~Il Richiamo del Vento, [Privata]

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view post Posted on 24/5/2012, 18:20
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Come da titolo, ho fatto richiesta in Sala Comune a Paul per l'accompagnamento ad Hogsmeade, non vorrei che qualcuno fraintendesse e pensasse che sono solo soletto. :fru:


Il tempo aveva deciso di graziarlo, quel giorno di maggio. Una piacevole brezza fresca, cielo sgombro, un sole non troppo caldo e una quantità minima di polline nell'aria, strano ma vero. Horus si era svegliato di buon'umore quella mattina, pregustando un'uscita diversa dal solito via vai del weekend per Diagon Alley, una passeggiata che spezzava l'aria pesante del Castello.
Tra sé e sé, mentre faceva colazione in Sala Grande, il ragazzo non si capacitava della botta di fortuna che aveva avuto la sera precedente nell'incontrare Paul nel dormitorio. Non che fosse così strano, visto che condividevano la stessa stanza, ma siccome Horus era solito ritirarsi prima degli altri non ci aveva mai fatto caso, scarso era l'interesse.
Una parte di sé si sentiva a disagio, approfittandosene così senza ritegno, ma del resto Paul era un Prefetto, faceva parte dei suoi doveri.
Alzando lo sguardo, nel caos giornaliero dello scambio della posta, intravide la sua bella civetta planare sul tavolo dei Prefetti e consegnare al ragazzo l'orario per la partenza. Horus aveva provveduto a controllare il regolamento nella Bacheca, e non c'erano molte alternative.
Ore 17 partenza - rientro per le ore 18. Un'ora di svago. Poco male, si era detto, sarebbe bastato per staccare dall'apatia che lo stava cogliendo. E poi, finalmente, poteva vestirsi un po' come meglio preferiva. Eccitato all'idea, prese d'assalto la sua fetta di pane tostato spalmandoci sopra una notevole quantità di marmellata alle arance. Amare, naturalmente.

~~~ Ore 17:13~~~



L'aria tiepida scompigliava i capelli dei due studenti che si apprestavano ad oltrepassare i cancelli di Hogwarts. Horus osservava il paesaggio di fronte a loro con gli occhi che brillavano: un lungo sentiero conduceva dalla scuola al villaggio di Hogsmeade. Fin dal momento in cui aveva deciso di visitarlo, Horus si era informato su alcuni fatti riguardanti quel curioso centro abitato, prontamente riferiti da sua madre che era stata la prima a consigliare al ragazzo di passare di lì, non appena fosse stato libero. Unica cittadina abitata solo da popolazione Magica, fu fondata ai tempi in cui venne fondata Hogwarts stessa e Horus non vedeva l'ora di rimirare quelle piccole stradine e quelle case dai curiosi tetti di paglia vecchio stile, adocchiati al volo soltanto il primo giorno, al suo arrivo alla stazione. Giunti ad High Street la via principale, tra una chiacchiera e l'altra (su argomenti decisamente leggeri, ma meglio del silenzio erano) con il suo compagno, il ragazzo osservò con entusiasmo quanti negozi erano presenti, alla luce del giorno. Si fermò all'inizio della strada, alzò le braccia e si stiracchiò. Stare all'aria aperta lo metteva di buon umore, tanto più se doveva andare in avanscoperta in quel piacevole villaggio. Ma, da dove cominciare? Girando la testa poteva vedere un'infinità di luoghi, sebbene non ne conoscesse di nome neanche uno (complice una madre smemorata e una cartina dell'anteguerra).
Si girò dunque verso Paul, con un bel sorriso stampato in volto, incapace di dar freno al suo buon umore.


- Bene, siamo arrivati no? Ed ora? Tu hai qualche commissione da fare? -

Una parte di lui sperava che il ragazzo avesse qualcosa da fare, così da non aver esagerato col disturbo e da poter giustificare la sua richiesta improvvisa per quell'uscita. Mentre aspettava che Paul decidesse sul da farsi, Horus lasciò vagare lo sguardo qui e là, incuriosito da ogni movimento.
Per quanto poteva crescere, questo suo lato di immensa curiosità verso il mondo esterno, non poteva mai diminuire. Chiuso come un piccolo uccellino in una gabbia di cristallo, prima a casa e poi a scuola, quei piccoli assaggi di libertà avevano sempre avuto un valore enorme per lui, come un Volo.


horusoutfit1
[Sì, ci sono fissato con gli outfit e devo precisarli; è importante anche il modo di vestire per delineare Horus, tzè]
 
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view post Posted on 28/5/2012, 18:10
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Una colazione tranquilla, adornata dall'immancabile cioccolato, presto avrebbe lasciato il posto ad una giornata movimentata, all'insegna dell'amore fra Concasati. Giusto la sera prima aveva accettato, per quanto non amasse particolarmente le uscite futili, di accompagnare un primino, suo compagno di dormitorio, in viaggio ad Hogsmeade.
L'essere Prefetto faceva da pretesto in quella circostanza, ma non negava di aver sperato che potesse evolversi in un'occasione per la quale valeva la pena mobilitarsi. Conoscere nuovi componenti della sua stessa Casata, ed approfittarne per spendere qualche minuto negli interessanti negozi che affollavano le vie della cittadina, erano quelli gli unici interessi che potevano renderla una giornata proficua.
In quel momento, seduto al tavolo dei Prefetti imbandito per la colazione, attendeva con non eccessiva ansia il messaggio che riportasse l'orario dell'incontro. Intento ad addentare una ciambella farcita al cioccolato, non ebbe modo di prevedere l'arrivo di una candida civetta diretta presso il suo posto a tavola. Estasiato dall'esplosione di sapori che coinvolgeva il suo palato, qualche secondo dovette trascorrere prima che si accorgesse del pennuto che, poggiato su di una pila di tovaglioli, attendeva paziente con uno stralcio di pergamena nel becco.

Aires! Ma...
... era Aires? Probabilmente, e a giudicare dall'indifferenza che l'animaletto gli mostrò, non si trattava della sua civetta. La mano corse a recuperare il biglietto che gli era stato recapitato, e uno sguardo fugace lo mise al corrente del suo breve e conciso contenuto:
Partenza alle ore 17.
Un orario azzeccato, che gli avrebbe permesso di non mancare ad altri suoi impegni. Liberatosi anche di quella preoccupazione, allungò la mano, ora tendente qualche chicco di cereale, in direzione della civetta. Attese ch'ella beccasse quel piccolo segno di ringraziamento, e proseguì soddisfatto la sua colazione.

[...]

Avanzavano a passo composto, sotto un tiepido sole primaverile, per i viali arzigogolati di quell'insolito agglomerato di case e negozi. La sensazione di libertà che scaturiva dalla consapevolezza di star calcando le strade di un paesino abitato da soli Maghi era ineguagliabile. Potevano discutere in completa tranquillità di argomenti all'ordine del giorno, e mostrare interesse per articoli magici presenti in qualche vetrina, senza dover prima guardarsi intorno circospetti.
Hogsmeade era identica rispetto all'ultima volta che ne aveva attraversato le strade... due giorni prima.
Aveva dovuto abituarsi all'idea di raggiungerla quasi tutti i giorni, in occasione dei suoi periodi lavorativi nel negozio di Safarà. Tuttavia, quel pomeriggio poteva ammirarne le varie sfaccettature con occhi diversi... gli occhi di un amico.
Non potè fare a meno di notare come la storia si fosse ripetuta: circa un anno prima, un ragazzino marciava allegramente per la città scortato dalla sua neo-amica, ignaro del fatto che in un futuro non troppo lontano si sarebbe ritrovato a rivivere quella scena, da una diversa visuale.
Stava ripercorrendo, senza darci peso, i passi dei suoi rapporti affettivi, impersonando ora un ruolo differente.
Allontanò immediatamente quei pensieri dalla mente, conscio del patto che aveva stretto con se stesso, e posò lo sguardo sull'innocente figura del suo compagno. Animato da visibile contentezza, emanava un'aura insolita, che difficilmente percepiva con altri suoi simili.
Continuarono a camminare per un breve tratto, per poi interrompere l'andazzo e decidere il da farsi.

Se ho da fare? Beh, di sicuro qualcosa che mi tenga impegnato la troverò... non resta che cercarla.
Concluse la frase voltando il capo per guardarsi intorno, cercando con la vista qualche bottega che potesse attrarlo particolarmente. Passò in rassegna le varie vetrine ed insegne, ormai tutte conosciute, soffermandosi di tanto in tanto su quelle che gli suscitavano maggior interesse.
Aguzzò la vista in direzione del negozio di BiblioMagic, convinto nel volerlo escludere per evitare un incontro ravvicinato con Mary, ma si accorse di qualcosa che non quadrava...
In prossimità del bancone, fra i libri che facevano da sfondo alla scena, una chioma arancione risaltava più di tutte. Una figura solare, riconoscibile a miglia di distanza, svolgeva tranquillamente la sua attività intrattenendo un cliente. Un normale garzone, avrebbe pensato chiunque, ma lui sapeva fin troppo bene a chi associare quel volto.

Come non detto... dovrei fare un salto da BiblioMagic. Resta qui se vuoi, ma non allontanarti assolutamente. Sarò di ritorno fra una quindicina di minuti.
Senza attendere oltre, o motivare la sua fretta, si incamminò risoluto verso il negozio... deciso a capirne qualcosa, una volta per tutte.

 
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view post Posted on 4/6/2012, 00:16
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Seduta sugli scalini della torre di divinazione, la giovane tassorosso continuava a rigirarsi fra le dita quel piccolo e consunto pezzo di carta.
Ingiallito nel mezzo, stracciato sui bordi.
*Cosa vuoi dirmi istinto? Perchè non comunichiamo mai bene io e te?*
Quell'istinto irrefrenabile, sconsiderato, quasi infantile che l'aveva portata, appena due settimane prima, a compiere un simile ed efferato gesto. Strappare un lembo di un nobile libro. Lei.
Lei che amava i libri in ogni loro parte, dalle copertine all'odore, dalla rilegatura ai caratteri. Tutto.
Eppure quel piccolo pezzo di carta non sembrava volerle dire nulla.
Se lo rigirò un'altra volta tra le mani, osservandone il lato più chiaro. Lettere e parole che si spezzavano a metà, proprio quando il loro insieme iniziava ad avere un senso. Sembravano le indicazioni per un qualche tipo di incanto, forse appunti o magia sperimentale. Ma se era un indizio dove era la fonte? Era come un fiume rinfrescante che scorreva nel cielo. Lo vedeva, ne avvertiva i zampilli d'acqua, ma non poteva avvicinarsi in alcun modo per abbeverarsi.
Accartocciò il pezzo di carta e lo lasciò cadere due gradini più in basso di quello dove lei era seduta. Poi sfinita e delusa si poggiò al muro, di spalle, la testa batté tre volte sulla roccia prima di calmarsi.
Erano giorni che non faceva altro. Satura e scontenta.
Stava perdendo tempo, ecco quale era l'unica risposta. La sua Ricerca, dalla priorità assoluta, era passata in secondo piano, a causa di quello stupidissimo e logoro pezzo di carta. L'istinto sbagliava, poteva capitare. Era capitato.
Troppi pensieri.
- Quelle due persone sul ponte non avevano nulla a che fare con la sua Ossessione,
- quel brivido nel cuore era solo freddo,
- quel libro era solo un ricettario.

*Uff...* sbuffò riaprendo gli occhi ed osservando in alto, le guglie dell'alta torre. Era nella gabbia da troppi giorni, l'aria chiusa e mefitica, e la pietra soffocante la stavano facendo impazzire. Si passò una mano sulle tempie, cercando di ridestarsi e raccolse nuovamente il cartoccio da terra.

Una ventina di minuti dopo il suo corpo tanto umano e tanto pesante aveva lasciato il passo ad un più agile e snello falchetto castano. Dopo lo slancio dalla torre le ali avevano le avevano quasi fatto male, a causa dei giorni di atrofia perpetua.
Ma poco era bastato che aveva riguadagnato il suo posto.
Planando con maestria era arrivata nei pressi del villaggio di Hogsmeade, luogo che non visitava da parecchi mesi. L'ultima volta che l'aveva visto, le strade e le case erano vestite di bianco e il freddo vento tirava in ogni vicolo. A due passi dall'estate invece, l'atmosfera era molto diversa, più viva.
Negozi, locali ed interessanti botteghe si affacciavano allegri sulle vie principali. Ma alla giovane tassorosso poco interessavano.
C'era un solo luogo che aveva Bisogno di rivedere. Da sola.
Curvò leggermente a sinistra, portandosi verso un gruppo di case dai tetti più alti e spioventi, che lasciavano un piccolo spiraglio nel mezzo. Un vicoletto secondario, più in ombra rispetto alla zona commerciale.
Ed oltre quei tetti una piccola chioma violacea faceva infine la sua comparsa.
A quella vista, il cuore le si strinse ed un grido felice uscì inconsciamente dal suo becco.


Piccola descrizione di cosa si trova in fondo al vicolo:
Dal role : Due passi in libertà (di Mya e Jè )

Alcuni passi ancora e le case terminarono in un'unica costruzione, al centro della stradina si ergeva un piccolo archetto in pietra, rudimentale e in rovina. Sui lati alcune pietre era saltate via e avevano trovato posto in terra, mentre le restanti erano state quasi del tutto avvolte da piante rampicanti dai bellissimi fiori color lilla.
Mya per un attimo si dimenticò di respirare, ma sapeva che oltre quell'arco c'era qualcosa di ancor più magnifico. Senza pensare all'eventualità di pericoli o altro, afferrò la mano di Jessica e la condusse oltre il limitare di pietra.
Ciò che celava quella piccola stradina era un luogo d'indescrivibile bellezza, nascosto agli occhi dei molti che presi dalla fretta e dagli impegni l'avevano ignorato. Aveva la forma di una piccola arena, circondata da alti arbusti e da una boscaglia fitta, l'erba del prato era abbastanza alta e perfettamente mantenuta, segno che nessun piede ultimamente l'aveva calpestata.
Mosse alcuni passi avvicinandosi allo spiazzo in pietra che si trovava al centro esatto dell'arena, un mattonato regolare lo ricopriva interamente e sopra di esso erano state posizionate alcune panchette in legno scuro. Ma ciò che aveva rapito l'occhio della tassina era l'esile alberello che spuntava dal centro della piazzetta, elegantemente racchiuso in un'aiuola. La sua chioma era completamente in fiore ed ogni rametto ospitava piccoli e morbidissimi petali viola, della stessa tonalità dei suoi occhi.
 
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view post Posted on 5/6/2012, 22:30
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Il senso di colpa che Horus sentiva per l'aver trascinato Paul fino ad Hogsmeade per un suo capriccio, cominciò ad alleviarsi.
Stranamente, il ragazzo si era mostrato ancor più disponibile di quanto si aspettasse, e la sua risposta l'aveva tirato maggiormente su d'umore. Annuì con la testa e si incamminò avanti, guardando curioso in giro. Botteghe mai viste si estendevano lungo la via, persone indaffarate passeggiavano tranquille; quell'aria di tranquillità era rilassante, ma forse, non lo era fin troppo?
Horus sospirò; in realtà Hogsmeade era solo una scusa, un espediente per uscire dalla monotonia. Ma cosa si aspettava in realtà? Una botta di vita nel giro di un'ora?
Il ragazzo scosse la testa, non doveva pensarci, si era svegliato di buon umore e il suo pessimismo, per una volta, non doveva affliggerlo. Doveva cambiare aria, tutto qui. Sentirsi libero, o quasi, per una volta.


-[...]...BiblioMagic. Resta qui se vuoi, ma non allontanarti assolutamente. Sarò di ritorno fra una quindicina di minuti. -

- Uh...? - Horus, preso alla sprovvista mentre era perso nei suoi pensieri, si voltò verso il Prefetto, rimasto poco più indietro di lui, e con lo sguardo puntato verso un negozio.
Incuriosito, il Tasso guardò nella stessa direzione di Paul, scoprendo, con sua somma gioia, il presunto "Bibliomagic" che, senza dubbio, sembrava essere una libreria. E anche di discrete dimensioni, tra l'altro. Gli occhi grigi del giovane s'illuminarono, come del resto, ogni volta che si trovava davanti a dei libri.


- Oh! Penso che ti seg...-

Un richiamo acuto, familiare, malinconico, lo interruppe, costringendolo ad alzare il volto alla ricerca di quella voce. Il cuore accelerò i suoi battiti, mentre la sensazione di un déjà vu si impossesava di lui.
Una piccola figura, rapida, sfrecciò sopra la sua testa, infilandosi in un vicolo semi-nascosto lì vicino, a qualche passo dal lui.
Senza neanche pensarci due volte, Horus girò sui tacchi e si mise a correre, inseguendo il proprietario di quella voce.


- Come non detto! Ti aspetto qui diet... - Senza voltarsi indietro, il ragazzo avvertì il compagno, lasciando che la voce si spegnesse nella corsa. In quel momento, Horus non aveva neanche fatto caso se Paul avesse sentito o meno, se fosse già entrato nella libreria o se l'avesse visto correre via.
Non gli importava nulla, se non seguire quel richiamo.
Una parte di lui, una coscienza nascosta in qualche remoto angolino della mente, lo rimproverò: del resto il Prefetto si era assunto una responsabilità decidendo di accompagnarlo ad Hogsmeade e, come ringraziamento, lui scappava come un bambino di cinque anni, lasciando la mano della madre.

*Sciocchezze, mi avrà sentito e poi sono vicinissimo...*
Correndo avanti, evitando vecchie casse marce e bidoni vari, con uno sguardo in alto per non perdere d'occhio l'uccello che volava sopra di lui, Horus percorse quel vicolo, che sembrava esser comparso magicamente, tanto era celato a prima vista. Tutt'intorno pareti di pietra, negozi sbarrati e scatole abbandonate, invisibili agli occhi del giovane che focalizzava solo quel punto in alto, nel cielo.

Dopo qualche altro metro, incredibilmente ecco aprirsi i resti di quello che doveva essere, tempo addietro, un'entrata ad arco, di cui ora solo le pietre principali restavano a descriverlo.
Vedendo l'animale posarsi su di un muretto, che cingeva un bell'albero in fiore e dalla chioma violacea, che si erigeva al centro di una piccola piazzola, Horus si arrestò all'"entrata" di quella sorta di circolo fuori dal tempo. Si piegò ed appoggiò le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato.
Gli occhi erano puntati sul piccolo uccello che se ne stava lì, piacioso, appollaiato sul muretto.
Possibile che fosse lui? Lo stesso falco dell'Espresso? Lo stesso di quel giorno di pioggia?

Horus si rialzò e si appoggiò ad un lato dell'arco di pietra, scrutando con attenzione l'animale.
Senza dubbio il richiamo combaciava: una sorta di meraviglioso canto, un tintinnio cristallino che si espandeva nell'aria.
Il cuore batteva forte, che fosse vicino all'aver trovato l'animale che tanto l'aveva ossessionato?
Il ragazzo portò la mano sul collo, tirando fuori dal colletto della camicia, una collana il cui ciondolo era rappresentato da una piuma rossiccia. La Sua piuma.
Horus confrontò i due tipi di piumaggio; l'uccello di fronte a sé sembrava non solo più piccolo del suo Ra, ma diverso anche di caratterizzazione fisica.
Non v'era dubbio, la testa marroncino chiaro, la coda grigia, la corporatura minuta: era un Gheppio.
Horus strinse la piuma ed osservò il piccolo falco farsi beatamente i comodi suoi. Ora che finalmente poteva guardarlo da vicino ed era riuscito ad identificarlo, cosa gli diceva che era quello, l'animale che andava cercando?
In fondo, il Gheppio era una specie piuttosto comune in Europa, almeno secondo quanto aveva letto, poteva essere un falchetto capitato lì a caso.
Ma se fosse stato lui, cosa avrebbe potuto fare Horus? Era forse con il suo padrone, giustificando così la curiosità del giovane per quel pennuto?
Il ragazzo si guardò intorno: una sorta di boschetto circondava il semicerchio della piazzetta, mentre il restante era contornato dai muri e dal retro degli edifici della via principale. L'unica entrata era quell'arco, dove lui era appoggiato.
E nient'altro: erano soli.

Eppure... cos'è che lo attirava a quell'animale, quasi magneticamente? Cos'era quella paura di sentirsi deluso nello scoprire che, quello, non era l'uccello che cercava, il falco dalle tre piume scarlatte piombato quel giorno di pioggia?
Cos'è che teneva i suoi occhi calamitati su quell'elegante volatile?

Era forse il fantasma di un ricordo, volato lontano?


*Ra...*

La mano strinse forte la piuma, unico arpiglio alla Realtà.
Voleva sapere. Doveva sapere.


*Chi sei?*

- E-etciù! -
*Bravo deficiente*

Di sicuro sapeva bene cos'era quello: a quanto pare i pollini maledetti non erano terminati, non del tutto.
Timoroso nel veder volare via il Gheppio, prima di poterlo identificare, il ragazzo alzò il volto verso di lui, pregando che non se ne andasse, pregando che non lo lasciasse di nuovo solo.


Edited by Horus Sekhmeth - 6/6/2012, 00:10
 
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view post Posted on 6/6/2012, 17:18
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Ghebbio, me lo ricorderò xD



Nostalgia.
Non credeva di essere in grado di provare un simile sentimento per un luogo, per un qualcosa che comunque non le apparteneva in alcun modo. Era passato tanto tempo, forse era nostalgia di un ricordo o di un tempo che non era più.
Nostalgia di una persona forse? *Naaa...*La corvonero aveva preso un'altra strada da un po', i sentimentalismi che non sembravano fare per lei l'avevano infine ingabbiata in un rapporto chiamato "amore" e tanti saluti al popolo. L'aveva sentito dire da qualcuno in giro per i corridoi, di bocca in bocca i pettegolezzi volavano. Ma non era nemmeno quello in fondo, Jessica l'aveva lasciata indietro da tempo ormai, tanto che Mya quasi non ricordava nemmeno più il colore dei suoi occhi.
*Verde come la giada...grigio come la perla...non lo ricordi, eh?*
Nostalgia di se stessa? Com'era un anno prima? Sempre scorbutica, sempre silenziosa...ma nonostante tutto più leggera, anche allegra talvolta, decisa e sorrideva. Ogni tanto accadeva. Con Jè, con Arwen, il suo compleanno, quel regalo inaspettato, le guance più rosse, gli abbracci, le risate...dov'era finito quel tempo? Era realmente esistito?
E quelle persone che diritto avevano avuto di portarselo via, assieme alla sua innocenza?
Quell'albero invece era rimasto uguale, immutato nel tempo, intoccabile e pacifico. Osservarlo le metteva calma e tranquillità nel corpo. In quel corpicino tanto piccolo e tanto diverso dal suo essere umano.
Le zampette artigliate graffiavano sul granito del muretto che cingeva l'albero tutt'attorno. Ci era arrivata in volo, per la prima volta. Era stata una strana sensazione osservare il giardino dall'alto.
Eppure solo lì le sembrava di sentirsi davvero a casa.
"Dovremmo tornarci più spesso!" -
Una voce la fece sussultare, girando la testa di scatto verso destra. Poi sinistra.
Nessuno.
*Stai impazzendo Jill?*
Un nuovo giro di perlustrazione lungo il muretto, zompettando sulle esili gambe, tanto belle e tanto scomode per camminare a terra. Mezzo giro di albero e nessuno in vista.
Inclinò la testa da un lato, riflettendo su quello che aveva sentito. Una voce femminile, flebile, ovattata come da un tessuto che le veniva premuto sulle orecchie.
"Che qualcuno abbia fatto proprio questo luogo?"
Ancora la voce. A chi apparteneva? E chi c'era con lei?
Che stesse davvero giocando una partita a carte con il suo cervello?
Sollevò la testa, per osservare se tra le fronde dell'albero si nascondesse qualche discolo monello, ma i suoi occhi si focalizzarono su un punto preciso della corteccia, scheggiata innaturalmente. Un falco dall'ala aperta ed una volpe dalla coda al vento, racchiudevano in un cerchio due lettere.
JM
Ora ricordava.
"E tu Mya? Qual è il tuo animale preferito?"
- A parte l'uomo, credo di provare simpatia per ogni animale esistente -
Questo posto è ufficialmente nostro, e ci torneremo spesso"
Quella voce, così familiare, ora le risuonava nella testa, così nitida e vicina.

Jessica Evans, terzo anno, caposcuola di corvonero, scende dal dormitorio con scarpe di colore diverso. E' allegra e malinconica allo stesso tempo,e se la casata ha dei problemi se ne addossa ogni colpa. E' forte, non troppo alta, non mi mette in soggezione. Mi piace il colore dei suoi occhi, cambiano col tempo. Dice quello che pensa, beve come pochi. E' divertente.


Ma era la sua mente confusa a generare un simile dejavù, oppure quell'albero che senza nulla chiedere, aveva rinchiuso i loro pensieri tanto innocenti? Promesse e parole, persino le risate sembravano tanto naturali e sincere. Cosa ne era rimasto, oltre ad un'incisione nel legno?

- Etcììì -
Un nuovo suono, alle sue spalle. Stavolta nessun tessuto premuto sulle orecchie, solo uno starnuto tanto reale da farle rizzare le piumette del collo. Non si sbagliava, il suo istinto pizzicava incredibilmente su tutto il corpo.
Qualcuno era arrivato nel suo santuario.
Ma chi era? E cosa voleva? Era la prima volta che si trovava nella situazione di confrontarsi con un essere umano in quella forma, non aveva idea di come si comporta un falco in libertà. Voltarsi come fa un essere umano stupito? No, troppo poco credibile. Volare via? Già più credibile.
Ma quello era il suo posto, se qualcuno doveva andarsene quello era il visitatore indesiderato.
Gli artigli grattarono sulla pietra ed un verso stridulo, acuto, fece vibrare l'aria.
Era il suo modo per dire "Vattene, chiunque tu sia".
 
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view post Posted on 11/6/2012, 19:20
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Stranamente il piccolo pennuto rimase fermo nella sua posizione, come se non avesse notato nessun rumore.
Possibile che non l'avesse sentito?
Ed invece, il Gheppio l'aveva udito, eccome se l'aveva udito; Horus poteva quasi vedere le piumette sollevarsi dallo spavento, ma l'animale, fiero, rimase statuario ed immobile. Irritato, offeso, violato, lanciò uno stridulo richiamo, così acuto, così diverso da quello dolce che aveva sentito poco prima, che Horus strinse gli occhi e si portò le mani sulle orecchie, come se quell'urlo potesse lacerarlo dentro.

"Papà, papà! Ra non mangia!"
"Fammi vedere... ma... Horus, perché è così triste?"
"E' triste? Ma la gabbia è grande... e io gli ho dato sempre da mangiare... Papà? Che fai! Non aprire la ga...!"
"Ciao, Ra? Come andiamo? Ti manca il Cielo? Vai, fatti un giro"

...

"Ehi, piccino, non fare quella faccia, vedrai che tornerà. Sai perché era così giù di morale? Perché non gli parlavi."
"Non... ma... non mi capisce, non serve...perché è un animale..."
"Ahahah! Beh, piccolo Horus, anche noi umani lo siamo, no? Siamo animali, come loro, un po' meno nobili, forse. Ma nonostante tutto anche loro, come noi soffrono la solitudine. Chiacchiera con lui, instaura un rapporto. Solo così lui potrà legarsi a te quanto è legato al Cielo... Oh vedi è già di ritorno!"
...
"Bentornato Ra! Vedi, Horus, com'è più allegro? Guarda come sgrulla la testolina! Sii suo amico e trattalo bene, lui ne sarà felice. E poi, quando io sarò lontano, parlagli come se volessi parlare con me. Da qualche parte l'eco della sua e della tua voce mi raggiungerà, perché saremo entrambi sotto lo stesso Cielo."



Il ragazzo spalancò gli occhi, riemergendo da quel doloroso ricordo. La piccola mano strinse di nuovo la piuma, stringendo anche la stoffa della camicia, come se volesse strattonare il cuore che gli bruciava, gli sembrava troppo grande per quella gabbia così stretta. Osservò il piccolo falchetto con gli occhi lucidi, nella sua mente una figura ben più grande del pennuto, dai lunghi capelli rossi e il sorriso tanto enigmatico quanto tranquillizzante.


- P... Perdonami, non volevo disturbarti... Starò qui, non ti darò nessun fastidio, promesso. - La voce quasi spezzata, timorosa. Una promessa infantile, un bambino che chiede al genitore se può dormire con lui, per evitare l'incubo. Eppure Horus si sentì improvvisamente scemo a riascoltare le sue parole. Stava sul serio parlando con un uccello, un animale.
Scosse forte la testa. No, era solo inusuale, in fondo aveva parlato spesso a Ra, e lui, ne era certo, lo capiva. Era solo che non era più abituato. Tutto qui.

- Eh, ehm... ecco... non volevo seguirti è solo che mi ricordavi... un amico. -
*Basta così*
Rimase in attesa, le guance più rosse, immobile come il pennuto stesso. Ma mentre quest'ultimo gli rivolgeva le spalle, forse offeso, forse per superiorità, come per invitarlo ad andarsene, Horus rimaneva fermo perché attendeva un permesso, retorico o no.
In fondo, non servivano le parole. Siamo tutti animali, solo con diversi sistemi di comunicazione. Se il Gheppio avesse compreso quel che il ragazzo aveva detto, avrebbe potuto benissimo fargli capire la sua risposta, magari voltando il capo verso di lui, o volando via, o piombandogli addosso, beccandolo e graffiandolo. Ma, anche in quel caso, Horus sarebbe rimasto immobile.
In quel momento si sentiva svuotato da tutto, persino da quell'allegria che l'aveva pervaso per quell'uscita, schiacciato, improvvisamente dai ricordi, tremendamente lontani, dolorosi e inafferrabili. Come quel piccolo falco.
 
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view post Posted on 16/6/2012, 23:39
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L'attesa, e il silenzio.
Dopo il suo sinistro verso di intimorimento nessun rumore aveva infranto la quiete del giardino. Nessun sasso calciato via, nessun frusciare d'erba, nessun passo in lontananza. Tutto era rimasto immobile, congelato, in quella piccola e cheta radura, racchiusa dal tempo.
Il che significava che l'invasore era ancora là, a pochi metri dietro alle sue spalle. Leggermente spostato a sud-ovest, in prossimità dell'entrata. Ne era sicura, anche se l'individuo non aveva dato ulteriori segni di vita. Lui (o lei) era ancora là. Poteva quasi sentire il suo cuore farsi più frenetico, smosso da chissà quale sentimento impetuoso. Leggergli dentro era impossibile persino per il suo istinto animale, ma l'agitazione e quel velo lieve di timore non passavano inosservati.
Poi lo straniero parlò. E la voce lo tradì, rivelando pienamente ciò che lei appena qualche attimo prima aveva avvertito sulla pelle. Timore, incertezza, e una richiesta quasi vomitevole, quasi una supplica.
In fondo quel giardino non le apparteneva, non aveva senso demarcarlo come proprio territorio. Però il fastidio restava.
Mya irritata scrollò leggermente la testa, liberandosi di alcune piumette castane, evidentemente più vecchie di altre, che con grazia si poggiarono sul muretto intorno a lei. Due, forse tre, piccoline ed anche un po' spennacchiate. Era periodo di cambio d'abito per lei, e per quella realtà che ancora cercava di assorbire in ogni sua sfumatura. In effetti ora che ci ragionava era la prima volta che si mostrava in quella forma ad un essere umano. Decise che forse era giunto il momento di mettersi alla prova. In futuro, non poteva sapere quando le sarebbe tornato utile essere un gheppio in tutto e per tutto.
Magari sparire per sempre o forse chissà.
.. non volevo seguirti è solo che mi ricordavi... un amico. -
*...seguirmi?? Addirittura?*
Si sentì imbarazzata e doppiamente offesa da quell'affermazione. L'aveva seguita? E da dove? E quella voce che le pizzicava nel timpano, smuovendo il campanello d'allarme. Lo conosceva? Possibile. Sentiva tante voci, troppe, ogni giorno. Ma quel timbro particolare, così controllato, senza sbavature dialettali, terribilmente impostato e perfetto. Non ne conosceva molti.
Girò il capo verso destra, ponendosi con la testa di profilo rispetto alla figura in piedi e lo osservò. Capelli rossicci che ricadevano lunghi sulle spalle, pelle diafana e occhi grigi. Un abito da signorinotto inglese post-thè e nastri ovunque.
Era Horus, quel ragazzino che sembrava essere stato assegnato dal fato al gravoso compito di "pulce di Mya". Nel senso che, ogni cosa lei facesse, lui di riflesso era sempre intorno. E non bastava grattarsi a quanto sembrava.
Eccoli lì, nuovamente portati vicini da un fato burlone. Ogni volta in abiti diversi, sempre con spassose maschere sul volto.
Un teatrino di gitani in tourné.

Il falchetto tornò con lo sguardo al tronco inciso, ma con un piccolo colpo d'ali si librò fino ad un ramo non troppo alto, ma ripieno di fronde dietro le quali celarsi. Se era vero che in quel momento non aveva nulla di umano, di fatto un particolare del suo corpo era rimasto invariato. Come una maledizione immutabile.
Le iridi viola del falco, attraversavano le foglie dell'albero e osservavano il ragazzino sul limite del giardino.
Il portone era stato aperto, ma il guardiano dalla grande lancia non aveva ancora valutato il visitatore. Guerriero o vile umano?
Le maschere stavano per cadere. Forse.
 
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view post Posted on 18/6/2012, 15:27
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Silenzio.
Solo il frusciare di qualche foglia smossa dal leggero vento, qualche suono trasportato ed effimero proveniente dalla strada principale. Gli occhi attenti del giovane seguirono ogni movimento dell'animale davanti a lui; ora girava la testa, ora lo osservava con quelle iridi chiare (un falco dalle iridi chiare?) che rilucevano, impossibili da non notare.

*Ma di che...*
Ed ora, apriva le ali, preparandosi a spiccare il volo. Il pugno di Horus si strinse; c'era così vicino, di nuovo, ed aveva fallito. Con grazia, il falco librò le sue piume, di cui tre spiccavano prepotentemente, scarlatte.
Il ragazzo spalancò gli occhi per la sorpresa, ma ormai, era troppo tardi.

... O forse no.

Stranamente il piccolo Gheppio decise di concedere al ragazzino un po' di spazio in quel luogo a lui sacro. Si librò nell'aria, appollaiandosi su un un ramo, seminascosto dalle strane foglie dell'albero, osservandolo, pronto a dare un giudizio.
Il cuore del Tasso cominciò a battere, rinvigorito ora dall'emozione della scoperta fatta: l'aveva trovato. Cercando i suoi occhi, il suo sguardo si illuminò e Horus compì un passo in avanti, senza però distogliere l'attenzione dal pennuto e senza avvicinarsi troppo. Non doveva rischiare che se ne andasse. Non ora, almeno.

- Sei tu... il falco di quel giorno, vero? - Da quando, in quel pomeriggio di pioggia, l'aveva visto calare su lui e Sivra, Horus si era rinchiuso in biblioteca, alla ricerca di un tipo falco che potesse avere quelle piume scarlatte, un qualsiasi tipo di rapace, un qualsiasi tipo di uccello, che corrispondesse a quello che aveva visto così da vicino, ma nessuno, nessuno era come quello. Non c'erano dubbi, un Falco che non esisteva.
- Non pensavo che tu... uno come te... potesse esistere ... Ah! Non fraintendere. Sei bellissimo, dico sul serio, non ho mai visto ali del genere ma... ma... - Horus chinò il capo, afferrando il ciondolo e osservandolo nel palmo. La Piuma castano-rossiccia era sempre lì, al sicuro. E il suo padrone, chissà dove.
- Ma... proprio perché non ho mai visto un falco come te... che non riesco a capire perché sono così attratto. Ero convinto che tu... assomigliassi a... a... -
*Ra, diamine, smettila di blaterare a casaccio!*
Si passò una mano nei capelli e poi si lasciò cadere a terra, incrociando le gambe, il volto sempre verso il Gheppio.
- Ah, non prendermi in giro, non so neanche io cosa sto dicendo. E' solo che sono contento di averti trovato e non me l'aspettavo. Da quando ti ho visto, come in un sogno, mi sono chiesto, perché? Perché un falco del genere ad Hogwarts? Perché un falco ad Hogsmeade? Perché... ti devo incontrare? Perché mi ritrovo spesso nei tuoi paraggi? Volevo sapere chi fossi, a chi appartenessi... l'avevo promesso ad... un'amica e a me stesso. Sapere di che razza fossi e perché non esistessi nei libri, con quelle strane piume rosse come il sangue. Ma ora... ora non importa più. Ti ho trovato e mi basta, anche se è solo per oggi. Tu sei tu, no? -
Horus ridacchiò leggermente. Quanto poteva sembrare scemo?
*Tanto*, ma il suo viso si rabbuiò subito.

"Tu sei tu, Horus."



Il ragazzo strinse così forte il pugno che le articolazioni delle dita scrocchiarono. Perché ora tutto doveva farsi complicato? Perché doveva convivere con quei dannati giudizi? Perché doveva per forza cercare di incontrare la volontà altrui? Perché doveva essere confuso su tutto? Perché doveva scindere tutto in bianco e nero?
Horus tirò su le ginocchia e si rannicchiò abbracciando le gambe, la guancia appoggiata e il volto girato, gli occhi rivolti verso qualche nuvoletta sparsa, in alto.

"E poi, quando io sarò lontano, parlagli come se volessi parlare con me. Da qualche parte l'eco della sua e della tua voce mi raggiungerà, perché saremo entrambi sotto lo stesso Cielo."



- Tu sei tu... dev'esser bello no? Anche a me... anche a me piacerebbe poter volare come fai tu. Smettere di essere ossessionato da Bianco e Nero, da... persone che non riesco a comprendere o, al contrario, che riesco a capire troppo facilmente, da creature irraggiungibili o dal Male... In fondo io... -
L'udito era allerta, nonostante lo sconforto. Se ci fosse stato qualcuno sarebbe stato un problema (e forse l'avrebbero pure ricoverato al San Mungo per schizofrenia e importunamento di falchi). Ma il fruscio continuo delle foglie, confermava ancora una volta che c'erano solo loro due, e un lungo sospiro uscì dalle sue labbra.
- In fondo... alla fine quello che voglio non è... il potere della Conoscenza, o diventare più forte attraverso incanti proibiti... mi basterebbe poter volare in alto come fai tu. -Il busto si sollevò e Horus guardò il falchetto appollaiato intensamente libero dalle catene formate dagli obblighi, dai doveri, dai...con un impercettibile brivido, il ragazzo ricordò la voce di Sivra, i suoi abbracci, quelle unghie che lo arpionavano, implorandolo di non lasciarla - dai sentimenti delle persone...Non mi importa. Vorrei solo lasciare questa soffocante terra e assaporare, almeno ogni tanto, l'aria sul viso, senza ostacoli. -
Horus sospirò di nuovo e nascose il viso nelle ginocchia. Ne aveva abbastanza. Era uscito per svagarsi, per dimenticare per un po' quei paradossi, Sivra, il pensiero irraggiungibile di una figura come Mya, il lavoro, la scuola, gli esami. Era uscito per trovare un po' di libertà e svago, ed era finito col deprimersi. Risentire, di nuovo il peso di quei pensieri e di quei sentimenti.
Eppure, stranamente, buttare fuori quei pensieri ad alta voce, lo faceva sentire un po' più leggero, come se un po' di quel peso sulle spalle fosse diminuito. Alzò di nuovo il viso e questa volta un piccolo sorriso lo illuminò.

- Beh, la mia è solo una sciocca invidia umana, suppongo che la cosa non ti tangerà, vero? E troverai stupido, forse, che io ti parli. Però una volta una persona mi disse che voi potete comprendere ogni nostra parola, magari anche se solo attraverso degli stimoli nervosi o di suono. E io ne sono convinto, volevo solo... condividere il mio pensiero con te, come se tu fossi il fantasma di qualcuno che ora, non è più con me. -
Nei suoi pensieri, il ricordo di Ra che schioccava il becco allegro quando lo vedeva, e il volto rassicurante di suo padre lo riscaldò. E un sorriso, più largo illuminò il suo viso.
Erano sotto lo stesso Cielo, lui, Ra, Osiris... e il buffo falchetto appollaiato.


E' un papiro, è confuso, è visionario, leggi solo quello che te pare XD
Ho dato per scontato che, salendo sul ramo più alto e quindi, aprendo le ali, Horus abbia potuto osservare le piume rosse. Altrimenti non ci saremmo più mossi X°
 
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view post Posted on 27/6/2012, 15:27
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Se cerchiamo qualcosa, anche quel qualcosa è in cerca di noi.

Cosa aveva cercato lei in quel giardino, in quell'ora, in quel tempo? Ed in quella vita? Si era imposta di continuare ad avanzare calciando ogni ostacolo sul sentiero, correndo verso un orizzonte che appariva sempre incredibilmente fugace e irraggiungibile. Persino le ali che tanto aveva bramato avevano finito per trovare riposo all'ombra di una fronda. Ancora legate alla terra, indissolubilmente.
- Sei tu... il falco di quel giorno, vero? - chiese il ragazzino con voce ansiosa in direzione del piccolo gheppio. Era accaduto meno di due settimane prima, sul ponte sospeso. Lì, avvolta dal mantello di pioggia fredda, la tassorosso aveva commesso il più alto crimine verso la letteratura. Aveva ghermito la preziosa pagina di un libro, mossa da un istinto irrefrenabile che l'aveva assalita. Quel pezzetto di carta doveva essere ancora tra le sue piume, abilmente trasfigurato assieme al suo intero vestiario. Ed era proprio da quel pezzo di carta ingiallito ed indecifrabile che era fuggita, cercando svago...perchè ricordarglielo? Aggrottò la parte superiore della fronte, mettendo a fuoco la faccia del ragazzino, in ogni suo particolare.
Ascoltò le sue parole dall'alto del riparo, osservandone attentamente ogni movimento. La fissava, la cercava, non distoglieva lo sguardo. Forse il timore di veder scomparire persino un ricordo?
Si sentì scoperta quando Horus nominò le particolarità della sua struttura alare sinistra. Le tre piume rosse, così rare e al contempo tanto facili da ricordare. Era un fattore che non aveva calcolato, ma come diceva lui stesso, poteva essere solamente un falco "raro". Ma avrebbe dovuto agire con maggiore riservatezza in futuro, se non voleva incorrere in ulteriori fastidi.
- Ma ora... ora non importa più. Ti ho trovato e mi basta, anche se è solo per oggi. Tu sei tu, no? -
Il falco restò immobile, ascoltando il resto del discorso, quasi toccata da quella sincerità. Per un momento sentì l'irrefrenabile impulso di aprire le ali e andarsene, sentendosi colpevole. Approfittare di quella debolezza per carpire parole, magari informazioni che potevano aiutarla a comprendere quello che era accaduto giorni prima. Sarebbe potuta arrivare alla personalità del secondo individuo, al senso nascosto in quel libro. Poi una parola le raggelò il sangue.
- ...o dal Male... -
Quanta forza aveva messo in quella parola? Cosa poteva essere il Male? il male di vivere, il male fisico, o il Male che appestava il mondo? Le tornò alla mente un episodio, avvenuto durante il suo primo anno. Un discorso avuto con l'allora caposcuola dei grifondoro. Quel Male e questo Male, avevano un nesso? C'era un nesso in tutto? Un senso?
La testa bruciava e gli artigli graffiavano sul legno del ciliegio.
- Mi basterebbe poter volare in alto come fai tu, libero dalle catene formate dagli obblighi, dai doveri, dai...dai sentimenti delle persone...Non mi importa. Vorrei solo lasciare questa soffocante terra e assaporare, almeno ogni tanto, l'aria sul viso, senza ostacoli. -
Per la prima volta le sembrò di osservare Horus in tutta la sua interezza e ne restò toccata. Nessuna maschera, nessun orgoglio, nessun credo. Solo un essere umano e il suo sentimento, tanto simile al proprio. Il gheppio emise un piccolo verso, come un assenso, quasi puerile come quello di un passerottino in attesa della sua mamma.
*Io...lo capisco*
Inclinò la testa da un lato, emettendo un secondo flebile suono.
Il ragazzino aveva infine risollevato il viso. Sorrideva. Mya non capiva il perchè, ma se la sua sola presenza poteva aiutarlo a sentirsi meno solo, sarebbe rimasta lì, anche un intero pomeriggio.
In fondo anche per lei era stata la stessa cosa, con la sola differenza che lei al tempo non aveva avuto qualcuno che ascoltasse i suoi deliri. Un falco, un quadro o persino un muro sarebbe andato bene. Alla fine aveva iniziato a parlare al vento ed in lui aveva trovato le risposte.
Horus sorrideva e Mya non lo capiva, ma andava bene così.
Con il becco afferrò un ramoscello sulla sua destra ed iniziò a smuoverlo, lasciando cadere sulla testa del tassino una delicata pioggia di petali violacei. Alcuni non cedettero al suo infantile gioco, restando saldamente avvinghiati all'albero.
*Prendi il bello di ogni istante ragazzino, non farti frenare da stupide catene...se hai due ali sulla schiena, presto o tardi inizieranno a fremere e non potrai più nasconderle...se invece si rivelassero solamente ali di cera, presuntuose e malvagie, sarò io stessa a strappartele*
Non poteva farci nulla, quella parola "il Male" continuava a ronzarle nella testa e non l'avrebbe più lasciata libera, nemmeno un momento.
 
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view post Posted on 30/6/2012, 19:36
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Il dolce richiamo dell'animale, continuava a spandersi leggero nell'aria. Horus, inspiegabilmente, si sentì profondamente rincuorato da quella voce gentile e tintinnante e dentro di sé, ancora non credeva alla fortuna che aveva avuto.
Si era aspettato mesi e mesi di ricerche senza esiti e nel caso queste si fossero rivelate positive, non si aspettava di certo che il Falco che tanto ambiva potesse anche solo lontanamente rimanere lì, con lui.
Dopo avergli sorriso, Horus abbassò di nuovo il capo sulle ginocchia chiudendo gli occhi ed emettendo un flebile sospiro.
Qualcosa, però, lo costrinse a rialzare il viso, qualcosa che sentiva cadere sulle spalle e sui capelli; alzò lo sguardo e vide una pioggia di petali violetti cadere dalla sommità del ramo, smosso dal falchetto.
Per qualche istante Horus rimase lì, immobile, gli occhi spalancati e sul viso un'espressione di sorpresa, poi da qualche parte dentro di lui, un peso, un lucchetto, una catena, si ruppe con un sonoro CLACK e il ragazzo cominciò a ridere.
Rise per quel gesto così umano, o forse no, un gesto così bello che un umano non sarebbe mai riuscito a donargli, rise per quel peso che quel giorno stava un po' svanendo, rise per quei sentimenti pesanti come il petrolio sul mare che lo affogavano che per quel giorno si stavano dissipando, sembrando incredibilmente più leggeri. Semplicemente, rise, rise come poche volte aveva fatto in vita sua, pacatamente, ma quanto più sinceramente poteva fare.
Quando la sua risata si spense, scosse appena il capo mentre qualche petalo e qualche fiore cadeva giù; approfittandosene, ne prese uno dalla spalla, e lo mise sul palmo della sua mano, guardandolo intensamente.
Quel viola così delicato, luminoso, gli ricordavano una persona altrettanto luminosa che guarda caso, era legata a quel colore. Il ragazzo strinse il fiorellino nella mano e riportò lo sguardo verso il falchetto in alto, sul ramo, gli occhi appena umidi per le risate di poco prima.


- Sai, tu... tu mi ricordi qualcuno, te l'ho detto. Un amico che avevo tempo fa e che ora... - gli occhi si fecero vacui, il sorriso si spense un momento -... ora non c'è più. -
Il viso si voltò, questa volta, di nuovo verso il cielo, oltre la chioma dell'albero al centro del cortile e un angolo della bocca si incurvò.
- Ma non importa. Siamo tutti sotto lo stesso Cielo e va bene così... Mi chiedo però... di che colore sia il mio. E' nero o è luminoso?-
La mano contenente il fiore si riaprì e Horus riportò la sua attenzione verso quella macchiolina colorata, osservandola attentamente, come se potesse carpire i significati più reconditi del mondo, tra quei pigmenti.
- Io attualmente non riesco a vedere mezze misure. C'è qualcosa... qualcuno nero come la notte... che mi arpiona a terra. E c'è qualcun altro più luminoso, che mi sembra irraggiungibile e inafferrabile come il Vento, qualcuno che non posso raggiungere. Il Nero e il Bianco... ma... ora come ora... quel Nero... rappresenta l'oscurità assoluta per me. Quella persona... mi ha legato a sé in qualche modo e io... - I suoi ricordi gli portarono alla mente le labbra di Sivra e le sue promesse, dolci ma al contempo così soffocanti; Horus di tutta risposta scacciò quel ricordo stringendo gli occhi e scuotendo appena il capo per poi riaprirli e osservare il falchetto con un sorriso sghembo sul volto, le guance appena arrossate.
- Io sono stupido e non ho reagito. La verità è che quell'Oscurità mi affascina, con i suoi incanti e i suoi libri. Il Male ha sempre affascinato l'Uomo debole, no? Ma io... non so se sia questa la strada giusta per quello che vorrei io. Forse, per essere come te, dovrei solo fregarmene di questi pesi e attendere, un giorno, di poter raggiunger quell'aria che qui non riesco a respirare. -
Horus terminò quel discorso senza neanche più sapere da dov'era nato, voleva solo liberarsi del rimanente peso sulle spalle, approfittando della gentilezza di quell'animale che, paziente, sembrava ascoltarlo. Un piccolo vuoto allo stomaco lo colpì, come se ci fosse una mano raggrinzita, vecchia e nera, che lo stringeva dall'interno, affondando le unghie putride.
Come poteva lasciarsi alle spalle quel patto che lo legava a Sivra, come poteva riemergere? E poi, lo voleva davvero, in fondo?
Voleva sprofondare e dire addio per sempre a quel Cielo? Lei poteva sul serio aiutarlo a raggiungerlo con le sue conoscenze "oscure"? Era sul serio una Mangiamorte e lui davvero poteva avvicinarsi così al mistero di suo padre, scoprendo chi fossero attraverso di lei?

Voleva davvero rischiare di rinunciare a volare?

Horus, di nuovo sopraffatto da quei dubbi, si portò entrambe le mani al viso nascondendocisi dentro, lasciando cadere inconsapevolmente quel piccolo fiore che fino a poco prima teneva al sicuro tra le dita.


- Non voglio... - mormorò con voce spezzata.
Non voleva, non voleva affogare in quei pensieri, in quel catrame, voleva soltanto Conoscere e basta.
Soltanto riascoltare la voce tintinnante di quel piccolo falco, fantasma di bei ricordi andati.


Edited by Horus Sekhmeth - 1/7/2012, 02:21
 
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view post Posted on 4/7/2012, 23:45
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Delicati scendevano i petali, ormai arrivati al culmine della loro bellezza, donati al vento con un nuovo, ultimo compito. Mya li osservò scendere verso il basso, fermarsi tra i capelli del ragazzo, sulle sue dita, sui suoi abiti tanto eleganti.
E vide il volto di lui, rabbuiato da tanti oscuri pensieri, aprirsi ad un sorriso. E l'aria permearsi della sua risata cristallina, pura, libera.
Eppure quel gesto tanto sciocco, tanto misero non era stato inutile, senza rendersene conto aveva fatto un passo in avanti, senza alcuno sforzo. Quelle piume e quel corpo, quello spirito e quel vento la rendevano diversa, più scaltra e audace, più libera e meno oppressa dai formalismi.
Le maschere non cadevano, semplicemente in quella forma non avevano motivo d'esistere, così come obblighi o doveri. Forse non era più nemmeno Mya ad osservare la scena, era solo un piccolo gheppio dal fare giocoso.
Ma restava un'illusione, lei comprendeva ogni parola del ragazzino, anche se in cuor suo forse avrebbe preferito non farlo. La confessione che tanto aveva aspettato stava arrivando, troppo chiara, troppo sentita, troppo vera perchè fosse frutto di una menzogna. C'era qualcuno che stava tirando le fila ad Hogwarts, qualcuno che ammorbava i giovani cervelli degli studenti con false promesse, forse di gloria o forza. Mya non poteva saperlo, ma il solo crederlo la mandava in bestia.
Al piccolo falchetto si sollevarono le piume superiori del collo, facendole assumere se possibile una forma ancor più goffa e buffa. Ma il ragazzo a testa bassa non poteva vederla. L'ombra oscura, la figura cui accennava, doveva essere la stessa del ponte. O qualche suo tirapiede o compagno.
Ma restava l'incognita sull'identità. Poi dal simbolo misterioso, all'incanto spezzato, erano tutti particolari del grande ed inquietante quadro che stava iniziando a dipingersi sul cielo di Hogwarts.
Non che a lei importasse di quel ragazzino, o dei tanti altri sconosciuti, ma così come rifiutava il bene assoluto, supremo, sopra ogni cosa, allo stesso modo aborriva il male donato come salvezza. Nessuno, nessuno, doveva diventare vittima di pensieri non propri, specie se erano ragazzini sotto la sua giurisdizione. Non avrebbe fatto macchiare il Suo cielo di simili infamie.
Ancora indispettita da quelle parole, la piccola pennuta zompettò lateralmente, spostandosi più alla luce. Aveva sentito abbastanza, non aveva senso trattenersi. Ora aveva una pista certa da seguire.
Aprì le ali, pronta allo slancio e fissò per un ultima volta il moccioso.
Sembrava così indifeso in quel momento, fragile come un petalo di ciliegio, tanto che avrebbe potuto distruggerlo o salvarlo con un solo gesto. I suoi occhi si fecero più cupi, quasi tendenti al nero e il corpo si distaccò dal ramo. Le piccole ali la aiutarono a scendere di quota, smuovendo pochissimo l'aria e non provocando eccessivo rumore.
Solo gli artigli che tornavano a ghermire la ruvida pietra del muretto, poi di nuovo il silenzio. Il giovane gheppio afferrò col becco uno dei petali caduti lungo l'aiuola e saltellò giù dal muro, avvicinandosi alle gambe del tassorosso.
*Alza quella testa ragazzino, dov'è finita la spavalderia con cui difendevi il tuo credo? E' rimasta forse su quel treno? Non farmi ridere*
Un nuovo verso, stavolta più acuto e stridulo, seppur modulato con un tono decisamente più basso. Un rimprovero.
*Ma cosa stai facendo Jill?*
Un falco non si comportava a quel modo. Una ragazza non si comportava a quel modo.
Allora cosa era Lei in realtà?
 
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view post Posted on 8/7/2012, 18:15
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Riaprendo gli occhi, cosa poteva vedere?
Buio, soltanto un'oscurità che non sembrava aver fine. Ma cosa succedeva se apriva un po' le dita delle mani che celavano i suoi occhi?
Provando ad allargare quelle esili dita, si aprirono degli spiragli di luce che squarciavano quel buio che tanto temeva, a cui sembrava essersi affezionato.
Cosa significava?
La risposta era semplice e prese forma spontanea nella mente di Horus: solo lui era in grado di prender coraggio e permettere alla luce di avvolgerlo, allontanando semplicemente e metaforicamente le mani dal viso.
Ma se lui avesse avuto bisogno di quelle mani sul volto? Se fosse affezionato all'oscurità che tanto celava il soffrire? Il soffrire per i sensi di inadeguatezza, soffrire per la propria debolezza, semplicemente soffrire perché infinitamente piccoli?
Le dita si richiusero e Horus rimase di nuovo immobile, soffocato da quegli stessi pensieri, al buio. Fino a due momenti prima rideva e ora aveva un groppo alla gola, un pizzicore fastidioso agli occhi e alla voglia rosea sulla pelle. In fondo, come poteva davvero essere così ipocrita, come poteva finger d'esser forte aprendo quelle dita? C'erano troppe cose di cui si era caricato, troppi pensieri, troppi sentimenti che rendevano quelle mani pesanti, troppo difficili da allontanare. Troppo difficile, rialzarsi.
Poi un richiamo, le rese subito più leggere. Un richiamo più vicino al ragazzo, acuto ma dal tono sicuramente meno dolce dei precedenti: un tono quasi nervoso.
Horus alzò il viso dalle mani, gli occhi appena un po' lucidi per quella valanga di sentimenti e pensieri contrastanti, e con sorpresa, osservò meravigliato il piccolo Gheppio che in quel momento si era avvicinato a lui.
Piccino, ma con un'aura che ad Horus lo faceva sembrare terribilmente forte, il falchetto lo guardava con occhi scuri e con un petalo stretto nel becco, ticchettando con gli artigli sulla pavimentazione e raggiungendo ormai le gambe del ragazzo.
Horus lo osservò per qualche secondo, spiazzato da quel cambio di tono certo, ma più per il fatto che l'animale, che prima sembrava restio all'avvincinarsi, era semplicemente volato vicino a lui e ora lo guardava fiero, come se volesse incitarlo ad esser orgoglioso come lui.
Lo stava forse rimproverando per quel suo momento cupo e disperato?
Horus alzò una mano e, con il dorso, si asciugò gli occhi, mentre lentamente, per evitare che il Gheppio si allontanasse, spostò le gambe di lato e si sedette sui talloni, le mani sulle cosce, le ginocchia nude a contatto con la fresca pietra. Si piegò appena col busto, permettendo così al viso di essere, più o meno, alla stessa altezza degli occhi del falco.
Di nuovo, un piccolo sorriso si fece strada sul volto di Horus, illuminandolo. Gli occhi del ragazzo quasi si specchiavano in quelli intensi dell'animale così stranamente familiari.

*Sarà perché ricordano quelli di Ra?*

- Mi stai forse rimproverando? -chiese con aria divertita e aggiungendo un tono di sfida,sottile e ironico.
- Beh... -sospirò - Non hai tutti i torti. Mi abbatto troppo facilmente, vengo subito schiacciato dal peso di certi avvenimenti... ma... in effetti ho fatto forza su me stesso per affrontare tutto quello che si è posato sulle mie spalle fino ad oggi, rimanendone schiacciato, fin da quando papà è scomparso. Ma...-
Il ragazzo alzò appena il viso e gli occhi verso l'alto, guardando il cielo che cominciava a tingersi di un bel tono aranciato.
- Sono sicuro che al suo ritorno non vorrà scoprire che suo figlio è un debole che non sa prendere in mano la propria vita e non sa neanche volare al di fuori del proprio nido... Sei d'accordo? - Aggiunse, riportando lo sguardo sull'animale.
- In qualche modo, non mi abbatterò. E se mi succederà, se mai mi capiterà di cadere, mi rialzerò sulle gambe tremolanti e, nonostante le ginocchia sbucciate o i gomiti feriti, proverò di nuovo. Proverò di nuovo a realizzare i miei sogni e a trovare le mie ali. E mi ricorderò del tuo rimprovero. Lo prometto. -
Horus sorrise di nuovo; ogni volta che sprofondava nell'abisso buio dei suoi pensieri, quel piccolo falchetto era in grado, volente o nolente, di risvegliare un angolino di quella mente, di smuovere appena quelle mani posate su quegli occhi chiusi, come se, involontariamente, potesse allargare le sue dita più facilmente, aprendo un varco per la luce.
 
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view post Posted on 10/7/2012, 23:51
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Ed eccola nuovamente arrivare, quella fitta tra cuore e mente, distruttiva e lacerante. La convinzione forte di aver infranto una barriera, di aver violato un'interiorità, un pensiero. E nuovamente si era ritrovata avvolta dai ricordi e dalle rivelazioni del ragazzino, senza avere la capacità di metabolizzarle.
Non voleva accettarle per il semplice fatto che non le erano state rivelate di spontanea volontà, ma carpite con l'inganno. Lui non ne era consapevole e questo aggravava ulteriormente il peso sulla sua coscienza. Il piccolo falchetto arretrò di due passi mentre il ragazzino sollevava il viso al cielo, ignorando ancora la vera natura di quell'assurda situazione. *Non dovevo, non dovevo...*
Il padre era scomparso e lui si era ritrovato a combattere da solo contro quella realtà. Storie differenti, ne avevano un po' tutti ad Hogwarts.
- ...e non sa neanche volare al di fuori del proprio nido... Sei d'accordo? -
La voce del tassorosso la riportò forzatamente all'interno del discorso, quasi chiedendo un suo parere. Ma lei era un falco in quel momento, un animale per quanto intelligente, lontano dalla razza umana. Non doveva nemmeno comprendere il suono delle sue parole, cosa che invece aveva fatto fin dal principio di quell'assurdo incontro.
* Comportati da falco...su, non è difficile...inclina la testa da un lato e fingiti confusa*
Il corpo si piegò a quel piccolo ordine, mentre Mya si sentì infinitamente ridicola. Non poteva rispondere, ma fortunatamente sembrò non essercene bisogno. Il ragazzino aveva ripreso grinta, cancellando definitivamente dal suo volto l'aria abbattuta di poco prima. Che fosse per merito suo o no, non lo capiva, ma era rilassante osservare il suo sorriso tranquillo.
Per quanto non lo meritasse lo avvertiva come un vanto, l'aver tolto ogni maschera a quello strano ragazzo, conosciuto in un freddo inverno sul treno per Hogwarts. Era lì, nella sua forma più vera e più bella.
L'unica falsa era lei.

 
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view post Posted on 17/7/2012, 23:09
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Il piccolo falchetto rimase immobile, limitandosi a piegare la testolina alle parole del Tassorosso. Horus, dal canto suo, osservandolo a qualche centimetro da lui, desiderava poter accarezzare quella piccola testa, poter, di nuovo, toccare con un dito le piume morbide di quelle creature che sentiva stranamente affini. Tuttavia, il giovane era a conoscenza della naturale diffidenza degli animali verso gli uomini, del resto lui stesso diffidava degli altri, e si limitò a continuare a sorridergli dolcemente, reprimendo quel desiderio. Il rapace aveva già concesso fin troppa attenzione a quell'umano, meglio non approfittarsene.
Horus si tirò su, allontanando il volto dal pennuto, e alzò le braccia verso l'alto, stiracchiandosi.
Le spalle, che prima sentiva continuamente indolenzite, come se il peso dei suoi pensieri si fosse materializzato sulla sua schiena, improvvisamente avevano ritrovato nuovo vigore e il giovane si sentì incredibilmente più leggero.


- Ah sì, ora sto decisamente meglio. - una mano si allungò verso l'alto, il palmo aperto verso il cielo - In un certo senso, mi sento, paradossalmente, più vicino al mio obiettivo... o almeno, mi sento meno impedito. Sarà merito tuo? -
Horus riportò lo sguardo ai profondi occhi del falchetto, iridi color ametista che continuavano a pizzicargli l'istinto, o un qualche cassetto della memoria chiuso ermeticamente a chiave e che non voleva saperne di aprirsi. Scosse appena il capo, mentre un'altra, piacevole, folata di vento arruffava i capelli di uno e le piumette dell'altro. Il ragazzo riprese in mano il fiorellino che qualche attimo prima era caduto dalle sue mani e accarezzò delicatamente un petalo.
- Devi esserti annoiato eh? Ascoltare le lamentele di questo marmocchio... sono un approfittatore egoista se dico che mi piacerebbe incontrarti di nuovo, un giorno? -
Una voce, familiare, ruppe l'etere di quella sorta di santuario sacro fra Uomo ed Animale che si era creato in quell'angolino nascosto, nei meandri del villaggio di Hogsmeade.
Paul, probabilmente, aveva terminato la sua commissione da Bibliomagic e richiamava il Tassorosso scomparso. Possibile che il tempo fosse volato così?
Horus, per la sorpresa, saltò subito in piedi, voltando lo sguardo verso l'inizio del vicoletto, al di là dell'arco decaduto.
Era ora di andare, lui tra gli Uomini e il falchetto tra il Vento.
Mosse qualche passo e una volta raggiunto l'arco, poggiò una mano sulla pietra voltandosi verso il pennuto. Rimase in piedi in quella posizione qualche istante, riempiendosi la vista del colore delle piume dell'animale, degli occhi, del piccolo becco e imprimendo nelle retine quell'immagine che, era sicuro, avrebbe ricordato a lungo. E se si fosse scordato, ci avrebbe pensato quel fiorellino che teneva tra le dita, che presto avrebbe trovato posto fra le pagine di un libro, a ricordargli quell'incontro e il rimprovero del Gheppio, voluto o non voluto.
Un altro sorriso si aprì sul volto di Horus, totalmente inconscio, ma più sincero che mai, che gli illuminò il viso.


- Grazie. -



Parole mormorate, sussurrate, in direzione del piccolo Falco, sicuro che in qualche modo gli sarebbero giunte. Le labbra di Horus scandirono quel ringraziamento, forse il più sincero a distanza di anni, che avesse fatto fino a quel momento. Un ringraziamento che trascendeva la sua Maschera di cortesia che era dedito indossare ogni qualvolta si rivolgeva ad un'altra persona, un ringraziamento che non aveva bisogno di educazione, cortesie o altro. Non aveva, semplicemente, bisogno di maschere.
Era un "grazie", un innocente, puerile, "grazie".
Una parola che, sinceramente, indicava la riconoscenza di Horus per quel piccolo animale che involontariamente, lo aveva risollevato, frapponendosi ad una figura che il ragazzo non avrebbe mai pensato, forse, di rincontrare.

Un ultimo istante, e il ragazzo prese un respiro, voltandosi definitivamente e imboccando la via del ritorno. La mano libera strinse forte la piuma che aveva al collo; per la prima volta da quando era ad Hogwarts, Horus si sentì felice.
Felice di aver abbandonato, anche se per qualche minuto, la pesante Maschera che era costretto a indossare sul volto.
Felice di poter credere nuovamente ai suoi sogni e felice di aver ritrovato, seppur in forma diversa, una sensazione che credeva di aver dimenticato.
Il Richiamo del Vento, scandiva il legame con il Cielo che era sempre lì ad attenderlo, sotto forma di Ra, o sotto forma del piccolo Gheppio che se ne sta tranquillo su un ramo facendo piovere petali di ciliegio.

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view post Posted on 26/7/2012, 14:59
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Sembrava star meglio, quel ragazzino dagli sbalzi umorali di una caffettiera accesa. Dall'ombra alla luce come se il tempo non avesse valenza, scendeva e saliva nella scala dei sentimenti e al centro incontrava il falco, sempre fermo ad osservarlo. Era una pedina esterna, un elemento distaccato, e quella posizione le permetteva di valutare molte cose.
Gli occhi di entrambi si incontrarono al crocevia, rivelando forse più cose del dovuto. La maledizione di quegli occhi l'avrebbe tradita prima o poi. Con fare disinvolto girò semplicemente la testa verso sinistra, abbassando il capo, ma controllando il ragazzino con la coda dell'occhio.
- Devi esserti annoiato eh? Ascoltare le lamentele di questo marmocchio...-
Annoiata? No, in realtà quella piccola parentesi aveva fatto bene anche a lei e quelle poche informazioni che aveva carpito le sarebbero state per certo utili. Quindi si erano sfruttati a vicenda, andava bene, rispecchiava pienamente il suo stile.
- sono un approfittatore egoista se dico che mi piacerebbe incontrarti di nuovo, un giorno? -
Il piccolo gheppio risollevò il capo scorgendo negli occhi di lui un velo di malinconia, mista a una quasi puerile speranza. Non incrociò più il suo sguardo, ma lo osservò andare via dallo stesso sentiero da cui era arrivato. Qualcuno lo chiamava dalla strada, una voce per certi versi familiare. In fondo era un primino, visitare Hogsmeade era una prerogativa dei prefetti o degli studenti dal secondo anno in su. Oltre quel muro c'era troppa gente, troppo chiasso, troppa imperfezione.
Afferrò il suo ringraziamento, accogliendolo tra le morbide piume e con una spinta delle zampe si sollevò da terra, riguadagnando il cielo.
L'unico luogo in cui riusciva ad essere se stessa, davvero.
 
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