La Pozione Polisucco

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 10/10/2010, 23:18
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:


Un malinteso, nulla di più, nulla di meno. Idea balzana credere che potesse veramente intendere quale fosse il valore assoluto di Bene, ma del resto l’aveva fatto. Cos’era il Bene? Non lo sapeva, semplicemente, il gran mistero si era spezzato. Quell’aria fascinosa, donatagli dall’età, nulla poteva davanti all’ignoranza assoluta, cos’era il Bene? Come poteva saperlo. Eppure sorrideva, lo metteva di buon umore, tornò a sorseggiare il The, dimenticato per lunghi istante di tensione. Una conversazione più sensata di quanto non capitasse solitamente, forse proprio perchè non era stata pianificata? Dettagli, di fatto, almeno in teoria, stava accadendo, ne sentiva il sapore nell’aria. Un delicato sferragliare di neuroni all’opera, intenti a rimuginare su quanto assumeva lentamente forma. Non stavano poi andando da qualche parte, le domande erano sin troppo grosse per essere sciolte improvvisamente, con un guizzo di genio, poco da farci, eppure già il solo pensarci li metteva di buon umore. L’Uomo si esaltava davanti ai grandi problemi, lo rendevano iperbolico, smanioso di una soluzione che nell’inconscio sapeva di non poter raggiungere. Anche quelli eran dettagli. La soluzione c’era, soltanto era un po’ troppo fuori dalla loro portata. Che fare? Lacerarsi le vesti? Tagliarsi le vene? O semplicemente prendere atto della propria finitezza, e rassegnarsi? Era impossibile dire quale fosse la via in assoluto migliore, e più giusta, eppure anche lì bisognava scegliere, una volta per tutte. Non si poteva certo scaricare il barile ad altri, lasciandoli a decidere per l’umanità! Ogni singolo era chiamato, obiezione di coscienza, per scegliere. Chi prima, chi dopo, molti non superavano il trauma, e restava solo la morte, gli altri si rassegnavano, adeguavano le proprio aspettative alla nuova dimensione. Sistematicamente tutto si ridimensionava, un destino ineluttabile? O alcuni avevano aperto un nuovo sentiero? Quei pochi indagavano i problemi, e senza mai arrivare alla soluzione, vivevano felici di indagare, passandosi il testimone di secolo in secolo, nella speranza che un giorno qualcosa cambiasse. Solo il divino poteva permettersi di portare significato, la verità, sarebbe mai successo? Per certi versi l’Uomo era Dio, era un Dio, per altri meno. Se quel 7% di capacità celebrali sfruttate fosse diventato anche solo un 50%, cosa sarebbe cambiato? Quanto? In che misura? Eppure come fare? Il trend stava perdendo di crescita, si rischiava una stagnazione, ed erano arrivati solo al 7, di 100 punti! Trentamila anni di evoluzione erano praticamente valsi a nulla, erano ancora scimmie, solo un poco più poetiche, quanto era cambiato? Se l’uomo non poteva conoscere in assoluto la differenza tra Bene e Male, capire cosa realmente fossero, era anche vero che poteva fingere di saperlo, partire da una convinzione e costruirci sopra. Quindi, c’era soluzione? Ulisse aveva inseguito l’istinto, poteva essere condannato per quello? Era partito alla ricerca della Conoscenza, da empio, era diventato modello universale di scienza, per il loro tempo. Cosa ne avrebbero pensato passati duecent’anni? Il pensiero si evolveva, e nulla potevano farci. Dante non aveva mai condannato Ulisse, quanto potevano le parole sui pensieri? Le intenzioni di quanto erano più potenti delle parole? Dante aveva tessuto l’elogio dell’uomo, nel pieno del suo peccato, vivo e vegeto, respirante, e vivente, ed in quanto tale era stato ammesso alla visione della Somma Luce, cosa poteva sperare di più? Ulisse era il filo rosso dell’intera Commedia, come poteva condannarlo? Dante Auctor era tutto, meno che un cattolico convinto, e purista. Aveva intrecciato tutto, ogni pagliuzza del sapere medievale, per dare sfogo all’esaltazione dell’uomo, e del genio, quale intento più lodevole poteva sperare un uomo? Ed a distanza di secoli era ancora insuperato, nemmeno lontanamente eguagliato. Fuori da qualunque dimensione.
Era forse quello il Grande Segreto?
Appoggiò la tazzina, ormai vuoto, pensieroso, mentre l’eco del parlare si spegneva, assorbito dal legno delle superfici lucidate. Si godette il silenzio, pervaso di idee, intenzioni, propositi.


Mia cara, suvvia, cos’è il Bene? Con che coraggio potrei mai osare chiederle tanto? I professori si dice chiedano sempre e solo qualcosa di cui già conoscono la risposta. Ecco, io non sono un professore, son molto di più, o molto di meno, non mi interessa in fondo. Ho accettato il posto, e son qui a recitare la mia parte, ma non ho la presunzione di sapere tutto. Del resto sarebbe oltremodo arrogante crederlo, ed affermarlo, non crede?
La mia domanda, con il senno di poi, era: cosa pensa sia il Bene? Due dimensioni aliene entrano in conflitto, quasi ne sento la forza scaricarsi a terra, le scariche espandersi nel vuoto, prendendo forma. Lei, mia cara, è il centro di tutto, lei ed il Bene. Che rapporto avete? Cosa sapete l’uno dell’altro? Ed il Male? Ho sempre creduto che il Tertium non Datur avesse molteplici significati, e questo potrebbe essere uno dei più nobili. Nessuno può vivere allo stesso modo sia con Bene, che con Male. Come teneri amanti ci concediamo al nostro spasimante, un tempo consumare l’atto amoroso aveva un significato completamente diverso da oggi, un qualcosa di sacro, ed inviolabile. Cosa crede che sia il Bene? O se vuole il Male, poco importa. O meglio ancora, cosa sceglie che sia il Bene per lei? O ancora, cosa ritiene che per lei sia eticamente accettabile come Bene? Come nota tutto si sta riassumendo, tiriamo le fila del tutto, inseguendo il folle proposito di creare un sunto. Una sintesi. Tra divino, ed umano. Sa meglio di me quanto sia impossibile, eppure, è così importante? In che misura quanto facciamo deve anche essere utile, e sensato?
Non potremmo forse fare qualcosa per il solo piacere di farlo? Credere in qualcosa di più grande è forse uno dei segreti dell’Essere, dona alle nostre vite un Quid inaspettato, e particolare, una nuova sfumatura in un grande arazzo che credevamo di conoscere. Immagino conosca le idee di Burke, o Feuerbach, immagino conosca gli scettici, sa quindi quali sono i rischi, ma conosce anche i Grandi dell’antichità, sa le regole del gioco. Come ben capirà è una scelta che deve fare, tra Bene e Male, e di conseguenza in cosa credere. La scienza non ha tutte le risposte, mai le avrà, sarebbe giusto che le avesse? Dov’è la legittimazione della Scienza ad indagare? È una Querelle legittima, giusta?
Domande, domande, ed ancora domande, di risposte non ne ho.
Eppure qualcosa le devo, lei è la nuova generazione, io son quasi due prima di lei, cosa lasciamo nelle vostre mani? Che mondo vi tramandiamo? Migliore o peggiore di quanto a nostra volta abbiamo ricevuto?
Cos’è il Bene?
Chi ha creato il Mondo?
Crede che affidare tutto il caso sia una scelta sensata, e condivisibile? O forse solo un modo per rimandare il problema. Esiste il caso mia cara? C’è un progetto, dietro ogni cosa, o piuttosto non c’è nulla, che non il puro caso? Personalmente non lo trovo giusto, io vivo di ideali, negarli sarebbe morire, vivo nell’eterno ricordo di quanto è stato, vivo di libri, e cosa sono i libri, se non mondi ideali? Lei mi dica che pensa sia questo benedetto Bene, ed io le dirò come la penso. Un accordo, penso equo.
Del resto, siam proprio sicuro che Dante condanni Ulisse? O forse Ulisse è proprio il Cuore della Commedia stessa? Ulisse non è forse il monumento immortale edificato da un altro Uomo, verso il Genio dell’Uomo di ogni tempo? Ulisse, stranamente, ritorna, ciclicamente, insistentemente, dal I all’ultimo Canto, fa da filo rosso, qualcosa da seguire, ed amare. Da capire. E siamo sicuri che poi Dante fosse davvero quello che si spacciava di essere? Dante Eroe della Cristianità, lo era poi così tanto? Ed il messaggio che vuole darci non è forse dei migliori? Pensi, l’Uomo armato del proprio Genio, e null’altro, può arrivare a Dio! Chi sia questo Dio non lo so, eppure anche solo che possa arrivarci lascia ben sperare.


Il The era finito, una tragedia greca!
Che avrebbe fatto?


Una curiosità mia, ha per caso qui la sua Bacchetta? Sono oggetti estremamente sinceri, basta saperli comprendere...

Sorrise allegro, la Tuke gli avrebbe arriso anche su quello?


 
Top
view post Posted on 12/10/2010, 15:20
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Ci giravano spasmodicamente intorno. Come lupi affamati, annusavano speranzosi la preda stretta nel loro cerchio, eppure ancora così sfuggente, vigile, vitale. La risposta era lì, davanti ai loro occhi: eppure non riuscivano a vederla. Stolti! Sarebbe bastato allungare una mano e il frutto dorato e maturo del sapere sarebbe stato colto: era il peso dell’ignoranza a spingere le loro braccia sempre più a fondo? Era davvero così terribile il peso di un corpo mortale rispetto alla pura e leggera essenza del divino?
“L’Uomo armato del proprio Genio, e null’altro, può arrivare a Dio”, aveva detto il professore. Così come Dante era arrivato a Dio, alla fine di tutto. Eppure erano solo parole, teorie in continua evoluzione, aspirazioni puramente umane. Poteva davvero l’Uomo arrivare a Dio? L’Uomo era il Creatore della sua Realtà: ma l’Uomo da chi era stato creato? Era davvero l’Uomo unico fautore e artefice del suo destino? E se così non fosse stato, a chi rivolgersi? Al Caso o a Dio?
L’Uomo è il Dio di ciò che rientra nelle sue possibilità di controllo: egli può creare, comandare, distruggere ciò che conosce. Ma per l’Ignoto? Cosa ne sappiamo dell’Anima o della ragion d’essere della Natura o dell’origine dell’Universo? Abbiamo cercato di indagare e abbiamo dato a quest’occupazione il nome di Scienza: e in suo nome abbiamo manipolato, distorto, sperimentato, sbagliato, anche solo per avvicinarci di un millimetro in più alla Verità o a quella che crediamo sia la Verità. Forse alla fine troveremmo il modo di sostituirci a Dio o al Caso… ma sarebbe solo un inganno ottenuto con l’astuzia. Dopotutto, l’Uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio, ma fu proprio la sua arroganza nel voler essere Dio a determinare la cacciata dall’Eden. Forse se l’Uomo usasse tutto il suo potenziale riuscirebbe davvero nel suo intento… ma se pure arrivasse a Dio non lo sostituirebbe. D’altronde, è inutile ipotizzare l’assurdo: potrebbe mai l’Uomo, impuro e imperfetto, nella Realtà anche solo avvicinarsi a Dio? La rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano creata da Dante è il culmine della visione medioevale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica. Non più che un auspicio o un’illusione. L’intenzione voleva essere potente quanto le parole ma senza riuscirvi poiché concretamente impossibile.
Che creatura arrogante, l’Uomo! Egocentrica! Sfrontata! Immodesta! Avrebbe rinunciato alla sua Anima pur di accrescere il suo Genio o il suo Potere. Eppure in entrambi i casi sarebbe rimasto sempre e solo Uomo.
Ma c’era chi avrebbe contestato tutto questo, il professore l’aveva colto: Feuerbach, ad esempio, aveva detto che nella religione è l'Uomo a fare Dio a propria immagine e somiglianza attraverso un processo psichico di assolutizzazione dell'umano. Non quindi Dio che ha creato l'Uomo, ma viceversa (“Non è Dio che crea l'uomo, ma l'uomo che crea l'idea di Dio” afferma Feuerbach). Quando a Dio si attribuiscono l'onniscienza, l'onnipotenza e l'amore infinito, in realtà si intende esprimere l'infinità delle possibilità conoscitive, di potere sulla natura e dell'amore che sono tipiche dell'Uomo. In Dio e nei suoi attributi l'Uomo può quindi scorgere oggettivati i suoi bisogni e i suoi desideri e, dunque, ri-conoscerli. Feuerbach ne conclude che «la religione è la prima, ma indiretta coscienza che l'uomo ha di sé». Feuerbach risolve dunque l'essere religioso nell'essere umano. Ma l'essere umano, sostiene invece Marx, non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non si addentra nella critica di questo essere reale, è perciò costretto a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato. Per lui perciò l'essere umano può essere concepito solo come «specie», come generalità interna, muta, che unisce in modo puramente naturale la molteplicità degli individui. Ed è Giusto anche questo?


- Mi chiede cosa penso sia il Bene. Mi chiede di mettere per un attimo da parte la falsa modestia e di fare ciò che l’Uomo sa fare meglio: sentenziare. Certamente ogni Uomo ha un rapporto privilegiato con se stesso: e se io mi pronunciassi in favore di una particolare idea di Bene, certamente avrei un rapporto privilegiato con quell’idea. In questo modo creerei un concetto che avrebbe nella mia testa un valore universale: che connubio perfetto! Io e quell’idea saremmo davvero il centro di tutto. Ammettiamo che sia davvero così: cosa penso sia il Bene? Esiste il Caso? Esiste Dio? Qual è il valore della Scienza? Quante domande difficili! Non potranno esserci che risposte poco chiare.
Il Bene: persino la Bibbia, il testo sacro dei Cristiani, è restia a definirlo, preferendo invece dilungarsi sulle innumerevoli forme del Male. Non posso dire che il Bene sia Dio, poiché non ho la certezza, come lei giustamente dice, di sapere chi sia questo Dio. Rischierei di affidare il concetto di Bene, così prezioso per il mantenimento dell’equilibrio, al Nulla, se Dio fosse Nulla. Ma allora cos’è il Bene? Un’idea astratta e senza radici in balìa del primo venuto? Potrei dire che tutto il mondo esiste perché è Bene che esista: le cose esistono perché sono buone e le cose essendo buone sono uno strumento per arrivare al Bene. Sarebbe una concezione finalistica della Natura simile a quella cristiana: Dio ha creato il mondo per bontà, e ha creato gli uomini perché praticassero il Bene. Il fondamento di una visione ontologica quale quella di Platone, infatti, sta nell'equiparazione di Buono = Bello = Vero. Questa concezione è stata assunta anche dal Cristianesimo, poiché il Dio cristiano è infatti, oltre che onnipotente e onnisciente, l'essenza della bontà, della bellezza e della verità. Per questo, per un credente, è la divinità a rappresentare l’ideale di “Bene assoluto”. Ma se decidessi che Dio non esiste? Se decidessi che tutto ciò che mi circonda non fosse altro che il frutto del Caso? Eppure anche così finirei con l’elevare il Caso a essenza onnipotente e pensante facendone per certi versi una nuova divinità. Anatole France ha detto che “il Caso è lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmare”: normalmente intendiamo Dio come la perfezione assoluta, come il Primo Motore Immobile, per usare una metafora aristotelica, come un’entità superiore che non ha bisogno di movimento perché non deve divenire niente in quanto Egli è, semplicemente e perfettamente. Tutt’altra concezione abbiamo del Caso, il cui nome ricorda molto da vicino la parola greca Χάος. Il Caso, o Χάος, sembra essere l’esatto contrario dell’immobile perfezione di Dio: il Caso è movimento, è divenire, è imperfezione, è trasformazione ed è rinnovamento. Eppure, se anche decidessimo di credere in Dio, dovremmo anche credere che tutto ciò che ci accade sia frutto della sua volontà, compreso ciò che apparentemente non parrebbe essere un Bene: dobbiamo forse credere nella Divina Provvidenza manzoniana? Ne I Promessi Sposi Manzoni vede la storia come un susseguirsi di azioni dietro le quali opera, nascosta, eppure vigile, la Provvidenza divina. A nulla servono i piani degli uomini, siano essi umili o potenti. Anzi, essi spesso falliscono miseramente, sortendo l'effetto contrario a quello voluto. Sfiducia, quindi, nei potenti, che nulla possono, ma anche nelle lotte degli umili, nel loro progetto di riscatto che non tenga conto di Dio. Nel romanzo c'è un trionfo, persino sfacciato, del Bene. Tutto ciò è dovuto alla Provvidenza, che agisce segretamente dietro le vite degli uomini. E nonostante tutto, ancora si parla di lieto fine senza idillio.
Non ho dunque certezze, né la Scienza è in grado di fornirmele. Per quanto spazi da un campo all’altro del sapere, essa rimane vincolata alla finitezza umana. Se anche fosse legittima la sua indagine, non porterebbe a nulla di veramente importante: migliorerebbe la nostra vita, forse, anche più di quanto ci potremmo aspettare, ed è giusto che sia così; ma non ci sarebbe comunque mai il momento in cui scrivere la parola Fine, ci sarebbe sempre dell’ “altro”, di più profondo e più essenziale.
Il Bene, dunque? Il Bene è quell’entità in nome della quale agiamo nella convinzione di reinventarci migliori; è l’idea alla quale ci affidiamo per il bisogno di ammettere almeno una certezza così da farne il fine ultimo della nostra esistenza; è il concetto sul quale cerchiamo di plasmare il nostro ideale di Giusto. Ognuno da al Bene il nome che preferisce: Dio, Caso, Provvidenza, Scienza… ma quale che sia il suo nome, la sua Natura rimane la stessa. –


Chissà cos’era il Bene per il professore, per quella mente che continuamente creava nuovi e inaspettati collegamenti. La Bacchetta? Quale poteva essere il suo ruolo in tutto questo? Cosa poteva volere il professore dalla sua Bacchetta? Un oggetto sincero?
Arwen la tirò fuori, a malincuore, dalla tasca della sua veste. E mentre la porgeva al professore le pareva di mettere a nudo una parte di sé: era sua, un tutt’uno con il corpo. Nelle mani di lui sarebbe stata fuori luogo, indifesa, vulnerabile. Eppure il professore doveva essere in buona fede: non era stata lei la prima a parlare di fiducia?


- Ecco a lei professore, legno di Tiglio, piuma di civetta reale, 11 pollici, flessibile. Io…posso chiederle quale deduzione pensa di farne? –

 
Top
view post Posted on 13/10/2010, 16:05
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Sorrise annuendo divertito, una domanda apriva un mondo, mondo che andava esplorato per essere anche solo superficialmente compreso, e veramente capito, al più, col tempo. Si instaurava un rapporto speciale, privilegiato, che metteva in contatto dimensioni aliene, per mera intuizione del soggetto. Che collegamento poteva esservi tra una funzione, ed un Leonardo? Nessuna, sino a quando qualcuno non giungeva alla soluzione. Una legge quante scappatoie ammetteva? Volontariamente quasi nessuna, in pratica il Genio dell’uomo si applicava per trovarle. Era quindi più perfetta la legge, o l’uomo? Si viveva di piccoli espedienti, tutti volti a portare novità ed interessi nell’esistenza. Si poteva vivere di Noia? Non poteva lamentarsi, in tanti anni non si era mai annoiato per un intero minuto. Qualcosa di strano, ma vero. Annoiarsi, un vocabolo strano, sospetto. Chi era Dio? Come passava il tempo? Esisteva? Dio era anche Caso, o erano entità diverse e distinte? O forse l’uno precludeva l’altro? I testi biblici, Platone, Aristotele, secoli di letteratura, chi aveva ragione? C’era una ragione? Una qualche verità? O forse tutto era da ricercarsi in qualcosa di anche superiore? Di diverso? Cos’era superiore alla verità? Senza coinvolgere Dio. Serviva un termine di paragone, sul quale costruire tutto il resto. Rischiavano tranquillamente Metafisica, se non peggio, eppure non era più così importante. Cosa importava? Cosa era importante, cosa non lo era? Perchè crearsi inutili problemi? La vita di una persona X era assolutamente rilevante e preziosa, ma relativamente del tutto inutile, ed indifferente, perchè inseguire un assolutismo dannoso a tutti? Aveva senso preoccuparsi di tutti indiscriminatamente? Era forse sbagliato dire che Buono, Bello, e Vero erano diversi? Potevano esserlo, tutto era ancora e nuovamente una Scelta. Esisteva la Provvidenza? E di conseguenza Dio era anche il grande Architetto del Mondo, e del Cosmo? O semplicemente aveva dato il calcio? Manzoni, un autore lontano, e remoto, che non aveva mai valicato i confini del proprio Paese. Eppure un Autore, forte dei suoi ideali. La Provvidenza, come poteva conciliarsi con il libero arbitrio? L’uno escludeva l’altro, e tante grazie. E la Scienza? Era legittima? In quale maniera? Spiare da buco della serratura Natura, ed i suoi segreti, era bello? Utile? Che rapporto stava tra Bello ed Utile? L’indagine si allargava, si gonfiava, di continuo nuovo materiale, c’era una fine?
E quindi, cos’era il Bene?
Un qualcosa di umano, ricostruito, ibrido di qualcos’altro, ma allora, cos’era l’unità di misura di quel metro? Chi era l’Alfa? Cos’era? C’era un’Omega? O non c’era? L’essere era un progetto aperto, o qualcosa di già definito?
Sorrise, sorrise semplicemente, ascoltando la giovane, che altro fare? Annuire? Era legittimo a farsi, ed in che misura? Cambiava il nome, ma anche la natura di una cosa? La piuma era piuma perchè definita tale, o perchè era davvero piuma?

Domande affascinanti mia cara, un’enorme cascata, o se vuole un effetto cascata incontrollato, che spazza via le esili basi della nostra conoscenza, lasciandoci in balia del relativismo del nostro Tempo. Possiamo dire allora che forse siano proprio le nuove conoscenze a lasciarci paradossalmente in questi problemi? Tempo addietro, si conosceva meno del Mondo, non lo si capiva molto, ma si sapeva molto del poco che si sapeva, sembra un gioco di parole, ma potrebbe anche non esserlo. La Scienza ci sta portando ad alzare sempre più velocemente l’asticella, ed il risultato è che se potenzialmente potremmo sapere molto più di qualche decennio fa, di fatto ne sappiamo sempre meno. Capisce? I risultati di uno studio anche decennale per quanto sono valevoli? Due, tre settimane, forse qualche mese, ma sarebbe impossibile parlare di anni. Sino a qualche decade fa i risultati il più delle volte concordavano, ed avvaloravano quanto già si conosceva. Questo favoriva per certi versi un clima culturale più disteso, pacifico, ma molto più propositivo, oggi paradossalmente potremmo sapere molto, ma sappiamo molto poco. I grandi Sapienti sono solo un ricordo, il sapere è sempre più settoriale, e frammentato, la visione d’insieme, la visione per capire davvero cosa sia il Mondo si è persa. E possiamo solo assistere impotenti a questo processo!
Ma non parlo unicamente di Babbani, parlo dell’Uomo moderno, dei nostri tempi, il che dovrebbe farci preoccupare, non farcene fregare. Vede, è anche molto pratica la faccenda, se ho un problema inizio a pensare a chi chiedere, da chi andare, non più cosa fare! È l’ideologia ad essere radicalmente mutata, ed in peggio. Poi provi a discuterne con qualcuno, la tacceranno di arretratezza culturale, e di considerevole anzianità, che sembrano essere diventate offese.
Ognuno ha un’idea diversa di Bene, di Dio, di Verità, questo è vero, penso sia l’inevitabile frutto del sapere del nostro tempo, dell’evoluzione secondo altri, è un problema? Se io penso una cosa, non è detto che sia sbagliata, perchè lei ne pensa altrimenti, no? Poi sappiamo entrambi che lei sarà molto più certa della sua, ed io della mia, temo non vi siano dubbi, ma è un problema? Diciamo essere l’epoca delle grandi democrazie, delle libertà di parola, pensiero, ed espressione, poi dall’altro lato ci uniformiamo tutti, ai “saperi di massa”, dobbiamo tutti pensarla allo stesso modo, perchè la maggioranza la pensa così. È giusto? Eticamente, se vogliamo, ci siamo evoluti notevolmente, il diritto mai fu più prolifico, mai abbiamo avuto leggi e norme più stringenti di oggi, eppure, dove sono i risultati tangibili di questo? In line di principio posso sempre pensarla ed agire come meglio ritengo, certo, ma di fatto? Ai tempi dell’Ancieme Regime in teoria si doveva pensare una determinata cosa, in pratica ognuno era libero di pensare liberamente. Certo, si tratta pur sempre di trattare il tutto con le pinze, ma credo mi stia seguendo. Dire che il Bene, sia Bello, e che il Bello sia quindi anche Verità, e Virtù, saprà anche lei essere eredità omerica, prima, e prima ancora Assira, ed Egizia. Si tratta semplicemente di semplificare, ridurre volontariamente il Mondo a qualcosa che sappiamo non essere, in favore di una nostra comodità, pur lasciando ampie libertà al Mondo Reale, al Mondo della Vita. L’uomo Omerico, o Medievale, e quindi Omero e Dante erano fermamente convinti di quanto scrivevano, non cercano di fregarci, scrivono quanto credono, e credono quanto scrivono, comprende? Non è poi così strano in fondo, credo. Un tempo, e torniamo sempre a questo, scrivere era Arte, Onore, pochi scrivevano, pochi leggevano, certo, ma tra questi c’era dialogo, scambio, dibattito, oggi fare informazione cos’è? Vendere il proprio fumo in maniera più efficace, e prima, che non lo facciano altri. Non so cosa sia il Bene, è vero, eppure non per questo non posso farmene un’idea, non posso crederci, non posso pensarlo. Se dovessi credere solo nella Verità, ed agire solo secondo Giustizia, la Dike di Platone, cosa crede che farei? Forse poco, forse niente. La matematica certezza non è di questo Mondo, Platone lo sapeva sin troppo Bene, pensa davvero che Platone credesse che il Mito della Caverna fosse vero? Una delle menti più eccelse della Storia del pensiero umano, poteva forse credere ad un Mito? O forse il Mito era semplicemente specchio di qualcos’altro? La Commedia vuole essere davvero il resoconto di un viaggio di Dante alla scoperta di Dio? E magari Dante avrà anche chiesto un rimborso spese?
Più verità potrebbero portare ad un’unica grande verità, no? La mia idea di Bene sommata ad un altro milione, potrebbe effettivamente portarci tutti al Bene, almeno teoricamente. Di fatto sappiamo non essere così, ma cosa importa? Il Caso, Dio e la Provvidenza, potrebbero essere diversi nomi, per una stessa cosa, no? In fondo fanno tutti circa le stesse cose, che esistano o meno tutti e tre, non ci impedisce di credere in uno solo, in tutti, o in nessuno, no? Pascal scommetteva sull’esistenza di Dio, Dio esiste? Credere che esista non costa nulla, posso credere, ma non essere praticante, posso credere, ma solo sino ad un certo punto, sbaglio?
Ora, invece, le devo una risposta, me ne rende conto.


Sorrise, riposizionandosi sulla comoda poltrona, tornando ad osservare la giovane fanciulla.
Cos’era per lui il Bene?


Come le dicevo prima, come tutti i pensatori anche io mi faccio una serie di sconti, parto da una serie di ipotesi, assunte, ma non verificate. Senza non potrei pensar nulla, se dovessi verificarle, non avrei speranze. Ad esempio sono certo esistano in una dimensione immortale, ed ideale, due essenze principali, opposte tra loro, Bene e Male. Ovviamente sono astrazioni, mi piace immaginare il Bene come una sfera di luce, di intelligenza pura, di Lògos, oserei, capisce? Il Bene è anche un artigiano, terribilmente fecondo, che crea tutto, crea la Natura, e l’Universo, intessendo un arazzo, dove ogni sua creatura costituisce un segmento di filo. Ognuno è creato secondo tutta una serie di Archetipi, sempre ideati da lui, ritenuti perfetti, e forniti anche di libero arbitrio, che li rende assolutamente liberi di fare, per una data esistenza. L’intero insieme va formando quindi una splendida immagine, il Tutto, che può essere compreso solo da un’altra dimensione, immortale, da essenze perfette come Bene, e Male. Se Bene crea, Male corrompe, si insinua nell’arazzo, ammaliando e confondendo le creature, rovinando le più deboli, e creando quindi dei buchi nell’arazzo, che non risulta quindi mai essere completo per chi lo osserva, e non sappia cosa rappresenti. Capisce cosa le dico? O l’ho già persa? Bene e Male agiscono al meglio tentando l’uno di sopraffare l’altro, ma mantenendo un equilibrio perfetto, per loro, che può risultare tergiverso per le creature. Sono idee immortali, e quindi agiscono e pensano in modi che noi non possiamo neanche sperare di comprendere. Ma che ci illudiamo di fare, e pertanto forti della nostra libertà appoggiamo ora questo ora quello certi di fare il meglio. L’uomo essendo creato dal Bene, tenderà forzatamente al Bene, pur restando libero, ed anche quando si addentrerà nel Male, riterrà di muoversi sempre per conto del Bene. Capisce? Del resto, se vuole, è una visione Medievale, giustamente allegorica, con qualche variazione. Credo in questo Architetto, che se vuole può definirlo Dio, semplicemente perchè sono uno Statalista convinto, prediligo l’Ordine, e lo impongo, son quindi portato a pensare una serie di cose, che a loro volta ne portano altre. Inevitabile in fondo. Ma ad ogni modo, credo, che l’esistenza di queste due forze immortali, Bene e Male, o come voglia chiamarle sia necessaria, senza come giustificheremmo tutto il resto?
Detto ciò, come già le dicevo, e come le dirò sempre, lei può credere e non credere in quello che vuole, ma forse credere in qualcosa è la via per un’esistenza migliore, più stabile, e sicura per certi versi. Se paragona l’Architetto allo Stato capirà bene che non è possibile che questi intervenga direttamente nella mia vita sempre e comunque per renderla migliore, se anche capitasse qualcosa, come spesso succede, il mio sistema non ne risentirebbe. Possiamo forse sperare che lo Stato faccia da balia ad ogni singolo individuo? La verità sta spesso nel mezzo, non troppo idealisti, non troppo materialisti. Io vivo di certezze, per il Bene, altri per il Male, chi fa meglio? Si vive in propria coscienza, e non c’è molto da girarvi intorno, non crede?


La giovane aveva finito di parlare, lui aveva contribuito, ed ecco che gli porgeva la sottile asticella. Che deduzione ne avrebbe fatto? Cosa gli avrebbe raccontato? La Scienza delle Bacchette era un’Arte precisa, ma complessa, mutevole, terribilmente volubile. Tutto e niente, ancora una volta. La prese con delicatezza, studiandola tra i due indici.


Molto gentile, grazie, deduzioni, un gran mistero anche per me. Potrebbe dire tutto, e dire niente. Qualche anno fa avevo iniziato ad interessarmi alla materia, una scienza affascinante, un’Arte se vuole, precisa ma assai volubile.

 
Top
view post Posted on 16/10/2010, 00:47
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


In medio stat virtus. Ecco la chiave di tutto: già Orazio, e Aristotele prima di lui, avevano espresso un tale concetto. Infatti, come criteri secondo cui regolare i propri comportamenti, il poeta raccomanda subito nelle prime due satire del primo libro quelle che nella diatriba si sarebbero chiamate μετριότης, “misura”, e αὐταρκέια, “autosufficienza”: la prima è la moderazione che scaturisce dal giusto mezzo aristotelico, la seconda rappresenta l’autosufficienza interiore del saggio. Esse in Orazio vengono proposte come ricerca di quel modus, quella “misura”, che garantisce l’individuazione del Bene e della Verità: tutto è riconducibile al valore universale stoico della virtus. Di fronte alla precarietà della condizione umana e alle leggi inflessibili della vita, Orazio raccomanda di mantenere un atteggiamento di costanza e di equilibrio, l’aequa mens, che permetta di neutralizzare i possibili mutamenti del destino. La condizione più augurabile è dunque una condizione di mezzo, che tiene al riparo tanto dalle strettezze della povertà quanto dai rischi che corre chi arriva troppo in alto, esponendosi all’invidia altrui e ai rovesci della sorte. È questo il senso dell’aurea mediocritas. La saggezza che egli suggerisce non aspira a fornire ricette di felicità, ma piuttosto a far capire che bisogna rimanere padroni di se stessi e dei propri desideri per potersi godere nel modo più completo i momenti migliori della vita. La ricerca della giusta misura, come appare chiaro nelle Epistole, non deve essere basata su principi astratti, al contrario di quanto predicato dagli stoici, ma deve procedere adeguando la propria condotta ciascuno ai propri mezzi e alla propria natura. È questo modello di sapiens e di vir bonus la via unica e individuale verso la felicità. Ugualmente in precedenza lo stesso Aristotele, nel secondo libro dell’Etica nicomachea, cerca di rispondere al quesito: che cosa sia la virtù, quale tipo di natura essa abbia. Anche per Aristotele la virtù ha le caratteristiche della medietà, si pone fra l’eccesso e il difetto. La virtù è dunque una disposizione che orienta la scelta deliberata, consistente in una via di mezzo rispetto a noi, determinata dalla regola, vale a dire nel modo in cui la determinerebbe l’uomo saggio. È una medietà tra due vizi, uno per eccesso e l’altro per difetto. E lo è, inoltre, per il fatto che alcuni vizi difettano e altri eccedono ciò che si deve sia nel campo delle passioni che delle azioni, mentre la virtù è ricerca e sceglie deliberatamente il medio. Perciò secondo la sua sostanza e la definizione che ne esprime l’essenza la virtù è una medietà, ma secondo l’eccellenza e la perfezione è un estremo. Tuttavia non ogni azione né ogni passione ammette la via di mezzo: per alcune infatti già il nome implica la malvagità, ad esempio la malevolenza, l’impudenza, l’invidia e, nel caso delle azioni, l’adulterio, il furto, l’omicidio. Infatti tutte queste passioni e azioni, e quelle del medesimo genere, hanno quei nomi per il fatto di essere in se stesse cattive, non i loro eccessi né i loro difetti. Si tratta ad ogni modo di una visione che presuppone la conoscenza di un valore assoluto di Male, una volta identificato nel “medio” e nella “virtus” il Bene. “Non troppo idealisti, non troppo materialisti” aveva detto il professore: in fin dei conti, non aveva forse ragione quando aveva concluso affermando che, alla fine di tutto, si vive solo secondo la propria coscienza? La propria coscienza è l’unica vera certezza che ognuno ha: e da essa scaturiscono una serie di altre certezze e convinzioni, false o vere che siano, su cui ogni Uomo fonda la propria vita ed esistenza. Ed è un Bene: è forse pensabile vivere dubitando di tutto, perfino di se stessi? Il ragionamento che stavano portando avanti, lei e il professore, era praticabile fino a un certo punto: discutere è la chiave della conoscenza, la maieutica socratica lo dimostra; ma quando si comincia a sconfinare in un profondo scetticismo e ogni cosa o concetto comincia a perdere di significato e valore, non è forse meglio fermarsi? In fondo l’Uomo è sempre Uomo: può supporre ma non negare definitivamente se stesso: le certezze servono anche se non corrispondono alla Verità. Arwen sentiva di esistere: poteva forse dubitare del contrario? Tutto diventava mera speculazione filosofica: ma se non era possibile sapere, perché non credere? Sì, “credere in qualcosa è la via per un’esistenza migliore, più stabile, e sicura per certi versi”: cosa sarebbe accaduto se gli Uomini avessero cominciato a non credere più nelle Leggi, o in un Dio o qualsiasi altra entità garante di quelle Leggi? Saremmo tornati a quel Caos primigenio da cui abbiamo avuto origine, chiudendo così il grande cerchio: sarebbe forse stato a quel punto come se non ci fossimo mai stati, e ogni progresso sarebbe stato vano. Dopotutto, non era già iniziato quel processo? La crisi interiore che affligge l’Uomo moderno e che lo spinge a criticare, dubitare o indagare senza capire davvero, è la stessa forza che lo porta sempre più verso il disagio e la permanente sensazione di ignoranza: “forse sono proprio le nuove conoscenze a lasciarci paradossalmente in questi problemi”? Il professore aveva le parole giuste: sappiamo molto e poco. E quel che sappiamo confluisce in genere in pregiudizi o massime da quattro soldi ripetute come da automi sulla bocca di tutti. Semplificazione? Comodità?

- Tutto quel che dice è vero, professore. Ma una volta preso atto di ciò, cosa possiamo fare? Forse che l’Uomo ha il potere di modificare i meccanismi stessi che sono alla base del suo pensiero e del suo modo di agire? Il Tempo ha determinato drastiche trasformazioni: ed è un pregio e una condanna il fatto che non si possa tornare indietro. Lei fa il paragone tra “ieri” e “oggi” e si interroga sul significato e sul valore dell’informazione e della conoscenza ai nostri giorni. Ma non è troppo facile elogiare il passato e denigrare il presente? In fondo l’ha detto lei stesso: il Mito della Caverna non è forse un valido esempio di come anche in epoche remote il saggio, o colui che riteneva di esserlo, lamentasse la dilagante ignoranza e la testardaggine nel non volersi migliorare e nel voler persistere in quella condizione? Sono cambiati i termini, ma i concetti sono rimasti gli stessi: sono poi così diversi “ieri” e “oggi”? Ora noi guardiamo con ammirazione al passato perché volgiamo l’attenzione alle grandi opere tramandateci: e osserviamo con indulgenza la mancanza o la primitività delle prime conoscenze mediche, delle prime forme politiche, delle prime modalità di combattimento, come faremmo con un bambino ancora privo di esperienza. Quanta strada da allora! Abbiamo raffinato la medicina, la politica e la guerra a discapito di una più profonda saggezza interiore e filosofica fino a chiederci se la Scienza fosse in effetti cosa buona e giusta: ed ecco l’apice dell’Esistenzialismo di Heidegger – “la scienza non pensa”. E non pensa non perché non usi il pensiero; ma perché, in conseguenza del suo modo di procedere e dei suoi strumenti, non può pensare nel modo in cui pensa il pensiero meditativo. Che la scienza non sia in grado di pensare, del resto, non è per nulla un difetto, precisa Heidegger, ma un vantaggio. Solo in virtù del suo “non pensare”, la scienza può dedicarsi alla ricerca su singoli ambiti e stabilirsi in essa. La preoccupazione filosofica di Heidegger è dunque fondata: egli sostiene che ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un dominio completo della tecnica. Più inquietante è che l’uomo non sia preparato a questo radicale mutamento. Ed ancora più inquietante è che non siamo capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditativo, un adeguato confronto con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca. Ecco il punto. Siamo pronti, adesso come allora? Di certo la nostra evoluzione non è finita: ma quale che sia il nostro futuro, non potremo far altro che accettarlo per quel che sarà. –

Non aggiunse nulla al concetto del Bene espresso dal professore: tutto era limpido, semplice, classico. Il Bene forma e crea, il Male corrompe e distrugge. Un equilibrio perfetto, come l’aveva chiamato il professore stesso. Una visione arcaica e basilare, pura e lineare.

- La sua idea di Bene è molto ben definita, professore. Eppure mi chiedo se non sia eccessivo affermare che l’Uomo, essendo stato creato dal Bene, debba tendere forzatamente al Bene, pur restando libero. Se ricordassimo Sant’Agostino, ci renderemmo conto che la volontà è però libera nel vero senso della parola quando non è schiava del vizio e del peccato. Ed è questa libertà che può essere restituita all’Uomo solo dalla Grazia divina. Il primo libero arbitrio, dato ad Adamo, consisteva nel poter non peccare. Perduta tale libertà a causa del peccato originale, la libertà finale che ci verrà data da Dio consisterà nel non poter peccare. E tale non poter peccare è un puro dono divino. Vi è dunque relazione necessaria tra libertà umana e Grazia. E’ solo la Grazia che rende l’Uomo autenticamente libero. Ciò che nell’Uomo è sforzo di liberazione, volontà tesa a cercare e ad amare Dio, è null’altro che l’azione della Grazia divina in noi. Senza Dio l’Uomo non può che allontanarsi, prima o poi, dalla verità e dall’amore, ed è destinato a peccare. Secondo tale concezione, pertanto, l’Uomo tenderebbe naturalmente al Male e non al Bene. Naturalmente nella tesi di Sant’Agostino rientra l’assunto dell’esistenza di Dio… ma come abbiamo già discusso possiamo semplicemente intendere per ora con questo nome semplicemente il Bene o una generica Essenza Suprema in sua vece. –

Rimaneva solo la questione della Bacchetta. Arwen continuava a non capire: di fatto il professore non aveva risposto. Che cosa pensava di ricavarne? Avrebbe letto la sua anima attraverso l’oggetto che l’aveva scelta?

- A dire il vero, professore, non ho ancora compreso il motivo del suo interessamento alla mia Bacchetta. Capisco la complessità e il fascino dell’Arte delle Bacchette, ma non riesco a capire quali informazioni si possono trarre da un simile studio. Ora che l’ha tra le mani, a cosa pensa? Che farà? –

Arwen non voleva apparire incalzante, ma non poteva farne a meno. Quell’atteggiamento la incuriosiva e irritava allo stesso tempo. E il desiderio di sapere si era risvegliato, prepotente.

 
Top
view post Posted on 17/10/2010, 16:17
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:


Sorrise, cosa fare, appurato tutto quello? Cosa se ne poteva conseguire? Tutto e niente, un affare ricorrente. Del resto, a volte, era anche estremamente interessante aver torto, sbagliarsi, lo scossone che ti riportava alla realtà. Ed essendo anche tutto proporzionale, a pari intuizioni, per lo più geniali, seguivano anche clamorosi errori di valutazione. Nessuno è perfetto. Neanche lui poteva farci molto, si sbagliava, e sbagliare gli rammentava la sua mortalità, la sua finitezza.
In quale maniera l’uomo poteva modificare la propria indole? Poteva davvero farlo? O si era forzatamente schiavi del proprio destino? Della propria sorte? C’era libertà?
Tra ieri ed oggi tutto si giocava, era il grande confronto, inesauribile, e perfetto. Quanto era cambiato il mondo, quanto gli mancava, pur non avendolo mai conosciuto, era nato per sbaglio, solo un grosso errore, che si fosse perso sulla strada? Lui apparteneva ad un mondo che era passato, morto da tempo, ma mai dimenticato, cosa ci faceva lì? Che fosse anche quella una scelta? Ma allora, in che misura l’uomo poteva imporsi sul Destino? C’era forse davvero un disegno di Grazia che guidava l’Uomo nella sua storia? E c’era allora una Storia?
Ogni domanda, portava nuovi dubbi, un susseguirsi di interrogazioni, senza apparente risposta. Anche Selene aveva smesso di rispondere, l’eroe al giro di boa della sua vita, iniziava a realizzare cosa fosse il peso di vivere, il peso di una studiata solitudine, solinga nonostante la vita che lo circondava. Prendeva atto di cosa fosse la realtà, iniziava appena a capirla, prima di esserne ristrappato via. Conosceva il mondo, l’aveva conosciuto, ed ormai la pigrizia e la passione lo costringeva a casa, basta avventure, basta viaggi, si faceva mandare tutto l’occorrente per lavorare e studiare a casa. Casa, che fosse la Scozia, che fosse Londra, che fosse il Giappone, che fosse Hogwarts. Libri, e The. Poche amicizie, poche distrazioni, un’unica ricorrente passione. Era l’eroe rinascimentale, il David, colto nell’atto di riflettere, prima di fare qualunque altra cosa, quanto importava il resto? Vita, morte, tutto era ormai passato in secondo piano. Viveva per comprendere l’essenza delle cose.
Il pensiero di uomini venuti prima di lui scorreva come un fiume impetuoso, ognuno di quelli aveva voluto lasciare al mondo qualcosa, una perla che guidasse alla comprensione, vi doveva essere qualcosa, taluni l’avevano individuato nella Sezione Aurea, l’unità di tutto, il marchio di produzione dell’Architetto. Eppure esisteva l’evoluzione? Erano stati creati, e non si erano mai modificati, o era successo? Quanto erano cambiati dall’attimo X? In proporzione di quanto? Forse meno di zero. Le grandi conquiste della Scienza, del Pensiero, se rapportate al tutto, cos’erano? Gocce, in un oceano. Ascoltava la giovane, affascinato, pensieroso, animandosi e rilassandosi, seguendo quanto diceva, perdendosi, e ritrovando la via. Attimi di riflessioni, preziosi come tesori, estremamente rari, ed unici. Sorrise, elucubrazioni lunghe sessant’anni ricevevano l’approvazione di una giovane studentessa, eppure v’era anche lì una traccia primigenia di piacere. Qualcuno era d’accordo, qualcuno che non fosse nemmeno lontanamente compagno di studi, collega di qualcosa, semplicemente una giovane studentessa.
Uomo e Grazia, che forse allora proprio Manzoni avesse ragione? Agostino aveva scagliato la prima pietra, ma non se n’era dimostrato degno, supportato da un pensiero fiacco, e lacunoso. Il Dottore Angelico aveva riportato l’attenzione sui problemi, sanandoli, portando Ordine, dal Caos. Fortificando le posizioni, rendendole fieramente difendibili.
Ma quanto aveva inciso nella Storia?


Cosa possiamo fare? Tutto, mia cara, ma anche niente. Credere in qualcosa, con le giuste limitazioni, è come fare un’assicurazione, ci assicuriamo dai rischi che si corrono vivendo. Ci assicuriamo dalle nostre scelte, se vuole, è un modo come tanti altri di vivere. Siamo sempre noi chiamati a scegliere, dobbiamo scegliere, e pagarne le conseguenze, anche questa è una nostra scelta. Scegliendo ci si può anche condizionare l’esistenza, ma sarà sempre una nostra scelta, come possiamo anche decidere di non vivere, o morire nella maniera migliore possibile. Il tempo, non credo sia una gran risposta, di quanto è cambiato l’uomo in tremila anni di Storia? Ed in centomila? Certo, almeno in apparenza di molto, pensare alle caverne, oggi, io e lei, siamo in un castello, una scuola, davanti ad un The, a discutere, con un fuoco nel camino. Certo, ci siamo migliorati notevolmente. Ma di fatto? Pensiamo in maniera poi tanto differente? Io leggo testimonianze di uomini morti migliaia di anni fa, cinesi, greci, arabi, americani, e mi chiedo: perchè la pensiamo alla stessa maniera? Le domande insolute son sempre quelli, capiamo gli antichi, perchè siamo sempre noi, non molto è cambiato, eppure tutto. Nulla e tutto, nuovamente, son cambiati.
Io son nostalgico, il che è vero, ma non posso farvi molto, mi son ritrovato a vivere oggi, quando forse sarei stato meglio allora, ma pensi già a chi allora urlava allo scandalo! Leggo l’indignazione di Catone, e poi di Cicerone, e penso, io cosa dovrei dire?
Capisce? Io non tesso le lodi sperticate di qualcosa di ormai perduto, per il semplice gusto di farlo, per semplice scelta, e credo. Io non condanno il presente, come non elogio il passato, è l’uomo ad essere cambiato, ma non cambiato, sono le scelte dell’uomo di oggi ad essere mutate radicalmente, che tutti cambi, affinchè nulla sia cambiato, no? Vede, siamo noi a sceglierci anche l’indole per certi versi, modifichiamo il carattere, la persona, le idee, ma son sempre le scelte alla base di tutto.
Non conosco, e non apprezzo il Quidditch, ad esempio, ma per scelta, non ho mai frequentato l’ambiente, mai me ne son interessato, non ho mai cavalcato una scopa, ma sempre per scelta. Anche da giovane, non avevo la barba, ed ero per certi versi anche aitante, e prestante, già allora avevo voltato le spalle al Quidditch per scelta, giusta o ingiusta che fosse. La scienza è cambiata, o anche semplicemente è nata, oggi conosciamo alcuni dettagli impensabili al tempo, eppure quanto è cambiato? Alcuni uomini del VI Secolo Ac, vivevano per mangiare, oggi molti fanno ancora quello, ci siamo evoluti? L’uomo è pronto, o meno, ma a cosa? La scienza ci dà nuove risposte, magari impensabili, ma così rilevanti? Io non adoro la scienza, del resto sono un Mago che apprezza e comprende il proprio mondo, per quanto gli sia possibile, lascio i Babbani esaltarsi con la scienza, e scoprire le inutilità. Anche questa, in fondo, è una scelta, più o meno giusta, certo, ma una scelta. Pensi semplicemente al Mondo della Vita, al Bene ed al Male, cos’è cambiato?
L’equilibrio è mutato?
Del resto, lei nomina Agostino, uno dei padri della Chiesa, un pensatore, se vuole. Cosa fece banalmente? Prese gli scritti di altri, e vi aggiunse la variabile Dio, no? Con Dio tornano i conti, chi diede il primo calcio al mondo? Serviva un agente esterno, una causa prima, Dio cambia di nome, ed immagine a velocità impressionante, pur restando essenzialmente sempre lo stesso. Anche qui è tutta una questione di scelta, non trova?
Io mi trovo meglio a paragonarlo ad un Architetto, altri ad un Artigiano, chi a un Calciatore, chi ad una Sfera di puro intelletto, chi alla Luce, chi ha ragione? Qualcuno ha ragione?
Agostino non mi ha mai preso più di tanto, è il primo ad aprire un filone, incerto nel pensiero, ancora debole, succube delle correnti prima di lui, ma pur sempre disposto ad aprire ad altro. Altro ripreso poi in continuazione, sino alla perfezione. Sino a renderlo un pensiero coerente, difendibile, certo, non perfetto, ma perfezionato, frutto di una vita di studi di un Uomo, il Dottore Angelico, la grande Lumera. Forse l’uomo non tende al Bene?
Lei è molto giovane, ma non per questo sciocca, crede forse che l’Oscuro Signore faccia il Male? Crede che voglia fare il Male? Ognuno opera per il Bene, si convince di farlo, ed agisce. Più o meno con buoni propositi. Lei è giovane, certo, eppure è chiamata a scegliere, ha davanti lunghi anni, moltissime scelte, poche davvero importanti, scelga bene, o comunque scelga. Non trova? Io ho fatto le mie molto tempo fa, nel Bene e nel Male che fu, è passato molto tempo, eppure se ne pagano ancora oggi le conseguenze.


La Bacchetta era uno di quegli strumenti affidabili per sempre, ma anche terribilmente sinceri, una Bacchetta non poteva mentire, anche lì v’era la Scelta come origine di tutto. La Bacchetta era chiamata a scegliere, il mago era scelto, non doveva scegliere. Studi complessi, cosa stava in quel caso alla base della scelta? C’era? A cosa pensava? La bacchetta era passata al setaccio, sospesa tra i due indici, il naso aquilino che la scrutava arcigno, cosa ne avrebbe dedotto? C’era una Storia, nascosta. Cosa avrebbe fatto?

Effettivamente ha ragione, perchè questo interessamento? Vede, le Bacchette sono strumenti magici di notevole valore, eppure incompresi, nascondono Storie affascinanti, per chi sa leggere, sono governate da leggi misteriose, segrete, ed anche qui è la Scelta ad essere il cuore pulsante dell’Arte. Cosa spinge una bacchetta a scegliere? Le Bacchette secondo alcuni sono specchi dell’anima, per altri raccontano la Storia della Magia, per altri ancora sono il nesso tra Uomo, e Divino. Cosa farò? Niente, a me piace guardare.


SPOILER (click to view)
Mentre finiamo, senza troppa fretta, sei comunque libera di fare quanto vuoi nel reparto proibito, con la Polisucco! Ormai il permesso ce l'hai, si tratta solo di sanare il resto... :yaa:
 
Top
view post Posted on 19/10/2010, 17:41
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


SPOILER (click to view)
Perfetto!! :asd: Quando avrò un pò di tempo inizierò anche lì :D


Lui sorrideva, come un Battista leonardesco che emerge dalla cupa penombra con la mano alzata indicando il cielo e rimandando alla spiritualità della sua natura: un sorriso enigmatico, ambiguo, indeterminato, mentre quasi irridente lo sguardo magnetico si posava sulla giovane spettatrice. Ognuno era parte di quel mistero, eppure nessuno era in grado di svolgerlo. Tutto assumeva una consistenza più reale mentre la luce dalla finestra declinava lentamente e le ombre si facevano più definite: sarebbero svaniti nella notte, alla fine, finché non si fossero accorti che la loro era solo una parvenza di esistenza, una realtà fatta di oscurità e silenzio, illusioni troppo effimere per avere consistenza. E ciò che le ombre avevano reso più reale sarebbe sembrato soltanto uno scherzo della mente non appena anche le ultime luci del giorno e dell’intelletto si fossero diradate. Cosa stavano facendo? Sprecavano il tempo loro concesso per parlare delle tenebre e dell’ignoranza senza accorgersi che ne erano ormai avvolti per gran parte: fuggire! Fuggire! Perché anziché Parlare non Vivere, nell’attesa dell’oblio finale? Sarebbe venuto il momento in cui avrebbero forse rimpianto di essersi nascosti dietro la Filosofia anziché affrontare con coraggio e ingenuità la Vita per quel che era o così come gli era stata data: perché discutere? Se anche fosse stato quello il volere di un Grande Architetto, perché preoccuparsene e non semplicemente accettarlo? Era un Dono: lo era nella misura in cui l’avevano ricevuta, la Vita. Non era abbastanza? Sciocchi! Non sono forse felici gli animali quando possono inconsciamente seguire la propria natura? Erano diversi? Erano scimmie o immagini di Dio? Chi aveva permesso che fossero in grado di pensare? Il Pensiero, sì, il Pensiero era alla base di ogni infelicità o insoddisfazione. L’Uomo vive nella convinzione che esista un’alba dopo la notte: ma chi gliene da la certezza giorno per giorno? Esiste forse la Vita dopo la Morte? Un sapere dietro l’ignoranza? Saremo ricompensati di queste fatiche intellettuali? Com’erano inutili e fallaci i loro ragionamenti! Non più che la manifestazione tangibile del loro Ego spropositato. Inutile come sostenere che sia questo l’Aldilà della Vita e non la Vita stessa perché se lo fosse la sapremmo riconoscere, accettare, apprezzare: ha senso? Ha valore? Pazzia! La ragione e la speculazione sono la rovina dell’Uomo. Bisognerebbe cogliere ciò che si ha, senza troppe domande. La verità è che l’Uomo non ha bisogno delle risposte. Potrebbe non porsi alcun problema filosofico o esistenziale e vivrebbe lo stesso, il sangue continuerebbe a scorrere e il meccanismo perfetto del suo corpo continuerebbe a funzionare finché la vecchiaia o la malattia non ne avessero compromesso l’assetto. C’è forse nulla di più semplice, meraviglioso e perfetto della Vita? Eppure l’Uomo sarebbe Uomo se non agisse così?

- Forse ha ragione su Sant’Agostino: un pensiero ancora debole, lacunoso, acerbo. Eppure, in fin dei conti, come lei dice, la Scelta è all’origine di tutto: scegliere il Cristianesimo, in fondo, può essere estremamente conveniente, ma non per questo rivelarsi una Scelta filosoficamente peggiore. A differenza di Hoelderlin, Leopardi, ad esempio, ben presto si è reso conto della crisi profonda della Grecia. Se Leopardi è discepolo dei Greci, egli tuttavia è stato soprattutto segnato dalla crisi che la grecità conobbe nell'età dei sofisti. Egli non poteva credere agli dei dell'Olimpo; ogni sua integrazione con la Natura gli era impossibile: egli sentiva di non essere soltanto un elemento della Natura stessa. Poteva sentire, sì - ed era questo uno dei motivi più forti della sua angoscia - che la Natura aveva ogni potere sull'Uomo. Sentiva che il tempo e la vastità sconfinata dell'Universo annullavano l'Uomo stesso, eppure quest’ultimo trascendeva, nel suo spirito, la Natura. Il pensiero dei tragici greci gli aveva insegnato che l'Uomo, nonostante la sua grandezza, non può nulla contro il Fato e la Natura, è senza difese contro un potere cieco che lo distrugge. Il Cristianesimo nulla aveva cambiato, ma aveva aiutato l’Uomo a superare l'angoscia col rinnovare le illusioni delle antiche età. Finché egli ha creduto, non ha conosciuto l'angoscia: il Cristianesimo ha saputo dare all'umanità, con una nuova fede, una nuova giovinezza. Ma la fede cristiana non aveva maggiore fondamento, secondo il poeta, delle favole antiche. Come gli antichi avevano creduto che scendevano fra i mortali gli dei dell'Olimpo, così ora. Al mito pagano si sostituiva il mito cristiano. La pena era, nella morte degli dei, il vuoto della creazione, il non-senso di tutto, il riconoscimento che «unico obietto» dell'esistenza era la morte. Il poeta vive la tragicità di una vita che gli appare vuota ed assurda. Più del dolore diveniva insopportabile la noia. Il dolore del poeta aveva un fondamento metafisico. L'Uomo è straniero nel mondo: desideri immensi lo agitano, lo ispirano pensieri sublimi, ma tutto nella vita è disinganno. La vita non offriva nulla di quanto aveva promesso e l'Uomo aveva potuto sperare. Si può pensare che se avesse conosciuto l'amore, il poeta avrebbe vinto la pena? Di fatto egli stesso aveva detto che questa illusione può accompagnare l'Uomo fino alla morte, ma rimaneva illusione. Nonostante tutto, egli chiedeva e voleva di più dalla vita, pretendeva che la vita avesse un senso, una ragione. Non credeva al progresso, non credeva che l'Uomo avrebbe potuto vincere mai la Natura nella sua bruta necessità, nel suo potere di distruzione. Eppure credeva che l’Uomo tendesse alla felicità, nella quale avrebbe dovuto identificarsi l'esistenza, ma siccome tale desiderio tende ad un piacere eterno ed infinito, e quindi inattingibile, l'esistenza diventa infelicità. Tutto è Male ciò che Natura crea, e l'infelicità, quindi, investe tute le creature. Fu banale anche Leopardi? In tale ottica potremmo perfino ammettere che l’Oscuro Signore agisca in visione del raggiungimento della propria felicità senza curarsi del Bene e del Male o di parteggiare per l’uno o l’altro: il fatto che un Uomo sia convinto di agire nel bene, non implica che tenda effettivamente al Bene.
Quante contrapposizioni abbiamo messo in campo, professore! La Fede, che si oppone alla Scienza, che si oppone alla Magia: sono davvero in conflitto? È davvero tutto inutile a parte la Magia? O siamo noi così ciechi da non accorgerci dell’importanza del resto? Eppure se anche ne discutessimo, ancora una volta finiremmo col cadere nello stesso circolo vizioso: lei mi parlerebbe di Scelta e io le parlerei del valore che Scienza e Fede possono assumere per tutti universalmente. E avremmo ragione, entrambi. Ormai non ha più senso chiedersi neppure se sia possibile. Dopotutto, tra possibile e impossibile, così come tra finzione e realtà, c’è solo una sottile differenza. –


Arwen avvertiva qualcosa crescere dentro di sé: uno strano misto di sentimenti contrastanti. Voleva parlare e tacere, adirarsi e filosofeggiare, colpire e ascoltare, andare e restare: perché doveva essere tutto così maledettamente complicato? Il vecchio sorrideva, dall’alto della sua venerabile autorevolezza, ma perché? Derisione o comprensione? L’incertezza era più irritante del non sapere. Erano lì, pianeta doppio in una stanza, Terra e Luna, Plutone e Caronte.
E la Bacchetta… la Bacchetta che incomprensibilmente veniva studiata in ogni sua perfezione o imperfezione… perché? Gli piaceva guardare? Si prendeva gioco di lei? Eppure con un moto di sorpresa si rese conto che l’attaccamento che provava verso la sua Bacchetta era un fascino profondo paragonabile per certi versi alla venerazione: quell’oggetto era parte di lei e allo stesso tempo sacra reliquia. Non era dunque giusto dedicarle un’attenta osservazione? Venerarla con rispetto? Il professore lo sapeva? Chissà, forse era davvero uno specchio aperto sull’anima: in fondo, la Bacchetta sceglie il mago andando incontro alle sue attitudini.


- Capisco. – Non era del tutto vero, ma forse i tempi non erano ancora maturi: era un’Arte ancora troppo misteriosa e complessa. – Sarebbe interessante scoprire i segreti che sono alla base di un simile tipo di Scelta… ma suppongo che non si possa arrivare al fondo delle cose senza aver prima osservato e grattato la superficie.-

 
Top
view post Posted on 21/10/2010, 21:24
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:




Una fanciulla sin troppo piena di sorprese, dove sarebbero finiti? Poteva essere tutto tranquillamente un sogno, il suo Io, in combutta con l’inconscio, volevano farlo preoccupare ulteriormente, era possibile, anche logico. Perchè non doveva essere così? Una giovane studentessa, che poteva tranquillamente saperne più di molti suoi colleghi, più di gente matura, ed aveva solo dodici anni. Certo, non ci si stupiva più di nulla, ma anche quello era sin troppo eccessivo. Dov’era finita la misura? Ne sapeva quanto lui, ragionava allo stesso modo, o lui era molto infantile, o lei era più anziana di quanto non volesse sembrare. Eppure era sempre più probabile che fosse solo un sogno, poteva darsi, quali erano i contro? Forse avrebbe vinto prima, forse avrebbe trionfato, forse sarebbe stato umiliato selvaggiamente, ancora ed ancora, chi poteva saperlo? La certezza era perduta, se mai v’era stata.
Eppure sorrideva, ormai stava diventando l’unica costante di quell’interminabile discussione, il papiro giaceva dimenticato, il pensiero si stava evolvendo, correva senza freno, in carambole di imprevedibile risultato. Dove sarebbero arrivati? I confini del mondo parevano lontani, ma anche troppo terribilmente stretti, vicini, un’improvvisa minaccia al fluire del pensiero, che sino a quel momento era fluito liberamente aldilà della siepe, senza timore, beandosi di un’esperienza superiore, quasi di sublime.
Era forse quello il Sublime? L’Anonimo ne aveva parlato come mai nessun’altro era riuscito, vani i tentativi degli imitatori, il nocciolo duro era lì, intangibile, invisibile, ma presente come un buco nero, ricolmo di forze vorticose, ed inarrestabili. Un enorme magnete, che improvvisamente calamitava tutto, un pericolo. Il pericolo era restare invischiati in quel sogno, esserne fagocitati, ed alla meno peggio sopravvivere, riuscire ad arrivare almeno alla mattina.
Ormai era una lotta, strenua, di intelletti, chi avrebbe trionfato? Ed in base a cosa? Sancito che la disperazione affliggeva il regno della Vita, cos’altro restava? Per cosa vivere? Perchè resistere? Era normale che una così giovane fanciulla fosse già così tristemente matura, cosciente?
E tornò a sorridere nuovamente, quasi scusandosi di quella tetra realtà che andava addensandosi, quasi coagulandosi, emergendo da un sogno, una bella favola. Tinte fosche, scure, deprimenti, era un mondo votato alla disperazione, forse persino alla distruzione.
E qual era il loro ruolo?


Mia cara, a volte la verità, o almeno quella che riteniamo essere tale, può risultare essere assai sconveniente, ma non per questo meno vera di quanto non vorremmo fosse. Nonostante ciò, non per questo tutto il resto perde di valore, o significato, si può essere le persone più felici di questa terra, nonostante tutto, e tutti. Anche qui sarà solo una questione di scelte, anche qui si tratterà di scegliere tra ciò che è giusto, e ciò che è facile, capisce? Posso voltare le spalle alla realtà, fregarmene, chiudermi nella mia fiaba, e vivere felice decine d’anni, per poi morire sereno. Fatto ciò, potrò dire di essere realmente vissuto? Vivere è una delle faccende più complicate concepibili da mente umana, quante variabili devono essere ponderate? Quante messe a sistema? Eppure, è forse questa difficoltà ad essere il sale stesse del vivere, il dover continuare a scegliere, nel Bene così come nel Male, in un continuo ondeggio, uno sfarfallio tra valori neutri, ed altri terribilmente compromettenti. Appurato ciò, può esso essere motivo per rifuggire la realtà?
Leopardi potrebbe anche avere ragione, così come centinaia d’altri, viviamo in un mondo crudo, aspro, di disperazione, ma esso dipenderà comunque da quanto noi stessi gli permetteremo di essere. Banalmente potremmo dire essere la differenza sottile tra Ottimisti, e Pessimisti, una differenza sottile, infinitesimale, ma che in realtà è proprio la differenza tra tutto, e niente. Potremmo forse noi dire, ed affermare che Nietzsche si sbagliasse? Su che basi dirlo? Un pensatore che taglia i ponti con quasi chiunque fosse venuto prima di lui, e con quasi tutti quelli dopo?
Lei è giovane, se lo lasci dire, forse anche troppo, è una studentessa, vive ad Hogwarts, ancora in una favola, lasci che tale dimensione resti in equilibrio, vi sarà sempre tempo di preoccuparsi poi dei problemi del mondo, della vita, dell’essere. Per ora si goda quanto le viene dato, soddisfi i suoi piaceri, operi sin da subito le sue scelte, giusto o facile che sia.
Perchè mettere sin d’ora le mani avanti? È davvero convinta di conoscere così bene il Mondo, ed i suoi abitanti?
Le svelerò uno dei tanti segreti che il Mondo è ancora capace di insegnare, una semplice chicca se vuole. Ognuno di noi, dal più ottuso, al più acuto, dal più intelligente, al più tonto, in maniere del tutto imprevedibili, ed incontrollabili, ciclicamente, saltuariamente, spesso un’unica volta vive l’incontro, del tutto inaspettato. Siamo destinati ad incontrare il nostro apritore d’occhi, un individuo, che improvvisamente ci apre nuove vie, nuovi modi di pensare, dettagli sui quali mai avevamo pensato, ma che improvvisamente assumono un peso non più trascurabile. Capisce? Spesso sono individui, frutto del caso, magari incontrati quell’unica volta, il cui nome dovremmo benedirlo ogni giorno. Io ho avuto i miei, lei avrà i suoi.
È ancora giovane, non si lasci condizionare troppo dagli altri, siano essi vivi o morti, viva intensamente quanto le viene concesso, e forse tra molti anni avrà maturato un’idea di Mondo radicalmente diversa, si cambia idea, a ritmi scanditi dal carattere, il più delle volte è un bene.
Creda in qualcosa, sia esso tutto o niente, sia esso un qualcosa di misterioso, ed insondabile, o qualcosa di noto e solare, ma creda in qualcosa. E viva di passione, le passioni ci scandiscono la vita, insieme a pochi fidati compari, senza passione, una vita non è degna di essere vissuta. Capisce? Può anche non essere d’accordo, e ne avrebbe tutto il diritto, eppure per una volta si fidi, sarà una sorta di scommessa con Dio, se sarà falso non avrà perso nulla, ed avrà vissuto bene, se sarà vero, ne avrà comunque solo guadagnato.
Non siamo mera e pura intellighentia, non siamo solo ragione, o calcolo, spesso tali aspetti son solo i più scontati del tutto. Io son vecchio, ormai al tramonto dei miei anni, ho vagato per ogni dove di questa terra, alla ricerca di un qualcosa, e solo ora mi rendo conto che il mio posto potrebbe essere sempre stato solo qui. Alfa, ed Omega, il cerchio si chiude.
L’ilarità dell’essere.


Un lungo silenzio, lo sguardo correva sul legno della sottile asticella, tutto e niente. Una Storia veniva narrata, pochi ascoltavano, ancor meno potevano capire. Eppure qualcosa l’illuminò, uno sguardo trionfante, un fugace apparire, il trionfo, la comprensione lo folgorò. Le bacchette erano davvero lo specchio dell’anima?
E tornò ad osservare la giovane fanciulla.
Una verità era stata svelata.
Poggiò tranquillo la sottile asticella sul legno della scrivania.


Vede, a volte i nostri più grandi sbagli, li commettiamo a fin di bene. Le Bacchette possono rivelare dettagli inimmaginabili delle nostre anime, ci conoscono meglio di chiunque altro, nella maniera più profonda immaginabile, eppure nello scoprire certi dettagli potremmo restare sconvolti. Non siamo mai pronti per capire veramente noi stessi, capiamo gli altri, li valutiamo, ma son dettagli. Scoprirà veramente chi è solo con il tempo, non esistono scorciatoie, se non molto pericolose.

 
Top
view post Posted on 24/10/2010, 12:13
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Carpe diem, ma fiduciosa il più possibile nel domani: ecco il messaggio del professore. Null’altro che il Trionfo di Bacco e Arianna visto con lo sguardo puro e ingenuo del fanciullo che non ha ancora incontrato il suo “apritore d’occhi”, ma nella consapevolezza che prima o poi arriverà. Vivere intensamente quanto viene concesso, vivere di passione, credere in qualcosa, fidarsi: perché no? Se anche fosse stata vera la malvagità del Mondo e della Natura, nulla poteva impedire all’Uomo di trascorrere il suo tempo come meglio credeva, beandosi dei piaceri che era in suo potere raggiungere. In fondo, non è forse questo che divide un Uomo da una Macchina? Il suo sentire? La sua passione? Un’immagine con una sua tragica fragilità nel racconto di Spielberg. L’Uomo vive, sente, crea, nonostante la realtà che lo circonda: anche questo è un dono. Potremmo dire che l’Uomo è ottimista per natura… ed è questo che lo spinge sempre avanti, verso nuovi obiettivi. Persino Nietzsche ripone una certa fiducia nell’Uomo: il nichilismo è visto dal filosofo in maniera del tutto particolare: esso è il processo per cui i concetti capitali della metafisica (essere, verità, realtà, ecc.) si rivelano infondati e come tali si nullificano nella loro totale inconsistenza filosofica. Nietzsche afferma che il nichilismo passivo, che aveva caratterizzato il pensiero di Schopenhauer, coincide con la perdita o sfiducia di fede dell'uomo europeo verso i valori della propria civiltà; coincide con la "diminuzione vitale", con la massa di malattie, con la pazzia, con tare psichiche e fisiche che colpiscono l'umanità. Nel nichilismo viene meno anche la fiducia nella scienza, che ha ispirato il positivismo. L'uomo nichilista è caduto nell'angoscia per aver scoperto che i fini assoluti e le realtà trascendenti non esistono, ma insiste nel perseguirli per omologazione e mancanza di originalità. La mancanza di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. È tuttavia possibile uscire da quest’ultima superando tale visione e riconoscendo che è l'Uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza – il cosiddetto nichilismo attivo. L'Uomo, ergendosi al di sopra del Caos della Vita, può generare propri significati e imporre la propria volontà. Sì, l’Uomo può farlo… può decidere di permettere o meno al mondo di essere crudo, aspro, ricettacolo di disperazione o di non esserlo quel tanto che basta: può condizionare la forma della sua realtà sebbene non l’essenza. Ed è anche questa una questione di Scelta: fuggire o restare, vivere o morire, per certi versi il “To be or not to be” di Hamlet. Ma per cosa restare? Per cosa vivere? Per cosa essere?

- Leibniz, Voltaire, Godwin… tutti presi dalla questione dell’ottimismo. Leibniz credeva che la realtà fosse il mondo concreto in cui viviamo: ed essa è creazione di Dio, che ha in sé infinite possibilità di attuazione della sua volontà nella creazione di un mondo e che, fra tutte queste infinite possibilità primigenie contenute nella sua mente, ha scelto questo mondo, liberamente, come "il migliore dei mondi possibili". Eppure l'ottimismo di Leibniz venne fatto oggetto di divertito sarcasmo da Voltaire nel racconto filosofico Candido. In esso non si conclude tanto che questo mondo non sia il migliore, quanto che i criteri del bene e del male sfuggono e non possono essere valutati dal limitato punto di vista dell'Uomo. Su tale sfondo l'ottimismo di Leibniz sembra paradossalmente rovesciarsi in una pessimistica rassegnazione: il mondo migliore possibile è anche il mondo in cui nulla potrà mai diventare più giusto, più accettabile, più sereno. È possibile continuare ad essere filosoficamente «ottimisti» senza cadere in questa conseguenza? Se fossimo ottimisti, come lei dice, non potremmo per paradosso ritrovarci bloccati in questa convinzione senza possibilità di procedere in avanti? Se tutto fosse destinato a non migliorare, non potremmo neppure ricevere i benefici di un «apritore d’occhi»: può bastare vivere di passione, di piacere o secondo la logica del Carpe Diem? Eppure, lungi dall'essere un crasso e materialista invito al bere, od anche un piacere senza turbamento, Carpe Diem esprime l'angosciosa imprevedibilità del futuro, la gioia dignitosa della vita e il coraggio della morte; l'espressione di un valore che spesso nelle odi oraziane si confonde con l'ammirata esplorazione lirica del paesaggio, talvolta meraviglioso e sublime, talvolta a tinte cupe e fosche: riflesso perenne di un'esistenza complessa, di un reticolo fittissimo di esperienze ed emozioni che è lecito vivere intensamente prima della morte. È giusto dunque essere ottimisti? O il vivere di passione è piuttosto una scusa, un piacevole passatempo in attesa del peggio? Dopotutto, se anche incontrassimo il nostro «apritore d’occhi», quale verità potrebbe mai raccontarci? Una peggiore o non sarebbe un apritore d’occhi né modificherebbe in qualche modo la nostra vita già fino a quel momento frutto del piacere. E in questa convinzione, possiamo forse essere ottimisti? Sbagliava Leopardi nel suo Pessimismo Cosmico? Può davvero il mondo essere crudo e aspro soltanto nella misura in cui noi gli permettiamo di esserlo? Non si tratta piuttosto di una Scelta fittizia, l’arrogante e ingenua pretesa dell’Uomo di esercitare il controllo sulla Realtà? Sì, si può essere felici evitando di pensare a tutto questo: come si può essere felici chiudendo gli occhi per non vedere un mostro. Ma il mostro c’è, e non sarà facendo finta che non esista che si eviteranno le sue grinfie. Io posso vivere come lei mi dice professore… ma non si può cancellare una conoscenza una volta acquisita. Ciò non toglie che io voglia e possa vivere intensamente… posso ancora farlo, infatti, nella misura in cui ciò fa parte del mio lato inconsapevole di Uomo. -

Tacque per un lungo istante. Le pergamene brillavano di una pallida luce e infondevano, assieme al trespolo vuoto alle spalle del professore, un profondo senso di malinconia e abbandono. E poi ecco, un luccichio inaspettato nello sguardo del vecchio, quasi un lampo di comprensione nella quiete del loro parlare vuoto. Che fosse giunto ad una qualche verità?
La bacchetta giaceva sul tavolo. Arwen non sapeva se riprenderla o meno. Cosa poteva ancora dir loro?


- Sì, questo è vero, professore. Null’altro che il Tempo può essere la chiave, come già prima accennai. –

Eppure la Bacchetta aveva scelto subito la sua anima affine: come aveva potuto bypassare la conoscenza data dal Tempo? Forse era lì, il grande segreto: forse se fossero riusciti a carpirlo, anche loro avrebbero finalmente svelato ogni dubbio o incomprensione sulla natura umana, e finalmente il loro parlare avrebbe avuto una fine. Tutti i loro discorsi, tutte le loro domande… e le risposte erano davanti a loro, sul tavolo, nella Bacchetta, intoccabili. Che frustrazione!

 
Top
view post Posted on 26/10/2010, 22:59
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Sorrise, divertito dagli sforzi della giovane studentessa, non era una gran ottimista, e si ostinava a far quadrare tutto, a far quadrare i conti. Certo, era pur sempre possibile, ma qual era il costo di tutto ciò? Si poteva davvero vivere una vita così? Presto o tardi l’apritore d’occhi di turno avrebbe svolto il suo compito, il buon senso suggeriva che avrebbe comunque cambiato opinione, era destino che succedesse, come si poteva vivere altrimenti?
Il beniamino di Goethe si era infine suicidato, vinto dal male di vivere, così come un’altra infinita serie di grandi e piccoli personaggi, il male li corrodeva, li mangiava, afflitti solo da problemi, non potevano sbocciare appieno. Erano schiavi delle proprie vite. Era giusto?
Ed il Carpe Diem quanto si poteva dimostrare che fosse assolutamente vero? Era così?
Tutto sembrava complicarsi nuovamente, nuove domande che andavano a rinforzare il focolare mai soffocato, e tutto tornava ad essere incerto, un dubbio sistemico, che si faceva titano dell’essere. C’era soluzione, speranza alcuna? Vivere di passione era o non era un modo di vivere? O forse di ingannare il tempo, aveva ragione? L’aveva fatto per lunghi anni, divertendosi anche, quasi fosse diventato improvvisamente un crimine, e tutto ora tornava ad essere severo, squadrato, preciso.
Poteva l’uomo controllare la propria Realtà? Ma era sua davvero? O forse pensava solo che lo fosse? L’arroganza dell’uomo compiva più miracoli di quanto non avesse davvero intenzione di compiere, c’era soluzione?


Ha ragione mia cara, non v’è certezza, io potrei illudermi, e vivere nei sogni, rifuggendo la realtà. Può darsi, un’opzione da non dimenticare. Eppure la nuova scelta è proprio tra vivere, e non vivere. Capisce? Posso decidere di vivere la mia vita, tra alti e bassi, o rendermi schiavo di essa. Sarebbe comunque una scelta, più o meno sofferta. Io le indico una via, lei è libera di scegliere nella più totale autonomia, sa pensare, può decidere.
Eppure credo che il pessimismo più radicale non possa portare da nessuna parte, la fobia che qualcuno ci sia fregando in ogni istante diverrebbe un rischio troppo elevato, da sopportare, personaggi più grandi di noi, non hanno retto il peso. Capisce? Poi banalmente si definiscono ottimisti, o pessimisti, il che banalizzando solo può essere vero. Anche qui è una scelta, ma condizionata dal nostro essere. Siamo o non siamo ottimisti, e non è bene o male. Non ho mai potuto soffrire Voltaire, ma ammetto sia un rischio. Il Candido potrebbe essere il ritratto della vita di ognuno di noi, lo sapremmo?
Del resto anche il Carpe Diem sarebbe la banalizzazione di un’ottica un poco più raffinata, si vive di passione, o si vive per passione? Forse è questa la differenza più marcata, e senza giudicare l’una o l’altra, apparirà chiaro quale potrebbe essere meglio. No? A parer mio una vita senza passione, non è degna di essere vissuta, ma nemmeno degna di essere definita tale. Per altri sinchè si respira, e batte il cuore, è comunque vita. Chi ha ragione?
Domande, e poi ancora domande, Orazio ha quindi ragione? O sbagliava anche lui? E Leopardi? C’è una verità, qualcuno l’ha mai sfiorata? Mi permetta la lieve ironia, che ho sempre detestato, ma... So di non sapere. Banale, scontato, ma sincero. La mia è una via, in larga parte solitaria, ma non potrei dirmi più soddisfatto di così, certo, più felice, ma non posso comunque lamentarmi, una vita intensa, piena di soddisfazioni, e tutto sommato felice. Non si vive di solo intelletto, ma si può morirne, questo sì, spesso l’intelletto, la ragione non è tutto, Tommaso dopo tutto potrebbe anche averci preso, in che misura si devono contemperare Fides et Ratio? Perfetto pareggio, o influenze vicendevoli sproporzionate? Concordo con lei in una certa diffidenza queste improvvise illuminazioni, eppure capitano, si può sperare di eliminarle? Quanto sarebbe utile? E sensato?
Chi non cambia mai opinione, o è troppo intelligente da esser giunto alla soluzione, o è troppo stupido per accorgersi di aver cambiato, ricordo di averlo sentito dire, molto tempo fa, ma il senso è lo stesso. Capisce? A volte cambiare idea è la cosa migliore che possiamo fare. Io a suo favore, lei al mio. Chi può dire cosa sia più giusto? Nemmeno il più saggio, temo.


Il tempo correva, rapido, celere, indolore.
Come un torrente, senza che nulla potesse strattonarlo, o fermarlo.
Quanto era vera tutto quello?
Tutto ormai volgeva al termine.

 
Top
view post Posted on 28/10/2010, 23:34
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Ecco, infine il cerchio si chiudeva. Tutto tornava a reinquadrarsi, perfettamente, quasi spontaneamente. "So di non sapere"...il Fato aveva voluto che la conclusione si riallacciasse all'inizio: cosa stava pensando lei, prima, lungo il percorso che la portava all'ufficio del professore? "Il non sapere è la base di tutti i saperi: Έτσι, δεν γνωρίζω disse Socrate. E questa è l’unica consapevolezza per diventare sapienti".
Ancora inconsapevole dell'universo che le avrebbe spalancato quella conversazione, già aveva immaginato la verità: era dentro di sè ma non era stata in grado di riconoscerla per quello che era. Quante altre risposte erano già in suo possesso, celate, irriconoscibili, sprecate?
Ma era quella semplice affermazione alla base di tutto: sì, ma alla base di cosa? Arwen non capiva dove cercare il problema, avvertiva una strana contraddizione che non riusciva a metabolizzare. Forse nemmeno il professore era il grande ottimista che voleva lasciare ad intendere. Lui disprezzava il pessimismo radicale, rifuggiva la filosofia dell'incertezza, non soffriva Voltaire: eppure sapeva di non sapere, la più grande ammissione di ignoranza, e dunque di fatto ammissione di vivere una vita all'insegna dell'incertezza stessa, senza saperlo. Forse l' Έτσι, δεν γνωρίζω socratico era davvero la via alla sapienza...un'ignoranza intesa come consapevolezza di non conoscenza definitiva, e quindi movente fondamentale del desiderio di conoscere. Ma realisticamente parlando, quale conoscenza si sarebbe potuta mai raggiungere seguendo una tale filosofia se il solo affermare di non sapere è già di per se stesso ostacolo ad una qualsiasi conoscenza?
Erano, ancora una volta, solo parole.


- Sapere di non sapere...un'affermazione con un certo peso, non trova? Di fatto lei accetta e respinge il pessimismo. Qualcuno la chiamerebbe contraddizione...io dico che, in fondo, non potrebbe che essere così. E' nelle contraddizioni che si reinstaura l'equilibrio...un connubio di opposti, vivere e non vivere, Fides e Ratio.
Non cambiare mai opinione...suvvia, non ho mai detto una cosa del genere! Ovviamente è naturale che per ora io difenda le mie opinioni, e non escludo che prima o poi esse possano modificarsi: forse un giorno la penserò come lei...o forse, un giorno, sarà lei a pensarla come me. Ma se tutto può essere, perchè anche solo ipotizzare dei limiti? Dopotutto il mio esempio era nel caso l'apritore d'occhi incontrasse un ottimista. Forse se incontrasse un pessimista potrebbe convertirlo...ma questo presupporrebbe l'esistenza del pessimismo, a sua volta dotato di una sua ragion d'essere che a mio parere non merita il suo disprezzo. La radicalità non la vuole nessuno, e il vivere nella paura è un'esagerazione: ma in fondo, non stiamo forse parlando per assurdo? Fino alla fine, cosa le da la certezza che io creda veramente alle mie parole e che non stia mettendo in pratica un semplice esercizio sofistico? Eppure non parlavo neppure di vivere nella paura: l'uomo non ne è capace fino in fondo, più di ogni altra cosa sente la necessità di aggrapparsi a qualcosa nella vita, che gli dia una speranza e uno scopo, per quanto egli possa essere codardo. Se siano fondati o meno tali scopi e tali speranze, è un'altra storia. Si vive di passione e per passione. Si vive nel modo in cui si sa vivere. -


Finalmente si intravedeva una fine.
Forse ancora c'era qualcosa da riordinare, un pensiero fuori posto, una parola dimenticata in qualche anfratto. Ma inesorabilmente, il cerchio si chiudeva.

Arwen aveva perso la cognizione del tempo. Quanto era stata lì? Si stava comportando inopportunamente? Forse il professore non voleva mostrarsi scortese ponendo fine bruscamente alla conversazione e chiedendole di andarsene. O forse era proprio il professore a lanciare nuovi spunti, a rinvigorire la discussione, preso dal parlare, dimentico del papiro. Lo guardò. Sorrideva, costantemente, impenetrabile. Distolse nuovamente lo sguardo che le cadde sulla bacchetta, anch'essa dimenticata.


- La riprendo, professore, se non le dispiace. Credo ci abbia detto tutto quello che poteva, per ora. -

Così dicendo tese la mano e, sfiorando appena il lucido legno della scrivania, sollevò e strinse nuovamente fra le dita la sottile e inerme asticella. Una sensazione di calore la pervase.

 
Top
view post Posted on 1/11/2010, 19:21
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Il gioco procedeva, ma ormai la consapevolezza che fosse alla fine era nell’aria. L’aria frizzante, colma di aspettative e speranze si era infine esaurita, il tempo tiranno fuggiva, lontano, inarrestabile, quanto ne era passato? Si erano persi nei meandri del tempo, in una dimensione priva di tempo e spazio, un deserto di idee, scarno, ma eccezionalmente stimolante.
Eppure tutto era finito, come ogni cosa bella, era anch’esso destinato a spegnersi, ad esaurirsi, per lasciar spazio ad una nuova dimensione, sterile, triste, desolata, o quotidiana. La vita dell’essere umano scorreva tranquilla, a precipizio, intorno ad un unico semplice 0, l’asse delle x restava, era indipendente, tutto si affidava ad y, che si ostinava a restare stabile intorno a 0, salvo quei pochi e rari istanti di riflessione, di genio, lì, inaspettatamente balzava ad infinito, un esponenziale prendeva forma, dal nulla, fiammate, improvvise esplosioni, che portavano l’animo umano ad ingentilirsi, ad esaltarsi, a divinizzarsi. Poche ore di piacere, e poi tutto tornava alla tranquillità, alla sana quotidianità, certo, banale, ma quanto mai necessaria.
Senza cosa avrebbero fatto?
E lo sapevano.
La consapevolezza li attanagliava nel profondo.
Quanto poteva essere valido quel saper di non sapere?
Rifuggiva davvero il pessimismo, creando una contraddizione?
Il Male si annidava nelle contraddizioni, esistevano, ma andavano debellate per il Bene di tutti, e di tutto. Se la pars destruens avesse prevalso, cosa sarebbe mai successo? Lo squilibrio andava pianato, non si poteva vivere all’insegna di solo una parte. La costruens aveva la sua funzione, proporzionale all’altra, forse anco più. Eppure era terribilmente giovane, cosa poteva pretendere, già aveva preteso molto, troppo, era solo una giovane studentessa, ne aveva abusato sin troppo lungo, ed il gioco era finito. Parlavano per assurdi, era vero, tutto era nato dal mero piacere della scoperta, della speculazione, senza se e ma, una nuova dimensione si era creata, per puro piacere. L’Uomo infine viveva anche nella certa diffidenza che una certezza in fondo non potesse esservi. La contorsione del solo pensiero sbigottiva, ma era vero. Si viveva nella certa incertezza, di un’incertezza di fondo. Poteva andar peggio?
Eppure era la verità.
Veritas, Aletheia.
E la passione, di viveva con passione, e per la passione.
Poteva anche quello essere vero.
Il nucleo restava la Scelta, imperatrice incontrastata di quell’immane castello di carte.
Intinse con delicatezza la punta della piuma in una boccetta di inchiostro cremisi, lasciandone poi colare l’eccesso, sorrise. Poggiò la piuma sulla ruvida pergamena, mentre lentamente con grazia affioravano tra gli svolazzi le lettere tanto sperate. Un modo di scrivere che ormai non apparteneva più a quel tempo.


Siamo d’accordo, determinate parole non andrebbero mai pronunciate con leggerezza, non molti riescono ancora a capacitarsene, ma temo sia la verità. Del resto non vedo contraddizione, accetto l’esistenza del pessimismo, come potrei negarlo? Ma gli nego il piacere di vincermi, semplicemente. Lo bandisco dal mio essere, per semplice e consapevole scelta, capisce la differenza? Son forse stato uno dei più appassionati pessimisti, ma ritengo che non ne valga più la pena, le belle cose ingentiliscono l’anima, il mio ritorno in questi luoghi di fanciullezza mi hanno spinto a rivedere parecchie posizioni che nel corso degli anni mi ero costretto ad assumere.
Chi mai vivendo ad Hogwarts, potrebbe cedere al pessimismo? I Fondatori vollero creare un Tempio per la Vita, per il Sapere, cedere al pessimismo sarebbe venir meno al patto. Ho impiegato molto tempo per capirlo, ma al tramonto dei miei anni, son cambiato. Come le dicevo anche i migliori cambiano opinione. Le contraddizioni esistono, è dove si annida il Male, il Nemico da cui ci si deve guardare. L’equilibrio è qualcosa che tutti cerchiamo, ma che pochissimi riescono veramente a trovare. Son ottimista perchè son stato per troppo tempo pessimista, sono un cinico ottimista, con una certa coerenza di fondo.
Eppure temo di aver abusato della sua pazienza anche per troppo tempo, il nostro gioco deve finire qui, per questa volta, lei deve alzarsi presto, io son terribilmente impegnato. L’uomo deve poter credere in qualcosa, pur sapendo che essa non sarà mai certa come vorrebbe, eppure alla fine potrebbe essere l’unico legame che lo leghi al nostro mondo, qualcosa di inevitabile.
Del resto temo sia anche vero, viviamo di e per passione, ma sino a che punto questa sia o meno una scelta, lo ignoro.
Volevo farla riflettere sul potere della Scelta, penso abbia capito più di quanto non creda.


L’epilogo era infine giunto. Riprese la bacchetta, dimenticata tra i papiri ingialliti, ed una nuova pergamena si fece avanti, la firma cremisi, sul fondo faceva la sua figura, mancava solo la ceralacca, ed avrebbero dichiarato guerra a qualche barone del Sud! Ripose soddisfatto la penna, abbandonandosi sorridendo allo schienale della comoda poltrona. Il tempo fuggiva, senza che si potesse far molto. La lancetta del pendolo aveva girato più volte su se stessa, nell’indifferenza generale, ora, improvvisamente, sembrava voler tornare protagonista.

Ottimo, temo siamo alla fine. Ecco il suo permesso, dire più che meritato. Ha davanti a sè un mese per preparare la Polisucco, quando avrà finito la attenderò sempre qui, magari con una sorpresa. La prego quindi di ricordarsene.
Tempus fugit, si dice, e si è fatto tardi, tra una cosa e l'altra, se vuole la accompagno sino in Sala Comune, come preferisce.
Ad ogni modo, penso che sia giunto il tempo in cui anche lei sia chiamata ad operare una Scelta.
Come vede nulla è mai lasciato al caso, tra ciò che è giusto, e ciò che è facile.


Così com’era iniziato, così tutto era finito.


 
Top
view post Posted on 3/11/2010, 01:45
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Il tempo era fuggito, e con esso una parte di loro stessi li lasciava per sempre per fare posto ad una nuova consapevolezza: come nelle migliori storie, la malvagia ignoranza era stata sconfitta e la sapienza sul suo bianco destriero aveva avuto il suo lieto fine. Quanto poi tutto ciò fosse vero, non era dato saperlo: ci sarebbe stato un seguito? Poteva essere, nulla di meglio. Per un momento le loro menti si erano destate e avevano ardito di comandare la Materia e plasmare le Idee: erano stati Dei per qualche manciata di minuti, ma non potendolo essere per sempre, erano infine tornati Uomini. Il loro genio era destinato a spegnersi, a intervalli regolari, come il piccolo fuoco di una candela: come fiamma solitaria, bellissima e triste, avrebbe oscillato al vento per qualche tempo, sorretto dalla candida ma fragile intelligenza, fino a che un colpo d'aria più forte o l'inesorabile trascorrere del tempo accompagnato dall'esaurirsi della bianca cera, non l'avesse lasciato spegnersi per tornare nel profondo buio dell'anima. Che fosse per incuria o per il naturale corso degli eventi, tutto infine sarebbe cessato e nuovi limiti sarebbero stati tracciati: forse più lontani, forse meno alti, ma sempre ci sarebbero stati per ricordare all'Uomo la sua limitatezza, il suo ristretto posto nella Natura. Eppure c'era sempre un qualcosa di meraviglioso nel modo in cui per quei pochi minuti - o quelle poche ore - la fiamma del sapere era guizzata diffondendo la sua lieve luce, più forte alla fonte, più soffusa in lontananza, un danzare ipnotico, sinuoso, accattivante, un consumarsi lento che spezza il cuore, un ultimo canto di cigno del Pensiero.
No, Arwen avrebbe fatto in modo che non fosse la Fine: forse quella era la sua Scelta, quella che era chiamata a fare, quella di cui parlava il professore. Non era un lodevole impegno? In fin dei conti, neppure lei era la gran pessimista che voleva lasciar intendere:
negare al pessimismo il piacere di vincerli, una frase meravigliosa con una musica propria, leggera, dal sapore fresco, primaverile, ma allo stesso tempo fiero e battagliero. In fondo, lei era giovane, molto, avrebbe avuto tempo, anni: dopotutto, lo stesso professore aveva detto di essere cambiato solo al tramonto del suo lungo percorso. Un cinico ottimista, un'altra contraddizione ma con un suo significato. Che senso aveva confutare, aveva capito cosa volesse dire il professore, non era il caso di fingere ignoranza, sarebbe stata una contraddizione ancora più grande.
Ecco, infine, il nuovo inizio.


- Farò tesoro delle sue parole, professore. -

Non c'era niente di più perfetto, semplice, chiaro o vero da dire. Qualsiasi aggiunta sarebbe stata uno spreco, e certamente avrebbe potuto finire col rovinare quel momento di profonda consapevolezza che li univa.
Tese la mano e prese con cura la pergamena che il professore le aveva avvicinato. Quella grafia così sottile, flessuosa, svolazzante, riempiva lo spazio e infondeva uno strano senso di sicurezza e importanza: un modo di scrivere quasi antico, che richiamava i ghirigori di alcuni libri medievali o i documenti ufficiali dei nobili di un tempo.
Era l'ora di andare.


- Non mancherò professore, non appena avrò concluso il mio lavoro tornerò da lei. -

Esitò. Avrebbe voluto chiedere della sorpresa, cosa poteva mai essere? Ma poi ci ripensò. Ogni cosa a tempo debito.

- La ringrazio infinitamente, ma non si disturbi ad accompagnarmi; anche se si è fatto tardi, la strada per la sala comune non è molta da qui, sono certa di poter arrivare in men che non si dica senza ulteriori problemi. Dopotutto, almeno per questo, non si tratta ancora di una Grave Scelta. -

Sorrise, quasi malinconica, a queste ultime parole mentre si alzava per dirigersi alla pesante porta. Quando fu in prossimità di essa, rivolse un ultimo cenno di rispettoso saluto al professore; quindi scoparve, immagine passeggera, nel corridoio ormai buio.

 
Top
view post Posted on 6/11/2010, 19:01
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Tutto era finito, una gran bella bolla di sapone, che improvvisamente era esplosa. Allontanò la poltrona dalla scrivania, facendola scivolare silenziosamente sul tappeto, alzandosi finalmente. Era trascorso parecchio tempo. La tunica ricadde lunga, sino ai piedi, stirando le numerose pieghe che la seduta aveva lasciato. La giovane aveva capito, in fondo almeno le conclusioni non erano state poi così riflessive come tutto il resto. Nozioni pratiche, su cosa fare nel breve termine.
Aveva ancora una scelta da operare, e presto sarebbe anche giunto il momento.
Sorrise allegro, pulendo le lenti degli occhiali con un lembo cremisi della lunga veste. Il fuoco scoppiettava ancora allegro, indifferente alla faccenda, un silenzio ormai scarico di tutto, copriva come una cappa d'attese la stanza. Era tempo dei saluti.


Ottimo, rifletta su ciò che è facile, e su ciò che è giusto, e mi farà sapere. Tanto non c'è fretta, la attendo, dopo il suo esperimento con la Polisucco. Non abbia fretta, spesso i risultati migliori si ottengono quasi per caso, ma comunque senza fretta.
Appurato ciò, le auguro una buona notte, se dovesse incrociare qualche Prefetto, li mandi pure da me. Ho ancora del lavoro da sbrigare, c'è ancora una Storia da scoprire.


La fanciulla sparì, silenziosamente nella notte.
La porta si richiuse, ben oliata.
Il mago pensieroso prese a guardare il parco, immerso nelle tenebre.


 
Top
27 replies since 24/9/2010, 15:14   449 views
  Share