Posts written by xCamillex

Dire che si sentiva "leggermente" frastornata era una galante clausola di stile.
In verità non aveva capito un ciufolo dell'ultimo quarto d'ora, gli eventi si erano succeduti in maniera del tutto atipica.
Ricordava di aver inveito contro Rhaegar in modo piuttosto deciso senza ottenere nessuna palpabile reazione. Ricordava che l'aveva nuovamente agguantata per un braccio tirandola nel vortice stomachevole della smaterializzazione, senza dirle o chiederle niente e, soprattutto, mettendo in conto la possibilità che gli vomitasse tutto il pranzo sulla maglietta.
Ora, non aveva ben chiara la natura dell'ubicazione ma la supposizione che lui l'avesse portata a casa sua si fece abbastanza palpabile.
Quel cottage in pietra e legno era proprio il tipo di casa che avrebbe collegato al Capo Auror.
Tranquillo. accogliente, semplice.
Il giardino seguiva un po' lo stile "essenziale", era candito da due grandi alberi e estremamente curato.
Per un attimo si immaginò Rhaegar seduto sulla sedia di legno, con il gatto acciambellato sulle gambe e un boccale di birra appoggiato di fianco.
Tutto sommato era una visione piacevole, molto più piacevole dell'immagine di lei, seduta sulla poltrona dell'Ufficio al Ministero, con Putridino che le gorgogliava sulle scarpe e una tazza di caffè amaro in bilico su una pila disordinata di documenti.
Sbattè le palpebre sforzandosi di riagguantare mentalmente la visione di prima.
L'avida curiosità con cui si stava dilettando nel guardarsi intorno si scontrò con la voce quasi stridula di lui, non aveva idea del motivo per cui inveisse in quel modo, la sciaguattò come una stoviglia e la strizzò come una spugna e lei dovette, gioco forza, interrompere l'opera di studio per fissarlo negli occhi.
Le parve piuttosto nervoso, a tratti isterico e il suo marcato accento scozzese galoppò a briglie sciolte come mai le era capitato di udire.
Attese, paziente, che terminasse lo sproloquio e mentre blaterava di melanzane, sguardi languidi e nargilli tutto il peso della tragica esperienza da Madama Piediburro le caracollò sulle spalle come un'incudine.
Quasi istintivamente, si portò le mani sui fianchi, pronta ad inserirsi in una pausa del sermone. Quel dannato cavernicolo la conosceva più di chiunque altro a Londra, sapeva perfettamente cosa le piaceva e cosa non le piaceva, dove battere e dove non battere, cosa dire e cosa non dire. E quel preciso momento, dopo lo scherzo che le aveva giocato invitandola in quel posto stucchevole, dopo averla sbatacchiata come una maracas su ogni stipite di Hogsmeade, dopo averle dato zero spiegazioni, era il preciso momento di non dire.
Era vero, lei per prima aveva perso le staffe di fronte a quella fuga incomprensibile e la tardiva spiegazione riguardo le avances della inopportuna melanzana non riuscirono a placare il bollore che ancora le gorgogliava dentro. Poteva spezzare svariate lance a suo favore, quello non era propriamente un periodo facile e sereno fra cadaveri riversati sugli scalini del castello, duelli che finivano con tredici morti e ventordici feriti, la Gazzetta che scriveva stronzate immani e i foschi pensieri che imperversavano nella sua mente.
Avrebbe dovuto dirgli che si sarebbe allontanata definitivamente da Hogwarts?
Forse si, avrebbe dovuto. Ma col cavolo, Perfesone era fuggita nella brughiera in ciabatte e con un tozzo di pan secco, avrebbe seguito l'esempio, magari portandosi appresso una cassa di Acquaviola.
Rhaegar finalmente tacque, non ricordava di averlo mai visto così agitato e, soprattutto, non ricordava lui le avesse mai parlato di possedere un cottage. Schiuse le labbra e assottigliò lo sguardo, pronta a fulminarlo come un giungo assolato ma si bloccò di fronte alla sua espressione colpevole. Conosceva perfettamente quel preambolo, il Capo Auror stava trattenendo sonore risate. La cosa la fece infuriare ancora di più.
Se ride lo seppellisco sotto la Magnolia, si disse.
Dopo tutto sto macello, dopo scleri e controscleri in lingua originale, dopo "ti spiaccico contro i muri ma poi invito nella mia umile dimora a prendere il carcadè alla curcuma" non poteva assolutissimamente finire a tarallucci e vino.
Quindi attese con calma glaciale ma lui riuscì a trattenersi. Non solo riuscì a trattenersi ma addirittura si scusò!!
Probabilmente, in quel lasso di tempo fra il desiderio di ridere e la morte, Rhaegar rivisse i concitati momenti della fuga da Madama Piediburro e forse anche il pregresso. Glielo lesse negli occhi, la sua espressione si trasformò totalmente.
Avrebbe dato tutta la cassa di Acquaviola, quella che voleva portarsi nel viaggio da Hogwarts al Ministero, per leggere la sua dannata mente in quel preciso momento. Inspirò l'aria fresca della sera, le parve realmente più pulita in quell'angolo d'Inghilterra. Decise, seppur a malincuore, seppur con i virgulti di orgoglio che le cazzottavano le tempie, di sedare ogni ulteriore discussione. Le sarebbe spettata la sacrosanta controreplica ma non voleva macchiare quel posto con parole che si sarebbero dissolte in una refola di vento.
Il suo rapporto con Rhaegar era una discussione continua ma non poteva fare a meno di quella discussione.
Non poteva fare a meno di lui?
Spezzò l'atmosfera con una frase a caso. Una stupida frase a caso.

"Dunque è qui che ti rifugi ..."

Tornò finalmente padrona di guardarsi intorno, notò l'effige di tigre sul battente e la grande finestra a bovindo semi nascosta dalla quercia.

"Non ho mai pensato che tu potessi possedere un posto come questo ... al di fuori del Ministero intendo

Lo disse quasi con rammarico. Era una notizia importante e lei non ne sapeva nulla.
Era davvero così arida e distante con i suoi colleghi? Non le importava se Pinco Palla avesse una palafitta sul Nilo piuttosto che una casa sull'albero ma le importava di sapere che Rhaegar dormiva nel suo cottage.
Tornò a guardarlo, priva di espressione e senza quasi percepirne il senso, incontrò, accolse e stinse la mano che si era pericolosamente avvicinata.
Anche in precedenza lui l'aveva presa per trascinarla via ma il calore che il contatto emanava in quel momento era diverso.

"Fai bene a scusarti"

Gli disse voltando la testa e muovendosi verso la porta del cottage.

"Non ho ancora speso il mio diritto alla controreplica, tutto dipende da cosa sarai capace di offrirmi ..."

Un attimo dopo aver pronunciato quelle parole si rese conto di quanto potessero apparire "ambigue", soprattutto in quel luogo.
Le venne da ridere ma si trattenne.
Rhaegar non avrebbe mai frainteso. Ma si sarebbe rotolato sul tappeto piuttosto che sorbirsi le sue tediose arringhe.
Quindi decise di non rimangiarsi e di non modificare nulla.
Semplicemente continuò a guardare avanti, gli occhi violacei fissi sull'effige della trigre.

Approfittò del silenzio che era calato fra loro per seguire lo sguardo del Professor Barrow.

"E' bello il tramonto. Ma è triste"

Le lunghe ombre delle guglie si distendevano sul prato come chiazze scure. Lo spettacolo del tramonto non l'aveva mai rapita, il segnale che recepiva era come qualcosa di incompiuto che volgeva al termine, inesorabile, impossibile da impedire. Preferiva di gran lunga l'alba, il cielo pallido che, piano piano, si illuminava e il pensiero di avere tante cose da fare.
Portò dietro l'orecchio una lunga ciocca di capelli che era sfuggita al controllo. Magari anche il Professor Barrow temeva ciò che non riusciva a controllare.
Tuttavia le sue belle parole, nella loro semplicità, la fecero riflettere. Le aveva detto poco e in maniera molto generica, discorsi che si ripetevano, infarciti di parole d'effetto come la giustizia e l'onestà. Le parve un'oratoria poco speranzosa, un po' in contrasto con lo spirito gioviale e ottimista che aveva percepito fino a quel momento.

"La forza di credere in loro stessi"

Si voltò a guardarlo con ostinata determinazione.

"E il coraggio di portare avanti le loro idee. Si, questo mi auguro"

Hogwarts era un'isola felice che non rappresentava, fedelmente, la realtà del mondo.

"I ragazzi arrivano qui giovanissimi ed hanno una concezione ludica della magia. E' un gioco divertente, ricco di sfumature articolate e mai ripetitive. Ma hanno già un'impostazione di fondo che deriva dalla visione culturale delle rispettive famiglie. Mi piacerebbe che ognuno di loro arrivasse a sviluppare un'identità propria e raggiungesse una capacità di valutazione libera da influenze parentali"

Sospirò. Non aveva motivo di esprimere un pensiero così personale sull'argomento ma la sensazione positiva che quell'uomo le irradiava la convinse che stava agendo per il meglio.

"Lei non è "solo" un insegnante Barrow, lei è una guida, lei è ciò di cui questi ragazzi hanno bisogno in una fase di crescita della loro vita. Può fare molto e può cambiare molto perchè saranno questi giovani, con gli insegnamenti che hanno ricevuto, a dettare le regole della società futura"

Mantenne lo sguardo fermo su di lui ancora per qualche istante, poi sorrise e tornò ad osservare la linea elegante del Castello.

"Lei ha appena finito di dire che teme l'ignoto, io ho il terrore dell'imprevisto. Eppure c'è un'altra paura che attende questi ragazzi e che è legata al mondo difficile in cui viviamo. Anche queste sono sue parole. Di cosa parla esattamente? A quale pericolo si riferisce?"

SPOILER (clicca per visualizzare)

La morte. La morte era inevitabile?
Si dannazione, lo era.

Rabbrividì, non sapeva dire se per l'argomento che la toccava da vicino o per la brezza tiepida del tramonto. Non si era neanche accorta del tempo trascorso, aveva deciso di dedicare quella giornata libera da impegni politici e sociali alla ricerca della salvia, tuttavia il paniere agganciato saldamente al braccio era ancora vuoto. Si era imbattuta involontariamente nel Professor Barrow, forse avrebbe potuto portarselo in Ufficio ma dubitava che entrasse nel paniere. Dunque doveva ammettere di aver perso di vista gli obbiettivi della caccia.

"Se uno conosce il giorno e il luogo potrebbe evitare una morte violenta, no?"

Stava semplificando troppo. Non credeva nelle leggende metropolitane del destino e della vita già scritta, non poteva prospettarsi l'immagine di tre vecchiette sulla sedia a dondolo che tagliavano, a caso, i fili che legavano le persone al mondo dei vivi. Ma neanche lei, con tutta l'esperienza e la buona volontà avrebbe saputo fronteggiare una rivelazione improvvisa e tremendamente negativa come la morte.
Tuttavia indugiò nell'osservare il volto del docente rischiarato dai colori aranciati del tramonto. Lo guardò desiderando ardentemente che la sua domanda riscontrasse una risposta positiva.
Ma scosse il capo prima ancora di sentire la sua voce. Non sarebbe cambiato nulla, il sacrificio era destinato a soccombere di fronte alla forza dello spirito di conservazione. Il sacrificio era costituito da una parola priva di significato che vegetava solo nel mondo del senno di poi.

"Non mi fraintenda. Non dimentico l'inevitabile recidiva dell'animo umano, mi rendo perfettamente conto che l'unico modo per vivere il presente, questo presente, sia il pensiero di un futuro migliore. Abbiamo tanti sogni che confidiamo possano realizzarsi un giorno o l'altro, se avessimo la possibilità di conoscere quello che ci aspetta, forse perderemmo quell'assurdo ottimismo che ci contraddistingue"

Lei l'aveva già perso da tempo immemore ma evitò di precisarlo.

"Dopotutto la vita è piena di bivi incomprensibili, anche per chi ha le predizioni"

Conoscerne in anticipo qualcuna era così inopportuno?

"Dunque.."

Optò per una curva a gomito o sarebbe caduta in depressione.

"... che futuro si aspetta Professor Barrow? Che cosa si augura per i suoi studenti a parte prendere lezioni private di Trasfigurazione onde evitare di rendere inconsistenti sedie occupate da studenti dai capelli variopinti e libri al guinzaglio?"

"Non ha idea di quanto noi donne apprezziamo le, seppur rare, doti casalinghe di voi uomini"

Oddio, non che lei si professasse una casalinga provetta. A volte poggiava il mestolo sul lavandino del bagno e ritrovava il sapone, dopo settimane, congelato nel freezer, ma era ancora viva no?

"Capisco cosa intende. L'Aula di Pozioni e l'Infermeria sono collegate da un solco, quindi può immaginarsi cosa non ci sia alla fine di una lezione. E fa bene ad arrangiarsi, dipendere da qualcuno non è mai un bene"

Figurarsi se questo qualcuno era Gazza.
Si ritrovò a sorridere, suo malgrado. Nonostante stessero conversando di argomenti piuttosto banali per due docenti, la chiacchierata aveva comunque preso una piega divertente.
Barrow non aveva nulla dell'uomo "di una certa età".
Tuttavia il passaggio dal frivolo al profondo fu piuttosto breve.
Mentre lo ascoltava, allungò una mano e fece pressione sullo stelo della piantina ripulita, staccandone un ciuffetto. Lo portò vicino al viso per annusarne il profumo, neanche si fosse trattato di un mazzo di mughetti.

"E' difficile rispondere alla sua domanda"

Tornò ad osservarlo, la fronte aggrottata come se stesse rimuginando su cosa dire esattamente.

"Di certo conoscere in anticipo certe situazioni potrebbe essere interessante dal punto di vista preventivo, proprio in considerazione del fatto che non sapere equivale a temere. A volte la vita ti pone davanti ad eventi così improvvisi e imprevisti che la tua capacità di reazione si riduce notevolmente a cosa fare nel momento. E, il più delle volte, la cosa che fai è quella sbagliata"

Alzò le spalle, lasciando intendere che la sua fosse solo una constatazione impersonale. Ma non lo era.

"E' vero. Ha ragione quando dice che gli errori fanno crescere e rendono le persone migliori ma ci sono certi errori che non possono essere corretti, alcuni errori si pagano per sempre. Come ci sono persone che continuano imperterrite a sbagliare senza imparare niente. Magari, sapere in anticipo cosa ci aspetta potrebbe spingerci a ragionare con maggiore cura e a compiere scelte più oculate"

Porse il rametto di salvia a Barrow, in segno di pace.

"Potrò sembrarle cinica, la consideri come una sorta di deviazione professionale, ho bisogno di avere le cose sotto controllo. Quindi, per rispondere alla sua domanda, si, mi piacerebbe avere il dono della preveggenza"

Non poteva che convenire.
Le lezioni del primo anno erano diventate un raffinato strumento di tortura e non solo per le orecchie. Anche l'equilibrio mentale ne risentiva alla grande. Il problema di fondo era la totale incapacità di ascoltare quello che veniva detto. 5 grammi di bezoar diventavano 50, due mescolate energiche si trasformavano in palate e il risultato diventava più tragico di un bollettino di guerra.

"I suoi sensi e le sue orecchie sono ottimisti se pensano che sia sufficiente una mezz'ora di riposo per resuscitare"

E sotto il sole cocente, per giunta.

"L'unica via d'uscita, mi creda, si chiama assuefazione. Vedrà che si abituerà presto"

Ricambiò il sorriso, grata a quell'uomo per averle concesso un minimo d'ombra.

"E non disdegni così tanto la preveggenza, se lei "vede" cosa accade durante la lezione, può sempre darsi malato"

Rimuginò in silenzio sull'opportunità, questa volta seria, di conoscere alcune cose non ancora accadute. A chi non sarebbe piaciuto affrontare determinate situazioni in maniera consapevole?
Ma abbandonò subito ogni elucubrazione, la sua attenzione si concentrò sull'inatteso spirito d'iniziativa di Barrow che non trasfigurò la densa melassa in zucchero filato ma riuscì comunque nell'intento. Il tergeo venne perfettamente castato e servì a ripulire la piantina di salvia verso cui venne indirizzato.

"Mi compiaccio professore. Non tutti gli uomini saprebbero maneggiare con così perfetta padronanza un incanto ... uhm ... casalingo"

Forse doveva smetterla con le allusioni ma fino a quel momento aveva ricevuto risposte piuttosto vivaci.
Barrow si stava dimostrando un interlocutore piacevole.
Ad ogni modo decise che era arrivato il momento di dire qualcosa di sensato.

"Quindi a lei non fa paura l'ignoto? Se ritiene la preveggenza un dono non così gratificante, si vede che, fino ad ora, non c'è nulla del suo passato che vorrebbe aver vissuto in maniera diversa .."

Cavoli.
Se c'era una cosa che la infastidiva era dover guardare le persone dal basso verso l'alto.
Quella era uno di quelle circostanze odiose, perchè si dava il caso che da vicino il Professor Barrow fosse alto.
Non si era mai accorta della circostanza, probabilmente tutte le volte che lo aveva incontrato lui era seduto al tavolo dei docenti.
Dovette poggiare una mano sulla fronte per pararsi dal dannato sole e alzare lo sguardo.

"Ci credo che non mi ha vista, era così assorto che pareva una statua"

In effetti lei stessa aveva temuto in un'allucinazione.
Le iridi azzurre dell'uomo la scrutavano con attenzione ma non si sentì a disagio.

"E' un veggente per caso?"

Inclinò la testa di lato, non ci voleva la palla di vetro per supporre che ci fosse un motivo prioritario legato alla sua passione per spingerla ad uscire fuori sotto il sole cocente ma Barrow non poteva sapere quanto lei odiasse il caldo.
Decise quindi di fornire una spiegazione.

"Mi sono spinta fino a qui per recuperare della salvia. Sto lavorando ad una Pozione piuttosto ... uhm ... complessa. Un esperimento, se mi passa il termine"

Immaginava che Barrow comprendesse la situazione. Del resto era una loro prerogativa quella di battere nuove strade, la conoscenza specifica di certi rami della magia non poteva rimanere imbrigliata in qualcosa di statico ma doveva servire come base per la scoperta di nuove dimensioni fino ad allora sconosciute.

"Ci sto lavorando da giorni ormai e, dopo svariati tentativi falliti, credo di aver trovato la soluzione. Ma non posso dirle di cosa si tratta. Cioè, potrei dirglielo ma poi dovrei ucciderla"

Si mantenne seria ma era ovvio che stava scherzando.

"Per cui, SI, può essermi di grande aiuto. Potrebbe gentilmente trasfigurare quella glassa appiccicosa e sbrilluccicosa lasciata da qualche bruco non meglio identificato in ... che so ... rugiada??"

Non era colpa sua, era colpa del sole.

"O, magari, dirmi, secondo lei, di cosa diavolo si tratta?"

Era una bella giornata.
Le belle giornate non le piacevano, se mai avesse iniziato a scrivere un romanzo non avrebbe mai iniziato con "era una bella giornata".
Solitamente non si accorgeva del tempo, ne aveva sempre poco e quel poco lo occupava facendo cose e vedendo gente.
Ma quel giorno, fortunatamente, decise di rimanere a Hogwarts, evitando di vedere gente ma optando per fare comunque cose. E le cose che doveva fare non poteva farle rintanata nel suo meraviglioso e cupo Ufficio, fiore all'occhiello dei Sotterranei.
Stava lavorando ad una Pozione particolarmente ostica, non ricordava neanche il numero di tentativi falliti che si erano accumulati, la stanza assomigliava ad un percorso di guerra, il pavimento era macchiato, l'aria, pregna di fumo, le aveva provocato una fastidiosa allergia e la necessità di uscire all'aperto era diventata prioritaria.
Tossicchiò appena superato il portone d'ingresso portandosi il dorso della mano alla bocca.
Sarebbe morta piuttosto che cuocersi al sole ma il proseguo dell'operazione chirurgica necessitava di salvia e lei non ne aveva più neanche una fogliolina rinsecchita.
Conosceva le sue ossessioni e conosceva i momenti topici, era convinta di essere giunta ad un passaggio fondamentale ma senza quella cavolo di salvia avrebbe dovuto sospendere l'iter e sospendere l'iter significava non cogliere l'attimo di ispirazione e mandare tutto al ramengo.
Solo dopo qualche passo al ritmo di un costante e fastidioso cinguettare, si accorse che nel cielo c'era il sole e che faceva caldo.
In effetti dal frescolino dell'Ufficio all'afa del giardino l'escursione termica era da guinness dei primati.
Evviva.
Imprecò in silenzio ma decise, stoicamente, di continuare la camminata, ci sarebbero voluti si e no cinque minuti per arrivare nei pressi del ponte sospeso. Lì le erbe aromatiche crescevano rigogliose e avrebbe potuto fare incetta di salvia senza problemi.
In realtà non c'era fretta, il liquido riposava nel calderone d'argento, bastava solo dare vigore al fuoco e ficcare quella dannata salvia tenendo in considerazione l'operazione che, per esclusione, aveva deciso di mettere in pratica.
Zompettando con il manico del paniere infilato nel braccio sinistro teneva la testa bassa, fissando l'erba che pestava.
Giunta nei pressi del ponte sospeso si fermò portandosi la mano libera al collo e slacciandosi il bottone della camicia.
Respirò, affaticata. Il suo romanzo non sarebbe MAI iniziato con "era una bella giornata" ma con "era una notte buia e tempestosa. E fredda. Molto fredda".
Virò a destra ma si fermò di botto.
Il cielo si stava tingendo di rosa, gli uccelli rompevano abbastanza le scatole,i grilli manco a dirlo e davanti a lei la piantagione di erbe selvatiche e officinali era ricoperta di una schifosa melassa che sbrilluccicava assumendo colorazioni madreperlacee.

"Ma che diav ... "

Aggrottò la fronte e si avvicinò di qualche passo, per osservare meglio.
Allungò una mano e con il pollice e l'indice sfiorò un rametto di rosmarino ricoperto di melassa. Era dannatamente appiccicosa.
Solo allora, alzando lo sguardo e guardandosi intorno, si accorse di una presenza che non si era palesata.
Riconobbe quasi subito la figura in contemplazione e agitò una mano nella sua direzione.

"Ehi, Professor Barrow!"

Il Professor Barrow cascava a fagiolo. Era immobile, per un istante pregò che non fosse un'allucinazione da insolazione.

"Yukùù, può venire a darmi una mano?"

Era difficile.
Era sempre difficile lasciarsi convincere a donare fiducia a persone che non si credevano degne di meritare quella intima debolezza mentale.
Lo era ancora di più per lei, che si trovava sospesa fra inclusione e estromissione, dibattendosi per una decisione dettata dall'istinto che la riguardava solo in parte.
L'istinto senza la ragione la faceva assomigliare ad una bestia, come lui aveva detto?
No, dannazione. Il cervello, per quanto provato, si rifiutava di accettare una scelta così precipitosa, se avesse ragionato, se avesse riflettuto, se avesse valutato con maggiore ponderatezza, se avesse ceduto a una ventina d'ore di arzigogolate pippe mentali, probabilmente non avrebbe parlato a Horus in quei termini. Si sarebbe limitata ad accompagnarlo al Castello, dandogli qualche pacca sulla spalla, piantandosi una bella espressione grave e addolorata e mentendogli su tutta la linea.
Invece, più passavano i minuti e più si convinceva di aver fatto bene a seguire l'istinto. Anche a costo di ammettere - almeno a se stessa - di aver commesso un errore di valutazione. O magari non si era verificato alcun errore, semplicemente gli eventi della serata avevano portato entrambi a maturare nuove consapevolezze e a capire qualcosa di loro che non era stato ancora afferrato dall'altro.
Aveva usato parole dure, volute. Il suo intento non era stato quello di misurare la reazione di Horus quanto, piuttosto, il desiderio di non tralasciare gli aspetti più crudi di una realtà che era prepotentemente venuta alla ribalta, disintegrando un mondo ovattato e illusorio. Aveva senso mitigare il torbo dicendo a Horus che Voldemort era un tipetto pallido e po' vivace anzichè uno spietato assassino? E che quei mangiamorte buontemponi non volevano affatto cancellarlo dal mondo ma solo spaventarlo?
Tuttavia la risposta calma e l'espressione tranquilla - e stranamente divertita - del Tassorosso la spiazzarono. Non che si aspettasse fuoco e fiamme, già in altre occasioni, quella sera stessa, Horus aveva mostrato un sangue freddo non indifferente di fronte ai suoi scatti farciti di eccessivo cinismo. Era quella la briciola di dubbio che imperversava, la non reazione provocava il suo buon senso come una tenia.
Scrollò le spalle lasciando ai lunghi capelli un virgulto di ribellione.

"Non è la mia guerra. E' la tua guerra Horus. E la guerra di tanti ragazzi come te che rifiutano un mondo fatto di costrizioni, di oppressione e di scelte imposte. C'è un prezzo da pagare, hai ragione, ed è il rischio. Chi vive ai margini, chi si tappa le orecchie e chiude gli occhi, chi mente a se stesso e finge che tutto sia molto bello non corre alcun pericolo. Il rischio è l'esposizione. Il rischio è non temere di dire le cose come stanno, di scontrarsi con la realtà dei fatti, di stare davanti a tutti per difendere se stessi e le persone che si amano"

Non potè fare a meno di chiedersi se davvero doveva metterla sul piano degli ideali. Horus le aveva appena rivelato il motivo per cui si era lasciato andare ad inaspettate confessioni. Arrivare a certe informazioni.
E lei aveva la sua personale utilità nel renderlo partecipe dell'esistenza dell'ES e dell'Ordine.
Quid pro quo.
Forse lui poteva ancora maturare una coscienza pura, la sua giovane vita si trovava al punto di svolta. Lo osservò al chiaro di luna, rimuginò sulle sue parole accorate e le iridi ametista scrutarono con ancora maggiore attenzione i tratti del volto pallido, alla ricerca di qualcosa che potesse confermare la presenza della runa. Sapeva che molti reduci fra i suoi studenti portavano il segno indelebile di quei giorni, un marchio segreto e nascosto che, con il tempo, avevano imparato ad accettare. Un potere selvaggio che erano riusciti a domare e al quale si erano assuefatti a convivere. Li aveva visti uno per uno, accompagnati da un'aurea che li seguiva come un'ombra.

"Dove .... "

Dove era? L'aveva resa invisibile, come aveva fatto lei o aveva avuto la possibilità di celarla con minor sforzo? Un braccio? Una spalla? La tentazione di sapere fu difficile da controllare.

" ... non importa"

Abbassò lo sguardo sul prato.

"Quello è stato un altro prezzo da pagare. Se ne è valsa la pena non lo so dire, di certo ne siamo usciti cambiati. E forse anche più potenti. Come adesso"

Qualcosa fra i fili d'erba attirò la sua attenzione ma il bisogno di lasciarsi accarezzare dallo sguardo limpido del Tassorosso fu più impellente.
Sorrise. Lievemente. Sinceramente.

"Sei più forte Horus. Nonostante tutto hai mantenuto calma e sangue freddo, non so quanti, al posto tuo, si sarebbero comportati allo stesso modo. E' vero, mancano ancora svariati tasselli e mi adopererò per fornirteli. In un certo senso mi impegnerò affinchè tu possa arrivare ad essere l'arma di te stesso. La bacchetta non basta come non basta la potenza. Conoscere un avversario, sapere quali sono i suoi punti deboli e prepararsi strategicamente per colpirlo lì dove non ha protezioni. Questo rappresenta l'unico modo per sopraffarlo"

Tacque, consapevole di avere tantissime cose da dirgli. Con calma tutto sarebbe arrivato alla massima comprensione.

"Vorrei portarti in un posto. E vorrei che incontrassi delle persone. Magari domani o nei prossimi giorni. Ti renderai conto che siamo tanti. Siete tanti. In effetti mi sono accorta di possedere un fianco piuttosto ampio. Immagino che poi vorrai confrontarti con tua madre. O magari no, sapere le recherà solo inutili preoccupazioni"

La macchina inesauribile della praticità tornò a bussare, forando la coltre di spossatezza. Ma Horus non avrebbe certo avuto la forza di prendere appunti.

"Per il momento credo ... credo che sia tutto. Sei stanco, anche io lo sono e il Castello è lontano. L'unico che domattina si sveglierà bello riposato sta là, a pelle d'orso sul marciapiede"

Voltò la testa in direzione di Sirius, la sua sagoma era coperta dalla siepe.

"Lo lasceremo al San Mungo, per precauzione, legheremo quell'idiota laggiù e poi ti porterò a Hogwarts e tornerò a ripulire tutto con qualcuno del Ministero"

Sospirò, respingendo il miraggio del suo letto soffice e tornò a contemplare l'erba. Si chinò quasi a fatica e raccolse il piccolo oggetto di gomma individuato poc'anzi.

"Ho promesso che non ti avrei permesso di dimenticare"

Si rigirò la paperella fra le mani prima di porgerla ironicamente a Horus.

"Tieni. In ricordo di questa serata"

"Nel senso che non riesco a scindere in maniera adeguata i fiori della Tacca Chantieri da quei dannati baffi che vi nascono in mezzo"

Sospirò passando le dita fra un folto ciuffo di capelli corvini.

"Eppure ho letto che la separazione dovrebbe avvenire facilmente, probabilmente è stato commesso qualche errore durante la fase di coltivazione. In effetti è già miracoloso aver trovato qualche fiore ma senza questo ingrediente non mi è possibile completare la pozione cui sto lavorando. Ho tentato con qualche sostituto ma il risultato non è stato ... come dire ... appagante"

Terrificante era l'aggettivo adeguato. Aveva bruciato tre mestoli e rovinato cinque paia di guanti, l'ultimo si era incollato alle mani come mastice per scarpe, aveva passato tutto il pomeriggio a squamarsi, una cosa davvero schifosa. Alla fine, quando credeva di avercela fatta, le si era fusa la fiala e il liquido aveva corroso il pavimento provocando un buco grande come una delle ciambelle di Rhaegar.

"So che lei ha studiato molte specie di piante magiche straniere e mi chiedevo se avesse qualche esemplare di Tacca Chantieri in Serra. O magari conosce un posto dove possa procurarmele"

Non si trattava di una richiesta insolita, dopotutto Dylan Rhodes doveva essere uno stimato erbologo se la Bennet aveva deciso di assumerlo ad Hogwarts.

"Le confesso che mi sento un po' a disagio. Certo, non è inusuale che chieda aiuto a qualche collega, la mia competenza specifica arriva fino ad un certo punto e l'utilizzo di ingredienti di tipo vegetale impone una certa conoscenza che, spesso, non possiedo. Ma con lei non ho mai avuto alcun tipo di rapporto, non vorrei apparire come una sorta di sfruttatrice"