Solitamente Alfier non passa molto tempo ai piani inferiori del castello: troppe facce e troppi colori che gli riempivano al testa di una confusione nauseante. Lui amava la pace, la quiete e quei posti dove solo quattro occhi o poco più potevano confermare uno stato di presenza umana.
Quel giorno il Serpeverde se ne stava serenamente appoggiato ad un freddo pilastro in muratura, poco fuori la porta principale del castello, avendo alle sue spalle le innumerevoli scale che portavano ai piani alti dell'edificio, nonché alla Sala Grande. Questo comportava un ENORME numero di studenti in traffico in quella zona.
Chiaramente anche di studentesse.
Era lì da almeno un paio d'ore, scosso da quella violenza del fato che continuava a fargli passare davanti graziose studentesse con la pelle fresca e liscia, nonché con fisici troppo modellati per essere il prodotto di un'antica pratica che metteva al mondo ogni anno migliaia di piccoli fanciulli.
Quei corpi...Alfier se lo chiedeva, senza sapersi dare una risposta: quale mano esperta si era presa la briga di sfiorare quella carne e trasformarla in opere d'arte? E quale altra lo inchiodava lì fermo a soffrire di quella mancanza sotto le proprie mani, in quel momento colmata solo dalla fredda pietra di un pilastro?
La lingua del ragazzo gli bagnava continuamente le labbra e gli occhi socchiusi erano un'evidente prova di quanto la sua mente fosse impegnata nello scrutinio di quel ben di Dio.
Come sempre DOVEVA tenersi tutto dentro, sfogare con la mente le proprie repressioni e aspettare il primo Tassorosso a tiro per spingerlo via con fare violento e per nulla pietoso.
Le mani erano sempre piene...piene di un prurito di cui non sarebbe mai riuscito a liberarsi, neppure se avesse sfogato le proprie passioni. Con o senza una ragazza.
Ormai, aveva accettato di essere vittima di quella malattia, che non era l' ardente desiderio di assaggiare ogni stupenda fanciulla (rossa per lo più) che gli passava davanti, ma semplicemente quella di dover tenere dentro di se tutti suoi desideri più folli e inapplicabili. Folli, perché probabilmente avrebbe meritato Azkaban se qualcuno fosse riuscito a leggere nelle profondità del suo cuore e inapplicabili per sapeva che per uccidere un mago, un'essere umano, non c'era bisogno della magia.
Un ghigno gli si disegnò sul volto, quando davanti gli passò l'ennesima stupenda fanciulla dai capelli rossi, col viso da cerbiatta e le lentiggini appena accennate sulla pelle rosea ed invitante.
"Se solo potessi averti, per un minuto..."Quel pensiero lo tormentava, ogni quando ne vedeva una. E non solo, quand'anche l'irrefrenabile prurito alle mani tornava a farsi sentire con fare insopportabile verso qualche studente che con fare TROPPO incosciente gli si rivolgeva con fare sconsiderato.
Non aveva saputo darsi una risposta al perché, fino ad ora, non aveva ancora alzato una mano nessuno. Probabilmente, sapeva che se l'avesse fatto da solo, non sarebbe riuscito a cavare un ragno dal buco.
Ma sapeva, perfettamente, chi avrebbe potuto dargli una mano con quel prurito: chi avrebbe potuto dargli una cura per farlo passare se non in maniera definitiva, quasi.
Con la semplice arma dello sfogo.
Ormai in giro non si parlava d'altro che di lui, il "Bastardo con la mazza" o il bastone, visto il particolare che lo accompagnava praticamente sempre.
Aveva conosciuto Vagnard Von Kraus in Sala Grande qualche tempo prima e gli era sembrato una persona su cui fare affidamento, sopratutto quando quel tipo di prurito aumentava fino a raggiungerti la testa.
Molti, se non tutti, lo temevano. Il Serpeverde si era reso partecipe di comportamenti ben sopra ogni prudenza morale e Alfier, seppur non lo avrebbe mai confessato espressamente, lo stimava.
Ne era sicuro, non conoscendolo comunque per niente: anche lui, come Alfier, era malato. Malato di violenza, malato di piacere personale e null'altro.
Malato di se stesso e della luce che la propria immagine elargiva al resto dei poveri illusi che camminavano felici e spensierati per quel castello.
Anche in quello erano simili, Alfier si amava e seppur non avesse la reputazione di Von Kraus, mirava a costruirsene una basata sui suoi principi di prepotenza e soddisfazione dei sensi.
Sperava soltanto di vederlo passeggiare lì nei dintorni e sapeva che la sua giornata, al momento afosa e non calda, sarebbe potuta diventare bollente se lo avesse incontrato.
Mise tutto nelle mani del fato, certo che con un colpo di fortuna o meno, questo lo avrebbe accontentato facendoglielo passare proprio davanti...
Edited by Trhesy - 27/8/2018, 20:39