Tempo di Ritorno, Pozione Polisucco - Parte II

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 24/3/2011, 13:06
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Era tempo di tornare. Pareva esserci voluta un'eternità, più di un mese era trascorso, lunghi giorni passati tra erbe e volumi polverosi, alla ricerca di risposte per un falso enigma: in fin dei conti, infatti, non c'erano stati segreti o sotterfugi da svelare, aveva un permesso, e avrebbe potuto avere tutto l'aiuto che voleva se ce ne fosse stato bisogno; eppure, quella sensazione persisteva, sapeva di furto, e di omertà: il cupo brivido della Foresta Proibita e l'oscurità latente del Reparto Proibito, uniti al profondo senso di inviolabilità che trasmettevano, contribuivano in ugual misura a darle l'odiosa sensazione di essere nel torto, nell'errore, nel peccato. Che fossero quelli i risvolti più imprevedibili della vicenda? Non la difficoltà in sè dell'impresa, ma l'interno conflitto dell'anima? Chiedere il permesso per il proibito era un assurdo controsenso: come si poteva convivere con un simile paradosso? Alla luce del sole, non aveva violato alcuna regola: ma nel concreto, l'evidenza reclamava il contrario, per il fatto stesso che avesse messo piede lì dove per definizione esplicita nessuno studente sarebbe potuto andare. Era stata lei o il Professore a sfidare la sorte? Quale sarebbe stato il prezzo per tutto quello? Se il dubbio l'avesse consumata, sarebbe stata forse la ragione il giusto scotto?

Più la meta si avvicinava, più i passi si facevano pesanti e rapidi a un tempo: perchè il Professore aveva voluto che tornasse? Perchè gliel'aveva fatto promettere? C'era forse un'ultima verità? Qualcosa che ancora non sapeva? Dov'era l'inganno?
Sì, era tempo di tornare. Di sapere, di chiudere quella vicenda. Non che volesse mettere una pietra sul passato, tutt'altro: la sua avventura era stata un successo, le delicate fialette di cristallo con la Pozione perfettamente riuscita tintinnavano allegramente nella tasca della veste, prova inconfutabile delle sue abilità. C'era di che esserne fieri: chissà, forse si sarebbe messa in mostra, il risultato in bella vista, avrebbe accaparrato per sè qualche elogio, appagamento della sua vanagloria. In fondo, non era forse lì per quello? Non era forse lì per dare l'esito del suo duro lavoro, per prendersi la meritata rivincita sullo scetticismo del Professore?
L'ombra di un ghigno si disegnò per un momento sul suo viso, esternazione di quel piccolo demone interno: cosa, cosa avrebbe detto il Docente?
Fu un attimo, e i lineamenti delicati tornarono alla consueta dolcezza: sapeva, nel profondo dentro di sè, che non sarebbe stata capace di un simile atto di arroganza. Era in ben altro che si misurava la sua forza...

Il corridoio volgeva al termine, un passo dietro l'altro, lei procedeva, quasi senza cognizione di sè. La veste frusciava leggera nell'aria, nera come ombra, sfuggente come lama. Fredda pietra incombeva intorno a lei minacciando di soffocarla. Perchè era così difficile? Che fosse paura? Ma di cosa? Del giudizio?
Scacciò l'ansia come pensiero molesto. Era arrivata.

Bussò due volte attendendo l'invito a entrare.
Tempo di ritorno.



Edited by Ârwen - 10/4/2011, 14:01
 
Top
view post Posted on 26/3/2011, 19:37
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Era una tranquilla serata, di metà Novembre, una leggera pioggerellina cadeva delicata, come una cortina argentata, scivolando lesta sulle grandi e colorate finestre del castello. L'audace architettura gotica sfidava il tempo, e la sorte da ormai dieci secoli, bella ancora come il primo giorno in cui era stata edificata. Qualcosa che era andato aldilà anche delle più rosee previsioni dei primi costruttori, la Magia permeava ancora quelle pietre, squadrate, con abilità, ancora salde, solide. Le generazioni passavano, ed andavano, come le foglie di un albero, il vento le spazzava via di volta in volta, senza che nessuno potesse farvi nulla, era così che doveva andare.
L'anno procedeva, il tempo scorreva, Settembre era svanito in un battito d'ali, Ottobre se l'eran portato via le ultime belle giornate, era già Novembre, con le prime piogge, luce liquida come le definivano da quelle parti. Non troppe storie, non ancora almeno. Un anziano signore, di piacevole aspetto, in una lunga veste da camera violetta, si godeva la serata davanti al camino, leggendo.
Una grande e comoda poltrona, Luigi XVI, foderata in seta purpurea, ravvivata dai bagliori del caminetto, e delle numerose fonti di luce. Un braccio disteso per il lungo, riverso oltre il bracciolo, l'altra mano stringeva una piuma, il pesante tomo poggiato su un legio, poco distante. Sull'altro bracciolo, come un pappagallo, sonnecchiava la bella Fenice, abbruttita, quasi in penitenza, le penne arruffate. SI avvicinava il canto del cigno, di lì a fine mese sarebbe rinata. Un'espressione curiosa, un misto sdegnosa, ma interessata, la parte destra del volto immerso nella penombra.
Si perse il primo colpo, distratto dall'improvviso cedere d'un ceppo di legno.
Giunse sinistro e minaccioso il secondo.
Chi lo desiderava?
Non aveva alcuna voglia di darsi a strane attività...


Avanti...


 
Top
view post Posted on 28/3/2011, 12:02
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


La voce la raggiunse all'improvviso, rapida, forse molto più di quanto si sarebbe aspettata o avrebbe sperato, appena un sussurro, vagamente inquietante nell'oscurità che s'infittiva e nel silenzio mortuario del Castello. L'ombra di un sorriso comparve per un istante sul suo viso, non visto da alcuno, e dunque presto perduto, mentre portando avanti la mano per aprire la pesante porta, ricordava tutti i pensieri che l'avevano attraversata quella prima volta, e l'uomo con quella che pareva una lacrima scolpito nel legno. Le dita scesero a sfiorarlo e si posarono sulla maniglia. Non c'era esitazione quando entrò.

La scena che le si presentò la lasciò vagamente spiazzata: ogni volta che pensava al Professore, lo immaginava come già l'aveva visto, seminascosto dalla sua imponente scrivania, quasi sommerso dai suoi documenti, e dai suoi libri, austero dietro quel simbolo che divideva il comune studente dal Docente di Hogwarts. E invece era altrove: non stagliato contro la finestra appena imperlata dalla fine pioggerella autunnale che ticchettava impercettibilmente sul vetro, impertinente, ma comodamente sistemato accanto al camino, che ne ingentiliva il venerando aspetto coi suoi bagliori dorati. La veste violetta ricadeva morbidamente fino a sfiorare il pavimento, leggera, impalpabile; un braccio si protendeva in avanti, riverso oltre il bracciolo con finta noncuranza, un gesto quasi drammatico, o epico, composizione di un grande pittore neoclassico, un Marat morente, ma senza la sua tragicità. Eppure, quasi a dar corpo a quell'immagine illusoria, l'ala della Morte incombeva in un angolo nascosto, sotto le spoglie di un uccello decrepito, avvizzito, consumato. Non sapeva perchè le facesse particolarmente impressione, forse non avrebbe mai sospettato che quella sua particolare conversazione si sarebbe conclusa sotto l'occhio vigile di un rappresentante così eloquente del delicato equilibrio tra Vita e Morte. Un leggio reggeva, lì accanto, un pesante tomo, dal quale forse il Professore era impegnato a prendere appunti, la piuma sapientemente stretta nell'altra mano.

Si riscosse rapidamente: dov'era finita tutta la baldanza di un attimo prima?


- Buonasera Professore. Io...spero di non aver scelto il momento meno opportuno, ma sono venuta appena ho potuto. Sono venuta, come lei mi aveva chiesto, al termine del mio lavoro nel Reparto Proibito. -

Nessun accenno alla riuscita o meno dell'impresa, il volto restava impenetrabile: che avesse già indossato la sua maschera da commedia? No, era ancora presto: ora era tempo di stuzzicare l'interesse del pubblico e strappare qualche applauso d'incitamento.

Un pensiero l'attraversò all'improvviso, parole che emergevano da un passato non troppo lontano: "quando avrà finito la attenderò sempre qui, magari con una sorpresa", aveva detto... L'aveva quasi dimenticato.
Una sorpresa...C'entrava forse con quel discorso? C'era davvero qualcos'altro da dire, un'ultima verità? Gliel'aveva tenuta nascosta riservandola per quel momento? Aveva forse lasciato che commettesse i suoi errori prima di conoscere la chiave del tutto? O forse era tutt'altro, chi poteva dirlo: dopotutto, non sempre una cosa, una questione, nasconde un inganno. La mano si contrasse leggermente ripensando a tutte le belle parole spese in favore della Fiducia: avrebbe saputo tutto di lì a poco...

 
Top
view post Posted on 29/3/2011, 19:17
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Chi poteva essere? Attendeva visite? Ogni volta, un nuovo problema, come un Monstrum mitologico, come un’Idra, più erano le teste a saltare, più se ne moltiplicavano, raddoppiavano, più e più teste, violenza che richiamava violenza. Sangue al sangue. Un poco inquietante avrebbero tranquillamente ribattuto, in fondo era vero. Quanto era vero? Una tragedia, odore di tragico, eppure era così. Chi avrebbe osato negarlo? Se non era la volta del Ministero, era la Gazzetta, se non era la Gazzetta, Hogwarts. Una lunghissima spirale di problemi, nonchè soddisfazioni, certo, che andava protraendosi. Quasi aliena era risuonata la voce, un “Avanti” strambo, una tacita preghiera alla Sorte, tiranna di bassa lega, che si divertiva alle spalle della vita mortale.
Certo, la posizione non era delle migliori, quasi un attore melodrammatico di pochi soldi, di poca fama, manierista e falso in tutto, ridondante negli atti, noioso nella sostanza. Tale doveva apparire, a chi avesse varcato la soglia. Un baluginio d’orgoglio? Il rumore della pioggia lo cullava in un dormiveglia pesante, invincibile, il crepitare caldo e resinoso del fuoco, dei ceppi di betulla, e pesco, dava un che di sicurezza, era un rifugio caldo, ed ospitale, in attesa di qualcosa che si sperava non giungesse mai. Una seconda poltrona, simile alla prima, dall’altro lato del camino, una pila di libri, e pergamene vergate in una calligrafia sottile, quasi invisibile, inclinata ed avventurosa appoggiati sopra.
Poca luce, dalle lampade, lampi fugaci dal grande camino, il piccolo poggiapiedi nel mezzo, un’isola tra due più grandi, madri. Udì distintamente l’aprirsi, ed il richiudersi della porta. Un tocco gentile, preciso, e silenzioso, sicuramente una ragazza, giovane, dei primi anni, Tassorosso o Corvonero? Il passo leggero, quello che doveva essere vetro. Lo sguardo stregato dalle righe ingiallite del libro, le lenti cristalline incendiate dalle fiamme vive del grande camino, uno sfavillio confuso.
Silenzio, qualcuno era entrato? Già scappato? Già in coma?
Che era successo?
Sollevò lesto un occhio, una singola morigerata occhiata, lesta, fulminea. Chi poteva essere? Una voce, un sorriso, un lampo, lesto lo sguardo era tornato alla pagina, un riscuotersi silenzioso, un lembo precipitato nel vuoto, la piuma nuovamente nel calamaio, qualcosa di inaspettato, ma non inatteso. Era tornata.
Tentò di risalire la china, facendo leva sul braccio stanco, movimento che non era passato inosservato, la fenice era desta, accigliata, irritata di quell’interruzione.


Mademoiselle, quale insperato piacere!
Prego, si accomodi, l’aspettavo.

Una voce tutto sommato allegra, stanca, ma solare. Tempo di quattro chiacchiere? Tempo di rivelazioni? La Tuke aveva ancora qualche asso da giocare.
Sorrise, osservando infine la giovane studentessa.
Qualcosa di strano, qualcosa di nuovo nell’aria.

 
Top
view post Posted on 4/4/2011, 16:55
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Il Professore era immobile, il capo leggermente chino in avanti, quasi proteso verso una conoscenza tanto agognata quanto sfuggente, lo sguardo vibrante di una luce intensa, come intenso era lo scorrere del tempo, ogni crepitio del fuoco, ogni singola parte di quel silenzio che si dilatava tra loro, senza dividerli, bensì accomunandoli. Fu un momento: un bagliore delle lenti, il rilassarsi dei lineamenti, il rapido amalgamarsi delle ombre in armoniose sfumature sulla pelle. L'aveva scorta? Era terribilmente strano trovarsi lì, in quel piccolo angolo di universo, pareva di aver violato la dimensione interiore di qualcun altro, di essere, in qualche modo, di troppo. Se avesse allungato la mano, avrebbe potuto sentire nettamente il limite tra la tiepida penombra che l'avvolgeva e il caldo involucro luminoso attorno al camino. Cosa sarebbe accaduto una volta varcato quel limite? Erano lì le risposte? In quei pesanti tomi ingialliti accatastati in delicato equilibrio contro la poltrona? Il Professore studiava, studiava, leggeva e analizzava: e tutto ciò era inconfutabile, tutto lo testimoniava, dal leggio, alla piuma stretta in mano, eppure non era bastata la sua venerabile età e i suoi anni di ricerche per garantirgli la benchè minima certezza di possedere una qualche chiave di lettura del sapere. Perchè affannarsi allora? Perchè studiare? Cosa ne sarebbe rimasto alla sua morte? E lei, lei, cosa poteva sperare di apprendere lei? La speranza che vi fosse una qualche ultima verità ancora da scoprire si affievoliva pian piano: che stupida, come aveva potuto pensarlo, perfino pretenderlo? Eppure l'eccitazione, anzichè diminuire, cresceva, cresceva, nutrendosi delle pulsioni più profonde dell'Es, dei bisogni più proibiti, delle certezze più illusorie. Forse, in realtà, aveva solo bisogno di crederci, qualcosa di ben diverso dal sapere che un simile grado di verità fosse realmente possibile: un contentino per lo spirito, un'idea dolce e malsana per fingere di avere uno scopo.
Il Professore si mise più ritto, e con quel gesto scomparve anche il senso tragico della scena. Lo sguardo severo del volatile la catturava irresistibilmente, pareva quasi di disappunto, forse per essere stato disturbato da quella meritata pausa dalla vita quotidiana. Era quello sguardo a dirle quanto probabilmente la sua presenza lì potesse essere considerata un peso: ma era certa che il Professore non gliel'avrebbe mai detto. Per un momento provò lo sciocco piacere di sentirsi padrona della situazione, ma sapeva bene che in realtà il suo essere in quella stanza non era altro che il frutto della combinazione di cortesia e cavalleria, nulla dipendeva da lei: lei era una semplice pedina, un pedone sacrificabile. Forse a trarla in inganno era stata la pateticità della scena di poco prima, di quell'abbandono di cui era stato appunto protagonista il Professore: ma tornato alla consueta autorevolezza, lei stessa era caduta dall'Olimpo per divenire comune mortale. Che presunzione, e che misera fine...


- La ringrazio -

Un passo leggero, ma deciso. Ecco, il limite era stato varcato. Ora il suo viso avvampava di quello stesso fuoco che danzava ipnotico nel camino, si rifletteva nei suoi occhi, demone di fiamme, specchio del suo io. Raggiunse la poltrona di fronte a quella del Professore e vi si sedette, con un timore quasi reverenziale. Ancora una volta, tornava a sentirsi strana, fuori posto. La voce del vecchio era allegra, un contrasto ancor più forte col clima di raccoglimento che la sistemazione ispirava: la riscosse all'improvviso, catapultandola definitivamente nella realtà. Levò lo sguardo sul volto del Docente e vide il suo sorriso, esattamente quello che ricordava: allora, l'aveva preso per un segno indistinto d'indulgenza e di scherno, prima di comprenderne la vera natura, ma solo alla fine dell'incontro. Sibillino, era promessa di qualcosa che sarebbe arrivato di lì a poco, parole di ancora ignota natura o sostanza.
L'uccello abbruttito, e decadente, continuava ad osservare la scena, severo giudice di morte. Sospettava di sapere ciò che fosse, ma mai aveva potuto vedere di persona un simile animale, il cui attuale stato era deprimente ed avvilente a un punto tale da superare qualsiasi immagine potesse aver costruito la sua mente.
Avrebbe voluto parlare, cominciare un resoconto della sua avventura, ma qualcosa continuava a frenarla: cosa voleva sapere veramente il Professore? Perchè l'aveva fatta tornare? Cosa voleva dirle o chiederle? Decise che avrebbe lasciato a lui il compito di fare le domande appropriate, e che lei docile avrebbe seguito il discorso fino a sbattere contro ciò che il vecchio avrebbe voluto farle vedere. Sì, nonostante tutto, aveva fiducia in quell'uomo: e come una cieca si sarebbe lasciata guidare senza opporre resistenza.
Ecco che aveva inizio...

 
Top
view post Posted on 4/4/2011, 22:49
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Era tornata, sui suoi passi, un mese, poco di più, che era parso una vita intera. L’aria cheta, rilassata, distesa, d’improvviso tornava a farsi frizzante, eccitata. Come il sangue tornava a ribollire nelle vene, così quell’angolo di universo tornava alla vita, si erano rintanati in una dimensione atemporale, quasi aspaziale, nella contemplazione mistica, quasi eleusina di un qualche sapere, ed ecco che una campana martellante, ma non per quello meno conciliante, era d’improvviso tornata a farsi sentire. Un istante, ed un intero piano era collassato, il lento ma costante pressare del tempo, che l’aveva spinto sempre più a fondo nell’imbottitura della poltrona, sempre più confinato in quella dimensione misteriosa ed intangibile, con quel fare pensoso e meditabondo, d’improvviso era stato spazzato via, rimosso, un retaggio di un passato ormai dimenticato. La piuma cremisi, incendiata dal controluce con i rossori del fuoco vivo, ed ancora vegeto, si ergeva impettita, alta, nel suo calamo, erma stava, quasi ad astro sanguigno, unico testimone di quel giorno di aspro bellare. Si era combattuto, si era avanzati, prima d’esser respinti, d’aver sfondato, di essere stati nuovamente respinti. Si era combattuto, come sempre in quegli anni, come se ogni volta fosse la prima, prima di una lunga serie, ma ancora viva di un entusiasmo mistico, che penetrava nell’animo, che lo rinvigoriva, fonema dopo fonema, perchè ogni giorno, portava con sè una nuova sfida, qualcosa di inaspettato, ma ugualmente grandioso, e mirabile, come se fosse in fondo qualcosa di pianificato, da lungo tempo. Ma non per quello, avviluppato con meno vigore, con meno nobiltà, con spirito di sacrificio, un atto di eroismo disperato, portato allo stremo, come un gesto, l’ultimo di un Attore, prima di andarsene definitivamente dal palco, morto.
Tutto si era compiuto, era ormai parte del passato, inafferrabile, ineffabile per sua stessa natura, per sua stessa ammissione. Come sperare di intromettersi negli affari di quello che ormai era già stato? Ritta se ne stava la piuma, erma, beffarda, pavoneggiandosi, nel candore sporco, corrotto della sua iride, un’unica piuma, una singola piccola piuma, un qualcosa di nobile insito nell’anima, insindacabile, che appariva innegabile. Testimonianza unica di ciò che era stato, parte di un mistero più grande, parte di un qualcosa di troppo grande per essere compreso. Poco poteva essere fatto, molto era stato fatto, ma non abbastanza, le distanze non erano umanamente concepibili, colmabili. Il problema restava, che fare davanti all’incommensurabile? Avventurarsi nella pozzanghera, forte di uno stuzzicadente, nel fiume impetuoso con un ramo, nel mare selvaggio con una canoa, e nel furioso oceano con un veliero. Avanzando tutto si ingrandiva, si dilatava, le forze, come le distanze, ma le differenze esponenzialmente. Quanto poteva? Quanto poteva l’uomo in tutto quello? Come un San Giovanni, oppresso dalle forze preponderanti di Natura, anelava al piegarsi, conscio però in ogni istante di non poter venir meno a quella tensione eroica, conscio di non poter spezzare quella catena, così il corpo ne pagava le conseguenze, pagava le conseguenze di quanto era stato tentato, osato, quasi sperato peccando di Tracotanza quella forza che tutto reggeva, e dimandava. Era il corpo a pagare quanto era stato tentato dalla mente, quell’atto di Ybris, frutto di un qualche sillogismo, di una qualche derivazione logica, forse di un ultimo disperato tentativo di conoscenza, un’affermazione di unicità davanti all’incommensurabile potenza di Natura. Sino a che punto era giusto osare, sino a che punto era giusto spingersi? Si poteva farlo, pensarlo, o era giusto desistere ancor prima che tutto iniziasse? Ed il Giovanni veniva vessato da quelle misteriose forze, afferrato, stritolato nel profondo delle viscere, l’espressione facciale, specchio dell’anima, ne era devastata, l’età, e non solo, si prendevano le loro rivincite, d’improvviso. Il seppia dello schizzo preparatorio conferiva quella sfumatura sanguigna, quasi sinistra, ultima testimonianza dell’efferatezza compiuta dall’uomo? O era forse il contrario? Era colpevole? Di quanto? Ma lo era? Nulla doveva sembrare poi così scontato, come poteva esserlo? Il Giovanni si era meritato tutto ciò? Aveva seguito unicamente la sua indole, aveva ed ancora pagava per quello, conseguenze, e dannazioni, un misto di religiosa persecuzione, divina, perchè compiuta da quelle forse misteriose che tutto reggevano, una persecuzione perchè se la prendevano con l’anima di un innocente, di un debole, inerme, che non poteva fare altrimenti che non pagarne le conseguenze. Poteva difendersi?
La giovane era avanzata, il tutto consumato in un attimo, prima che potesse seguirla con lo sguardo, era già arrivata, guidata dalle ali del destino, tornò a cercarla, il libro, la piuma... la giovane. Era lì, quattro, forse cinque passi, era tornata. Con il buon umore, forte di una Storia da raccontare? Ce l’aveva fatta? Lo sguardo truce della fenice, infastidita nell’intimità, in qualcosa di sacro ed inviolabile. Invidiosa di quell’intrusione, quell’arrivo inaspettato, ma atteso. Poche parole, sussurrate nella penombra, un ritorno al presente, alla corruttibilità di quell’istante, un ringraziamento, in onore di quella serie di compromessi, e convenzioni che ne reggevano gli affari. Eppure un sorriso, avevano un qualcosa da fare, qualcosa di cui trattare, che era andato palesemente oltre il semplice permesso, di cui ne era diventato quasi un pro forma, un dettaglio, non molto significante. Come ciò fosse accaduto, era un mistero, una funzione di quel qualcosa di inconcepibile e bellissimo che reggeva le vicende umane. Nulla avveniva per caso, ricerche posteriori l’avevano dimostrato. L’intuito non sbagliava. Ma ancora il riflesso cremisi delle fiamme infiammava le lenti cristalline, due lastre di fuoco, forse solo una. Un emisfero del volto ancora immerso nell’ombra, misterioso, ineffabile. Sorridente. C’era un certo affare, inconcluso, su cui tornare? Qualcosa? Il silenzio era tornato imperioso, era stata una pausa, una breve interruzione a quello che doveva essere una grande e celestiale melodia, scandita dallo scocchiare dei ciocchi di legno.


Mia cara, è sempre un piacere. Interessanti scoperte ho compiuto, a riprova.
Ma devo chiederle qualcosa. C’è qualcosa di cui desidera parlarmi?
Di qualsiasi cosa si tratti.


Il tono gentile, conciliante. Qualcosa era già in moto.
Eppure una richiesta non così scontata, un invito ad iniziare da qualcosa che fosse notevole, o anche meno.
Qualcosa che fosse degno per iniziare.
Qualcosa che era forse stato scoperto? Un dettaglio insignificante?
La danza era ricominciata, sotto lo sguardo attento di un giudice d'eccezione.


 
Top
view post Posted on 10/4/2011, 00:04
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Qualcosa di cui desiderava parlare? Qualsiasi cosa? La domanda era insidiosa, infida: a conti fatti, era come chiedere tutto e niente. E così il Professore l’aveva messa alle strette, aggirando la sua presunta reticenza: aveva creduto di poter riversare su di lui tutta la responsabilità della conversazione, di poter seguire senza fatica il filo logico di qualcun altro, e invece era bastata quella prima, insignificante domanda per metterla in crisi. Di cosa desiderava parlare? C’era qualcosa di cui parlare? O ancor meglio: voleva davvero parlare? Una miriade di pensieri si riversò in un istante nella sua testa, tutti quelli che si erano presentati ad affliggerla nell’ultimo mese: era stata sul punto di rinunciare, aveva resistito, era andata avanti. E tutto per quel briciolo di verità. Anzi no, per quelle due minuscole fialette nella sua tasca. Solo ora si rendeva conto di quanto il bottino non fosse proporzionale alle energie sprecate in quell’impresa: o forse non stava considerando l’aspetto più importante. Era davvero quello il suo compenso? O c’era dell’altro? Quali conoscenze, quali esperienze erano ora racchiuse in lei? Altre prospettive, altre visioni della stessa vicenda: quante verità c’erano? Qual’era la giusta chiave di lettura? C’era qualcosa di cui desiderava parlare? No, niente. Perché mettere a nudo così le proprie debolezze, le proprie domande? Non era meglio tenere per sé la propria ignoranza? Avrebbe potuto sbandierare solo la sua vittoria e lasciare che tutti credessero all’invincibilità del suo genio. Chi avrebbe mai saputo che mentiva, che ancora non era arrivata al cuore vero della faccenda, che nel profondo covava gelosia per quella calma flemmatica che il Professore ostentava? Aveva detto che rivederla era un piacere, aveva usato un tono cortese, accattivante. Un piacere… Già, anche lei aveva atteso quel momento, di fatto, in gran segreto, non aveva aspettato altro. Era ben più di un piacere, era un’aspettativa. Voleva qualcosa, si aspettava qualcosa. Altrimenti perché si era data tanto da fare? Parole, decine, centinaia, migliaia di parole spese in favore di qualcosa che forse ancora andava compreso. Ed era lei a dover aprire il discorso? Dunque era questa la conclusione? Una traccia di delusione si insinuava nel suo animo mentre capiva che probabilmente il Professore avrebbe lasciato che estrapolasse da sola e da dentro di sé le conclusioni che si aspettava. Avrebbe dovuto immaginarlo. O forse non sapeva nemmeno lui quali fossero le somme della faccenda e si nascondeva dietro una maschera da inquisitore? Aveva detto di aver compiuto importanti scoperte, a riprova. Perché non dirgliele allora? Cosa stava aspettando? Sentiva un fremito attraversarle il corpo, la fretta della giovinezza, l’impazienza, il disappunto, l’irritazione, il fastidio. Un crescendo di emozioni che si riducevano all’unico inoppugnabile fatto che era lei a star perdendo tempo, lei, messa di fronte al grande onore e alla grande sventura di parlare per prima, in trappola. Ma cosa, cosa si aspettava il Professore? Si aspettava che parlasse di qualcosa in particolare? E se l’avesse deluso? Se una volta aperta bocca fossero fuoriuscite solo incognite ed ovvietà? Che rabbia. Forse se avesse approfittato a fargli una domanda prima, quando ne aveva avuta occasione, in quel preciso istante sarebbe stata lì ad ascoltare il racconto di un altro. E invece spettava a lei, per diritto e dovere. Qualcosa di cui parlargli… Il problema era forse che non sapeva neppure da dove cominciare: il Reparto Proibito? La Foresta? La Pozione? Eppure, ripensando al suo precedente incontro, non riusciva a non pensare che si trattasse solo di aspetti secondari, non veramente essenziali. Semplicemente, erano già andati oltre. Ma come aveva già avuto modo di discutere, parlare di qualcosa al di là della propria conoscenza, era sempre un rischio. Perché il Professore voleva che parlasse? Sapeva che l’errore sarebbe stato in agguato dietro ad ogni sua frase? In fondo, era solo una studentessa. Solo una studentessa… Eppure non riusciva a pensare al suo operato come a qualcosa di prettamente scolastico. Ma allora, in che vesti era in quel luogo? Era la giovane allieva di un saggio? Aveva giocato col fuoco, ma ancora non sapeva se si era scottata: tutto lasciava pensare che la pelle fosse ancora sana e liscia, ma se col tempo si fosse formata una vescica? Era stato corretto lasciarle provare un qualcosa di così pericoloso? Eppure ancora non era abbastanza. Osare era la parola d’ordine, sarebbe stata un essere umano senza quell’imperativo? Ma chi avrebbe posto il limite, chi le avrebbe detto se si era spinta troppo in là? Il Professore? Dopotutto, era un Uomo anche lui. Che la sua fiducia in lui fosse mal riposta? Una provocazione, una sfida, parlare di qualcosa… Tutto e niente. Il tempo si dilatava, la Storia andava avanti, con o senza di lei. Doveva solo decidere se farne parte, se entrare nel ciclo perfetto della vita, e venire a conoscenza dei segreti dell’essere. Avrebbe accettato il gioco perverso? Ma forse l’aveva già fatto nel momento stesso in cui aveva deciso di tornare: era andata via per poi tornare. Anche quello era stato un ciclo, in sé perfetto. Era tornata al punto di partenza, vuota o con qualcosa di nuovo? Un racconto? Che tutto fosse stato solo una simpatica avventura? Un semplice sogno? Follia! Se avesse creduto a questo avrebbe dovuto credere che tutta l’esistenza era una burla: il divertente scherzetto di un’entità superiore e sprezzante, fintamente magnanima. Doveva credere che non vi fosse un senso nelle sue azioni, nel suo sentire, nel suo parlare? Eppure esisteva, pensava, agiva: come poteva non essere reale? Cosa sapeva il Professore di tutto quello? La Polisucco giaceva nella sua tasca, dimenticata. Era poi così importante? C’era qualcosa di cui parlare? No…

- …Sì. Come lei di certo sa, uno degli ingredienti chiave della Polisucco è l’Erba Fondente. Per procurarmela, mi sono dovuta avventurare nella Foresta Proibita durante una notte di Plenilunio… Non è molto importante come sia infine arrivata al mio scopo, o quali ostacoli abbia dovuto superare, ero preparata a questo. Ma c’è un incontro che non ho potuto dimenticare: un centauro, presentatosi come Fiorenzo. Io… non ne avevo mai visti, prima. Certo, sapevo della loro esistenza, e prima ancora della loro saggezza, sussurri di una sapienza senza tempo e senza nome. Sguardo fiero, aspetto imponente, una bellezza dal sapore antico, quasi trascendentale. Mi ha chiesto cosa andassi cercando e perché. Mi ha aiutato, ma mi ha messo in guardia: mi ha messo in guardia specificatamente contro la Polisucco. Non gli avevo detto cosa avessi intenzione di fare, ma lui pareva sapere più di quanto a un uomo possa essere concesso per intuizione. Sapeva esattamente cosa mi passava per la mente, eppure non ha infierito, a parte quella raccomandazione, quasi una richiesta. Cosa intendeva dire Professore? Sapeva qualcosa che io non so? –

Il dubbio si era alimentato, di giorno in giorno, avvalorato dalla consapevolezza che lo stesso Professore le aveva promesso una qualche ultima rivelazione nell’ultimo incontro. Era dunque l’unica non a parte di quel segreto? L’unica, e la più bisognosa? Sapeva che i Centauri erano creature schive, difficilmente si facevano avanti con gli esseri umani: perché quello si era mostrato? Perché le aveva parlato? Era a conoscenza di un qualche pericolo incombente sulla sua testa? Lì per lì non vi aveva fatto caso: aveva appena finito di combattere con tre acromantule, nulla l’avrebbe spaventata o sorpresa. Almeno per quella notte. Ma col senno di poi aveva dovuto ripensare alla straordinarietà di quel momento. Cosa avrebbe detto il Professore? Anche lui sapeva? Prima o poi sarebbe dovuto arrivare al punto…
Sedeva, leggermente in tensione, su quella comoda e calda poltrona, ma non c’era sonnolenza che potesse prenderla in quel momento. Lo sguardo tornava periodicamente all’uccello, pareva dover spirare ad ogni istante, e che si ostinasse a vivere per puro dispetto, per non lasciarli soli.
Eppure, nonostante tutto, non avrebbe voluto essere in altro luogo se non quello.

 
Top
view post Posted on 12/4/2011, 13:15
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Il silenzio era il protagonista indiscusso, un silenzio denso, carico di quello che poteva essere presumibilmente significato, una densità tagliabile con un coltello, effettiva, che si avvertiva premere sulle narici, sulla pelle, controbilanciata da una leggerezza, palpabile, solo più dimessa. Il fuoco, indomato, energico, frizzante, si ergeva a contropeso, un tepore che minacciava di afferrarli in ogni istante, ventate di aria calda, maliziosa, ammaliatrice, quasi fossero i sortilegi di una vecchia strega, tentacoli di un potere immensamente più grande, intenti a sondare il terreno. Le occhiate licenziose dell’abbruttita Fenice sembravano scandire un ritmo angelico, misterioso, imperscrutabile, ma non per quello assente, un’oscura intellighentia era all’opera, aliena ed insofferente ai problemi che coinvolgevano la sfera umana, semplicemente non era interessata. Valutava, ordiva intrighi, architettava piani machiavellici, senza mai svelarsi. Era là, sul suo piedistallo, insofferente. Come la Fenice, sul bracciolo della poltrona, lo sguardo sonnecchioso, placido lo sbattere delle palpebre, le piume arruffate, quasi sporche di una colpa atavica, primordiale. Eppure, era semplicemente la fine di un ciclo, l’approssimarsi di un nuovo era imminente, quanto sarebbe ancora durata? Ore, giorni, minuti? La vita reclamava la sua parte, allo scorrere della sabbia nella clepsamia, al capovolgersi per il troppo peso del bulbo inferiore, tutto ricominciava, un rincorrersi eterno, una pratica inesausta, ricolma di un profondo senso di appagamento, e mistero ogni volta. Cos’era il capovolgersi della Clessidra? Cos’era la clessidra, la sabbia, il tempo? Quale mistero stava dietro al rinnovarsi della materia, dell’Essere? L’Essere continuava a vivere, a persistere, a permeare una materia, che continuava a rinnovarsi, come si sposavano le due cose? Chi aveva creato quell’essere? Perchè l’aveva fatto? C’era una ragione, razionale, o era tutto frutto del caso, un accadimento eccezionale, che aveva cambiato il corso della Storia, ma casuale? Quanto era plausibile? Non aveva mai creduto al caso, non l’aveva nemmeno mai considerato come degno d’attenzione, era semplicemente caso, qualcosa che esulava dalla comprensione, che non la tangeva. Era vero? Esisteva il caso, o era semplicemente il frutto rassicurante di un modo di pensare ormai accettato, per non doversi arrovellare intorno al Burattinaio? Che fosse una menzogna diffusa proprio da Lui? Un modo per coprirsi le spalle, seminare il dubbio... Tutto era possibile, fatto stava che qualcuno o qualcosa doveva obbligatoriamente stare dietro le quinte, a tirare le fila di tutto. Possibile che non vi fosse nulla? Del resto anche credere che questi potesse essere umano, era forse un’eccessiva pretesa, che potesse averne le sembianze, possibile, ma non probabile. Perchè non una bella Fenice? O un gelsomino? O una pietra? O forse solo luce, o ombra? Se però doveva essere qualcosa di universale, forse allora era la geometria ad essere soluzione di tutto, dato un asse, e preso il cerchio come forma di perfezione. Un’infinità di cerchi rotati intorno allo stesso asse, avevano un’unica soluzione, una sfera... Che quindi l’oscuro burattinaio fosse in realtà una lei, dalla forma di sfera? O forse era neutro? Un’entità sferica, di natura non meglio definita?

Così com’era venuto fugace il pensiero, così venne spazzato via, d’improvviso, repentinamente, una parola, un incedere esitante, un assenso, ammantato di un forte Timor Dei, un timore reverenziale verso quel silenzio così solenne, inaspettato. Lentamente il discorso proseguiva, tra un dubbio e l’altro, l’Erba Fondente, prevedibile, era indubbiamente stato l’ingrediente più interessante, gli altri non erano poi così degni di attenzione, non attiravano molto. Ed aveva incontrato Fiorenzo, il Centauro, il più illustre della sua schiatta, il più nobile per sangue, per età. Lo conosceva, non cambiava mai d’una virgola, la sua prima scappatella nella foresta proibita, erano altri tempi, era passato moltissimo tempo, il ricordo ancora vivo. Una bella nottata, non di plenilunio, un’allegra scappatella in compagnia, una passeggiata sotto le querce, vicino al lago, che era diventata una scampagnata nel cuore della foresta, baciati dalla fortuna, nessun incontro strano, pericoloso. Erano tre giovani studenti, del II Anno, d’altri tempi, la disciplina non era così rigida, una notte fuori dal letto non era poi un male, in parte era anche accettata. I tempi erano cambiati, il Male si annidava, vagava nel mondo, rischi che un tempo nemmeno erano stati ponderati. Tutto si stava complicando... Una rivelazione per ognuno, era stato quello il regalo dei Centauri, di Fiorenzo. I Centauri volenti o nolenti lasciavano una traccia, un qualche segno nel destino degli umani che incontravano, com’era stato un tempo per gli Elfi, erano estranei a buona parte dei problemi più squisitamente umani, e di conseguenza agivano. Un incontro piacevole, istruttivo, un poco inquietante, il dubbio persistente che dopo decenni ancora non l’aveva abbandonato. Che sapevano i Centauri? Sapevano qualcosa? O la Luna e le Stelle non raccontavano che favole? Il sapere dei Centauri era legato al corso degli Astri, ai loro movimenti, ma spinto ad un livello di comprensione che l’Astronomia mai avrebbe eguagliato. Non erano umani, e quello bastava, il problema si risolveva così, avevano accesso a qualcosa loro proibito, come del resto i Maghi potevano divenire Maestri delle Arti Magiche, qualcosa di terribilmente potente, e misterico, che sfuggiva alla comprensione stessa. Chi capiva realmente il potere insito in ogni gesto? In ogni movimento, in ogni sfumatura dell’accento? Cosa legava l’atto e la potenza? Cosa stava alla base di tutto, perchè esisteva la Magia? Cos’era? Non erano più dotti o acculturati di un Centauro, come un Centauro non poteva esserlo di loro, semplicemente indagavano lati e sfaccettature diverse della stessa medaglia. Che avrebbe detto alla giovane? C’era un’intesa, covata sotto la cenere, c’era qualcosa, era sbocciato come il fiore del ciliegio, un delicato petalo trasportato dal vento, su ali dorate, verso clivi e colli angelici. Quale poteva essere stato l’avvertimento? Fiorenzo sapeva, qualcosa che loro, lei stessa, ancora ignoravano, che solo la Tuke avrebbe svelato quando fosse accaduta. Era stata lanciata una Profezia, da dove e da chi fosse stata concepita, era mistero. Le stelle cosa raccontavano? Il Centauro sapeva, o presumeva? Poteva dire di più, o aveva detto quello, tutto ciò in suo possesso, come aiuto spontaneo e generoso alla giovane? Una richiesta...
Sorrise, prima di riprendere a parlare, una risposta urgeva, che il silenzio addensava di aspettative, di speranze, cos’era una domanda? Un urlo nel silenzio.


Capisco, conosco Fiorenzo, posso in parte immaginare la situazione. I Centauri hanno un misterioso fascino, che mi ha sempre incuriosito, per certi versi è stata fortunata, è qui da soli tre mesi, ha già avuto esperienze che altri molto più anziani di lei, nemmeno sognano, e forse nemmeno comprenderebbero appieno. Incontrai Fiorenzo, in una scappatella notturna, al mio III Anno, Fiorenzo è il Capobranco. I Centauri hanno accesso a parti della realtà di cui noi nemmeno sospettiamo l’esistenza, i Centauri capiscono poco altre del nostro mondo, tutto si regge sull’equilibrio. Capisce? Personalmente credo che volesse aiutarla, a modo suo, le ha dato un’importante informazioni, che magari a tempo debito si dimostrerà decisiva, rispetto a qualcosa di inaspettato. È il potere di una Profezia, che è stata risvegliata. Potrà esserle di grande aiuto, o di grande pericolo. Cosa le ha detto? La Polisucco è una Pozione molto pericolosa, penso che ormai gliel’abbiano detto tutti, anche i Centauri...

Tornò a sorridere, il tono pacato, solcava il crepitare del camino come sospinto su ali fatate, di sogno, le sillabe colorate da quel così strano accento, tinte e tratteggiate dalle luci riflesse intorno, dalle fiamme del fuoco, spinte da quelle improvvise ondate calde, e piacevoli. Permeate dal profumo del ciliegio, della resina, del pesco. Un parlar gentile, che sì tanto onesta pareva, da esser progenie di quella letteratura cortese, così lontana? Che poi avesse incontrato Fiorenzo, poche settimane prima, non era poi così rilevante. Che in buona parte sapesse, aveva peso? Quanto aveva detto il Centauro, poteva tranquillamente essere diverso dalla versione della giovane, in quel gioco di sfumature, un granello di riso poteva anche fare la differenza.


 
Top
view post Posted on 15/4/2011, 15:41
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


L’equilibrio. Niente di più instabile e perfetto. I Centauri non capivano il mondo dei maghi così come i maghi non potevano vantare alcuna eccellenza nelle conoscenze dei Centauri. Si trattava dunque di due mondi separati, arroccati sulle proprie posizioni, aridi, chiusi, finiti? Qual’era dunque la Profezia, quale aiuto poteva mai aver ricevuto? Le aveva mentito? Aveva approfittato della sua ignoranza per innalzarsi a possessore di una verità di cui egli stesso non sapeva nulla? Che arroganza, e che inganno! O forse erano le basi stesse ad essere sbagliate: davvero si trattava di un equilibrio immutabile, forte di una consolidata incomunicabilità? Possibile che mai i due mondi si fossero incontrati, che mai le regole fossero state sovvertite, che mai l’equilibrio si fosse spezzato? Tutto si reggeva sull’equilibrio, aveva detto il Professore… Ma se i pesi sulla bilancia avessero variato le loro proporzioni, prima di raggiungere un nuovo equilibrio, significava forse che nel frattempo il mondo sarebbe stato destinato a cadere? Le sue fondamenta avrebbero ceduto, come fragile castello di carta, al semplice incrinarsi della più basilare delle sue regole? Dopotutto, l'Assoluto hegeliano era totalità in divenire ed ogni finito era autocontraddittorio: tendeva a superare l'equilibrio raggiunto e a conseguirne uno nuovo. A cosa bisognava credere dunque? Alla stasi o al divenire? Poteva essere che l’uno non escludesse l’altro, che l’equilibrio fosse insieme instabilità e perfezione? Ma se dunque l’equilibrio era in grado di perpetrare la divisione e l’unione delle parti, era forse la Vita la chiave di tutto, colei che in sé unificava gli opposti nel grande mistero dell’esistenza? La Vita, come unità profonda di ogni determinato, come elemento sotteso ad ogni esperienza, come un grembo infinito, non un’entità che possa essere pensata con l’intelletto, quell’intelletto che divideva e definiva. Che fosse lì il problema, nel semplice intelletto?Di fronte al molteplice naturale, identificato attraverso questo processo di divisione, l’intelletto concepiva la natura a sua volta come isolata, come fosse qualcosa di diverso, di scisso rispetto a quel molteplice. E non era forse questo un errore, un vizio di fondo nell’armonia dell’equilibrio, del tutto?
Guardò il Professore, il suo volto immerso nella penombra, quel sorriso che nella semioscurità pareva tagliato in due, lasciando intendere un che di diabolico, e ammaliante a un tempo. Aveva detto che era stata fortunata… Ricordò le parole del vecchio Bibliotecario, ancora vivide nella sua mente come se le avesse appena ascoltate: “Non tutti hanno al loro VII Anno la possibilità che lei ha già avuto al suo I. Rifletterei anche su questo”. Così le aveva detto. Per un momento ebbe quasi l’impulso di ridere, tutto cominciava ad assumere tratti vagamente comici, quanto meno inaspettati: improvvisamente, pareva che chiunque fosse per qualche strana ragione in grado di fare previsioni sulla sua vita, di consigliarla dall’alto di una consapevolezza ancora maggiore di quella che lei stessa poteva avere di sé. Era una bambina, tenuta per mano, messa in guardia contro un mondo brutto e cattivo, popolato di mostri e uomini neri. Ed eccolo lì, il Centauro, con le sue critiche, e raccomandazioni, e affermazioni che sapevano di profezia; eccolo lì, il Bibliotecario, con il suo scetticismo, la sua esperienza, la sua consunta morale; eccolo lì, il Professore, con la sua Maieutica, con la sua saggezza sapientemente celata tra le domande e le piccole verità senza valore. Che insegnamenti ne avrebbe ricavato? A cosa era servita tutta quella pantomima?
Che stanchezza. Cosa aveva voluto dire il Professore parlando del potere di una Profezia che era stata risvegliata? Che tutti sapessero quanto la sua ricerca fosse destinata a rimanere infruttuosa? A cosa le era servito, alla fine, imparare a preparare la Polisucco? Già, cosa le aveva detto il Centauro a parte ricordarle per l’ennesima volta la pericolosità di quella dannatissima pozione? Eppure, era così importante? Avevano un valore le sue parole? O era lei che non aveva colto?
L’immagine di Fiorenzo affiorò all’improvviso nella sua mente, il corpo possente, il torso nudo, i capelli fluenti che parevano intrecciarsi ai fini raggi lunari, in una composizione perfetta, come fiori tra i boccoli di una fanciulla, in una Primavera botticelliana. Era vero, nonostante tutto, i Centauri avevano un loro misterioso fascino. Anche il Professore aveva avuto la sua stessa esperienza, in una sua gioventù che non pareva neppur tanto plausibile: sembrava strano che fosse stato giovane, perfino che avesse in qualche modo sfidato le regole o la sorte dirigendosi nella Foresta. Che non fossero poi così diversi? O che magari fosse lei a star guardando il suo futuro?
E ancora non aveva rivelato l’esito della sua impresa… In realtà, pareva che il Professore stesso non facesse nulla neppure per saperlo. E tutto ciò, in fondo, era terribilmente irritante.
Sempre la medesima domanda tornava a farsi più insistente: che ci faceva lì?


- Sì, penso di capire. Ma se dunque questo equilibrio è basato sul controbilanciamento e l’inaccessibilità del sapere dei Maghi e dei Centauri, perché lei mi parla ancora di Profezia? Non aveva appena detto che la conoscenza dei reciproci mondi è limitata? Come si può giungere addirittura a prevedere il destino di qualcuno della schiera opposta? Sa come ha concluso, quel Centauro? Mi ha detto: “Buona fortuna, giovane umana. Ne avrai bisogno”. Ne avrai bisogno! Alcuni lo prenderebbero per un segno premonitore, perfino una minaccia. Io non credo in queste cose: io credo in una logica ragionevole e nelle potenzialità dell’Uomo. Come crede che le sue parole mistiche e prive di un qualsiasi riscontro reale possano dimostrarsi decisive a tempo debito? –

In realtà si era chiesta spesso, dal momento di quell’incontro, quali potessero essere le parti della realtà che ai Maghi erano negate: in fin dei conti, tutto si riduceva a quello. Eppure era terribile e odioso sapere che altri potessero disporre in tal modo delle loro vite. Che diritto avevano di indagare, di prevedere? Ne avevano davvero la facoltà, le capacità? Non era più semplice dire: ad ognuno il suo mondo?


 
Top
view post Posted on 20/4/2011, 10:48
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Quindi il punto stava nell’equilibrio, era quello il punto di scarico delle forze, era la Chiave di volta di tutta l’architettura che su esso era stata costruita. L’equilibrio, esisteva? Tutti lo nominavano, era spesso al centro della scena, eppure nessuno l’aveva mai visto, sarebbe mai arrivato il tempo dell’Annuncio? Ecce Equilibrium? Si poteva trovare, conoscere, e capire? L’equilibrio era qualcosa di statico, o dinamico? Teorico o pratico? Ideale o reale? C’era o non c’era quel maledetto e benedetto equilibrio? Insomma, diversi si erano posti il problema, altri ancora l’avevano studiato, esplorato, ricercato, senza mai trovarlo. Nessuno l’aveva mai visto, era per quello che non esisteva? Tutto ciò che è, è per forza logica, e quindi logico? Equilibrio aveva cagione? O era tutto uno scherzo, di un qualche essere superiore che si burlava di loro, delle loro speranze, dei problemi? C’era un grande burattinaio, che se la spassava, possibile? O era l’estremo tentativo di scaricare le colpe su qualcuno, o qualcosa, che di fatto non poteva pubblicamente difendersi dalle accuse? Un problema tirava l’altro, in un circolo vizioso, ed infinito, c’era un termine?
C’era controbilanciamento? Il punto stava nell’individuare di che tipo fosse quell’equilibrio, a patto che vi fosse. Potevano due mondi essere del tutto indipendenti, vivere separati, se di fatto le interazioni erano continue, e lo spazio era condiviso? Così come per i Babbani, i Centauri vivevano tra i Maghi, i Maghi tra i Babbani, si potevano definire le tre dimensioni come autonome ed indipendenti? O c’era qualcosa di più profondo, delicato, imprevedibile? Di fatto erano tre realtà di grande spessore, interdipendenti, che vivevano anche di interazioni, di scambi, di vicinanza. Maghi e Babbani ne erano esempio evidente, esemplificativo, perchè più noto, ma valido per ogni altro caso. I Maghi vivevano sulle spalle dei Babbani, ne erano una minima porzione, quale poteva essere il rapporto? Il sostentamento stesso dei Maghi era stato di fatto delegato ad inconsapevoli Babbani secoli e secoli addietro, quando i Mondi erano stati ipocritamente divisi. Certo, un accordo, la firma, le leggi, era esso vero? Era mai stato praticamente raggiunto l’obiettivo posto, lanciato in mezzo al tavolo? Di più, poteva essere raggiunto? Centauri e Maghi vivevano un’orgogliosa separazione, un’indipendenza pagata a caro prezzo, secoli prima. Certo, potevano vantarla per ormai assodata, i Centauri vivevano nel rispetto delle Leggi Magiche, in aree adeguate, al riparo, dediti al loro vivere, alle loro attività. I Maghi vivevano nel rispetto di quegli accordi, sanciti tra le due parti, che ne garantivano una certa indipendenza, leggi magiche, vecchie di secoli, ancora forti di Magia, intrise di sangue. Nulla era lasciato al caso. Le posizioni oscillavano, slittavano, l’equilibrio non poteva essere statico, tra due dimensioni in espansione, dinamiche, attive, eruttive, come si poteva credere che vi fosse un muro nel mezzo? Era più un punto d’equilibrio, quello assunto banalmente per l’equilibrio tutto, intorno ad esso una banda di oscillazione, che assorbisse, ed attutisse i colpi dell’uno o dell’altro schieramento, in assestamento. E le Profezie si inserivano in tutto ciò, solo nell’istante preciso in cui si arrivava a tangere il punto d’equilibrio, era garantita una piena autonomia, un punto di stallo, di fiera indipendenza. Per la maggior parte del tempo, si viveva di finzione, forti dell’ideale, più che del reale.
Di fatto poteva essere fermata e stroncata la sete di conoscenza di un essere? Intorno a quella domanda ruotava parte del problema tutto, chi sapeva cosa? Si poteva disimparare qualcosa? Disconoscere? Ed era poi plausibile affermare che il destino potesse essere previsto? Cos’era una Profezia, cosa nascondeva? Menzognera, o celata verità? Si avverava, o era tutto frutto del caso? I Centauri cosa sapevano? Cosa scoprivano dalle stelle? C’era qualcosa da scoprire, o era tutta mera illusione, la ricerca di una Eldorado, di una soluzione a tutto, che in realtà non era stata ancora creata? Fantasie, sogni? Minacce? Quanto era plausibile che un Centauro si immischiasse a tal punto, da minacciare un Uomo? Che la giovane avesse sbagliato? Che si fosse sbagliata? Era possibile, come del resto quanto era sicuro credere nella logica, e nelle potenzialità dell’Uomo? C’era margine per fare ciò? Si poteva fare? Aveva un senso? Era tempo d’incertezze, ci si sbilanciava, inseguendo un qualche risultato, che di fatto si ignorava se esistesse o meno. Come potevano quelle parole dimostrarsi decisive o meno? Sarebbe mai accaduto? Quanto era vero? Il problema era sempre lo stesso, indipendentemente da chi lo garantisse, chi o cosa lo determinava? Quante variabili? Al degenerare di una, quanto si salvava? Quanto veniva compromesso? I Centauri leggevano le stelle, come un umano un libro, solo molto complesso, i risultati non dovevano essere nemmeno dei migliori, eppure erano naturalmente portati a tali attività, vivevano le loro lunghissime vite, con le stelle sopra la testa, che faceva un Centauro durante il giorno?
Eppure, a ben vedere, quello non era certo oggetto di quella visita, di cortesia, sino a che punto? Erano ben lungi dall’arrivarvi, o qualche inaspettato nesso li avrebbe riportati sulla retta via? Sino a che punto potevano spingersi senza distorcere la Verità? Era pur sempre quella il nocciolo duro di tutto, loro discutevano di quella che doveva essere una più o meno grande verità, esistesse o meno era dato per assunto, in ottimistiche premesse mai formulate, ma che aleggiavano come spettri, tra le fiamme, celate, nascoste, orbate. Discutere delle premesse sarebbe stato di gran lunga un bel problema, di cui entrambi non volevano farsi carico. La Polisucco, e quanto il loro I incontro aveva portato, accantonati, sostavano in una ideale sala d’attesa, una stazione ferroviaria, un limbo, dove idee e discussioni sostavano, con un certo ordine teutonico, un rigore alieno al caos creativo che portava al nascere un’idea, per quanto bislacca o geniale essa potesse essere. Le idee si originavano dal caos, eppure miravano a portare ordine, come poteva convivere quella dicotomia nell’idea stessa di idea? Come potevano arrivare a dissertare di quanto scoperto, partendo da altro? Avrebbero trovato la maniera, o la deriva doveva essere lamentosa, e lamentevole? C’era soluzione?
Sorrise alla giovane, in fondo, quanto potevano contare quelle lunghe elucubrazioni? Erano solo dettagli di qualcosa di più grande, che ignorava. Credeva alle profezie?


Mia cara, capisco il problema, per certi versi capisco la logica che si annida dietro, eppure non tutto ciò che è reale, è strettamente fedele al nostro modello ideale, che abbiamo di esso, no? Noi cerchiamo di imbrigliare in parole, e schemi, qualcosa che sarebbe per natura libero, ed indipendente, l’equilibrio, è scontato di non riuscire a considerare tutto, lasciando un certo margine d’errore. Due civiltà, come possono vivere gomito a gomito, ma indipendenti? Sarebbe concepibile una cosa del genere? Dovessimo badare alle Leggi Magiche, Maghi e Babbani vivrebbero in piena indipendenza, ed ignoranza gli uni degli altri, da qualche secolo, è questo vero? Accettando un modello dinamico, condotto e dimostrato dal divenire della realtà, potremmo ironizzare dicendo che questa indipendenza è più una tensione verso la quale tendere, capisce? È un punto, uno tra milioni di istanti, nel quale tale condizione viene rispettata da entrambe le parti, quasi un caso, un punto di equilibrio, dove si concretizza quanto il modello assume per costante, e perenne. Sostenere la nostra indipendenza e piena libertà dal mondo Babbano, sarebbe come sostenere che la società di oggi, non si rifletta anche nelle nostre Istituzioni, un’eresia, una bestialità, sostenuta in virtù di una coerenza di fondo con il modello. Per i Centauri è lo stesso, solo nel punto di equilibrio vi è piena indipendenza, in tutti gli altri le due parti interagiscono, matura lo spazio adeguato alle Profezie, la realtà muta, indipendentemente dal modello che noi abbiamo cercato di legarle. Dovrebbe essere il modello a mutare in funzione del reale, noi nella nostra arroganza imponiamo che sia il contrario. I Centauri ci conoscono, vivono con noi, eppure non ci capiscono, siamo troppo diversi, noi li conosciamo, ma non li capiamo veramente.
Fiorenzo le ha passato un’informazione, una previsione di quanto un giorno potrà succedere, sta soltanto a lei decidere che uso farne. Può dimenticarla, come serbarla come un tesoro, e quanto questo possa influire sul divenire del futuro, nemmeno il più saggio può prevederlo. Le Profezie esistono? Hanno valore?
Io credo che ne abbiano solo nella misura nella quale noi stessi ne diamo potere, siamo noi stessi a permettere ad una Profezia di nascere realmente, di realizzarsi, e morire. Senza di noi, le Profezie forse esisterebbero, ma non avrebbero senso, e significato. La logica non ha tutte le risposte, penso. Ma è una questione di fede, in fondo, la logica nasce per rassicurare, ciò che ignoriamo terrorizza la maggior parte di noi, la logica nasce per venire incontro a questa esigenza, speculiamo con metodo, per anticipare le mosse del fato, ci prepariamo all’ignoto. Io non so quanto possano essere vere e decisive queste parole, potrebbero anche non voler dire nulla, tengo solo più in considerazione di lei la sola possibilità che possano essere anche vere. L’ha messa in guardia dalla Polisucco, in fondo, come ho fatto io, ed immagino il Bibliotecario. Perchè crede che tale pozione sia così pericolosa?


Nulla di trascendentale, la logica era forte, pregnante, permeava le parole di un uomo. Eppure perchè un Centauro doveva andare in giro peregrinando per raccontare favole? Cosa gli tornava? Eppure c’era e persisteva una domanda, qual era il rischio della Polisucco? Perchè era pericolosa? Lo era davvero?

 
Top
view post Posted on 19/2/2012, 13:22
Avatar


Group:
Mago
Posts:
19,796

Status:


Una conclusione ci vuole Spero di aver ripreso più o meno a tema XD


La parola fremeva tra le labbra, avida d'aria, e di libertà. Esitava, in bilico, sulla punta estrema della lingua, affacciandosi nell'infima fessura tra i denti, astiosa. Nella sua gabbia sicura, assumeva sibilando la sua forma definitiva.
Ah, quanto veleno serbava ancora amaramente quella bocca, vano strumento d'offesa, a che serviva? Eppure, ogni parola del Professore pareva fare elegantemente a pezzi le sue più intime certezze: quanta grazia, quanta premura! Con quanta armoniosa, pacata convinzione smembrava le sue puerili e querule teorie. Sarebbe stato mille volte più semplice se avesse cominciato a trattarla da stupida, fomentando la sua rabbia, fornendo la scusa perfetta alla sua collera, che sarebbe stata giusta, che avrebbe avuto un senso, allora.
Invece assisteva, impotente, alla messa a nudo di ogni suo più intimo dubbio.
Come osava? La lezione veniva impartita, periodo dopo periodo, terminando in mille svolazzi protesi verso ogni incognita del sapere, e la cosa era tanto più irritante perchè vi intravedeva una verità che lei aveva mancato.
Dondolava, intontita, su se stessa, ipnotizzata da quelle minuscole e velate particelle di conoscenza che il Professore si divertiva a farle pendere innanzi agli occhi, ammansendola, catturando la sua attenzione di bestia selvatica e ignorante, senza mai accennare ad una conclusione, illudendola che prima o poi si sarebbe fermato, che lei stessa avrebbe potuto afferrarle, prima o poi.
Ma quelle, forgiate assieme nell'illusoria forma di pendolo, sfuggivano al suo intento con matematica precisione, sgusciando tra le dita, confondendo le percezioni. Che terribile supplizio! E più lo immaginava, più si chiedeva se non fosse quello stesso famoso strumento che dicevano si dividesse tra il dolore e la noia.
La terribile domanda tornava, a conclusione degli ennesimi giri di parole, cercando di strapparle più risposte di quante ne sapesse, o di quante fosse disposta a darne. Cos'altro c'era da aggiungere? Non era chiaro? Non era ormai tutto stato già detto?
Un'ansia che non riusciva a placare si impossessava a poco a poco di lei, un'irrequietezza persistente che si alimentava della consapevolezza stessa di non avere un'origine definita. Che davvero ci fosse dell'altro? Qualche altra vitale, importante, ennesima, scontata verità?
Ah, se solo avesse potuto svelare i pensieri del Professore, profanarne il sacro tempio del cranio così che avesse potuto a sua volta ridere di quell'ignoranza!
D'un tratto si sentì incredibilmente stupida: il suo orgoglio vacillò, afflitto dall'improvviso terribile dubbio che, dopotutto, "non pensava", o comunque non come avrebbe creduto, e che dunque, "non era". Per lo meno, non nel modo giusto, l'unico veramente possibile.
Un'altra ferita alla sua superbia a favore del Professore, del Centauro, dell'intero mondo al di fuori di lei che si arrogava il diritto di esser Giudice, forse perchè a differenza sua quel diritto aveva avuto il coraggio di prenderselo.
Perchè la Polisucco era così pericolosa? La domanda le martellava il cervello, neppure le importava del tempo che passava, purchè alla fine l'intuizione geniale fosse arrivata.
La repulsione per l'ovvio la corrodeva: quale risposta avrebbe accettato quell'uomo di cui così poco le importava, ma al cui autoritario giudizio non riusciva a non sottoporsi?
E poi, certo, c'era ancora quel concettuoso discorso sull'Equilibrio. Quell'Equilibrio che c'era e non c'era, che voleva esser tutto e nulla, il punto fermo nell'evoluzione del sistema e l'estremo limite, appena oltre le possibilità umane, supplizio di Tantalo. La separazione tra Maghi e Centauri era reale ma fittizia, così come la Profezia poteva avere o non avere un valore: a cosa credere dunque? Che la chiave di tutto fosse proprio nel non credere? Che bastasse questo per dare alla propria esistenza un corso diverso? Ma allora perchè predirlo? Quanta scienza vi era in tutto questo, quanto valore poteva possedere l'antica arte dei Centauri? Erano dunque ciarlatani che sprecavano le loro vite nel predire ciò che solo la coscienza poteva istigare a compiere? Se tutto poteva essere vero, così come poteva non esserlo, perchè sprecare parole vuote? Che dovesse provare solo commiserazione per quei falsi saggi? Che fossero tutti sacerdoti dell'ovvio?
Il solo pensiero era in qualche modo disgustoso: vi era qualcosa, nell'abbrutimento concettuale da lei perpetrato nei confronti di quella razza, che spingeva addirittura al ribrezzo verso se stessi più che verso i Centauri. Poteva lei, dal basso della sua inesperienza, negare la loro opera? E se avessero avuto ragione?
Si vergognò di se stessa per essersi arrogata il diritto di considerarsi superiore.
Poi si vergognò per i Centauri perchè si erano da tempo arrogati il diritto di considerarsi superiori.
Quanto c'entrava davvero la mediocrità? Come avvenivano le predizioni? Non si era piuttosto sempre trattato di Casi?
Il Professore teneva più in considerazione di lei la possibilità che le loro parole potessero anche essere vere. Ma che senso aveva?
Era disposta a cedere il passo al modesto, ma di fronte al superbo avrebbe alzato a sua volta la testa: era un ragionamento scaltro e opportunista, lo sapeva. Ma dopo l'immensa fatica e i numerosi studi per poter stringere nella mano una piccola misera fialetta di Polisucco, non aveva certo bisogno degli assilli timorosi di qualche vecchio.
Ah sì, sentiva nel suo corpo scorrere la fresca linfa di una vita in boccio, la stessa che pensa di poter conquistare il mondo con lo schiocco delle dita: sapeva quanto fosse sbagliato, ma l'improvviso senso di oppressione nel ritrovarsi in quella stanza soffocata dal calore del fuoco e dagli effluvi del the, avevano risollevato in lei il senso sopito della ribellione. Era poi così lontana dal giusto? Perchè non potevano essere le sue leggi a governare l'Universo? Sarebbero forse state meno valide di quelle del Professore, o del Centauro? Se lei avesse stabilito che la Polisucco non era pericolosa, non più di quanto potesse esserlo una matita appuntita o un pavimento bagnato, chi avrebbe potuto contraddirla? Forse che quelle cose a loro volta non possano diventare all'occorrenza temibili armi o insidie?
Dare o meno potere a una Profezia... Perchè anche solo porsi il Problema?


- Lei ha ragione, Professore -

Dirlo, che lo pensasse o meno, era sempre destabilizzante.
Levò lo sguardo su quel volto così vissuto, e vivo. Si rese conto che sottilmente cominciavano ad avvicinarsi al vero punto della questione. Il petto tremò, ma non si scompose. Solo ora capiva quanto realmente avesse bramato quel momento, ma non intendeva di certo darlo a vedere.


- Non è possibile che nei fatti i due mondi siano realmente separati. Ma ciò non toglie che l'intera discussione sia alquanto capziosa, su di un punto in particolare: la Profezia. Lei chiede se le Profezie esistano ed abbiano valore: ma se è vero che esse ne hanno solo nella misura nella quale noi stessi ne diamo potere, mi chiedo che senso abbia farne un'Arte. Se tutto ritorna sempre e comunque sull'Uomo, se basta non credere per evitare che quella particolare e possibile via del Destino si verifichi, che senso ha questa pratica? Se io ora le prospettassi per mezzo della logica ogni possibile sviluppo di una sua singola azione, non otterrei risultati identici o anche migliori? No, anzi, certamente migliori, poichè la Predizione sarebbe affidata al Caso, mentre l'Analisi ad uno studio ragionato. Lei prende in considerazione la possibilità che le parole dei Centauri possano anche essere vere, e mi chiede perchè creda che la Polisucco sia pericolosa: ma che essa possa esserlo non è poi così diverso dal prospettare che qualsiasi altra cosa possa esserlo. Non crede che certe asserzioni sian troppo comode e scontate? Dirmi che avrò bisogno di fortuna! Un discorso piuttosto vago, piuttosto...plasmabile, no? Forse che io non sappia che dietro ogni cosa si cela un rischio? Perchè aggiungere questa nota tragica e gratuita? Cosa ne sa quel Centauro di me?
Anche solo pensare di poter dare potere ad una Pofezia ha dell'assurdo.
La Polisucco... Alcuni potrebbero vederla come l'essenza dell'inganno, l'apoteosi del tradimento. Ma è anche e più basilarmente Trasformazione. Eppure cambiare la Forma e mantenere l'Anima è solo una trasformazione a metà.
Fortuna... Il concetto stesso di Fortuna è assai ambiguo. Cosa permette a quel Centauro di credersi superiore a me? Forse che io non possa arrivare alle sue stesse conclusioni? -


Aveva esagerato. Senza quasi accorgersene, il suo tono era diventato via via più arrogante, presuntuoso. Ebbe timore di aver offeso il Professore, ma quasi subito scoprì che non le importava. L'importante era capire.
Sfiorò il freddo vetro della fiala di cristallo. Avrebbe potuto già mostrarla al Professore, ma per una sorta di voglia di rivincita su quella pacatezza, aspettava che fosse lui a chiederglielo.

 
Top
view post Posted on 23/4/2012, 23:45
Avatar

Scopro Talenti, Risolvo Problemi

Group:
Preside
Posts:
11,786
Location:
Arda

Status:



Sotto l'attento e vigile sguardo della Morte, si dipanava il Mistero della Vita. Non poteva esserci paradosso più manifesto, meno nascosto, contrapposizione meno violenta, sanguinaria, e divina allo stesso tempo. E in una grande commedia, degna del più grande dei commediografi, o drammaturghi, i personaggi si alternavano, pur rimanendo, di colpo di scena, in colpo di scena, sbalordimento, timore, dolore, terrore, sorpresa, gaudio, ed ancora una volta nuovo genuino sincero sbalordimento. Un'eterna sinusoide, un andamento contrastato, un susseguirsi di minimi e massimi, una volatilità voluta, studiata a tavolino, ma nascosta da sottili artefizi, ove fossero i minimi, ove i massimi, era impossibile a dirsi. Quasi a voler stoicamente determinare l'indeterminabile, inesorabilmente ci si scontrava contro uno dei tanti Principi, non meno incisivo o ininfluente di altri. Non era possibile determinare ove fosse il punto critico, il flesso di quell'unica nobile e regale equazione, il verso quale fosse, una zona grigia, ove era assai probabile imbattersi in quel punto, o una serie di stessi, praticamente impossibili da rintracciare, prima che non fossero già inesorabilmente passati. Il pubblico assisteva stranito, affascinato, ingoiato, fagocitato in un nuovo antropofagismo di ritorno, in una morsa sempre più stretta, e stringente, le vie di fuga precluse da una rassegnazione masochista nell'inseguire l'Assoluto bisogno di sapere. Capire. Una volontà atavica, una colpa, un merito, tutto e nulla, il dettaglio più e meno notevole di un'intera esistenza. Sapevano e non sapevano. Non sapevano affatto. Come avrebbero potuto? Come, perchè, quando avrebbero potuto anticipare? Sapere?
Era un problema notevolissimo, erano troppo coinvolti, da non potersi più ritirare onorevolmente, come avrebbero potuto? Ritirarsi avrebbe assunto il sapore di una sconfitta, il significato di una grave perdita, orgoglio ferito, animo mortalmente colpito. Come ammetterlo? Confessarlo? Chi per primo? A chi? Quando? Come?
E cosa avrebbe pensato Morte di quelle vittime? Vittime di che? Di sè stessi. Loro stessi si erano creati, plasmati, innalzati alla gloria, ed abbattuti. E tutto in un solo istante, vittime di un Caso, di un Teatro, dell'irreprensibile ed irrefrenabile sete di conoscenza. Forse anche della loro coscienza, della scienza, e di altro ancora. Ma tutto quello era e rimaneva comunque un solo fugace istante di un qualcosa di più ampio, mentre Pensiero ancora in sè stesso si fingeva, adombrava, lusingava, e carcerava, tutto era già fluito più innanzi, era mutato, era rimasto uguale, ma era cambiato, radicalmente, superficialmente, o forse nulla di tutto quello? Che succedeva? Succedeva?
Che non stesse succedendo nulla?
A chi spettava allora dipanare quella strana matassa, che poteva anche non essere? Ma se non era, non era necessario nemmeno occuparsene, che senso poteva avere occuparsi di qualcosa che effettivamente non era? Come giustificarsi? Il Revisore che avrebbe detto? Il Superiore? Ed il Giudice? Un costo, che andava motivato, ma come fare? Documentare il non essere, in maniera credibile, così da passarlo, spacciarlo, fingerlo e travestirlo da Essere. Perchè l'Essere poteva essere giustificato, compreso, compianto, ma non il non essere. Cosa accadeva sotto gli occhi di tutti? Accadeva?
Era un tradimento, un basso e vile tradimento.
Un'ingiustizia, una bassezza, uno spergiuro, un atto assimilabile alla Ubris, ma che alla fin fine non lo era, non poteva esserlo. O forse lo era? Chi era la vittima? Chi era il carnefice? L'aguzzino? C'era? O erano tutte vittime? In quanta parte, in che misura? Lo erano davvero, o si spacciavano per tali per compiangersi, e commiserarsi? Sì, no? Era importante?
Erano lì, ad inseguire un'Utopia, nel pieno delle loro facoltà, a cercare un Senso, o forse il Senso di qualcosa, di tutto. Vita e Morte, riunite, in un terribile connubio, un coacervo infernale, di drammatica potenza, pronto ad esplodere, pronto al nulla, pronto a tutto. Cosa potevano rispetto ai Pesi Massimi? Rispetto al Tutto? Rispetto alle stesse idee di Essere e Non Essere? Chi poteva permettersi di esporsi? C'era qualcuno? Com'era possibile che vi fosse un elemento neutro? Chi o cosa poteva allo stesso tempo essere, e non essere? Quanto era accettabile come essenza? E se fosse stato, avrebbe solo creato un ulteriore dramma cui porre rimedio, che avrebbe roso gli animi, e le essenze. Poteva qualcosa o qualcuno allo stesso tempo non essere, e non non-essere? Una cosa per definizione doveva essere o non essere, Ipse l'aveva detto, fissato, stabilito per qualcosa che travalicava il senso stesso di Legge, di Divino.
Ed in tutto quello Destino e Profezie? Come potevano convivere a loro volta? L'uno escludeva l'altro. E se non lo facevano, erano. Che in fondo la giovane avesse ragione? E se lei l'aveva, era implicito lui non l'avesse. O da punti di vista diversi, entrambi avevano ragione? Potevano averne? Qualcuno ne aveva? Perchè aveva importanza averne. O forse no? Ne aveva? L'agognato "Ho ragione", aveva un valore unico nel tempo, non soggetto a cambio o inflazione, svalutazione, operazioni strane, la ragione la si aveva, certo, la si perdeva, ma non era un processo cumulativo nel tempo, era istantaneo, puntuale. Si aveva ragione nel dato istante, o non la si aveva. Non poteva essere una via di mezzo, o forse sì? I grandi Monoliti sacri erano ormai tutti incrinati, possibile dovesse finire così?
Perchè aldilà di qualsiasi ragionevole rassicurazione, se non aveva ragione, non l'aveva mai avuta.
Quanto era plausibile averla avuta, ed averla immancabilmente persa? Qual era stato il costo che aveva pagato? L'aveva persa. Qualcosa di capitale, non un dettaglio, una postilla, una chiosa qualunque... eppure, l'aveva persa, senza nemmeno saperlo, senza accorgersi. Possibile? L'aveva mai avuta? Com'era possibile? Più d'un secolo a cercare qualcosa, forte di un'unica consapevolezza, che forse mai c'era stata? Che era sempre stata solo apparenza?
Come sopravvivere a quell'onta?
Era vero? Si era consumato un terribile tradimento, alle sue spalle, sotto al suo naso, sotto al suo tetto, senza che sospettasse nulla. Com'era possibile? Il The gli aveva rallentato il cervello? O c'era dell'altro? Era la Polisucco l'apoteosi del Tradimento? O c'era davvero dell'altro? Era stato gabbato?
Impossibile.
Non era razionalmente possibile.
Altamente improbabile.
Eppure, era davvero impossibile?
Era davvero il più astuto e furbo di tutti?
Forse sì, forse no. Come poterne essere certi? Era impossibile. Com'era possibile che una semplice giovane dodicenne mettesse improvvisamente in crisi un sistema collaudato, sopravvissuto agli sconvolgimenti del Mondo, di un'Era, di decine di decadi. Una giovane, poi così semplice? Che sapesse? Che già lo sapesse? Quanto credeva alle coincidenze? E com'era possibile che così giovane vedesse più lungo di lui, meglio dei Centauri? Non era possibile. Che il Tradimento ancora non fosse stato consumato? Era ancora salvo, segreto, e sicuro? Che la soluzione ancora non fosse così palesemente a suo svantaggio? O che già l'avesse in pugno? Era andato oltre? Era tornato indietro? L'aveva o non l'aveva? Che razza di rapporto era quello? Era un rapporto? O una semplice puntualità, l'ennesimo punto di equilibrio di equazioni troppo complesse per essere determinate, comprese, e risolte? Variabili o costante? Che cosa andava fatto?

"Lei ha ragione, professore."

Aveva davvero vinto? Che l'avesse davvero quella maledetta ragione? Era un'ennesima vittoria di Pirro? Si stava consumando una crisi nera, il Governo era precipitato dal suo alto Seggio, che fine aveva fatto la maggioranza? Chi lo sosteneva? Galleggiava, sperava, confidava nella Sorte. Posticipava l'inevitabile. Aveva vinto? Aveva ragione? L'avesse o non l'avesse era a quel punto più essenziale della Vita stessa. Con che coraggio era stato insignito di quell'ultimo titolo, se non si era mostrato degno dei precedenti? Se non aveva mai avuto ragione, non c'era mai stata alcuna legittimazione, se non c'era stata, se non c'era mai stata, il problema era divenuto improvvisamente apocalittico. Come uscirne? Con che faccia? Messo alla berlina? Tradito? Se era stato tradito una volta, poteva risuccedere, il che pregiudicava quanto era stato, quanto sarebbe stato, e quanto era. Il culmine del Tradimento, l'Apoteosi della vergogna. Il Castello era stato assalito nella tenebra, devastato, assalito, dato alle fiamme...
Ed improvvisamente si riebbe.
Non tutto era perduto!
Nulla era mutato, un attimo era passato.
Le fiamme ancora crepitavano, quasi a voler essere un'ancora nel silenzio.
Tutto era in procinto di riprendere il corso naturale degli eventi...
Una risposta. Era in debito d'una risposta.
Che dire? Scoperchiare il vaso di Pandora?
In fondo, il problema era palese: chi doveva risposte a chi?
Sorrise, un sorriso sincero, onesto.
Il Governo era salvo.


Vede, la Profezia ha sì potere in proporzione a quanto gliene viene concesso, ma la Profezia è comunque una speculazione plausibile su quanto potrebbe accadere, se una serie di eventi si verificasse, un'Analisi logica andrebbe invece a considerare ogni presumibile eventualità, conscia comunque del fatto che sia impossibile considerare ogni eventualità. Le Profezie si intrecciano, ingabbiano la nostra realtà in una morsa, siamo tutti coinvolti nel gioco, non solo il diretto interessato. E' piuttosto difficile capire a chi sia destinata una Profezia, ed ancora più difficile da comprendere quando essa si verificherà, da quanto tempo prima abbia iniziato a lavorare, e quando avrà termine, con quali influssi. Ma è comunque una porta aperta sul futuro, su uno dei futuri possibili, il che capirà bene non essere poco, prevedere ciò che potrebbe capitare, è comunque qualcosa, no? Prospettare tutti gli scenari possibili, almeno a parer mio, è un'altra faccenda, diversamente complessa, che ha però altre finalità. Le Profezie sono rivolte all'Uomo, come specie, non all'uomo come individuo, una Profezia rivolta comunque a lei, potrebbe essere messa in moto da me, dal Ministero, da un pescatore indiano, senza che lei possa saperlo, o agire contro. Se fossimo a nostra volta isole chiuse, autarchiche, perfettamente ed assolutamente indipendenti le une dalle altre, probabilmente il suo ragionamento sarebbe vero, e troverebbe applicazione. Quanto la nostra Profezia sia legata al Caso, non lo so, ma non per questo la sottovaluto, capisce? Semplicemente ho a mia volta trovato l'equilibrio, la tengo in dovuta considerazione, pur non essendone succube, pur non vivendo in funzione di essa. Capisce? Il semplice fatto che non mi piaccia, o che non la capisca, non mi costringe ad ignorarla, o ritenerla priva di alcun fondamento. Le Profezie difficilmente voglion veramente dire quello che dicono, probabilmente c'è dell'altro che sino al momento giusto le sfuggirà...

Ed ecco, che inavvertitamente, come se pilotati, guidati per mano, dalla Sorte, del tutto casualmente si erano imbattuti nel nucleo primigenito dell'intero quadro d'insieme, nel nodo portante della Legge, nella sua stessa essenza. Vi si erano schiantati, andati inavvertitamente precipitosamente a sbattere. Ormai erano lì, innanzi all'alto soglio, non potevano scappare, inventare ed accampare le più svariate delle scuse. In fondo tutto era nato solo per quello, un dettaglio, l'ennesima postilla, l'appendice di un'altra, ed un'altra ancora, in una lunghissima successione si subordinazioni, coordinate, principali, un inseguirsi pindarico, leonardesco. Sfumati che sfumavano in miriadi di diverse sfumature, sfumava l'essenza stessa dello sfumato, quasi da lasciar solo una debole traccia, un segno, quasi un monito allo spavaldo avventuriero. Erano passati di lì, qualcosa era stato, ma non era più. Scolorito, sfumato, andato perso per sempre. Ma qualcosa non poteva esserlo, quello era il problema contro cui si erano scagliate le ire dell'artista. Il Genio, che però aveva infine compreso la genialità stessa insita nella scoperta. Tutto poteva essere sfumato, salvo una cosa, la più importante di tutte. Ed era lì, che per ironia del Fato, si erano incagliati, quasi imbattuti.
Il Silenzio minacciava nuovamente di occupare la scena, l'Uomo doveva spezzarne le catene, vincerne la spossatezza, era tempo di Atti eroici? Lo fosse o non lo fosse, andava tentato. Erano ad un passo dall'essenza dell'essenziale, la Chiave di Volta di tutto, ciò che era stato, e ciò che sarebbe venuto. Come tacere? Era un silenzio troppo pesante per essere sopportato, umanamente accettato, e spavaldamente sostenuto.
Lo sguardo dai recessi dell'ombre si faceva più magnetico, la Morte più vicina e partecipe, le fiamme in quieta attesa, il grande respiro, prima della tempesta. Una rincorsa, il prepararsi disperato all'inevitabile?
Si trattava di sputare il rospo, semplicemente.


Esattamente, signorina, credo che forse inavvertitamente abbia sfiorato il più grande dei problemi della Polisucco. La pozione è Trasformazione, muta l'aspetto, la forma, ma non l'anima. Non so se l'è capitato di imbattersi in alcuni querelle di indubbio fascino sul mutare e mutarsi dell'Anima, la Magia può molto, forse quasi tutto, ma ogni Trasformazione ha un prezzo, un pegno...

Più si vuole, più si deve pagare.
Più si deve essere disposti a farlo.

La Magia vive di equilibrio, non molti lo considerano, ma non per questo non è importante, capisce? Un uso sbagliato di quella Pozione potrebbe avere effetti oltre ogni previsione, imprevedibili, terribili, non tanto sulla Forma, quanto sul resto. Vede, il fatto che i dettagli siano per l'appunto dettagli, e quindi non degni dell'attenzione del grande pubblico, per tutta una serie anche ragionevole di ragioni, non li rende automaticamente inutili, e privi d'importanza. Trafficare con strumenti potenti, e potenzialmente terribili, come la Magia, ignorandone i dettagli, e le regole più importanti, è qualcosa di estremamente pericoloso. Ignorare qualcosa, non ci difende dalle conseguenze di quanto provochiamo... Intende?
Non credo Fiorenzo volesse mostrarsi superiore, credo sia più plausibile la volesse aiutare, sapendo qualcosa di diverso dallo scibile di un Uomo. Per quanto possa essere d'accordo con lei nel constatare di come questa "Fortuna" non voglia dir molto, potrebbe invece dirne. Affermare qualcosa di banale il più delle volte è idiozia, ma talvolta è anche un rafforzativo, un augurio, un modo educato per suggerire, per seminare qualcosa, che a tempo debito, magari, avrà la sua importanza.
Come le dicevo, ci son già passato a mia volta...


Ci era già passato.
Spossato infine tacque, mentre il Tutto tornava alla normalità.
Ci era già passato, incredibile a dirsi, terribile a farsi.
Il potere di una Profezia era stato risvegliato?
Solo di una?
Tutto era stato infine svelato?
O altro covava nell'ombra?
Morte sapeva.
Sine dubiis.





Via, 13 mesi, 13 minuti, 13 ore...un battito di ciglia!
La revisione con comodo...
Non vorrà farmi fare gli straordinari?!



In realtà l'originale prevedeva 5 parole per il I parlato.
E ben 7 per il II, ma forse era troppo... :shifty:
 
Top
11 replies since 24/3/2011, 13:06   260 views
  Share