OK BASTA SCUSA SONO IL PEGGIO DEL PEGGIO DA ORA IN POI MUOVERO' IL CIAPETE.Per farmi perdonare...
CLICCHETE ... e spero di non aver toppato.
Inquadrare Niahndra Alistine era incredibilmente complicato.
E per inquadrare non s'intende certo mettersi d'impegno e voler pretendere di capire una persona, quanto più cercare di capire se la tua interlocutrice pensa che sei scemo oppure no. Inutile ripetere che il primo approccio era stato quello che era stato. Mai Horus avrebbe detto che un giorno si sarebbe ritrovato a gironzolare con lei ad Hogsmeade, cercando di svicolare il plateale e visibilissimo imbarazzo che, in fin dei conti, lambiva i due ragazzi come il vento fresco accarezzava le loro teste. E se la forza di quella fanciulla con la sua risposta pronta che spesso aveva avuto modo di notare anche sul Campo di Quidditch, fino a quel momento era stata una costante, quasi fosse una solida corazza, ora, osservandola parlare e ridacchiare sommessamente, sentendo quelle parole che, nonostante fossero state pronunciate per la prima volta da Niahndra, alle orecchie del giovane risuonavano così familiari, Horus dovette cominciare a credere che in fin dei conti loro due avevano ben più cose in comune di quanto preventivato. Il Prefetto piegò leggermente il capo, corrugando le sopracciglia, valutando il discorso della ragazza, mentre questa, forse colta da un moto di imbarazzo o magari pentendosi della sua ultima rivelazione, avanzava qualche passo in avanti spronandosi —e spronandolo— a proseguire verso la meta, lasciandolo indietro di poco.
Gli occhi di Horus si posarono sulla neve a terra, osservando le impronte di lei, senza guardarle realmente. Quante volte si era sentito inadeguato per quel ruolo, quante volte aveva creduto, semplicemente, di non essere adatto, che non gli confacesse e che tutto, invece di farlo sentire lusingato, sembrava rivoltarsi un po' come una belva in grado di braccarlo e saltargli sulla schiena, schiacciandolo? Eppure, ora, ecco una quasi-sconosciuta che candidamente sfatava quelle convinzioni. Perché avrebbe dovuto essere "il suo ambiente?"
Scrollò le spalle, cercando di scacciare quei pensieri ed incamminandosi anche lui dietro Niahndra, eppure, quei dannati pensieri si rincorrevano nella testa confusamente, cercando di recuperare l'inizio di quella matassa.
Ma Horus non si rese conto che camminare senza comprendere dove i nostri piedi ci portano, quando la testa è altrove, era una cosa piuttosto stupida da fare. Per poco non si schiantò contro Niahndra che, arrestatasi, si guardava intorno dichiarando perso l'orientamento —e come biasimarla. I dannati vicoletti di Hogsmeade, soprattutto se al buio e col nevischio, lo traevano ancora in inganno. Il Tassorosso si riprese giusto in tempo, censurando un'imprecazione contro sé stesso e fermandosi di botto anche lui, evitando l'impatto.
Ma sì, si disse, cercando di scacciare l'ennesimo rimuginamento, forse doveva lasciar perdere e concentrarsi sull'uscita.
« Uhm... credo che Mielandia sia da questa parte... »disse con voce roca dal freddo, puntando un dito guantato verso una svolta alla loro destra. La stradina principale si apriva su un piccolo incrocio, in mezzo al quale un vecchio cartello di legno indicava i vari negozi presenti nelle direzioni. Ma la scarsa luce e la neve incrostata sulle frecce non permetteva una visuale umana e rendeva complicato leggere le indicazioni. Tuttavia, a destra, dove altre casupole e negozietti continuavano lungo la strada, si intravedevano i tetti conici innevati di Mielandia; quella particolare architettura stonava con i tetti più squadrati degli altri luoghi, divenendo così un particolare che il Tassino aveva imparato a riconoscere.
Horus, dunque, s'incamminò per quella via, avvolgendosi meglio la sciarpa sul collo. Sentiva come qualcosa premergli sulla gola, qualcosa che rendeva la voce roca e lo stomaco pesante. E per quanto il ragazzo avesse voluto attribuirlo al freddo, non poteva negare che quel groppo altro non era che un pensiero che smaniava dalla voglia di uscire. Sbuffò, maledicendosi per l'incapacità di ignorare certi discorsi e prima ancora di rendersene conto, la sua voce aveva colmato il silenzio.
« Tornando a prima... » Esordì piano, continuando a camminare lentamente, guardando davanti a sé e scorrendo rapido con lo sguardo le vetrine per controllare il loro percorso . « Devo dire che non mi aspettavo di esser reputato "nel mio ambiente"... Non lo capisco, a dirla tutta. Forse perché sono un tipo che sembra studioso o avvezzo alle responsabilità, non so. Ma poiché spesso questi sono pensieri altrui che spesso mi trovo costretto a seguire, capita anche a me, di sentirmi braccato. Ora che c'è questa spilla, ancor di più. » Distrattamente, passò un dito sulla spilla appuntata sul mantello. Per quante volte l'aveva sfiorata, incredulo o meno, poteva indovinarne le incisioni persino in quel momento con la mano pesantemente guantata ed insensibile. « Se mi hanno dato questa carica è perché forse la pensano come te. Il fatto è che non lo capisco. Sono una persona solitaria, non ho mai preso iniziative e figuriamoci responsabilità che vadano al di fuori della mia persona. » Tacque un secondo, incurvando le labbra ironicamente. Bel quadretto. « Un egoista in pratica, ahah! Tuttavia... quando ho ricevuto questa spilla ho ricevuto responsabilità e compiti che sembrano braccarmi più che mai. L'ho detto, no? » Horus si voltò verso la fanciulla, sorridendole nella penombra della stradina. Una vocina dentro di sé lo intimava a fermarsi, dichiarando che stava decisamente esponendosi troppo. Ma, ormai, era come cercare di fermare un cavallo in piena corsa o una tempesta in procinto di liberare i propri fulmini e la propria elettricità. Impossibile. « L'esser braccati è come avere sulle proprie spalle dei pesi e delle sbarre che ci impediscono di muoverci, anche se ci si intestardisce di essere abbastanza forti da non sopperire. Il fatto è... che quello sarebbe sopravvivere poiché la gran maggior parte di quel senso di inadeguatezza proviene da noi stessi e dalle idee che noi stessi ci facciamo. Credo che l'unico modo per non sentirsi braccati è riuscire a sopportare quel peso non rimanendo piegati, ma rialzandosi. Mantenendo la schiena eretta, imparando a sostenere quel peso con la giusta forza di volontà. In questo modo impareremmo a non essere schiacciati da dubbi e paure. E a questo punto diventerebbe una sorta di sfida contro se stessi, per dimostrare a noi stessi di saperci sollevare da quel peso, anziché trascinarci. Per questo ho accettato l'incarico, per dimostrare a me stesso che in fin dei conti imparerò a non farmi braccare da niente e nessuno. Nemmeno da me e dalle mie stupide paranoie. Forse è per questo che il Cappello Parlante ci ha Smistati a Tassorosso? Per l'impegno che dobbiamo mostrare nel lasciarci indietro i nostri pregiudizi che, in fin dei conti, non sono altro che la cosa che più ci intrappola? » Senza rendersene conto, aveva rallentato il passo così tanto da fermarsi in mezzo alla stradina. Horus si riscosse, stupendosi persino della piega che quel dannato discorso aveva preso, scoprendo tuttavia che il groppo alla gola era sparito.
*Stupido freddo, alla fine non c'entravi nu---hu--hu...*
« ETCIU'! » L'unica cosa che poté fare, invece che sopprimere il dannato starnuto, fu portarsi le mani alla bocca e piegarsi leggermente in avanti.
*APPUNTO.*
Forse il freddo gli aveva davvero gelato il cervello.
« Ecco. Voleva essere una puntualizzazione. O forse era il segno che sto straparlando e che è ora che io ci dia un taglio. » Ridacchiò, imbarazzato e aumentando il passo. Il peso delle sue parole continuava a rincorrerlo, nonostante tutto. E sebbene una parte di sé si sentisse estremamente in colpa (più verso se stesso, forse),per essersene uscito a quel modo e aver coinvolto Niahndra nelle sue stupide elucubrazioni, l'altra si sentiva incredibilmente soddisfatta per aver finalmente ritrovato il filo perduto, neanche fosse stato Teseo col filo di Arianna. Riusciva a capire, forse, ora più che mai, come uscire da quella gabbia che lui stesso si era posto davanti e, in fin dei conti, poteva anche spiegarsi cosa ci faceva a Tassorosso. Se in un primo momento si era sentito inadeguato lì, tra di loro, ora poteva dire che ci si trovava a pennello.
Nel frattempo, in ogni caso, camminando lenti o meno, la stradina, ritornata diritta, proseguiva ancora di qualche metro e, in fondo, cominciava ad intravedersi l'insegna del negozio agognato.
« Oh ci siamo quasi... » Mormorò, sospirando appena. La cosa più pesante da sopportare, cominciò a pensare Horus, in quel momento, era l'imbarazzo. E la consapevolezza di aver rivelato tanto. Anche troppo, persino a se stesso. E chissà perché quel peso sulle spalle, nonostante tutto, sembrava ora più leggero del solito.