Lo scatto della serratura aveva tradito il suo ingresso nell’appartamento di Mead Street. Il buio opprimeva lo spazio con la sua presenza, mentre una luce fioca proveniva dalle stanze al piano superiore. Non era difficile capire con chi stesse parlando Fiona, la sua voce acuta in netto contrasto con il tono brioso e pratico di Martha Lynch. Sospirando, si era chiusa la porta alle spalle e vi si era appoggiata con la schiena, sfinita.
«
Signorina, non credere che mi sia passato inosservato il tuo beffarti delle regole di questa casa.»
Sobbalzando per averla sentita tanto vicina, aveva sollevato lo sguardo sulle scale intercettando così la figura agile di sua nonna scendere i gradini, che scricchiolavano fastidiosamente sotto il suo peso e al ritmo della sua marcia degna di un generale. «
In cucina. Ora.»
L'aveva superata e, Thalia ne era certa, le aveva appena lanciato uno sguardo gelido, reso ancor più penetrante dal color grigio delle iridi. Martha Lynch era una strega esuberante: il suo sorriso accogliente riusciva a sciogliere persino il ghiaccio in cui talvolta restava imprigionato Connor, coi suoi modi da nobile decaduto, ma mai dimenticato. Ora, però, sua nonna l’aveva tacciata con quei modi che mai Thalia si era sentita rivolgere e che, per un solo istante, le avevano ricordato la figlia di quella donna: Leanne, sua madre. Era così abituata a sentirsi giudicata dalla persona che l'aveva portata in quel mondo, da non essersi mai sentita vulnerabile sotto gli sguardi altrui. Nessuno, come Leanne, sapeva farla sentire inadeguata. Eppure - aveva pensato - Martha l'aveva cresciuta e quell'attitudine doveva pur aver avuto un'origine. La risposta le era chiara, a differenza di molte altre, e con l'animo in subbuglio si era risolta a seguirla in silenzio.
Quando l'aveva finalmente raggiunta, varcando la soglia della cucina con quell’orribile carta da parati a fiori, aveva trovato la strega-giornalista seduta al lato corto del tavolo: le dita scarne intrecciate, la luce di un lampadario tremolante e le ombre a danzare tutt'intorno. Disarmante, il silenzio si era impadronito di una casa divenuta, stranamente, opprimente.
«
Posso sapere, di grazia, dove sei stata per tutto il giorno?» aveva chiesto allora, addolcendo appena lo sguardo, ma cercando di non darlo troppo a vedere. Era un interrogatorio e sentiva di non sapere che cosa rispondere. Quando la risposta era affiorata, emergendo dopo un brevissimo silenzio, si era sentita sciocca. Era la verità, certo, ma non c'era tutto in quelle poche parole pronunciate con incertezza. Il substrato di segreti nel quale sguazzava da anni stava cominciando ad intaccare le fondamenta del suo rapporto con Martha, l'unica della famiglia a cui non aveva mai saputo dire una bugia.
In un solo giorno, gliene aveva raccontate almeno due. «
Hyde Park, Diagon… ero fuori. Avevo bisogno di camminare.» aveva risposto, continuando a restare in piedi, senza avere il coraggio di sedersi per affrontare la prima ramanzina dopo secoli di assoluta compiacenza. Aveva stretto il bordo dello schienale di una sedia fino a che le nocche non erano diventate bianche e il silenzio era calato pesante al pari di una scure tra le due donne. «
Fuori.» aveva fatto eco l'altra «
Non è una risposta che mi soddisfa, spero tu lo sappia.» «
Lo so.» aveva ammesso, rilassando le spalle e chinando il capo. Sul pavimento era rimasta qualche briciola di pane e nel lavello una spugna continuava a sfregare il sapone per piatti sui mestoli e sulle pentole. Aveva saltato il pranzo e anche la cena. La fame e l’appetito erano state risucchiate dal malumore e dal peso di ciò che Thalia sapeva bene di dover fare. Era giunto alla fine il momento tanto temuto, quello del confronto con la verità e con se stessa. La sua famiglia meritava di meglio di patetiche scuse, eppure l'idea di rivelare ogni cosa la intimoriva più della ragione stessa per cui era arrivata sino a quel punto. Il volto di Mike, poi, era rimbalzato nuovamente tra i suoi pensieri, come a voler dire "
E io? Che cosa merito, io?". Dopo un pomeriggio trascorso a vagare senza meta, scoprendo angoli di Londra che non avrebbe immaginato esistere, era tornata con la mente al motivo per cui tutto quel periodo era stato così strano e caotico, disordinato e contrario alla sua vita di prima.
Prima. Com'era? Ci aveva pensato tanto a lungo da stare male. La semplicità, l'inizio della scuola, la spensieratezza. Non aveva goduto di nulla con pienezza da quando Oliver Brior aveva sancito la fine di quella fase della sua vita.
E c'era da aspettarselo - si era detta -
perché puoi dimenticare uno schiaffo, forse, ma le parole... quelle no. Mai. Eppure non era stata colpa nemmeno di Oliver, giacché si era fatto portavoce di qualcosa di più grande e incomprensibile. Forse, dopotutto, aveva da fare ammenda su più fronti, senza esclusioni.
«
Voglio che mi spieghi perché non hai pensato di avvertire. Tua sorella voleva uscire per cercarti e... per la miseria! Thalia Jane Moran, guardami quando ti parlo!» Martha aveva gridato, battendo con veemenza un pugno sul tavolo, e l'aveva riportata in quella cucina che odorava ancora di arrosto. Inspirava a fondo, provando con ogni fibra del proprio essere a mantenere la sua proverbiale calma, ma era evidente - persino a sua nipote - che Martha Lynch avesse completamente perso il controllo di sé. Una parte di lei riusciva a capire la sua pena, il fatto di non sapere dove fosse e di averla sentita rincasare poco prima della mezzanotte. Londra non era Cork - aveva proseguito - e sarebbe potuto accaderle di tutto. «
Sei una strega adulta, capace di badare a te stessa. Questo lo so.» aveva sbottato, incrociando le braccia al petto e corrugando le sopracciglia «
Ma questo non ti autorizza a far diventare pazza tua nonna. Ho già cresciuto una figlia con la convinzione di essere grande abbastanza per badare a se stessa. Non avevo idea di aver a che fare con la sua copia esatta.»
Quell’ammissione l'aveva costretta a guardare davvero negli occhi sua nonna. Era la prima volta, in diciotto anni, che la sentiva parlare di sua madre in quei termini, così come si parla di una persona tanto amata da aver saputo accettare ogni suo pregio e ciascun grande difetto. L'aveva colpita, soprattutto, per quella similitudine tanto sfacciata, sfuggita dalle labbra sottili dell’anziana strega con la naturalezza con cui si pronunciano le grandi verità. «
Anche Leanne pensava di poter andare e venire a proprio piacimento, rincasando tardi senza dare spiegazioni, ma ho sempre saputo dove andasse e perché.» aveva aggiunto, con un sorriso malizioso a fior di labbra che nascondeva una nota amara, sconosciuta «
E ora tu fai lo stesso. Non sai quante volte abbiamo affrontato questa conversazione. E lei era lì, esattamente dove sei tu ora. Sembra un deja-vù.»
Non aveva mai pensato che quella fosse la casa in cui sua madre aveva mosso i primi passi ed infranto le prime regole. Semplicemente, non riusciva a figurarsi Leanne come un’adolescente ribelle. Forse perché, dopotutto, non glielo aveva mai permesso e non si era mai davvero confidata con lei sul proprio passato. Aveva sempre pensato di essere diversa da lei, eppure, ogni giorno le dimostrava quanto invece avessero da condividere. L’unica differenza, probabilmente, era la ragione per cui Leanne restava sveglia fino a tardi e usciva di nascosto per tornare all’alba.
«
Per l’amor del cielo, bambina mia, parla.» l'aveva supplicata allora, alzandosi svelta e raggiungendola in un baleno. Le dita fredde le avevano sfiorato con delicatezza il mento, sollevandolo cosicché potessero guardarsi dritte negli occhi. «
E’ successa una cosa, oggi.» aveva concesso alla fine, spostandosi e sedendosi all’altro lato del tavolo. Martha aveva ripreso il suo posto in silenzio, pronta finalmente ad ascoltare. «
Credo… credo di aver rovinato tutto.» aveva ammesso, la voce appena più roca. La mano di Martha aveva raggiunto la sua, accarezzandola con la dolcezza consueta di una nonna disposta ad ascoltare le pene dei suoi pargoli per raccoglierne il peso e alleggerirli un po’.
~
Aveva aspettato, seduta su una panchina ancora umida della pioggia del giorno prima. Muoveva nervosamente le gambe, osservando i Babbani in vena di tenersi in forma con le corse frenetiche del sabato mattina, riflettendo sul fatto che, almeno lei, non avesse nemmeno il tempo di pensare; ma, in fin dei conti, si era alla fine di agosto e a breve la vita sarebbe tornata quella di sempre. Era quella consapevolezza ad averla spinta ad accettare il
suo invito, non fosse stato perché - dopotutto - sapeva di aver meritato la resa dei conti dopo mesi di latitanza. Era reduce dai propri errori, conscia di aver tirato una corda fragile sino a temere di vederla spezzarsi sotto al suo giogo. A nulla era servito il confronto con Nieve, tra i casolari di campagna in Italia: se avesse potuto, sarebbe rimasta laggiù, insieme alla sua amica, fuggendo da tutto e tutti, come se avesse potuto essere la vera soluzione ad ogni problema. I Moran però non fuggono dalle traversie, su questo Connor era sempre stato chiaro, e quella voce bassa e rassicurante aveva saputo raggiungerla sin lì, tra le colline toscane, vanificando gli effetti dei numerosi bicchieri di vino. Alla fine, Mike aveva chiesto udienza e non avrebbe accettato un diniego come risposta.
Lo aveva aspettato, incurante della fame incombente intorno a mezzogiorno, mentre Hyde Park andava svuotandosi dalle coppie che passeggiavano coi cani al guinzaglio, fedelmente al seguito, o alle nonne coi nipotini, pronti a sfrecciare inseguendosi a perdifiato.
Avrebbe dovuto capire. Avrebbe dovuto saperlo.
Aveva teso troppo la corda e quella aveva finito per spezzarsi tra le sue mani.
Quelle stesse mani che avevano accarezzato il suo viso, arruffato i capelli castani; nel vuoto davanti a sé era riuscita a ricostruirlo quel momento perfetto in cui, guardandolo negli occhi, il suo sorriso si apriva come non mai.
[ Percepì le dita di Mike tra i capelli vermigli, un contatto inaspettato quanto quel sorriso. Rimase in silenzio. Qualsiasi cosa avesse scelto di fare, non gliel'avrebbe impedito. Non avrebbe saputo come fare. Non avrebbe saputo dire nemmeno perché avrebbe dovuto fermarlo visto che, in gran segreto, aveva pensato ed immaginato quel momento – nelle ultime settimane – con una costanza invidiabile. ] ~
A Step Forward, Primo PianoAveva lasciato Hyde Park con la morte nel cuore, con la certezza di aver visto sgretolarsi tra le dita ciò che con tanta dedizione avevano costruito. E di chi era la colpa? Forse della sua incapacità di comunicare. Forse delle circostanze o, addirittura, del Destino. Il Fato o la Sorte, sue nemiche per natura, che erano riuscite negli anni a condizionare ogni suo passo; lei, che strenuamente si era opposta ad un disegno già tracciato da mano esperta, aveva finito per cedere alle insidie pendenti come burattini manovrati da sapienti mani invisibili. Qual era stata la sua colpa, in fondo? Ascoltare delle parole, parole tremende, e cercare con ogni forza di non darvi bado. E più aveva tentato di non assecondare la Dea capricciosa, quella le aveva lasciato dei promemoria sparsi nel castello. Le aveva messo sul cammino, perfino, un uomo con le sue stesse sventure.
Il fruscio del vento mite le aveva scompigliato i capelli, riportandola con la memoria alla Danza delle Ceneri. Abiti splendidi, coppie di ragazzi impegnati a ballare o chiacchierare. La fuga. Il litigio. Il silenzio.
La menzogna.
Non era stata colpa di Aiden, non per come la vedeva lei. L’Auror era solo una pedina nelle mani del Fato e il suo unico peccato era stato quello di aver incrociato il suo cammino. Eppure, per quello che ne sapeva Mike, la sua lontananza e il suo essere schiva era frutto di qualcosa di inespresso e incomprensibile. Qualcosa che lo aveva spinto a chiederle di incontrarsi, per poi sparire. Come aveva pensato più volte, aveva tirato una corda assottigliata dal tempo e dall’uso troppo a lungo. Alla fine, si era spezzata. Un po’ come lei, del resto, integra nella superficie e frammentata al suo interno. Si sentiva come se avesse dovuto mantenere una facciata intatta, una parvenza di normalità, quand’anche così si era rivelato impossibile vivere limitandosi allora a sopravvivere.
~
«
Bambina mia.»
Il sospiro di Martha aveva solleticato le lacrime che non osava versare, proprio lei che non era capace di piangere nemmeno per un ginocchio sbucciato. Da dove avesse tirato fuori tutta quella forza d’animo non riusciva proprio a spiegarselo, ma negli anni era arrivata a convincersi che fosse la sua debolezza travestita, dopo aver indossato una cotta di maglia e placche di metallo impossibili da trafiggere. Non era forza d’animo, dunque, quella che la tratteneva dall’esternare i propri sentimenti. Era il suo essere fragile a costringerla a non cedere: un nemico, in fondo, avrebbe saputo banchettare con quel miscuglio di rabbia e cuore infranto. E in fin dei conti… chi poteva biasimare, se non se stessa, per ciò che era accaduto?
«
Questo Mike mi sembra un bravo ragazzo» aveva continuato sua nonna, il sorriso appena accennato «
E che problemi insormontabili potrai mai dover affrontare, mmh? Forse ti potrebbe addirittura aiutare...»
Si sentiva minuscola di fronte a lei, così come sentiva di avere un fardello troppo pesante sulle spalle; non poteva reggerlo da sola, eppure doveva… anche se per un attimo sarebbe stato più semplice parlare apertamente e raccontare ogni cosa. «
Non voglio che soffra.» aveva detto infine, la voce rotta dal groppo in gola che non sapeva di avere. Faceva quasi male mettere insieme i pezzi di ciò che era stato e ciò che sarebbe potuto essere se solo non si fosse lasciata trascinare nel gorgo di fatti ed emozioni che quelle parole avevano introdotto senza indicazioni chiare nella sua vita.
«
Sei proprio come tua madre. Preferisci il silenzio alle parole e mostri l’amore solo con i fatti. Preferisci lasciarlo andare piuttosto di convincerti che, forse, potrebbe anche scegliere di restare.»
Quando Martha si era alzata per andare a dormire, le aveva dato un bacio sulla fronte ed era sgusciata via, nel silenzio di una casa addormentata e serena. Lo scricchiolio dei gradini l’aveva accompagnata al piano di sopra e lei, finalmente, era rimasta sola.
Lo sguardo fisso al tavolo, le membra stanche per la tensione nervosa e le dita impegnate a giocare con uno degli anelli gemelli. Aveva lasciato quello della Rigos a ruzzolare sul tavolo, finché quello non aveva smesso di rotolare tintinnando furiosamente e fermandosi di colpo. L’altro, invece, se ne stava ancora sull’anulare. L'aveva guardato con uno sgomento crescente, sentendo il senso di colpa farsi sempre più ingombrante, meno gestibile. Più dirompente. Lo sentiva crescere, premerle il petto e stringerle il cuore, ma sapeva, nel profondo, di essersi meritata ogni stilettata. Ogni delusione. Ogni dolore.
Le labbra avevano allora sfiorato il metallo freddo, appannando la superficie col respiro caldo. Voleva sentire la sua voce ancora una volta, ma sapeva di non meritarlo. Era consapevole di aver giocato col fuoco e di essersi bruciata più gravemente di quanto non avrebbe creduto possibile.
«
Ci sei?»
Il silenzio aveva accolto quella domanda e trattenuto la risposta come un’anima egoista e arrabbiata, un'amante gelosa del lento scorrere del tempo sotto il suo potere. Ripeté quella domanda una seconda e poi una terza volta, finché la ragione non ebbe sgomitato dolorosamente per surclassare il sentimento. Era possibile che fosse davvero finita? Possibile che avesse perso, con l’intento di proteggere, l’unica persona che avrebbe davvero desiderato accanto per affrontare ogni cosa?
Non aveva potuto fare a meno di maledirsi, la cocente delusione alle stelle e l’incapacità di crederlo possibile per davvero. E se la verità danzava dinanzi a lei come la fiamma tremula di una candela, il vuoto che sentì crescere dentro di sé al principio della realizzazione fu enorme. Aveva perso Mike.
Ed era soltanto colpa sua.
~
Il respiro quieto di Fiona era un balsamo per la rabbia che sentiva di provare. Cresceva e diminuiva, mano a mano che le immagini di giorni trascorsi insieme s’inseguivano nel buio che i suoi occhi non vedevano. Era tutto lì, compreso il momento in cui l’aveva visto smarrito e preoccupato per la sua assenza; era lì, quando la sua razionalità aveva prevalso sui sentimenti e la verità aveva lasciato il posto all’omissione.
Quante volte gli aveva mentito? Quante volte aveva scelto consapevolmente di non rivelargli quanto le stesse accadendo? L’unica cosa che aveva saputo affidargli era stata la paura di saperla in grado di sbirciare nella sua mente. La prima crepa, se di una piccola breccia si poteva parlare, era stata proprio quella.
[ Smarrito in quella che considerava una delle sue più intime certezze, Mike avrebbe subito provato a liberarsi da quello scomodo e forte contatto con la sua mano, restio a lasciar scoperto ciò che albergava nel profondo del suo animo.
Nonostante la pressoché totale assenza di segreti e la completa dedizione per Thalia, un’intensa reazione emotiva di spavento accompagnò quel momento sin quando non giunse una prima e inziale rassicurazione; dopotutto, l’idea che la Tassorosso fosse in grado di intrufolarsi tra le sue emozioni e i suoi ricordi era un qualcosa che Mike non era disposto ad accettare, non in quel primo momento. ] ~
Atto I, Scena I, Quinto pianoSospirando a fondo, emerse dal ricordo del loro incontro e della rivelazione. Scostò in fretta le coperte e sedette irrequieta nel buio della camera da letto. La testa fra le mani aveva cominciato a tormentarla, le tempie pulsavano e l’angoscia cresceva. Lo aveva tradito senza averlo fatto davvero e la paura che aveva visto comparire in quegli occhi l’avrebbe accompagnata per il resto dei suoi giorni. “Nessun segreto” si erano detti. Eppure, lei possedeva soltanto quelli.
Mike non aveva risposto e l’anello non aveva comunque lasciato l’anulare. Era il suo posto. Lo era stato per un tempo interminabile e sereno. O almeno questo era quello che soleva raccontarsi quando pensava a lui.
Si alzò e lo fece svelta, i passi dei piedi nudi attutiti dalla moquette. Si era fatta largo tra le pile di vestiti della sorella, trovando infine un taccuino, una piuma e dell’inchiostro, ma anche la bacchetta. Non poteva tenersi tutto dentro. Non poteva e basta. Percorse il corridoio stretto e le scale ripide in religioso silenzio, come una ladra in casa d’altri, e tornò in cucina, accolta dalle mattonelle gelide e ruvide.
Cominciò a scrivere tutto, continuando ad omettere tutto, a parte lo stretto necessario. Non sarebbe stato facile continuare le proprie esistenze in parallelo, con quelle scale a cui piaceva cambiare e con i pranzi e le cene nello stesso luogo. Le ronde, poi, sarebbero state una vera spina nel fianco.
Eppure, non era lei a non sentire più nulla. Lui era ancora lì, da qualche parte.
L’anello però non mentiva. La magia non conosceva menzogna.
Scrisse a lungo e cancellò con vigore quelle righe d’inchiostro troppo complicate, poco spontanee. La sua calligrafia ordinata riempì uno, due, persino tre fogli. E quando tutta la verità fu giunta finalmente a galla, fu il turno del legnetto di salice. I fogli stretti in una mano, la bacchetta nell’altra.
«
Ardesco.»
Le fiammelle vibrarono nel focolare di pietra e restò ammaliata dal gioco di luci ed ombre, finché il suo Elemento non l’ebbe richiamata all’ordine con l’istinto di porre fine al contrasto tanto evidente. Vi gettò i fogli appallottolati e li guardò divenire cenere. Scrivere tutto non aveva avuto altro senso se non quello di realizzare la portata della sua perdita.
Per una donna che non aveva mai incontrato e una vita che non aveva mai davvero vissuto, aveva finito per perdere ogni cosa dell'unica esistenza che avrebbe davvero percorso. Sul tavolo un quarto foglio giaceva scritto a metà, sulla busta ormai pronta era già riportato l’indirizzo del destinatario.
Pochi minuti più tardi, seduta sul davanzale dell’abbaino in soffitta, Thalia ammirò la bellezza di una Londra addormentata, il silenzio ottundente e Clio - la sua civetta - divenuta un puntino bianco nella notte oscura. Col senno di poi, forse, si sarebbe pentita per la scelta di quelle parole e, dopotutto, avrebbe potuto aspettare. Ma Martha aveva ragione: aspettare ancora, lasciare tutto in sospeso, non sarebbe servito a nessuno. Se aveva deciso di lasciarlo andare, doveva farlo e basta. Aveva tergiversato, così come sapeva fare lei sola, e alla fine quel temporeggiare l'aveva costretta a fare i conti con la propria incapacità di gestire un sentimento che non era svanito, ma era stato in parte sostituito. Non poteva permettere a Mike di restarle accanto, non quando lei - pur amandolo - non avrebbe potuto proteggerlo da se stessa. E se lei non fosse stata una minaccia sufficiente, lo sarebbe stata Cordelia - col suo veleno e la sua rabbia, pronta a sacrificare ogni cosa. Non poteva gettare Mike in una mischia a cui non apparteneva per amor suo e se solo fosse stata sincera, lui avrebbe capito. Invece, tesa nell'obiettivo di proteggersi e tutelare chi le stava accanto, aveva finito per isolarsi e nascondere i propri fardelli. Ora la minaccia era troppo grande per essere condivisa. Mike meritava di più di semplici omissioni e complicate bugie. Meritava di essere libero. Di essere
felice.
L’indomani, dita frementi avrebbero aperto quella busta. Ne sarebbe uscito un gioiellino rotondo, del diametro di un dito. Un anello che Mike conosceva fin troppo bene ed era identico al suo. Un biglietto, con una frase, ne avrebbe motivato la presenza.
“Non funziona più.”