| Fyria indossava un mantello molto pesante perché in quella notte, il vento soffiava più gelido del solito e penetrava fin dentro le ossa. Non che patisse il freddo in se, o che lo preoccupasse il rischio per la propria salute (che sapeva assai resistente ed immune ai banali raffreddori) bensì, la cupezza di quel cielo, di cui neppure una stella era riuscita a sfuggire alle nubi cenerine, lo preoccupava. Come fosse un presagio di sventura, un velo oscuro da posare sulla propria tomba, il respiro di un diavolo che si diverte con modi sornioni a soffiar all’orecchio di chi si accinge a giocare con la vita. La propria e degli altri.
Gli era parso di veder fioccare cristalli di neve, a tratti, ma forse si era ingannato dallo stesso desiderio di veder nevicare. Tutta quell’oscurità, avvolta dal manto candido e vergineo, gli avrebbe probabilmente dato sollievo. Da quel cielo di pece si apriva una voragine di vuoto, un abisso. E gli sembrò, alzando lo sguardo, di cadervi dentro trascinato dalle ombre.
Il rumore della locanda lo riportò a pensieri più terreni. Non c’era molta gente in vero, ma i pochi astanti si trovavano impegnati in un’ accesa conversazione, di cui non si soffermò a decifrare il contenuto. Dopotutto aveva altro per la testa per lasciarsi fuorviare da certe sciocchezze, non era mai stato interessato agli altri. Degno di nota, unicamente se stesso. E se stesso, in quel momento desiderava solo un bicchiere caldo di cognac e miele.
Lo ordinò al banco, e si sedette ad uno dei tavoli in disparte, lontano dall’entrata, ma ancora abbastanza vicino al caminetto accesso dall’avvertirne distintamente il calore della fiamma. Quivi sbriciolò il contenuto di un fagotto tirato fuori dalla tasca del mantello con l’ausilio dell’indice e del pollice della mano sinistra. L’odore pungente e fresco della menta piperita contrastava con l’aria viziata della locanda, invasa dall’aroma della cenere e dei tronchetti di castagno adagiati lì accanto in attesa d’esser bruciati.
Trasse fuori dal taschino della giacca una pipa d’ avorio, lucida e ben tenuta. Alcuni intarsi d’ebano sulla superficie pulita , formavano diversi segni come rami intrecciati tutt’intorno alla bog oak. In caratteri gentilizi era inciso un nome lungo il suo profilo, in tutta la sua lunghezza, ma gli ornamenti erano così fitti, che alla prima occhiata sarebbero parsi parte di essi, e non vi sarebbe fatto caso. Zechiel, vi era scritto. Iniziò a prenderne qualche boccata, rilasciando una nuvola di fumo poco densa, ma bianca, verso il soffitto. Nel frattempo, posarono il suo bicchiere fumante di cognac sul tavolo, e gli effluvi liquorosi , uniti al tabacco, lo indussero in un piacevole stato di torpore.
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