"...Lo so..."
"...Lo so..."
"...Lo so..."
...
Doveva immaginarlo, col senno di poi. Era impossibile che Mya fosse scappata ogni volta per semplice fastidio o antipatia: anche il signore meno generoso alla fine concede i soldi al mendicante che lo perseguita, se non per reale pietà, almeno per fastidio.
Lei no.
Continuava a scappare, ad evitare gli argomenti più spiacevoli, a dare non-risposte alle sue tacite, ma non per questo meno insistenti, domande. C'erano state molte cose non dette, altre dette ma mai capite, altre ancora fraintese, storpiate, distorte dal caso o dalla Paura.
La Paura... Paura di cosa, dopotutto? Dell'irrimediabile? Dello sconosciuto? Del buio? No, era qualcos'altro.
Paura della Verità.
Una Verità scomoda, come aveva appena detto la ragazza, una Verità fastidiosa, dolorosa, incomprensibile, imbarazzante, pesante, e con un bisogno tremendo di essere affermata. Era une bestia troppo grande per essere nascosta, il solo fatto che non parlassero esplicitamente della sua esistenza non voleva dire che effettivamente non esistesse. Era sempre stata lì, a corrodere le sbarre della sua gabbia, il Silenzio, nell'attesa di uscire...
E per quanto non ne parlassero, anche loro sapevano che esisteva. O non ne avrebbero avuto Paura. E la Paura era il lucchetto della Verità...
Sorrise.
Avevano sbagliato tutto. Aveva, sbagliato tutto. Erano bastati pochi minuti a rovinargli, e forse rovinarle, due anni interi... E adesso era il momento di rimediare tutto. Si passò la lingua sulle labbra troppo secche e si alzò in ginocchio, spingendosi sulle mani e bagnando ulteriormente le maniche della giacca, quindì fece una breve rotazione per trovarsi proprio di fronte alla ragazza. Vide la fettuccia rossa penzolante, ma ci mise qualche attimo a capire cosa realmente signficasse. Guardò nuovamente lo sguardò deciso della ragazza, sorrise stupidamente ancora una volta e si tolse la giacca buttandola dietro di se, nella neve fresca. Il pesante indumento atterrò con un tonfo sordo che il ragazzo, impegnato a slegare dalla propria spalla una benda di un colore leggermente più scuro di quella della ragazza, non sentì. Faceva freddo, terribilmente freddo, una sola maglietta non l'avrebbe di certo riparato da una polmonite cronica, ma sentiva che alzandosi per andare a riprendere la giacca avrebbe distrutto la sacralità del momento. Prese la benda e ne legò un capo al proprio polso destro, legando l'altro con un nodo a otto alla fasciatura della ragazza, per poi sbuffare divertito da quel ponte di stoffa. Si immaginò una sottile linea di energia che univa il suo polso a quello di Mya, passando per la stoffa purpurea e per il semplice nodo... Era un ponte, un ponte per le parole, per le loro sensazioni. Sentiva i pensieri annodarsi fra loro come il nodo a otto delle bende, e improvvisamente non ricordò più nulla del discorso che aveva progettato nei minuti precedenti. La scelta delle parole sarebbe stata essenziale, tuttavia in quello stato poteva ben poco, con la mente annebbiata e le labbra continuamente secche. Non potè fare altro che dire la prima cosa che gli venne in mente.
"Scusami."
E sarebbe bastato, se non avesse aspettato venticinque mesi per dirlo. Ma aveva atteso inutilmente e l'aveva fatta aspettare, non poteva di certo cavarsela in quel modo. Ma oramai la gabbia del Silenzio era andata distrutta: la Verità correva a briglia sciolta. Attese qualche attimo prima di riprendere a parlare, per riportare ordine tra le idee, tra le parole che gli si attaccavano alla lingua dopo essere fuoriuscite dal ventre della bestia.
"Scusami, perché ho atteso anche troppo per parlare, e cosa peggiore, me ne sono accorto solo un anno fa.
Dodici mesi di ritardo per capire cosa andava detto, e altri dodici mesi per capire come dirlo..."
Tirò su col naso. In realtà si aspettava di restare lucido, almeno fino a metà del discorso, ma le emozioni, impetuose, lo travolgevano, lo schiaffeggiavano, lo trasportavano a lroo discrezione nei recessi della sua mente. Vide un Random di due anni più giovane accanto ad un Gargoyle di pietra, la bacchetta puntata verso una coppia di giovani. Fra questi, un porcospino indistinto, e Mya. Strinse i denti e contrasse la mascella fino a farsi venire male alle gengive mentre abbassava lo sguardo. Ancora una volta, non ce la faceva.
"...ma alla fine ci sono arrivato, vedi?"
Sorrise amaramente, e passarono attimi di silenzio. Un osservatore esterno avrebbe pensato che Random trovava la neve ai piedi di Mya tremendamente interessante, tanto il suo sguardo era fisso su essa. Passarono attimi di silenzio, poi Random imprecò.
"Ahah... Due anni, ****... Due anni per capire quanto sono stato egoista, stupido, schifoso, bugiardo... Ahah!
Sono decisamente in ritardo, che ne dici? "
Rise di nuovo. Non capiva perché lo faceva, forse era l'alcool, forse aveva bisogno di sdrammatizzare, forse stava diventando pazzo... L'ultima delle ipotesi sembrava la più appropriata, si.
Era un pazzo. Non c'era altra spiegazione. Nessuno con un briciolo di buonsenso avrebbe continuato a farsi trascinare dalla Follia delle emozioni in quel modo. Tacque per qualche istante, sempre col volto basso, e smise di ridere. La sua voce divenne improvvisamente seria, spenta.
"Due anni... Ricordi cosa successe due anni fa, Mya? Ricordi di quel... verme, che ti si presentò davanti nel corridoio Ovest del Terzo Piano, in una mattina piovosa? L'anno era appena iniziato.
Quella persona ti insultò, sprezzante, ti cercò di inculcare nella mente delle bugie, cercò di trascinarti con se nel buio della sua vita..."
Sentiva ogni parola di quello che diceva come da dietro a un muro, sentiva quanto suonasse idiota tutto quello che diceva. Vedeva quanto facesse pena, piegato sulle ginocchia di fronte a quella ragazza, incapace di guardarle il volto. Così come era incapace di guardare in faccia alla Realtà, che lo strattonava prepotentemente.
"... si comportò così, Mya, perché non ti vedeva realmente. Percepiva che eri... speciale. Ancora non so dire come ti sentì... come ti sentii, quella mattina. Ti invidiai, questo è certo: brillavi in un modo che non mi pareva possibile, tanto ero convinto che il buio fosse l'unica via. Cieco, non capivo che non avevo niente in più di te, che il buio dentro me non era altro che vuoto, e ti assalii, come un cane randagio in cerca di cibo, cercai inutilmente di spengere la luce che proveniva da te."
Annuì, più a se stesso che a Mya, e con uno sforzo di volontà incredibile riuscì a riprendere il controllo sul proprio corpo, e alzò lo sguardo sul viso di Mya. La ragazza potè vedere chiaramente il suo sguardo tranquillo, le sue labbra costrette in un sorriso, e il ragazzo si accorse improvvisamente di star stringendo convulsamente il nodo tra le due bende. Passarono altri attimi di silenzio, e Random pensò a quanto quelle pause fossero importanti, a come permettessero a entrambi di pensare a ciò che stava dicendo. Lasciò passare ancora qualche attimo, strinse più forte il nodo, e infine proseguì.
"Dopo quel giorno passai ancora un mese in quello stato. Ero furioso, sai? Non capivo come facevi a restare impassibile alle mie parole, quando normalmente saresti dovuta crollare. Passarono esattamente ventisette giorni, li contai. Prima di addormentarmi, il ventisettesimo giorno, capii perché non mi avevi considerato, capii perché le mie parole non avevano avuto nessun effetto, su di te."
Sentì il nodo allentarsi sotto la sua stretta, ma non lo lasciò e anzi prese a stringere più forte, per evitare che quei due segmenti di benda si staccassero. Il loro valore simbolico era più che chiaro, lasciarli andare sarebbe equivalso al non dare importanza a quello che veniva detto. Era dunque implicito che fino a che l'ultima parola non si fosse spenta nell'aria, quelle due estremità sarebbero rimaste unite.
"Ero vuoto. Non ero nessuno, in pratica. Che potere potevo avere su di te, così radiosa, così... risoluta? Quella sera stessa decisi che ti avrei capito, ti avrei condizionato, e che saresti stata... mia.
Ma ancora non riuscivo a vederti, non riuscivo a capire i disegni di un quadro molto più grande
Dovetti passare un'estate a pensare, prima di capire che non solo ero stato vuoto, ma che avevo sbagliato tutto. Che fin dal primo momento avevo voluto qualcosa di te, avevo voluto la tua luce, e che non avevo capito nulla di come fare ad averla, e che grazie alla mia stupidità probabilmente non l'avrei mai neppure sfiorata, visto come ti avevo trattato. Decisi che dovevo cambiare, e a esattamente un anno dal nostro primo incontro, provai a chiederti scusa. Sto parlando del Giappone, forse l'avrai capito."
Quel minuto passato a tener testa al suo sguardo l'aveva sfiancato: i suoi occhi tornarono ad osservare prima la manica destra del giacchetto della ragazza, poi la neve. Si sentiva stranamente vuoto, ora che tutta la verità stava cominciand a defluire verso l'esterno, e si chiese cosa sarebbe rimasto, alla fine.
"Quando capii realmente il danno che avevo fatto quella mattina... Pensai di impazzire. Ero sicuro che mi odiavi, e probabilmente non ero troppo lontano dalla realtà, mh? Arrivai a farmi colpire per proteggerti, per farti capire ciò che però non avresti mai capito, se avessi continuato con stupidi gesti come quello. Mi accorsi che ogni ora che passavo a pensare capivo un pò di più su quello che era successo, e comprendevo quello che avrei dovuto fare per ricucire lo strappo dell'anno precedente. Arrivai a trascurare la scuola per continuare a pensare, poi gli incarichi di Prefetto... Fino a che non entrasti in squadra, perlomeno. Da allora non ebbi bisogno di pensare: ogni volta che ti guardavo volare era una rivelazione... Ma ancora una volta, sentivo di star osservando solo pochi pezzi di un puzzle troppo grande. Per me eri un mondo inesplorato, Mya: talvolta ti vedevo quasi amichevole, altre volte nervosa, stizzita. Capii, ancora una volta, che stavo sottovalutando quanto successo l'anno prima, che il ricordo di quella mattina sarebbe restato sempre, e comunque. Passai un anno nell'incapacità di parlarti, poi, all'inizio di quest'anno..."
Aveva la gola talmente secca che temeva di sentirsela sgretolare, come terra lasciata al sole per troppo tempo. Deglutì a vuoto e si morse il labbro inferiore, prendendosi qualche attimo di pausa. Ricominciò con un sospiro, e riportò lo sguardo sul viso di lei.
"...all'inizio di quest'anno vi fu la festa di inizio campionato. E lì cercai di redimermi, di strapparti la rabbia e l'odio per i miei gesti. Per quello mi feci colpire. Alla fine non avrei saputo dire se le cose erano migliorate o peggiorate, ma melo chiaristi tu, dopo la partita contro il Grifondoro: eravamo al "Vuoto".
E io che, dopo tutti quegli sforzi, pensavo di essere già un bel passo avanti! Ancora una volta, non avevo capito nulla, avevo sottovalutato di nuovo l'entità dei miei sbagli. A quel punto ho cominciato a chiedermi perché continuassi a insistere, cosa fosse a spingermi realmente a volere la tua luce, e in che cosa consistesse, appunto, questa luce."
Abbassò di nuovo la testa, prese fiato, e la rialzò di qualche grado, senza però rivelare tutta la propria faccia alla ragazza. Dietro di lui, la luna si rivelò di nuovo, illuminando la scena e il viso di Mya.
"Alla seconda domanda ho risposto la settimana scorsa. Volevo essere semplicemente perdonato, Mya, essere perdonato per averti trattato in quel modo, quella mattina. Per aver compromesso la mia vita, fino ad oggi, per averti insultata. Ho capito che per due anni avevo cercato solo la tua comprensione, la tua comprensione per un periodo particolarmente sbagliato della mia vita, per quel singolo errore che ha dato vita a tutto. Poco meno di un'ora fa ho capito anche che era impossibile che riuscissi ad ottenere la tua Comprensione, il tuo Perdono, fino a che non ti avessi dimostrato in maniera tangibile che è possibile cambiare, e che da quella mattina di due anni fa, ho fatto di tutto per riuscire in questo, per cambiare, per essere degno della tua Luce.
...
Ma restava ancora una domanda."
Sorrise e alzò definitivamente la faccia. Ora era un sorriso molto più calmo, totalmente differente da quello forzato di pochi minuti prima. Si sentiva liberato, leggero, privo di un peso che aveva sopportato per troppo tempo. Aveva rivelato tutto, tutto sin da quella mattina piovosa, fino all'ora prima. Eppure aveva tralasciato qualcosa. Sorrise di più nel comprenderlo, improvvisamente, piacevolmente. Era una seconda liberazione, una tale sensazione di definitivo da farlo rabbrividire (anche se poteva sempre trattarsi del freddo, che tuttavia non aveva avvertito minimamente fino a quell'istante).
"Solo un'altra domanda, e una risposta talmente ovvia da far ridere. E tutto così... non so, proprio adesso mi mancano le parole. Già... Perché ho fatto tutto questo, Mya? Ci ho pensato solamente un'ora fa.
E l'ho capito solo ora..."
Ora fu certo di tremare, e non solo per il freddo. Diede un ultimo sguardo alla luna e la trovò, simile a un sorriso nel cielo notturno, chiara come mai negli ultimi mesi. Rise, e riportò lo sguardo sulla ragazza, stringendo ancora più forte il nodo. Non poteva slacciarsi. Non proprio ora. Chiuse gli occhi e scosse la testa, sbuffando.
"Un percorso di due anni per arrivare a questo. Non fa ridere? Fin dal principio, era così ovvio che ti amassi, Mya."
Lo disse con quanta più naturalezza possibile, e sorrise di nuovo, guardandola. La luna, incontrato uno spiazzo di cielo libero dalle nuvole, parve splendere come non mai mentre l'ultima goccia di Verità cadeva dalle labbra del ragazzo. Era libero, ora.