| Beh, aveva pienamente ragione, voleva compiacerlo, era evidente, ma a modo suo aveva anche ragione. Ormai il mondo svuotato di persone di una certa classe, lui era ormai l’eccezione. Portava avanti l’illustre gloria di un casato, che stava lentamente scomparendo. Era anche lui retaggio di un’epoca assassinata, vecchia, morta, sarebbe lentamente scomparso. Era inevitabile. Ed era pur vero che le concedeva del preziosissimo tempo, per mera cortesia. Sarebbe cambiato poco, in fondo, minuto più, minuto meno. Una Parigina, fondamentalmente, conosceva bene la città, poco i paesini intorno, era di una schiatta ben diversa, lo sentiva nell’aria. E Rouge non gli diceva molto. Però lo conosceva per quello che era, trattenne un sorriso soddisfatto, annuendo. Beh, accennare al fatto che non ve ne fossero materialmente molti, era superfluo, si trattenne dal fare commenti sarcastici, che affioravano copiosi dal suo subconscio. Schioccò d’improvviso le dita, in un’evidente occhiata, uno dei due “assistenti” scomparve improvvisamente, tra gli svolazzi del mantello cremisi. Dovevano essere avvertiti. <Si figuri, madame, dovere. E non è frequente incontrare parigine qui ad Hogmeade, qual buon vento la spinge così a Nord? Madame Rouge, temo non mi dica molto, ho sangue normanno, ho qualche parente per linea carolingia, ma dovrei compiere qualche ricerca. Ha ragione, non è molto frequente incontrarmi, ed intenzionalmente non sarebbe nemmeno riuscita, ma è inutile opporsi alla Tuke. Prego, passeggiamo.> Accennò con la mano avanti, onde distanziarsi dal marasma di gente che affollava quel budello. Parlava pacato, con una certa antica solennità, tipica di ogni parola, si ogni gesto. Pronunciava le parole con un leggero accento ancora normanno, la “R”, meno che aspirata, si perdeva tra le sillabe. Dava alle parole strane sfumature, accentandole apparentemente a caso, in un’unica armonia complessiva, quasi metrica. Rinforcò tranquillo gli occhiali, evitando di guardarsi troppo in torno.
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