelle calde della doccia. Ringrazio che il suono dell’acqua scrosciante sia abbastanza forte da nascondere l’eco dei pensieri e mi concentro sul calore che mi brucia piacevolmente la pelle nuda.
Mi sono pentito fin da quando ho aperto la porta a Isabella; il mio corpo si è mosso in automatico, ma a ben pensarci avrei dovuto far finta di niente. Le avrei spiegato domani a lavoro. Oppure sarei potuto stare zitto e lasciar andare via Nieve, senza farmi fregare dalla sua espressione stranamente delusa. E invece, rieccomi, a tenderle la mano ancora e ancora. Ogni volta che mi dico di non farmi coinvolgere anche solo superficialmente dai suoi palesi problemi relazionali e non, finisco a contraddirmi da solo e di contravvenire al nostro patto. Solitamente ricevo solo morsi e graffi, ma questa volta… questa volta è stato inaspettato e mi ha lasciato spiazzato forse più del mio gesto.
Mi passo le mani sulla faccia per nascondere un sospiro, come se volessi evitare che possa raggiungere Nieve ed Isabella, ormai fuori casa da un pezzo.

Nella cabina armadio fisso per un indefinito numero di minuti il cuscino e la coperta rigorosamente piegati sopra la cassettiera bianca. Mi sono accorto che in quelle rare volte in cui si ferma dormire da me, il Gattaccio si va a rintanare nell’unico luogo chiuso –bagno a parte s’intende– del mio appartamento. Per poco non mi è preso un colpo la prima volta quando ci sono entrato per prepararmi a partire all’alba per una missione di tre giorni in Italia. Svegliandomi e trovando il letto vuoto, ho dato per scontato che fosse andata via come al solito; invece l’ho trovata rannicchiata sul tappeto, con solo una mia maglietta addosso e tremante di freddo: stava dormendo. Ricordo di averla osservata per un po’ prima di decidere di Appellare ciò che mi serviva per non svegliarla.
Ancora adesso, mentre prendo la maglia a collo alto (vaffanculo Rigos) e la indosso, mi stupisco della sua somiglianza con un gatto. Così come si pone un riparo vicino la porta di casa per un randagio infreddolito, io ho fatto lo stesso decidendo di lasciare casualmente il famoso cuscino con la coperta nella mia cabina armadio. So che la usa perché anche se risistema tutto, le cose non sono piegate alla mia maniera.
Mentre mi vesto mi prendo il mio tempo perché, lo so, sono ancora troppo nervoso per potermi preparare alla serata che mi aspetta. Scelgo con cura i pantaloni, la cinta, gli anelli, le scarpe e, infine, il cappotto. Non ci metto una vita a prepararmi come dice Isa, semplicemente ci tengo a vestirmi bene. È sempre stato un mio appannaggio quello della cura negli abiti ed ora ciò che indosso è tutto completamente nero. Isabella capirà perfettamente il mio umore, penso con un sorrisetto irritato. Poi mi passo disordinatamente le mani fra i capelli lunghi e prendo il casco da un cassetto.
La comodità di essere maghi in una casa piccola è proprio l’utilità dell’Engorgio e del Reducio. Mi basta picchiettare una superficie con la punta della bacchetta e quella che era solamente una perlina, ora è un casco da moto. Lo stesso la cui copia il Gattaccio ha crepato quel giorno in autostrada.
Tolgo col dorso della mano un invisibile granello dalla superficie opaca; ripenso a noi sull’erba ai confini dell’autostrada, l’attacco di panico, il modo in cui mi ha aiutato ad uscirne.
Snudo i denti in un ringhio silenzioso mentre mi affretto ad uscire di casa, sbattendo la porta.
Se non ci fossimo mai persi di vista, se il rancore non avesse mai avvelenato e reciso la nostra amicizia, saremmo così, ora? Usciremmo insieme agli altri come se nulla fosse, senza il sesso a farci da unico legante?
E, mentre mi infilo il casco e il rombo della moto promette –finalmente– di cancellare i miei pensieri, se oggi non le avessi detto di rimanere con noi, quanto tempo ci sarebbe voluto prima che l’ennesimo passo fosse stato compiuto oltre il limitare del nostro silenzioso accordo?
Perché, mi acciglio accendendo il motore e lasciando il suo ruggito sopraffare tutti gli altri suoni della strada, sono io a varcare quel confine. Sempre.

Quando raggiungo Himiko’s, la nube del mio rimuginio è sempre lì, sopra la mia testa. Tuttavia, il viaggio, anche se breve, mi ha aiutato a ritrovare il controllo dei miei nervi. L’attenzione che devo porre alla guida è assai utile per ricalibrare i miei meccanismi. O i miei ingranaggi, come direbbe il Gattaccio. È per questo che, quando posso, preferisco usare la moto anziché Smaterializzarmi; che poi, ad essere onesti, lo detesto. Comodo, fantastico essere Maghi, ma lo odio. Mi fa venire la nausea, mi inquieta l’idea dello Spaccamento e quasi preferirei una Passaporta.
Un mezzo Babbano, per quanto limitato, è una soluzione per me sicuramente più congeniale. Senza contare che… beh, ho fatto apportare qualche piccola, piccola modifica da un amico di Ned che aggeggia con le cose Babbane. Se il Ministero mi scoprisse, sarebbe davvero da ridere.

Smontando dal veicolo ai margini del marciapiede di fianco al ristorante, sento bussare alla mia sinistra e voltandomi mi ritrovo, oltre la grande finestra davanti la quale ho parcheggiato, la faccia di Isabella che oltre il vetro mi fa “ciao ciao” con la mano.
Quant’è stupida! Ma la adoro: guarda lì, felice come una Pasqua perché siamo a cena nel suo ristorante preferito. Mi inonda nuovamente quella tenerezza e quel grande senso d’affetto che provo per lei ed istintivamente sorrido, senza rendermi conto che ho ancora il casco a nascondermi il volto. Lei gesticola e trovo divertente come io possa vedere le labbra muoversi senza udire alcun suono. Indica Nieve che le è seduta di fianco ed io mi irrigidisco. Sembra tranquilla e i lunghi capelli bianchi le incorniciano un volto sereno. Di quell’espressione addolorata, di quel tono mortificato di cui ho appena scorto uno spiraglio qualche ora fa, non c’è più traccia. Sbuffo, togliendomi il casco e mettendomelo sotto braccio.

Quando entro nel locale il chiacchiericcio mi stordisce per qualche secondo; una musica tipicamente orientale avvolge l’intero ambiente ma, in un qualche modo, lo rende più piacevole e disperde un po’ le voci degli avventori. Avviso la cameriera che mi è appena venuta incontro che ho già un tavolo e raggiungo Isabella e il Gattaccio nella sala giapponese.
« Ooooh ecchite! Quanto c’hai messo? » Mi saluta Isa, con la classe ed eleganza che da sempre la contraddistinguono.
« Il giusto. » Rispondo, mandandomi indietro i capelli con una mano, consapevolissimo di farla indispettire.
Scocco una veloce occhiata alla Rigos, poi il mio sguardo scende sulla giacca di jeans che sta indossando.
« Quella giacca mi è familiare. » Dico, ma guardo Isabella perché è stata lei a fregarmela l’ultima volta. Lei si stringe nelle spalle e allunga un braccio oltre quelle del Gattaccio, tirandola a sé.
« La pupa aveva freddo! Sta meglio a lei che a te. » Si giustifica stringendosi nelle spalle. Io sospiro: ho imparato a non essere possessivo con le mie cose quando c’è Isa nei paraggi perciò non aggiungo altro.
Mentre poso il casco sulla panca e mi tolgo lentamente il cappotto, fisso Nieve; è minuscola nella mia giacca, ma, effettivamente, le dona, come tutte le volte che indossa la mia roba. Anche se “le dona” non è proprio il termine che userei. Mi costringo a distogliere lo sguardo per evitarmi di ricordare altre situazioni in cui si è messa qualcosa di mio e mi lascio cadere sul divanetto; il casco è appoggiato sul cappotto accuratamente ripiegato di fianco a me e colgo il divertimento sul volto di Isa. Lì per lì penso sia per l’ennesima simmetria del mio modo di sistemare le cose, poi però noto la direzione dove puntano i suoi occhi.
C’è una birra davanti a me che prima non avevo notato. La condensa scivola giù dal boccale di vetro e il sottobicchiere è ormai umido, segno che è arrivata già da un po’.
Sono confuso: guardo perplesso prima Isabella, poi Nieve.
« Aspettiamo qualcun altro? » Chiedo, aggrottando le sopracciglia e guardando prima la birra poi verso il corridoio. Isabella si esibisce in un ghigno degno di Eloise Lynch.
« No, è tua. Te l’abbiamo ordinata perché sappiamo che ci sta na cifra bene col sushi. » Sghignazza.
Io, davvero, non colgo il motivo di tanta ilarità e batto le palpebre con la confusione a velarmi gli occhi.
« Ma seriamente? Lo sai che bevo sempre il vin— ah. » D’improvviso capisco e tendo le labbra in una smorfia.
« Ah, ah, molto divertente. Regine della comicità. » Arriccio il naso, ma Isabella continua a fissarmi con le labbra incurvate nel suo sorriso migliore. Io, dal mio canto, ignaro di cosa comporterà il mio gesto, mi porto il boccale alla bocca e bevo tutta la birra in un sorso.
Sono allenato dal fuoco di mille battaglie e di diecimila shottini, io.
Butto indietro la testa, finisco l’ultimo goccio e poi batto il bicchiere sul tavolo. A questo punto, Isabella, che vedevo trattenersi come in preda a degli spasmi, scoppia a ridere così forte che dei signori al tavolo davanti al nostro si girano indispettiti.
« Isabè ma che cazzo ti ridi? » Sibilo, sporgendomi in avanti e cercando di tirarle una manata.
Ma lei, niente, è inarrestabile. Si piega addosso a Nieve, scossa dai tremiti e poi, togliendosi una lacrima dall’angolo dell’occhio, tra un riso e l’altro le fa:
« Hai visto? Che t’avevo detto? Preciiiiiso! »E, unendo pollice e indice, tira un’immaginaria riga a mezz’aria.
Io, basito, guardo prima l’una, poi l’altra.
« Ma che diavolo vi siete bevute voi due?! »
Lo sapevo che avevo fatto una cazzata gigantesca, me lo sono ripetuto per tutto il viaggio; ma l’entità che sta assumendo sta raggiungendo volumi tali da lasciarmi totalmente e completamente sbalordito.
Un plauso a me stesso: complimenti, Horus, per aver mandato tutti i tuoi buoni propositi a fanculo!


|| You can't live without the fire 'cause you're born to live and fight it all the way ||

code ©Horus.

 
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