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Urania Rue Donovan Come era semplice e naturale perdersi negli occhi di Horus Sekhmeth. Perdersi in quel mare profondo e imperscrutabile che, ormai, avevo imparato a solcare. Quegli occhi grigi, affusolati, taglienti eppure... Eppure? Com'eravamo finiti lì? Quando e come era successo di sentirci così a disagio? Era colpa mia, in fondo. Quando vuoi troppo sbagli tutto e ti ritrovi in mano con un pugno di mosche. I pensieri corsero a quel molo di notte, durante il Ballo di fine anno. Leggerezza. Era la prima parola a venirmi in mente a pensare ai nostri corpi vestiti di abiti eleganti, protesi l'uno verso l'altra in un'intimità tutta nuova. Come se ci conoscessimo da una vita... e come se ci stessimo scoprendo solo in quel momento. Era così che l'avevo sempre ricordato in quei mesi. Quando pensavo ad Horus nella mia mente cercavo di mandare via tutti i non-detti, i malintesi, la paura, l'angoscia, il fastidio - e mi focalizzavo sull'attimo di incredibile leggerezza di quella notte che ci aveva permesso di essere veramente noi. Noi. Ma in quel momento quel noi era sepolto, messo da parte, soffocato dalle vicissitudini della vita. In quel momento urgeva dare un punto, una fine a quei non-detti e a quella sensazione di sfuggirsi continuamente senza riuscire mai ad afferrarsi.
«Quale verità?»
La domanda era arrivata. E incalzava galoppando nel poco spazio che divideva i nostri occhi così simili. Una domanda del tutto lecita che io per prima sapevo di non poter tenere più dentro di me ad aggrovigliarsi. Vada come vada, era arrivato il momento di dirgli tutto. Abbassare la maschera, tornare a fargli vedere quella ragazza sul molo di quella lontana notte stellata.
Ma qual era la verità? Come potevo formulare chiaramente ciò che provavo e ciò che volevo che lui sapesse? Come si mettono le parole una dopo l'altra? Da dove potevo cominciare? Dai, Rue, è semplice. Rosalie ti darebbe una bella gomitata e ti prenderebbe in giro a saperti così ansiosa.
«La verità.» Non era una domanda e nemmeno una frase formulata con consapevolezza la mia. Era come un pensiero detto ad alta voce, un pensiero che aveva spezzato di netto il flusso dei miei ricordi e desideri.
La verità era semplice. La verità era che non riuscivo a stargli lontano. Che mi mancava il respiro quando lo vedevo con un'altra. Che non avrei mai voluto lasciargli andare la mano. Che avrei desiderato ridere insieme per tutte le nostre vite. Che avrei amato viaggiare con lui. O semplicemente prendere un tè ad Hogsmeade, un pomeriggio qualsiasi. Che in quei mesi mi era mancato come l'aria. Che quello che provavo per lui era perfino difficile da esprimere con due semplici parole.
Tornai a guardarlo negli occhi e d'istinto sollevai una mano per poggiarla al lato del suo viso sperando che non si ritraesse. Avevo solo immaginato, fino a quel momento, di poter compiere quel gesto così naturale, così intimo eppure così difficile.
«Io-»
Un gufo planò rapido e si intromise nel mio campo visivo. Con un forte e sonoro richiamo gutturale catturò la mia attenzione completa - anche perché riconobbi il timbro in ceralacca che chiudeva la pergamena tra le sue zampe.
«Un attimo» dissi, allontanandomi da Horus. Camminai a passo svelto verso il gufo marroncino, fermo immobile in attesa di compiere il suo lavoro. Difatti, appena presi la pergamena tra le mie mani, lui planò via e sparì dalla mia visuale. Srotolai corrucciata la missiva, dopo aver rotto il sigillo che si frantumò ai miei piedi. Lessi rapidamente le poche informazioni riportate in inchiostro di china nero e poi sollevai la bacchetta e con un Incendio non verbale la feci scomparire. Che tempismo. Mi voltai a guardare Horus e feci un mezzo sorriso amaro.
«Devo andare,» cominciai, con un filo di voce. «E' una convocazione urgente e quello che devo dirti ha bisogno di più... tempo.» Già. Non era una cosa da dire su due piedi - o forse sì?. No. Improvvisamente mi si era chiusa in una morsa dolorosa la bocca dello stomaco al pensiero che, ancora una volta, mi stavo allontanando da lui. Che nemmeno quello la vita lo considerava il momento giusto per dire tutta la verità.
Feci qualche passo verso di lui ma senza raggiungerlo. Mi fermai. Mi concessi qualche attimo per stamparmi nella mente la sua figura dopo mesi che non lo vedevo e dopo altrettanti mesi che forse mi avrebbero portata lontana da lui.
«Parlemo al mio ritorno» dissi, «se vorrai» aggiunsi rapidamente con un mezzo sorriso.
Mi concessi ancora un istante e poi mi voltai, prima lenta e poi spedita fino a lasciare il corridoio e separarmi, ancora una volta, da Horus.
meglio tardi che mai
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