Cadeva. Le ombre lo cullavano, lo attorniavano conciliando il suo sonno, cantavano canti antichi tali da cucirgli le palpebre, mentre un alone di nebbia gli invadeva la visuale, e la mente si lasciava inebriare dal dolce sonno dei vinti. Qualcuno si stava avvicinando, la sua sagoma confusa era a malapena distinguibile nel vortice di colori che la Realtà era diventata. Mya? Non emanava più la luce radiosa che la pervadeva ogni volta. Il Dolore e la Disperazione avevano soffocato anche quel piccolo sole, con tutta la luce che poteva sprigionare, mentre tentacoli di tenebra si avviluppavano al mondo che conosceva. Qualcuno chiamava il suo nome. Non seppe più dire chi fosse, né quale fosse il nome. Cadeva verso il fondo, lentamente; tutto si era fatto calmo e pacato, le sensazioni giungevano lente, come sospinte da placide onde.
Lui sprofondava, continuava a sprofondare in un mare buio. Il tocco di lei, ancora per la realtà, fu niente più che un formicolio sotto al mento. Il calore era sparito.
Tutto si offuscava. Lentamente.
*...Mya...*
Era tutto qui, quello che bisognava fare? Perso ogni legame con il mondo Reale, il suo essere scivolava lentamente nell'oblio, da solo, come se tutto il Tempo esistito fino a quel momento fosse servito solo a portarlo a quello. Non doveva nemmeno faticare, e se anche avesse voluto risalire, non ce l'avrebbe fatta: le catene, era chiaro, lo trascinavano giù, molto più giù, ad una profondità nella quale mai aveva creduto. E tuttavia, era piacevole.
Oh, come erano semplici le cose!
Aveva la risposta alla domanda che l'aveva da sempre assillato. Sempre si era chiesto quale fosse il suo Destino, millantando gesta gloriose, la capacità di cambiare il mondo conosciuto... tutte fandonie, storie di giullare. La vera strada non era avanti, né tantomeno in Alto!
Bisognava scendere.
E ancora scendere.
E ancora.
E ad ogni passo era più semplice! Anzi, no: non esistevano passi. Era l'Abisso stesso a trascinarlo giù, desiderandolo. L'Abisso lo amava, lo carezzava, come una madre premurosa, lo stringeva a sé e lo proteggeva. Chi mai avrebbe potuto ferirlo, ora che era laggiù? E, anche se nella solitudine, le ombre che lo coccolavano erano tutto ciò di cui aveva bisogno. Non era più necessario preoccuparsi degli altri, se gli altri non esistevano. Che senso aveva cercare l'Amore, l'Amicizia, in un mondo dove esse non valgono nulla? Sorrise.
Addio, terre lontane, addio. E addio Cielo superbo e infame, che ti ergi sopra alle teste degli uomini con quel tuo fare prezioso e divino, come se recassi gioie infinite e infiniti tesori. No! Dolori e Pene, e ferite, e sangue a chi osa solcarti, o solo provare a raggiungerti. E infinite delusioni, e amarezza, per coloro che per grazia divina non hanno ali, o il coraggio di Volare.
Tu, lassù, sopra, un miraggio più che una Realtà. Una schifosa illusione, una chimera, un arcobaleno da inseguire per l'eternità, solo per poi dirsi che non valeva la pena.
Ah! Io me ne vado.
Sprofondo, si. Le convenzioni, le convenzioni dell'uomo, l'astrusa idea che l'obbiettivo fosse andare più in Alto possibile.
Ah!
Che sciocchi, che - Ah! - che...
...
...
...
*...che diavolo...*
"Cough..."Che.
"...cough, cough..."Diavolo.
"...cough..."Stava.
"..."Combinando.
Posò un pugno per terra, e divincolò il viso dalla mano di Mya, cercando di aprire gli occhi. Sapeva cosa avrebbero visto, e cosa avrebbe visto
Lei, ma il solo tenerli chiusi gli dava il voltastomaco. La testa gli girava. Ancora.
Si fece forza per cercare di focalizzare l'immagine che gli danzava davanti alle pupille verticali, gettò anche l'altro palmo a terra, si alzò in ginocchio, tossì di nuovo. Come aveva potuto anche solo pensare di... e farsi vedere in quelle condizioni... Tentò di umettarsi le labbra aride con la lingua, ma il tocco che avvertì su di esse fu talmente fine e ruvido da spaventarlo. Oh, la trasformazione stava andando alla grande. Anche troppo.
"...huh... huh... ... ... scusa..." Voleva sputare. Ma non lo fece. Invece, provò di nuovo ad alzarsi, facendo forza sulle braccia cadenti e provando a puntare i piedi. Dopo il secondo tentativo miseramente fallito, guardò amaramente a Mya, tenendo il viso basso, e si appoggiò al suo braccio. Era ancora instabile, l'immagine davanti ai suoi occhi si era fatta ancora più confusa, e sembrava sul punto di cadere da un momento all'altro.
Ma era in piedi.
"Sprofondava. Ancora, e ancora. Nell'abisso. E non v'era fine. Solo lui, e quella strana melodia che lo attirava al fondo; e le catene, ancorate a chissà quale massa oscura che se lo trascinava dietro, a peso morto. Quando, all'improvviso, era successo lo straordinario. Una luce si era aperta nell'ombra, una candela nel mare dell'ombra.
Improvvisamente, aveva pensato.
E aveva sentito chiaramente le catene spezzarsi ai suoi polsi, andare in frantumi come carta. E aveva visto il mostro che lo trascinava, il grande Oblio, andarsene senza di lui.
A fondo.
Ora era immobile. In profondità, ma immobile. Non saliva, e non scendeva, benché percepisse chiaramente che avrebbe potuto muoversi semplicemente volendolo. Ora, pensava. A chi pensava, era concessa la scelta, mentre gli altri si facevano trascinare da forze più grandi di loro. Ma non era il caso di buttarsi in scelte affrettate. Sopra di lui, lo sapeva, c'era la luce. C'era la terraferma, e ancora, il Cielo. Il Cielo doloroso, con i suoi venti e le sue cadute, e uragani e nuvole, e notti infinite e infiniti splendidi soli. E ali strappate, e scheletri, e cuori che battevano, e sudore, e canti e urla, sopravvivere e vivere. Cadere, e rialzarsi. Questo era il Cielo.
E poi c'era l'Abisso, dall'altro lato. Era calda oscurità, odor di Nulla, oblio eterno ed eterno riposo. Assopirsi cullati dalle onde, esser trascinati per sempre senza dover alzare un dito. Piacevole inconsapevolezza.
Ecco: il Cielo era consapevolezza. L'Abisso, era l'inconsapevolezza.
Non poteva trovare paragone migliore, si era detto, voltandosi e cominciando a nuotare verso la superficie. E non c'era un perché. Anzi, la sua risalita verso l'alto, verso l'eterna sofferenza del Cielo, era dovuta proprio a una mancanza di motivazione.
Motivazione che, certamente, non avrebbe trovato nella nullafacenza dell'Abisso. Voleva essere lui, incatenato o meno, a trascinare il suo Destino."
...
Era in piedi, si. Instabile, pronto a cadere, e rialzarsi. Ma in piedi. E nel mondo del Cielo, fuori dall'Abisso. Tossì di nuovo, aspettò di riuscire a vederci meglio, si staccò da Mya. Si sentiva prosciugato, completamente svuotato. Debole. Non solo fisicamente: con quell'attacco, aveva provato i propri limiti. E dimostrato che erano assurdamente vicini. Ma dopotutto, era stato lui...
"Mya" ...era stato lui a fissare quello stesso limite.
"...ora sconfiggerò queste bestie..." La Volontà umana non conosceva limiti. Come il Cielo, che si estendeva all'infinito. E difatti, Volontà e Cielo erano fatti l'uno per l'altra: più si andava avanti, più si volava, più si scopriva di più di entrambi. Si scopriva che c'era un infinito Cielo, e un'infinita Volontà. Persino lui lo capiva, questo.
"...e poi ce ne andremo." Cercò di sorridere.
Come sempre. Avrebbe sorriso, e sarebbe andato avanti. A inseguire coloro che volavano, a incatenare al suolo i loro ostacoli, affinché ci volassero sopra. Si, era questa la sua Strada. Si chinò a raccogliere la bacchetta, si alzò tremando, la puntò alla propria testa.
*Magicus Extremus*
Oh, si, avrebbe avuto bisogno di molta, molta magia. Molta più di quanto un viscido rettile avrebbe mai potuto avere. Era giunto a una nuova risoluzione.
Era tempo che la lucertola facesse la muta.
C'era bisogno di Volare, per non cadere nell'Abisso.