Ci incontriamo in un pub a St. Ives, uno di quelli affacciati sulla strada che dà sulla spiaggia principale del paese. In lontananza, sul promontorio a picco sul mare, l'ombra scura della Cappella incombe sui marosi che si abbattono sui frangiflutti del porto e sugli scogli. Il cielo grigio suggerisce un temporale imminente e il vento fa vibrare i vetri delle finestre. Eppure, all’interno del locale regna un’aura serena e conviviale tra gli abitanti del posto: vengono servite birre e piatti caldi, senza lesinare sulle quantità. I profumi che mi avvolgono sono diversi e mi sento, tra questi ed il tepore della sala, come un gatto acciambellato sulla poltrona preferita. Nulla può tangermi, in questo momento e di questo posto mi piace anche questo: la generosità delle persone e la chiara accettazione del diverso, del nuovo. Sono già un habitué dei piccoli negozi sulla via principale e, anche se qualcuno ci ha provato a chiedermi chi sia e da dove venga - o che cosa ci faccia a St. Ives di tutti i posti possibili - , sono riuscita a mantenere un profilo abbastanza basso: la proprietaria dell’emporio sa che ho acquistato il “cottage del pescatore” e ha naturalmente sparso la voce, ma non è ancora riuscita a carpire la mia origine precisa e soprattutto che cosa faccia nella vita. Credo che mentire a queste persone sia lo scotto da pagare per aver scelto un rifugio di quiete nel bel mezzo del nulla - e della Cornovaglia -, ma mi inventerò qualcosa affinché la questione sia ridotta all’osso. Non voglio passare la mia vita a mentire a degli sconosciuti.
«Spero tu abbia ordinato, ho una fame da lupo!»
Drake si scrolla di dosso gli abiti fradici e mi saluta con un gran sorriso: deduco che le cose a Londra stiano andando bene se è così bendisposto. L'ultima volta che l'ho visto non mi sembrava così raggiante, ma forse ero troppo concentrata su me stessa per accorgermi di chi mi stesse intorno.
Gli faccio cenno di accomodarsi e lo accolgo come in qualsiasi altra occasione: una punta di sarcasmo, uno sguardo un po’ sornione e via con lo show in cui fingo di detestarlo come quando eravamo ragazzini.
«Si può sapere dove sei stato? Sembri un cane bagn-- e non riesco a terminare la frase, perché folletto dispettoso qual è decide bene di passare le dita tra i capelli corvini e schizzare di goccioline d’acqua lo spazio e le persone intorno a noi, dopodiché si alza, individua il bagno e si lancia in quella direzione senza dire una parola. Ovviamente mi scuso per aver portato a cena un soggetto simile e, dopo che l'imbarazzo ha lasciato il posto all’autocommiserazione, per ammazzare il tempo richiamo la cameriera e faccio l’ordinazione.
Tre quarti d’ora più tardi, nel bel mezzo della nostra cena, Drake smette di raccontare della sua ultima causa e di come il suo avversario fosse un pallone gonfiato; forse si è reso conto che non lo sto seguendo più di tanto.
«Non credevo avresti preso casa in un posto così.»
Alzo gli occhi dalla mia zuppa di pesce e mi limito a far spallucce: so che cosa sta per chiedermi, non serve essere una Legilimens per capirlo.
«Intendo dire… credevo che dopo gli esami avresti cercato lavoro al Ministero.» continua «Il Ministero è a Londra.»
«Grazie per avermelo ricordato, genio.» gli sorrido forzatamente, preparandomi a ciò che sta per arrivare. Sento che comincerà dicendo che sono troppo giovane per chiudermi in una casupola sulla scogliera, che non avrò mai una vita sociale qui e che il lavoro mi costringerà a trasferirmi in città, confermandomi di aver buttato al vento denaro e tempo per una ristrutturazione che non serve.
«Non dirmi che rinunci al Wizengamot.» sbotta alla fine, gettando il tovagliolo sul tavolo come se fosse uno straccio qualunque nella più completa indignazione.
«Non ho rinunciato a niente. Prima devo diplomarmi.»
«E vivrai in quel cottage lassù? Da sola? Cosa farai? La strega del paese?» e abbassando la voce «Qui non c’è gente come noi.»
«Questo non puoi saperlo. E comunque questo è il posto in cui ho scelto di vivere e il camino è collegato con la Metropolvere. Ho fatto richiesta quando ho ufficializzato l’acquisto.»
Mi infastidisce che pensi che non sia pronta a sobbarcarmi il peso della scelta che ho fatto e così lo guardo storto per un attimo.
«Jean.»
All’uso del nomignolo assegnatomi durante l'infanzia poso anche il cucchiaio. Sa quanto detesti la storpiatura del mio secondo nome, eppure si ostina ad usarmi questa violenza solo per indispettirmi. E ci riesce, questa è la cosa divertente.
«Non sono venuto fin qui per mangiare salsicce e uova, bere birra scadente e passare una serata con te.»
«Ma davvero?»
«No, aspetta, è uscita male. Quello che voglio dire…» e deglutisce a fatica il boccone che a momenti lo soffoca «…sai quanto mi piaccia passare il tempo insieme, ma…»
Mi fa cenno con l’indice alzato di aspettare un minuto, mentre ingolla due o tre sorsi di birra dal sapore discutibile. Drake è sempre stato più raffinato di così: vino, cene nei ristoranti migliori, abiti di sartoria per il mondo comune e per quello magico; il suo stesso appartamento è un’ode al lusso e ai soldi ben guadagnati. Chissà come deve sentirsi denigrato a cenare qui stasera. Con me.
«Connor.»
Stavolta il boccone va di traverso a me.
Non vedo mio nonno da quella sera, da quando gli ho detto tutto ciò che sapevo di Cordelia e mi ha intimato gentilmente di farmi da parte. L’ho tempestato di lettere da allora, ma le sue risposte sono sempre state evasive, ad eccezione dell’ultima in cui aggiungeva che presto ci sarebbero state novità e ne avremmo parlato. Credevo che la conversazione sarebbe stata tra noi, ma a quanto pare mi sbagliavo di grosso.
«Mi ha chiesto di dirti un paio di cose che riguardano quello che vi siete detti…»
«…l’ultima volta.» termino per lui.
Drake annuisce e si china a prelevare qualcosa dalla busta portadocumenti da cui non si separa mai. «Ecco. E’ solo una copia. L’originale è conservato in un luogo sicuro e comunque questa la distruggeremo come si deve dopo che ne avrai preso atto.»
Metto da parte la mia zuppa, la fame è svanita completamente. Penso alle variabili possibili, a ciò che mio nonno potrebbe aver scoperto in questi mesi. E se Cordelia fosse sparita? Se avesse rinunciato? Che cosa trama mio nonno, mentre io fingo di condurre un'esistenza quasi normale?
«Non è il mio settore, non proprio, ma come Avvomago sono vincolato dal segreto professionale. Perciò non dirò una parola di quello che ci diremo stasera. Per Connor sono solo un portavoce e niente più. I suoi consiglieri sono altri.»
Sembra deluso di aver dovuto fare questa precisazione, quindi mi limito ad annuire e apro la busta che mi porge. E’ pesante, di pergamena costosa e riconosco il marchio impresso sulla ceralacca grigioperla: Moran. Mi tremano le mani e non so neanche il perché.
Mi sono sviscerata l'anima in questi anni, ma in questo momento percepisco il vuoto allo stomaco tipico della paura.
All’inizio leggo con frenesia la lettera, ogni parola mi sembra sconosciuta e incomprensibile; sono costretta a rileggere le stesse frasi più e più volte prima di comprenderne il reale significato.
«Non ci credo.»
Drake non sa davvero nulla, glielo leggo nell’espressione curiosa dello sguardo e nel tentativo maldestro di sbirciare il contenuto della missiva.
Dopo la terza lettura consecutiva mi rassegno a piegare il foglio, riponendolo nella busta e consegnando il tutto al mio ospite.
«Leggi e dimmi che ne pensi. Può davvero farlo? Può davvero lasciare il Maniero a me?»
Trascorrono rapidi istanti di silenzio prima che uno dei due dica qualcosa, minuti in cui trattengo il fiato e osservo Drake torturandomi le mani.
«Secondo le mie informazioni si può disporre dei propri beni nella libertà più assoluta, a patto che vengano considerati i parenti più prossimi e che il bene appartenga effettivamente all’interessato. Però…» ci pensa ancora un po’, dopodiché giunge alla conclusione «Deve aver pensato che nessuno dei suoi figli fosse degno abbastanza se ha saltato per intero una generazione.»
Mi lascio andare completamente sullo schienale e guardo fisso davanti a me. Ripeto a memoria le parole scritte di pugno da mio nonno e mi rendo conto del peso che portano: alla sua morte, ogni bene mobile e immobile sarà destinato solo ed esclusivamente a me, così che ne sia la custode. Perché io? Perché non papà? Non so nulla di leggi magiche né di successioni, dannazione. Vorrei contestare questa decisione, ma la verità è che credo di sapere quale sia la ragione dietro una scelta tanto particolare.
«Non è una preferenza, Drake. E’ una strategia.»
«Che vuoi dire?»
Cordelia sta facendo il possibile per portare avanti la sua vendetta: finora non ha mai davvero colpito nessuno di noi, ma quello che ha fatto a Primrose è stato il primo passo; confondere le sue tracce, fingere la sua morte e soprattutto giurare di non lasciare mai che il Maniero, la sua eredità, finisca nelle mani del primogenito maschio. Porto una mano alle labbra nel momento della realizzazione.
Mio padre è il terzogenito, ma l’unico maschio senza eredi di questo sesso. Nel suo ragionare, Connor ha trovato l’appiglio, forse, per salvare papà e tutti gli altri. Io sono quell’appiglio.
«Ci sono cose che non posso spiegarti qui.» dico, alzandomi «Andiamo al cottage.»
Non posso raccontare tutto a Drake, benché il suo supporto sia stato fondamentale per me nell’ultimo anno e mezzo. E’ il migliore amico di Desmond e se la manovra di mio nonno serve davvero a qualcosa, allora meno sa e meglio è; tuttavia, è necessario che gli dia un messaggio da riferire.
«C’è una piccola faida in famiglia, storia vecchia. E questo…» agito la lettera «Risolve parzialmente il problema.»
Il punto è che non so se sono degna di questo compito. Ho mentito, giurato il falso e tradito la fiducia di molti da quando tutta questa storia è cominciata, ma non conosco ancora l’estensione della mia colpa. Mi sembra impossibile meritare un simile onore ed onere, tanto più che mi sento insicura oggi più che mai. Cerco di spiegare a Drake quello che mi passa per la testa, le paure folli e le più stupide incertezze; lui sorride, abbarbicato sul bancone della cucina.
«Non credo sia solo una questione di faida famigliare. Connor ha sempre avuto un debole per te. Sei la sua erede di fatto, adesso, ma lo sei sempre stata. Ti ha insegnato cose che non ha nemmeno nominato a Des o agli altri. Sei identica a lui, possibile che non te ne accorga?»
«Non è assolutamente vero.»
«Sei una Legilimens proprio come lui e sei pure brava come Occlumante. Ragioni come lui, tant’è che hai capito il suo piano, sembra, senza troppi problemi. Ti considera una sua pari da quella sera! Sei la sua erede di nome e di fatto.» ripete accalorato.
Mi sono sempre chiesta chi fossi e quale direzione avessi preso, ad un certo punto. Volevo essere una persona affidabile, pronta e disponibile per chi ne avesse bisogno e con sani principi. Mi sono ritrovata ad essere molto diversa da quella versione di me stessa e mi sono chiesta spesso, ultimamente, se non fosse davvero questo che ero destinata ad essere. Mi sono domandata anche che cosa sarebbe rimasto di me se fossi scomparsa all’improvviso: non sono sicura di meritare la fiducia di mio nonno in questa storia, non dopo quello che ho fatto a Primrose, ma lui deve pensare che sia così. Altrimenti avrebbe affidato la questione a qualcun altro. Bastava scegliere zia Sheila o Ellen.
Ma poi toccherebbe a Des o ai gemelli. rifletto.
Ovviamente la decisione del nonno ha senso. Probabilmente avrebbe agito così molto prima se solo avesse saputo fin dall'inizio il rischio che stavamo correndo. Ammetto di non essere pronta a quello che verrà, ma ho capito una cosa nel corso del tempo: Cordelia mi ha sempre lasciato una traccia da seguire, volente o nolente, senza mai farmi del male… e questo è ciò che conta.
Continuo a fissare la calligrafia di mio nonno, sperando almeno in parte di aver preso la decisione giusta. Dalla bacchetta evoco una fiammella flebile, ma capace di incenerire la copia del testamento morale di Connor Finn Moran e, implicitamente, il mio.
«Digli che accetto.»